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Autore: Circe    28/11/2018    5 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Lord Voldemort: “Magia oscura”


Avevo atteso la notte del Solstizio d'Inverno con pazienza, mi ero procurato la giusta quantità di vischio, pianta sacra ai druidi. Era indispensabile perché racchiudeva in sé un simbolo, era una pianta discesa dal cielo, generata da un fulmine, e quindi collegata alla divinità.
Attraverso un incantesimo oscuro lo avevo unito alla quercia, albero simbolo dell’eternità.
In quel modo, la pianta generata da questo incantesimo sulla natura, diventa simbolismo dell'istante, della rigenerazione e dell’immoralità. 
Tutto era pronto e sistemato per compiere il rito in quel luogo nascosto della foresta. Guardai in alto la posizione delle stelle, ancora l’ora era lontana.
Avrei dovuto iniziare l’incantesimo in un momento preciso della notte, per ottenere la sua vera efficacia, ma temevo di non farcela.
La gola mi bruciava e la luce delle candele accese mi dava fastidio agli occhi.
Mancava poco tempo e sarei stato di nuovo male.
Iniziai a sentire rabbia e frustrazione: non mi aspettavo l’astinenza e non l’aspettavo così presto.
Provai a concentrarmi, a pensare solamente a quell’importante rito di magia oscura, ma non funzionò. Poco dopo iniziai a tremare nelle mani, la bacchetta tremava con me, non sarei riuscito a fare un incantesimo decente.
Mi prese il nervoso per tutto, la scaraventai a terra e urlai.
Così non andava bene, non era quello che volevo succedesse, era tutto sbagliato. 
Non potevo permettermi l’astinenza, quella no.
Mi avrebbe precluso troppe cose.
Non mi restava che moderare le dosi fino a riuscire ad evitarle, in caso contrario rischiavo di non poter fare nulla di quello che volevo. Intanto però i miei programmi per quella particolare notte erano totalmente rovinati.
Ripresi la bacchetta mestamente, dovevo tornare al Quartier generale, non potevo aspettare più molto, erano iniziati i primi crampi e dovevo ancora smaterializzarmi.
Lo feci in fretta, senza più pensare. Quando arrivai nella mia stanza iniziai a tossire forte, i colori mi facevano morire del fastidio.
Evitai la siringa, evitai la morfina così da calare fin da subito le dosi, come mi ero ripromesso.
Mi costò fatica questa decisione.
Presi le gocce di laudano e la mescolai con l’acqua, l’effetto sarebbe stato più lento, ma sicuramente meno invasivo. 
Non era facile esagerare sempre, provare troppa magia, prendere troppe sostanze, avere troppi ricordi, ma ugualmente non sapevo rinunciare.
Mi scostai i capelli dagli occhi, sentii la pelle fredda, troppo fredda, dovevo evitare di peggiorare il mio stato.

Mi toccai la fronte, asciugai leggermente il sudore, continuai a bere lunghi sorsi fino a che non mi sentii meglio.
Allora mi calmai e mi sedetti per un po’ sul divano.

Riflettei che la situazione stava andando oltre il mio controllo, dovevo riprenderne le fila.
Mi domandai anche se avessi davvero fatto bene ad informare Bella del mio stato, se era davvero all’altezza dei compiti e della fiducia che avevo riposto in lei. 

Continuai a sorseggiare lentamente e il laudano, mi dava sollievo sempre di più. 
Ripensandoci comunque si era dimostrata perfettamente all’altezza, non aveva discusso ed era stata impeccabile, per cui non avevo motivo di dubitare di lei. Ero stato lungimirante fin dall’inizio, l’avevo voluta con me e le avevo insegnato tutte quelle cose con pazienza. In quel momento venivo ripagato e mi tornava utile, molto utile, come avevo pianificato.
Potevo fidarmi.
Rimasi fermo ancora per diversi istanti poi tornai da alzarmi in piedi.
Soprappensiero mi avvicinai alle tende e, appoggiandomi allo stipite della finestra, guardai fuori: le luci non mi davano più fastidio, il laudano faceva un buon effetto, anche se non era potente come la morfina, non era così forte come un’iniezione, comunque aiutava molto. Portai il bicchiere alle labbra e sorseggiai ancora lentamente.
Sentivo sul viso il lieve tepore delle candele, la sensazione di caldo avvolgente che tanto mi mancava stava tornando, il buio fuori mi tranquillizzava, tutto era tornato in ordine, lentamente mi abbandonai ai miei pensieri.

Mi tornò in mente Bella. Ripensai al momento in cui l’avevo presa più volte.
Lei non desiderava altro che me, mi desiderava così ardentemente che era una vera lusinga, un peccato da consumare al più presto.
Un peccato da consumare, da deturpare, da avvelenare. 
Lei era tanto giovane e ingenua, una bambina quasi. Sarà per questo che mi era sempre apparso così allettante sciuparla. 
Sentivo di voler trasformare altre mille volte quelle labbra innocenti in labbra dannate, dal sapore di sangue, morderle finché e affinché non tornassero mai più come prima.
Afferrare quei bei capelli neri, forti, stringerla e farla mia schiava, piegare quello sguardo fiero sul mio sesso con forza e violenza. Seccare quella pelle morbida col mio sperma salato e bruciante.
Violare quella carne calda, bagnata e accogliente come solo io so fare. Così che ricordi bene chi è il suo Signore, anche se dubito se ne dimenticherebbe mai.

Sorrisi tra me e me.
Finii la mia dose nel bicchiere e lo appoggiai a terra poi tornai a guardare fuori.
Riflettei.
Chissà perché la stavo pensando, perché ogni mio pensiero si era focalizzato su di lei.
Appoggiai la tempia sul vetro freddo, guardai come lentamente il vetro si appannava al calore della mia pelle, del mio respiro.
Sospirai facendo appannare una porzione più grande, giocai ad appannare tutto ripetutamente, per poi disegnare con le dita linee a caso. Infine eliminai con la mano tutto il vapore e osservai la notte.
Ripensai al mio rito là fuori che era andato in malora. Non potevo permettermi più errori, avrei voluto riprendere a breve a creare gli Horcrux e dunque dovevo stare particolarmente attento.
Pensando agli Horcrux la mia mente tornò a Bella: forse mi sarebbe potuta essere utile.
Certamente, era ancora terribilmente acerba e immatura.
Era persino bello torturarla e farla sentire insicura e presa in giro.
Quando le ho parlato della mia idea di insegnare anche a Rodolphus le arti oscure l’ho vista impallidire, mi ha fatto ridere.

Non ho intenzione di iniziare assolutamente nessun’altra persona alla magia oscura. Ho già fatto un’eccezione con lei che è un talento particolare. Soprattutto che mi è totalmente fedele. Non lo rifarei per altri.
Eppure, ingenuamente, mi ha creduto. Ha avuto paura.
È davvero ancora una bambina, come lo è lo stesso Rodolphus, o Rabastan, che si credono importanti, ma perdono tempo con le loro sciocche gelosie e innamoramenti. 

Indugiano tutti nell’infanzia. 
Forse perché hanno avuto una bella infanzia e per questo non la vogliono lasciare. Poveri illusi.
Ora hanno incontrato me, sono pronto a togliere quella bellezza inutile e ingannevole e ad avvelenare le loro vite, a renderli tutti miei servi, a possederli tutti nelle mie mani e a torturarli.
Ora devono essere tutti miei e in mio potere, devono vedere la realtà come la vedo io, terribile e spietata.
Anche se non sanno cosa vuol dire essere me, provare cosa provo io, cosa sono io.
Sentii una gran rabbia tornarmi dentro, in pochi secondi sbattei il pugno contro i vetri e li vidi andare in mille pezzi davanti ai miei occhi.

Osservai fermo, quasi bloccato.
Guardare fuori attraverso quella spaccatura mi ricordava le grandi finestre dell’orfanotrofio, rotte e piene di spifferi. Fredde e nude finestre da cui guardavo fuori e volevo solo fuggire. Odiavo quei ricordi e li odiavo ancora di più quando riaffioravano a tradimento.

Nonostante il laudano quei pensieri non mi volevano lasciare, la morfina aveva un effetto di gran lunga migliore, ma avevo deciso di evitarla.
Era diventato davvero difficile stare senza.
Dal vetro rotto spirava un vento freddo che si insinuava nella stanza. Respirai a fondo e cercai di ricacciare la rabbia dentro di me.
Non sentivo il dolore ovviamente, ma vidi che dalla mano perdevo sangue. Altri ricordi si affacciarono alla mente, ma non mi ci volli assolutamente soffermare nemmeno per un attimo. Diedi un calcio al bicchiere che avevo posato per terra accanto a me, avevo riempito tutto attorno di vetri rotti.
Andai nella credenza delle pozioni, bloccai il sangue con un panno, poi ci rovesciai sopra un medicamento adatto.
Tutto finì in pochi secondi.
Respirai di nuovo con calma, tentai di ritornare più tranquillo e piano piano ci riuscii abbastanza bene.
Ero comunque inquieto e nervoso, il rito mai terminato mi aveva messo di malumore, il laudano lo sentivo appena, tutti i problemi riscontrati negli ultimi momenti necessitavano di una soluzione urgente.
Fu in quel momento che bussarono alla porta della stanza e quando chiesi chi fosse mi rispose Rodolphus.
Proprio non avevo voglia di sentirlo, non in quel momento, ma feci uno sforzo.
“Va bene, entra, cerca di fare presto.”
Il ragazzo, entrando, si guardò subito attorno, focalizzò velocemente il vetro rotto e il bicchiere distrutto. Voltò il suo sguardo su di me che tenevo ancora il panno sulla ferita.
“Mio Signore, è successo qualcosa?”
Scossi la testa.
“Incidenti di percorso.”
Lui annuì lento e incerto.
“Devi parlarmi di qualcosa, Rodolphus?”
Lui tentennò per qualche istante. Poi si decise.
“No, mio Signore, ma sapevo che questa notte sareste rimasto lontano dal Quartier generale, quindi sono passato per vedere se era tutto a posto.”
Lo guardai con attenzione, sembrava strano e titubante.
“Solo dei cambiamenti di programma, nulla di importante.”
Lo vidi annuire, ma non si decise a congedarsi.
“Capisco, mio Signore, scusatemi se vi ho disturbato, allora. Ecco, volevo chiedervi se Bellatrix è impegnata in qualche lavoro per voi.”
Scossi la testa e lo guardai però attentamente. 
“Capisco, grazie, mio Signore.”
Stavolta fui io a trattenerlo.
“Hai forse perso tua moglie?”
Gli sorrisi. Lui invece non seppe cosa rispondere.
Abbassò il capo tristemente.
Mi fece proprio ridere.
“Avanti, stavo scherzando, Bella è rimasta con me per dei servigi nel pomeriggio, non era stabilito mi servisse oltre, sicuramente la ritroverai a casa, nel vostro castello.”
Lo guardai fissamente di nuovo, era ovvio che mi si leggesse nello sguardo che lei era mia, sempre e comunque. Volevo però capire se lui sapesse, o avesse intuito, fino a che punto me l’ero presa.
Appoggiai il panno che avevo tenuto sulla mano, ormai la ferita era a posto, quindi mi avvicinai a lui.
“O forse dubiti che ti sia fedele?”
Rimase spiazzato dalla domanda, non si aspettava nulla di tanto diretto.
“No, mio Signore, non dubito, pensate che invece dovrei?”
La sua risposta mi stupì, ma mi piacque, era passato al contrattacco, non si era arreso.
“Non penso nulla a riguardo, so solo che Bella è una Mangiamorte molto molto fedele.”
Lo guardai negli occhi. Capì subito che la fedeltà era rivolta a me non certo a lui, entrambi comunque facemmo cadere il discorso. 
Lo accompagnai fuori dalla stanza, avevo bisogno di riposare, di calmare i miei nervi.
Quando ero certo che avrebbe semplicemente salutato prima di andarsene, aggiunse una frase sibillina.
“Mio Signore, so bene che non vi limitate a conoscerla solo come fedele Mangiamorte. Voi siete il suo maestro, pochi la conoscono a fondo come voi.”
Ci guardammo a lungo, dopo la sua frase tacemmo entrambi. 
Per un attimo ebbi l’intenzione di dirgli che lei era mia ormai, che dunque ci mettesse una pietra sopra, ci pensai per qualche istante, ma non lo feci. 
Non valeva la pena.
Lo congedai velocemente e mi diressi verso la stanza da letto: avevo bisogno di calma, era stata una giornata molto pesante ai problemi di Rodolphus Lestrange avrei pensato in un altro momento.
Mi buttai a letto vestito, senza accendere candele, nel buio totale della stanza dove solo il camino era acceso e rischiarava l’oscurità.
Solo quello mi dava un po’ di calore.




Dal grimorio di Rodolphus: “Il morso del serpente”


Quelle giornate d’inverno col loro freddo umido che penetrava le ossa e la luce del sole fioco che lentamente si perdeva nella nebbia della sera, mi colsero completamente impreparato. Infondo tutto quel freddo non veniva solamente da fuori, ma lo sentivo dentro di me, percepivo un ghiaccio e una solitudine profondi a cui non ero abituato.
Forse era solo la mia idea, ma sentivo che Bella mi aveva completamente abbandonato.
Se già da molto era lontana e distratta, negli ultimi tempi notai proprio un distacco totale, una freddezza nei miei confronti che confinava con l’astio. Non avevo compreso i motivi di questo atteggiamento, infondo vivevamo insieme come prima, mi parlava e mi ascoltava. Eppure notavo in lei qualcosa di diverso.
Avevo imputato i cambiamenti al suo impegno ancora più profondo nelle arti oscure, forse i suoi apprendimenti stavano evolvendo e la stavano cambiando, lo potevo notare anche da altri piccoli segni: un pallore crescente e marcato accompagnato da un perenne affaticamento, gli occhi più scavati e più scuri e inquietanti, inoltre le mani apparivano più rovinate e segnate, forse dalla continua energia che vi fluiva.

Poi però mi era bastato rimanere solo con il Signore Oscuro, parlargli un momento di lei, guardarlo in viso e negli occhi e avevo capito tutto, non mi restavano dubbi: erano amanti loro due e io l’avevo davvero persa.
Non era più la mia Bella, la mia Bella quando ancora era mia.
Aveva persino tagliato i suoi splendidi capelli neri come la notte, che ora ricadevano lisci fino a le spalle, senza fronzoli.
Non riuscivo a provare vera e propria rabbia per questa sua specie di voltafaccia, ma ne soffrivo enormemente, quasi senza accorgermene, o senza volerlo ammettere.

Non riuscivo nemmeno ad accettare la cosa, non la volevo affrontare.
Però qualcosa dovevo capire anche da lei, fosse anche solo se avevo speranze che un giorno sarebbe tornato tutto come prima.
Avevo imparato ad essere meno irruente e a muovermi con più tattica, così feci lo stesso anche con Bella: la osservai per un po’ alle prese con un paiolo dove provava a mescolare certe sostanze e sminuzzarne altre, erano le prime ore di un solitario pomeriggio nel nostro castello e regnava il silenzio quasi totale, lei sembrava tranquilla.
Mi avvicinai alle sue spalle, sfiorandole i fianchi per farle sentire la mia presenza, lei veloce come il vento mi sgusciò via dalle dita e, voltandosi mi puntò la bacchetta addosso.
Ci guardammo increduli entrambi.
“Rod, ma sei tu? Perché ti avvicini a quel modo? Mi hai spaventata.”
Ripose la bacchetta, io cercai di non reagire, ma quel gesto mi aveva infastidito. Erano davvero così lontani i tempi in cui si abbandonava a me che la cingevo alle spalle, così sicura e innamorata da riconoscermi anche senza vedermi?
“Ti ho sempre abbracciata a quel modo! Perché mai non dovrei più?”
Scosse la testa e tornò a osservare il contenuto del paiolo, come se quella brodaglia avesse più importanza di me.
“Senti, Bella, cosa ti prende che hai iniziato a trattarmi peggio di un estraneo? Sei cambiata, non capisco cosa sia successo che ti comporti così con me!”
La mia domanda diretta l’aveva messa lievemente a disagio, me ne accorsi perché non rispose d’istinto come suo solito, ma rimase zitta qualche istante.
Aveva di nuovo quella manica del braccio sinistro tirata su, come se dovesse sempre vedere il Marchio Nero sotto i suoi occhi: quando non c’ era il Signore Oscuro vicino, allora aveva il suo marchio davanti.
“È da quando ti ha fatto quello che sei diventata così con me.”
Nel parlare indicai col viso il tatuaggio nero. Sul suo braccio sembrava ancora più grande e vivo.
Non feci in tempo a finire la frase che lo guardò con un amore incredibile nello sguardo e lo sfiorò delicatamente con le dita.
Quel gesto mi fece salire tutta la rabbia che non sentivo prima, ma che evidentemente era lì, nascosta dentro di me.
“Adesso cos’ è? Non mi ami più perché c’è lui?”
“Basta con questa storia! Sono stanca di sentire sempre scene di gelosia!”
Bella mi interruppe con veemenza, ma a mia volta, stranito anche dalla storia delle scenate di gelosia che sia andava a sommare con tutta quella situazione che non sopportavo più, la interruppi anch’io di nuovo.
“Cosa vuol dire che sei stanca di scenate? Chi te le fa le scenate? Io ti amo, noi ci amiamo, noi siamo la coppia, non altri! Tu sei mia moglie!”
Avevo usato il solito modo di comportarmi del ragazzino insicuro che ero stato e che evidentemente ero ancora, lei però non era più la ragazza innamorata che si faceva impressionare e mi abbracciava finendo per fare pace tra le lacrime. Era molto diversa ormai.
“Io sono io e basta,  non importa se sono tua moglie. Sono stanca di scenate perché mi state addosso, tu e tuo fratello con la vostra gelosia immotivata e inutile. Lo sai bene anche tu che Rabastan è come te, sembrate due bambini dietro allo stesso giocattolo, mi avete stancata.”
Rimasi letteralmente ammutolito, ero sicuro che lei mi stesse mettendo sullo stesso piano di Rab, mio fratello innamorato e non ricambiato. Io, come Rab, la amavo, ma lei no. Ero certo che mi avrebbe detto da un momento all’altro che amava il Signore Oscuro.

Non avrei saputo come reagire, ma mi preparavo al colpo finale
E invece no, ancora una volta mi lasciò totalmente spiazzato.
“Sai che ti amo e quanto abbiamo condiviso insieme, Rod…”
In quel momento la sua voce si fece più dolce e quasi sensuale. Io la guardavo senza più capire nulla, ero completamente dilaniato dalla rabbia, perché sentivo che mi stava mentendo e raggirando e dall’amore. Che sentivo per lei, perché la mia condanna era essermi innamorato davvero tanto di Bella.
“Lo sai quanto siamo perfetti insieme, la nostra intesa è totale e anche il nostro amore; è sempre stato così Rod.”
La guardavo negli occhi e cercavo la verità di quelle parole, perché volevo crederci, volevo davvero crederci eppure non ci riuscivo, in quegli occhi vedevo solo il suo mistero, il suo inganno e i suoi mille segreti.
Mi avvicinai per avvinghiarla e baciarla, sulla bocca, sul collo, ovunque e con bramosia, volevo vedere ancora la sua pelle e le sue labbra arrossate dalla mia barba e dalla mia passione.
Bella lasciò fare a lungo prima di trascinarmi per terra e lì fare l’amore. 
Fu tutto così improvviso e veloce, quasi come il morso di un serpente.
Mi piacque molto, ma allo stesso tempo non mi tranquillizzò affatto, sembrava l’avesse fatto per farmi stare calmo, per non litigare e avere problemi. Mi lasciò spossato dall’estasi dell’orgasmo, non rimase nemmeno un attimo accanto a me. Sistemò i suoi vestiti e si allontanò velocemente, lasciando lì incantesimi, pozioni e tutto il resto. Restai solo e con l’amaro in bocca, quasi come se il veleno di un serpente si fosse infilato dentro di me e stesse infettando tutto lentamente, ma inesorabilmente.
Si era invischiato nel mio corpo per non lasciarlo mai più.

 
 
   
 
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