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Autore: _Joanna_    17/12/2018    0 recensioni
Fanfiction ispirata alla celebre serie TV (nonché romanzo) The Man in the High Castle.
Londra, 1998.
In un mondo dove il Signore Oscuro non ha mai udito la Profezia e non ha dunque mai ucciso i genitori di Harry Potter, finendo con il perdere tutti i propri poteri, si intrecciano le storie dei nostri amati protagonisti.
Lord Voldemort ha trionfato e ora governa con pugno di ferro su tutta l'Inghilterra, esercitando la sua prepotente influenza anche sul resto del mondo.
Ma un uomo, l'Uomo nell'Alto Castello, sta facendo circolare strani giornali e fotografie animate, che raccontano di un mondo diverso, più felice ed equo, dove Voldemort è stato annientato e il suo regime abbattuto.
Riusciranno i nostri eroi a rendere quel sogno impossibile una realtà?
E chi si ergerà a paladino della Resistenza, in questo mondo, dove non esiste alcun Ragazzo Sopravvissuto?
In definitiva, quello era decisamente un mondo cupo e triste in cui vivere, dove la speranza di un futuro diverso e migliore stava cedendo rapidamente il passo a una tetra e desolata rassegnazione.
Neville ancora non poteva saperlo, ma la scintilla della rinascita era già stata appiccata
.
Genere: Drammatico, Guerra, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Potter, Il Secondo Trio (Neville, Ginny, Luna), Il trio protagonista, Severus Piton | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Altro contesto
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2.2
Capitolo I

A New Hope






L'aria della sera era fredda e pungente, ma almeno aveva smesso di piovere.
In uno dei molti vicoli del quartiere di Camden Town, una figura minuta e solitaria si aggirava tra le poche bancarelle ancora aperte. Una volta, quello era stato uno dei mercati cittadini più grandi e famosi del Paese, ma, con il passare degli anni, quello si era ridotto a qualche sparuto banchetto; dopotutto, le merci ancora consentite erano poche e le licenze concesse erano ancora meno.
Hermione Granger non avrebbe desiderato di meglio che uno bel camino scoppiettante, una tazza di cioccolata fumante e una pila di pratiche del lavoro aperta sulle ginocchia.
Ma aveva promesso a Ginny che sarebbe passata a trovarla e così, avvolta nel suo pesante cappotto scuro, si affrettò a percorre l'ultimo tratto di strada; sperava di potersi limitare a un saluto veloce, così da avere il tempo di tornare a casa e lavorare per un'oretta, prima dell'arrivo di Ron.
Superò un chioschetto di alimentari, posto all'angolo tra la Inverness Street e la Alington Road; imboccò quest'ultima, camminando a passo spedito, fino a raggiungere il piccolo arco che segnalava l'ingresso della Early Mews, null'altro che uno stretto vicolo cieco strangolato dagli alti palazzi dai mattoni rossi.
Ginny viveva in uno di quei miseri appartamenti, anche se la ragazza era riuscita a rendere quel tetro ambiente decisamente accogliente.
Salì i pochi gradini che conducevano al portone di ingresso; quello avrebbe dovuto essere chiuso, ma la vecchia serratura era stata forzata anni prima e non era mai stata sostituita.
Hermione spinse piano uno dei battenti, che cigolò sommessamente sui cardini.
L'atrio del palazzo era buio e cupo, illuminato solo da un piccolo lampadario a petrolio appeso al soffitto, che gettava tutt'intorno un debole e fumoso alone giallastro.
Salì le scale, anch'esse invase dalle ombre e raggiunse il secondo piano. Lo stretto pianerottolo era, come il vestibolo d'ingresso, tetro e scuro; ai due capi del corridoio, c'erano due lanterne a gas, ma quella in fondo si era esaurita da un pezzo; le pareti erano coperte da un'elegante tappezzeria color amaranto, ora scollata in più punti, intervallata da sei pesanti porte di legno, tre per lato.
L'appartamento di Ginny era l'ultimo sulla sinistra.
Hermione raggiunse la porta e bussò.
Dall'altra parte, si udirono dei suoni strascicati, quindi un tonfo; allarmata, Hermione sollevò il braccio per bussare di nuovo, mentre la mano destra si stringeva meccanicamente intorno all'impugnatura della bacchetta.
In quel momento, la serratura scattò e l'uscio venne aperto di qualche centimetro.
La massa di capelli rosso fuoco della sua amica fece capolino nella stretta fessura; l'interno dell'appartamento, notò subito Hermione, era stranamente buio.
«Oh, Herm, sei tu» sospirò Ginny, sollevata, nascondendo in fretta la bacchetta nella tasca della giacca.
Tuttavia, la porta non venne scostata di un altro millimetro.
Hermione poteva vedere solo una metà del volto dell'amica, che pareva tesa, quasi terrorizzata, e questo, unito alle circostanze decisamente insolite, era abbastanza per intuire che c'era qualcosa che non andava.
«Posso entrare?» chiese alla fine Hermione.
«Ehm» cominciò Ginny, incerta «Non credo sia il momento migliore».
«Ma-» fece per replicare Hermione, ma l'amica la interruppe «Scusa, avrei dovuto avvisarti, ma avevo dimenticato che saresti passata» disse «Ho un po' da fare, ci vediamo domani, ok?» aggiunse, quasi chiudendole la porta in faccia.
Hermione la bloccò con il palmo della mano; ora cominciava ad essere turbata anche lei. «Che succede, Ginny?»
«N-nulla» rispose l'altra, incerta «Ho solo delle cose da fare».
Hermione avrebbe voluto insistere, ma l'amica riprese «Davvero, Herm, mi spiace» disse, questa volta con un sorriso «Ma ho proprio da fare, facciamo un'altra volta».
Hermione annuì e Ginny, con un ultimo sorriso, la salutò, chiudendo di nuovo la porta, facendo poi scattare almeno due serrature diverse.
Ancora perplessa, ma senza avere ulteriori elementi per capire quello che stava accadendo, Hermione si risolse a tornare sui propri passi; sicuramente doveva esserci una spiegazione per lo strano comportamento di Ginny, e Hermione sperò che l'amica non si fosse cacciata in qualche guaio.
Stava scendendo gli ultimi gradini, quando vide due uomini fare il loro ingresso nell'atrio del palazzo; erano avvolti in pesanti cappotti scuri e portavano entrambi un grosso cappello floscio, tipico delle bande di Ghermidori, che da anni infestavano le città inglesi.
Quelli, a capo chino, le passarono accanto, apprestandosi poi a salire le scale.
Hermione avanzò fino al portone, quindi si fermò e, sospettosa, tese l'orecchio; sentì i due uomini salire una rampa di scale, poi una seconda; quindi si fermarono, borbottarono qualcosa tra loro, e ripresero a camminare.
Hermione, tesa, ma determinata, salì silenziosamente le scale, fino al secondo piano; si accucciò poi tra i gradini, scrutando i due sconosciuti attraverso la ringhiera del corrimano.
La penombra, in quella parte del corridoio, era fitta, ma Hermione intuì ugualmente che i due Ghermidori si erano fermati proprio davanti alla porta di Ginny.
Non bussarono; con un movimento secco e preciso, uno dei due lanciò un incantesimo, quindi l'altro afferrò la maniglia e spinse.
Dall'interno, un raggio rosso e intenso sfrecciò verso i due uomini, che si fecero scudo e irruppero nell'appartamento.
Hermione, terrorizzata, agguantò la propria bacchetta, quindi spiccò una corsa in avanti.
I rumori della lotta furiosa non si fecero attendere; Hermione aveva quasi raggiunto l'ingresso, quando, con un ultimo tonfo, cadde il silenzio.
Hermione si fermò, angosciata, il braccio armato teso davanti a sé; un istante dopo, un'ombra varcò la soglia.
«Che ci fai ancora qui?» urlò Ginny.
Hermione sollevata, abbassò la bacchetta.
L'interno dell'appartamento era ancora silenzioso, ma Hermione non sapeva che cosa ne fosse stato dei due Ghermidori.
«C-Cosa… ?» fece infatti per chiedere, ma l'amica l'afferrò per un braccio, strattonandola lontano. «Andiamo» la esortò poi, impaziente, mettendosi a correre.
Hermione non ebbe altra scelta che seguirla.
Ginny la guidò giù per le scale, quindi attraversò l'atrio, dirigendosi però dalla pare opposta rispetto all'ingresso, fino a una piccola porta che si apriva sul retro dell'edificio; sbucarono in un piccolo cortile, sudicio e  invaso dall'immondizia.
«Che sta succedendo?» domandò Hermione, ora più irritata che spaventata.
Ginny non rispose; si guardò intorno, circospetta, quindi attraversò lo spiazzo, fermandosi all'inizio di uno stretto e corto tunnel.
All'estremità opposta, quello era chiuso da un piccolo cancello, tutto arrugginito, affacciato direttamente sulla Arlington Road.
«Vieni» la incalzò Ginny, imboccando l'angusto passaggio.
Hermione la seguì, confusa.
Dopo qualche passo, la ragazza si fermò di nuovo, a pochi centimetri dall'inferriata, quindi si voltò verso di lei.
Le luci dei lampioni della strada illuminavano il suo viso: non sembrava più spaventata come prima, al contrario, ora Ginny esibiva un'espressione risoluta e il suo sguardo era limpido e determinato.
«Herm» bisbigliò piano, ma questa volta fu Hermione ad interromperla «Si può sapere che cosa succede? Chi erano quegli uomini, e perché ti hanno attaccata?»
«Mangiamorte» rispose Ginny, sbrigativa, ignorando lo sguardo sconvolto dell'amica «Volevano questo» aggiunse poi, estraendo dalla tasca della giacca quello che a Hermione parve essere un giornale arrotolato.
Quindi lo tese in avanti; Hermione la fissò confusa.
«Prendilo tu» la incalzò Ginny.
«Che cos'è?» fu tutto quello che riuscì a dire Hermione. Stava cominciando a capire, anche se aveva il disperato bisogno di sentirsi dall'amica che non si era davvero cacciata in quel guaio enorme.
«Una speranza» rispose Ginny, sorridendo «Una via di uscita» aggiunse.
Benché ancora perplessa, Hermione prese il giornale e lo infilò in tasca.
In quel momento, si udirono delle voci concitate e il rumore di passi in avvicinamento; i Mangiamorte si erano ripresi.
«Vai!» gridò Ginny, tirando il cancello e spingendo letteralmente Hermione all'esterno.
I due Mangiamorte spalancarono la piccola porta e si riversarono nel cortile «Eccola!» ringhiò uno dei due.
Hermione fece per tornare indietro, ma Ginny aveva già richiuso il cancello, agitando la bacchetta per sigillarlo.
«Gin-?!»
«Vai!» mormorò di nuovo l'amica, quindi si voltò per fronteggiare i suoi aggressori.
Hermione si slanciò di lato, quindi si accucciò a terra, spalle al muro, incapace sia di allontanarsi che di guardare quello che stava accadendo nel tunnel.
Udì gli schianti degli incantesimi che si infrangevano sulle pareti del passaggio, riecheggiando orrendamente, mentre le voci dei due Mangiamorte si facevano sempre più vicine.
Poi accadde.
Hermione si sporse in avanti, credendo assurdamente di poter aiutare la sua migliore amica, ed assistette così alla più tremenda delle visioni.
All'imbocco del tunnel, uno dei due uomini era caduto a terra e si divincolava furiosamente, costretto nelle pesanti funi che lo stavano stritolando.
L'altro Mangiamorte superò con un balzo il compagno, senza curarsi di aiutarlo, quindi, schivato un incantesimo lanciato da Ginny, ruggì «Avada Kedavra!»
Il letale lampo verde saettò nell'aria, generando un prodigioso riflesso smeraldino, luminoso come il sole.
Ginny venne colpita in pieno.
La forza dell'incantesimo la scagliò con violenza contro il cancello, che tremò furiosamente, quindi Ginny ricadde, esanime, sul sudicio pavimento di mattoni.
Hermione si ritrasse di scatto, la mano premuta contro la bocca per soffocare un grido di disperazione e orrore.
Il Mangiamorte, ora libero dall'incantesimo, si rialzò con un grugnito e si avvicinò al compagno.
Senza dire una parola, i due assassini cominciarono a frugare nelle tasche del cappotto della loro vittima.
«Niente» disse poi uno dei due; la sua voce era dura e aspra, il tono contrariato che non tradiva alcuna compassione.
«Feccia ribelle» commentò l'altro, sputando poi a terra.
«Credi che ci fosse qualcun altro?» chiese il primo.
Il compagno si limitò a grugnire di nuovo, quindi afferrò una delle sbarre del cancello e prese a scuoterlo con forza. «È chiuso» sentenziò alla fine.
«Deve averlo dato a quella ragazza che abbiamo visto nell'atrio».
«La troveremo» asserì l'altro, prima di lanciare l'incantesimo Levicorpus.
Il corpo di Ginny, ormai privo di vita, venne sollevato da terra, quindi i due uomini si allontanarono.
Hermione rimase immobile, anche dopo che i passi dei Mangiamorte si erano spenti in quel silenzio spettrale.
Aveva ricominciato a piovere, intanto, e le gocce ora cadevano spesse e pesanti, come se il cielo volesse piangere al suo posto.
Lentamente, Hermione si alzò e prese a camminare lungo il marciapiede deserto.

*

Hermione non avrebbe saputo spiegare come era tornata a casa.
Ricordava il tunnel, Ginny, le urla dei Mangiamorte che si avvicinavano e, in un attimo concitato, tutto finiva e lei si ritrovava seduta sulla sua morbida poltrona, un po' sfondata, davanti al camino freddo di casa.
Nel mezzo, però, si era consumata una tragedia.
Ginny, la sua migliore amica, praticamente una sorella per lei, era stata uccisa da quei mostri.
Hermione chiuse gli occhi e le immagini tremende di quello che era accaduto le riaffiorarono alla mente.
Scosse la testa, come per tentare di scacciare quella visione orrenda: il lampo verde, il boato fragoroso, le voci sprezzanti e bestiali dei due Mangiamorte.
Poi ricordò il motivo per cui Ginny era morta, la ragione che l'aveva spinta a sacrificarsi.
Infilò la mano nella tasca del cappotto ed estrasse il giornale, ancora strettamente arrotolato, che la sua amica le aveva consegnato.
“Una speranza” le aveva spiegato, affidandole quel leggero rotolo di carta.
“Una via di uscita”.
Ma da cosa?
E come?
Come poteva un omicidio essere una speranza?
Con dita tremanti, sciolse il noto del sottile spago che teneva chiuso il giornale, quindi
lo srotolò, spianandone gli angoli.
La prima cosa che la colpì fu il nome della testata, che campeggiava, grande e netto, in cima alla prima pagina: la Gazzetta del Profeta.
Non era troppo insolito, rifletté dopo; quello era stato per anni il nome del celebre quotidiano dei maghi, prima che fosse ribattezzato nel Corriere dell'Ibis.
Hermione non ne aveva mai visto uno e non poteva non provare una certa emozione nel stringere adesso tra le mani quel vecchio numero della Gazzetta.
Passò quindi a leggere il primo titolo e immediatamente comprese che c'era qualcosa che non quadrava.
“LA FINE DI COLUI CHE NON DEVE ESSERE NOMINATO”, così gridavano i primi, eleganti caratteri neri.
Metà della pagina era occupata dalla fotografia di un ragazzo, con una gran massa di capelli scuri e ribelli; malgrado il volto sporco e ferito, esibiva un sorriso calmo, sereno, e i suoi occhi, cerchiati da un paio di occhiali rotondi, erano luminosi e vitali.
Appena sopra la foto, in piccolo, il sommario recitava: “Harry Potter sconfigge ancora una volta l'Oscuro Signore”.
Hermione strizzò gli occhi, quindi rilesse il testo ancora e ancora.
Doveva esserci un errore, il Signore Oscuro non era mai stato sconfitto.
Guardò la data e il suo già grande stupore si tramutò in assoluta incredulità: il giornale era del 3 maggio 1998.
Hermione era piuttosto sicura che nulla del genere fosse accaduto appena cinque mesi prima.
Probabilmente, pensò poi, doveva trattarsi di un giornale finto, redatto da qualche ribelle, anche se proprio non riusciva ad intuire il senso di una propaganda costruita in quel modo.
Le parole di Ginny continuavano a risuonarle in testa.
“Una speranza”.
Che genere di speranza poteva fornire un giornale palesemente falso, che esibiva notizie evidentemente impossibili?
Ginny era davvero morta per una pagliacciata del genere?
Hermione si rifiutava di crederlo, ma era altresì impossibilitata a negare l'evidenza: il Signore Oscuro regnava, forte e incontrastato, da ormai quindici anni.
Cominciò a sfogliare il giornale.
Ogni articolo era dedicato alla caduta dell'Oscuro Signore: “La fine del Terrore”; “Esercito di Voldemort sconfitto”; “Il Ragazzo che è Sopravvissuto trionfa”.
E poi: “I Caduti della Battaglia di Hogwarts non saranno mai dimenticati”; “Shacklebolt nuovo Ministro?”; “Dirigenti del Ministero sotto inchiesta”.
Più leggeva e più Hermione si sentiva invadere da una sorta di euforia.
L'Oscuro Signore era morto, sconfitto per sempre, i Mangiamorte e i loro alleati erano stati arrestati, la Resistenza aveva trionfato e aveva ripreso il controllo del Ministero e di Hogwarts, ogni singola frase esprimeva quello che era il sogno dei tanti oppressi dal regime di Voldemort.
Ma era tutta una menzogna, bellissima e crudele allo stesso tempo.
Hermione richiuse il giornale, quindi afferrò la sua bacchetta.
Doveva distruggerlo, si disse.
Quella sarebbe stata la cosa migliore per tutti.


* * *
  
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