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Autore: NicoRobs    24/12/2018    1 recensioni
"Il nome che mi hanno dato alla nascita è Nate River. Deriva dal fatto che sono stato concepito l'8 novembre 1997 sotto un albero di ciliegio, in riva ad un fiume.
Ad oggi, sono il detective più bravo al mondo, e non esiste caso che io non abbia risolto. Eppure, c'è sempre stato un mistero che non ho mai avuto interesse di svelare: quello della storia della mia famiglia, delle mie origini. A nessuno studente della Wammy's House di solito interessa. Eppure, tempo fa un pensiero semplicissimo e spaventoso mi ha scosso: per rimanere vivi ci vuole molto coraggio. E la storia della mia famiglia è segnata dal coraggio; per questo la reputo degna di essere scoperta.
Questa è la storia di Angelica, Eraldo, Martha e Thomas. Di Anne e Phil. Di Will e Freda. Di Quillish. Di Roger. Di Bjarne. Di K. E di L."
"Siamo un sistema di stelle e pianeti impazziti che girano vorticosamente a velocità spropositate attraverso un universo infinito e sconosciuto. E l'unica certezza alla quale possiamo ancorarci è la presenza gli uni degli altri. Basta alzare gli occhi al cielo per ritrovarci e capire che, in fondo, non ci siamo persi davvero."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Near, Nuovo personaggio, Watari
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'About November 8th'
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24 dicembre 1983
Christmas Story – Parte I

     Quell'anno i genitori di Bjarne avevano voluto che arrivasse al paesino sperduto a trenta chilometri da Prineville, in Oregon, dove vivevano i suoi nonni materni, con qualche giorno d'anticipo. Lui, d'altro canto, ne avrebbe volentieri fatto a meno. Certo, erano sempre stati gentili con lui, questo non poteva negarlo, ma sentiva che c'era qualcosa di strano nel loro sguardo, a volte, una sorta di distacco, di estraneità che sentiva ferirlo nel profondo.
Capitava specialmente nei momenti in cui tutta la famiglia Jordan si riuniva per le grandi occasioni e la nonna andava a rispolverare i vecchi album fotografici. Oh, Jacob, quanto somigli allo zio Arnold! E tu, Lisa, sei identica alla tua bisnonna da giovane! Eppure, non c'era alcuna foto di alcun parente in cui poter riconoscere alcuni dei tratti del volto di Bjarne, ed era in quei frangenti che gli sguardi dei suoi parenti si facevano sfuggenti, calava un imbarazzante silenzio e la nonna richiudeva velocemente l'album lamentando il fatto che la polvere peggiorasse la sua asma.
A Bjarne non importava di essere stato adottato. Ma odiava quando per gli altri questo si rivelava essere un argomento tabù. Come se ci fosse qualcosa di sbagliato; o di vergognoso.
     Però il ragazzino era abbastanza ottimista; ai nonni serviva solo altro tempo. Era già stato un duro colpo il primo divorzio della mamma dal reverendo Bryce, che aveva gettato la famiglia nell'infamia agli occhi dei benpensanti della loro parrocchia; una donna sterile non era una vera donna, non potendo assolvere al suo unico compito: sfornare figli.
Ci avevano messo non poco a superare la paura di farsi vedere in pubblico, avendo ereditato da generazioni e generazioni passate il terrore del giudizio altrui. E certo, l'arretratezza mentale degli altri membri della sua famiglia materna non aiutava.
-Barney!- lo chiamò con voce abbastanza seccata una prozia da parte della famiglia della nonna, che però era anche una lontana cugina dalla parte della famiglia del nonno. Il ragazzino avrebbe volentieri finto di non aver capito che si stava rivolgendo a lui, come faceva di solito, ma pensò fosse meglio evitare di alimentare la tensione che era già palpabile da ore in quella grande casa di periferia.
-Sì, zia Becca?- rispose, alzando il mento dal davanzale della finestra dal quale stava osservando i giochi di luci delle decorazioni della casa di fronte.
-Sono arrivati i tuoi parenti, valli ad aiutare a scaricare.- disse la donna alzando la voce, per sovrastare il trambusto dei propri figli che correvano per la casa giocando con animaletti fatti di pan di zenzero.
Bjarne corse alla porta, la aprì e le sue guance rosee furono investite da una folata di vento gelido.
-Ciao zia Beth! C'è anche lo zio Javier?-
La sorella di sua madre si tirò la sciarpa fin sopra al naso, ma Bjarne poteva vedere che gli stava sorridendo dal luccichio negli occhi castani. Lasciò aperta la porta per andare a prendere il cesto di Natale che stava reggendo con una mano già rossa e un po' squamata dal freddo, mentre, poco più in là, un ragazzino pagava il tassista e controllava il proprio borsone.
-Ciao tesoro!- esclamò la zia, allungando istintivamente una mano verso i capelli biondo platino del nipote, fermandosi a metà del gesto, esitante.
-Fai pure, non mi dà fastidio.- le sorrise Bjarne, prendendo il cesto e allungando il collo per darle un bacio sulla guancia.
-Ciao Chris!- urlò poi al ragazzino imbacuccato fino alle orecchie che stava risalendo il vialetto. -Quest'anno festeggerai un autentico Bianco Natale. Non sei contento?-
Sentì Chris ridere da sotto lo sciarpone di lana che gli copriva praticamente tutta la faccia, lasciando scoperti solo gli occhi smeraldini.
-Javier non c'è.- rispose infine la zia Beth, allungando il passo verso la porta aperta. -Sai, l'ha chiamato ieri sera un tizio dicendo che aveva provato a prenotare la cena di Natale in qualche ristorante, ma era tutto prenotato. Il ventitré dicembre, ti rendi conto? E quindi voleva fare la cena a casa sua, ma ovviamente...-
-La casa aveva bisogno di un'imbiancata.- concluse Bjarne, con una mezza smorfia.
     Entrarono tutti in casa e si chiusero la porta alle spalle.
-Nemmeno io mi fermerò a lungo, comunque.- aggiunse la zia, cominciando a togliersi l'elegante sciarpa di lana e il lungo cappotto nero, rivelando una figura slanciata e abiti di tale buon gusto che avrebbe fatto morire d'invidia la zia Becca, non appena si fosse affacciata dalla cucina per mugugnare un saluto.
-Domani sera ho un volo trans-continentale.- aggiunse, sospirando, mentre percorreva a passo leggero il parquet dell'ingresso senza fare rumore coi lucidi stivaletti neri. -Mi auguro che sia completamente vuoto, o che i passeggeri siano troppo depressi per il fatto di dover viaggiare la sera di Natale per chiamare gli assistenti di volo ogni cinque minuti.-
-Dove sono i nonni?- domandò allora Chris, emergendo dai suoi vestiti pesanti. -Ah, e a proposito di questo; il prossimo anno voglio di nuovo festeggiare il Natale dagli altri nonni in Costa Rica. Ne ho abbastanza di freddo gelido e parenti acidi e razzisti.-
-C'è posto anche per me?- ridacchiò Bjarne, raccogliendo le giacche.
     A Bjarne Chris stava simpatico, anche se non lo vedeva molto spesso. La zia Beth era hostess, per cui molto spesso lavorava durante le feste. Chris spesso ne approfittava per farsi qualche breve viaggio in qualche città con sua sorella maggiore Rosario coi biglietti procurati dalla mamma. Era molto sveglio, Chris. Bjarne lo condusse nella grande mansarda che era stata allestita con materassi in ogni angolo per i nipoti, e gli indicò il suo posto letto.
Il ragazzino appoggiò il proprio borsone ai piedi del materasso e si stiracchiò.
-Credo ora dovremmo scendere.- gli disse Bjarne, guardandolo con espressione compassionevole.
-Dobbiamo proprio?- sbuffò Chris, ma si voltò e si diresse comunque verso la scala a pioli.
La cucina era un disastro totale, la zia Becca e altre due vecchiette, il cui grado di parentela non era mai stato meglio identificato, si affollavano attorno al tavolo su cui faceva bella mostra un tripudio di piatti a base di carne e di patate, luccicanti sotto il grasso che li ricopriva.
-Zie?- provò ad attirare la loro attenzione Bjarne. -Zie... ci sono la zia Beth e Chris... possiamo aiutarvi?-
Il continuo sbraitare delle donne si smorzò per un attimo. Una delle due cariatidi, anche lei chiamata Anne, come sue madre, lanciò un'occhiata storta ai due ragazzini e disse, seccata: -Non ci serve l'aiuto di due ragazzini. Se volete rendervi utili, andate a chiamare Elizabeth e ditele di venire a dare una mano in cucina. Oppure è troppo donna di mondo ormai per sporcarsi le mani?-
Bjarne sentì il cugino fremere alle sue spalle, così si voltò di scatto, lo afferrò per un braccio e lo trascinò via, dicendo: -Certo, zia Anne, vado subito.-
Appena fuori dalla portata delle orecchie radar delle zie, Chris si scrollò il cugino di dosso.
-Non ti agitare.- gli disse Bjarne. -Sei arrivato da cinque minuti. Sai quante ne ho dovute sorbire io, da quando sono qui?-
-Vorrei tanto sapere come fai a sopportare questa gente. Non ti ricordi tre anni fa, quando uno dei pronipoti è venuto alla cena della vigilia per presentarci la moglie? Quand'è arrivato a presentare noi lei ha detto “Ah, ma quindi non siete ehm... di colore!”. L'ha detto con un tono che non mi è piaciuto per nulla, come se si sentisse sollevata.-
Stava stringendo i pugni. Bjarne si diresse verso la porta che dava sul retro della casa, mentre sussurrava: -Non credo prendersela serva a qualcosa. Molti di loro non lo fanno per cattiveria.-
Si sedettero entrambi sulla panca sulla veranda, e Bjarne prese la spessa coperta di lana perché potessero coprirsi.
-Molti di loro non sono nemmeno mai usciti dalla contea di Cook. Prineville per loro è il massimo centro di civiltà... sono di mentalità ristretta, sono bigotti, ma non ci vogliono realmente male.-
Chris rimase per un attimo in silenzio a pensare.
-Tranne la zia Becca e le prozie zitelle.-
Bjarne rise, e il suo respiro si trasformò immediatamente in condensa nella fredda aria di quel dicembre che prometteva neve.
-Tranne loro. Ma loro sono acide e maleducate con chiunque, quindi fossi in te non lo prenderei sul personale.-

     La cena cominciò alle sei. Il marito della zia Becca, Joshua, quello della ditta di legname, aveva fabbricato anni addietro una tavolata componibile a ferro di cavallo abbastanza grande da poter accogliere tutti i parenti (o, almeno, tutti gli adulti) nel salone grande della casa dei nonni. Bjarne e Chris speravano ogni Natale di essere diventati abbastanza grandi da essersi guadagnati il privilegio di sedere a quel tavolo, e quello fu finalmente l'anno buono: c'erano due segnaposto scritti con l'inconfondibile calligrafia curata ed elegante della nonna, di fianco alla zia Beth, che inutilmente si stava offrendo di aiutare le donne di famiglia a servire le portate.
Purtroppo, sedersi al tavolo degli adulti comportava anche una delle più crudeli delle torture mai inflitte all'uomo: le domande sulla tua vita e sul tuo futuro, e l'accesa competizione tra nipoti per dimostrarsi i più degni di lode della famiglia. Dopo venti minuti passati a sentir parlare del nuovo lavoro della cugina Mary e degli studi del cugino Simon all'università dell'Oregon, nel trambusto generale si udì la voce di Chris dire: -A me piacerebbe andare a Stanford.-
Tutti gli occhi si voltarono verso il ragazzino, che si stava servendo una seconda porzione di patate arrosto, con lo sguardo fisso sul piatto.
-Wow, Chris!- esclamò Bjarne, sorridendo. -Hai già le idee chiare?-
Anche la zia Beth sorrise.
-Già. Ha preso molto sul serio la cosa, si sta impegnando molto a scuola e ha già cominciato a fare molte attività extracurricolari.-
-Vorrei seguire le orme di mio padre.- riprese allora il ragazzino, rivolgendosi a Bjarne.
-Da quando bisogna andare a Stanford per diventare imbianchini?- borbottò la zia Becca, ripulendosi le labbra col tovagliolo bianco ricamato.
Bjarne notò come il cugino iniziava ad irrigidirsi, e come le pupille si stavano stringendo negli occhi verde smeraldo, e sarebbe stato pronto ad intervenire, ma il nonno fece cadere le posate nel proprio piatto in quell'esatto momento, provocando un fastidioso rumore che fece di nuovo voltare tutti.
-Il padre di Chris era avvocato, in Costa Rica.- disse come se nulla fosse, raccogliendo le posate senza degnare la parente impicciona di un ulteriore sguardo.
-Bravo, giovanotto.- fece poi, rivolto al nipote. -Il duro lavoro ripaga.-
Ma Chris era nervoso da ore, e quell'ultima uscita infelice non aveva fatto altro se non buttarlo ancora più giù. Si alzò dal tavolo con una scusa e corse via, sollevando un diffuso mormorio nell'intera sala. Bjarne lanciò un'occhiata alla nonna, che si guardava intorno con la sua solita espressione spersa e spaurita, ammutolita e dispiaciuta per come le cose erano precipitate. Di nuovo. Il nonno sospirò e tornò a fissare il proprio piatto, troppo stanco per rimettere ordine.
     Il ragazzino pose allora una mano sulla spalla della zia Beth, che ora si reggeva la testa mollemente con una mano, i gomiti appoggiati incuranti sul tavolo, e seguì il cugino.
Lo trovò che camminava svelto in mezzo alla strada, mentre ancora si infilava il giaccone e la sciarpa pesanti, respirando affannosamente e prendendo a calci qualunque cosa si trovasse di fronte. Bjarne lo raggiunse di corsa, e rimase lì, tenendo il suo passo, in silenzio, mentre Chris continuava a camminare veloce e senza meta. Arrivarono ai confini del paese, dove la strada si faceva più ripida e cominciava a salire verso le colline, prima che il ragazzino cacciasse un urlo carico di rabbia e frustrazione. Si buttò poi sul ciglio della strada, tenendosi la testa tra le mani.
Bjarne gli si sedette di fianco.
-Ti avevo detto di non prendertela sul personale.- disse, alitandosi sulle mani arrossate dal freddo.
-Sono sedici anni che mi tocca sopportare frecciatine o insulti perché sono latino.- ribatté Chris, alzando la testa e battendo le mani sulle ginocchia. -Quelli guardano dall'alto in basso mio padre perché è straniero. Lo chiamano “colombiano”, a casa, in California, ma qui è addirittura peggio. Per loro è messicano. Per loro lui non vale nulla, non può essere in grado di fare nulla, per loro è stupefacente che sappia parlare perfettamente inglese. Loro! Che sono dei bifolchi!-
-Sfondi una porta aperta.- disse Bjarne, volgendo lo sguardo verso il paese alle loro spalle. -Perché credi che mia madre non venga praticamente mai alle cene di famiglia così allargate? Qui in paese la trattano come un'appestata perché ha divorziato dal reverendo Bryce.-
Si rivolse di nuovo verso Chris.
-Tua madre è diventata hostess e ha deciso di viaggiare, ha conosciuto un uomo in un paese lontano e s'è sposata. Mia madre era sterile. Dobbiamo ritenerci fortunati che siano nate nel ventesimo secolo, o le avrebbero messe entrambe al rogo per stregoneria. Anche se, in quel caso, noi non saremmo qui, quindi non dovremmo subirci i parenti. Dici ci è andata male?-
Chris rise piano, e incrociò le gambe, rivolgendo finalmente lo sguardo al cielo terso illuminato dalle stelle.
-Sei troppo buono, Bjarne. Sei davvero figlio della zia Anne.-
Rimasero entrambi in silenzio a guardare il cielo, mentre un vento freddo soffiava dalle colline verso il paese.
-Scusami se sono intrattabile. Ma vedi... Rosario ormai non torna più a casa, credo presto si trasferirà definitivamente all'estero. Mia madre è sempre fuori per lavoro, e mio padre soffre. Lo vedo, ogni sera quando torna a casa. Vorrebbe che mia madre non dovesse lavorare anche nei giorni di festa, vorrebbe che facesse soltanto le tratte nazionali per permetterle di stare a casa più spesso. Vorrebbe avessimo più tempo per stare insieme... ma come si fa? Lo pagano una miseria, e lui è frustrato perché sa di poter fare molto di più.-
Sospirò.
-In questo periodo alla TV si vedono solo film natalizi e si sente solo parlare di buoni sentimenti, di desideri e miracoli di Natale. Sai cosa vorrei per Natale?- domandò poi, stringendosi la sciarpa attorno al collo. -Vorrei che mio padre potesse fare un lavoro che gli piace, che lo faccia sentire realizzato. A lui piaceva davvero fare l'avvocato; forse è anche per questo che ora voglio entrare a Stanford.-
-Lo zio Javier sarebbe felicissimo se ci riuscissi.- disse allora Bjarne. -Ma non credo vorrebbe che tu ti sentissi obbligato.-
-Tu hai un desiderio per Natale?- gli domandò il ragazzino.
Bjarne sollevò un angolo della bocca in un sorriso storto.
-Quand'ero piccolo e credevo ancora nella magia del Natale, speravo ogni anno di avere un fratellino o una sorellina.-
Si strinse nel giaccone, mentre un brivido gli percorreva la schiena.
-Avevo quattro anni quando i miei mi hanno detto che ero stato adottato. E me l'hanno detto perché continuavo a dire che volevo un fratellino o una sorellina. Mi hanno dovuto spiegare che non potevano avere figli, mi hanno dovuto spiegare vagamente da dove arrivano i bambini, e che per avere un fratellino avrebbero dovuto chiedere di prendere un bambino rimasto senza mamma e papà. È stato un Natale... particolare.-
Risero entrambi, mentre la luce che illuminava le loro teste si affievoliva, coperta da nubi grigie trasportate lì dal vento.
-In realtà, un po' continuo a sperarci. Ma so che è inutile.-
-I tuoi pensano di essere troppo vecchi?- domandò Chris.
-Non so se lo sai, ma a mia madre rifiutarono un'adozione normale perché la consideravano mentalmente instabile. Sai, perché dopo che scoprì di essere sterile e il reverendo Bryce la ripudiò e chiese il divorzio, lei tentò il suicidio. Poi conobbe mio padre, proprio una vigilia di Natale, lavorando alla mensa per i poveri, come ogni anno. Lui viveva a Portland, e quell'anno mia madre decise di andare lì a fare volontariato, per evitare gli sguardi penosi della gente che invece le avrebbero rivolto qui. Lavorarono insieme e poi rimasero tutta la notte a parlare. Cominciarono a frequentarsi, e lui le disse che non gli importava che fosse sterile, perché avrebbero potuto adottare bambini bisognosi. Quindi, quando le rifiutarono la possibilità di adottare perché non la consideravano idonea, fu un altro duro colpo.-
Si alzò in piedi, battendo un po' di denti, e si mise a saltellare sul posto per riscaldarsi.
-Infatti non raccontano molto spesso di come mi hanno adottato perché non è stata una cosa molto... legale, ecco. Andarono in Inghilterra per seguire una terapia alternativa per la fertilità, e incontrarono una ragazza incinta che voleva dare il bambino in adozione. Beh, anche mio padre ha studiato da avvocato, anche se fa il consulente legale per gli ospedali. Quindi, insomma... è così che mi hanno avuto. E questo è parte del motivo per cui chiedere un secondo bambino in adozione è sempre stato così difficile.-
     Anche Chris si alzò da terra e cominciò a muoversi per riscaldarsi. Poi gli fece cenno con la fronte, dal momento che teneva le mani in tasca e il suo viso era quasi interamente inghiottito dallo sciarpone, perché tornassero indietro.
-Tuo padre non è fatto per lavorare nella sanità privata.- disse ad un tratto, mentre allungava il passo verso le stradine illuminate dalle luci di Natale. -È troppo buono. Siete tutti troppo buoni. Sembrate finti.-
Bjarne rise.
-Dovrebbero mettersi in società, mio padre e il tuo.- disse. -Se avesse un suo studio ed esercitasse come avvocato, mio padre non verrebbe continuamente trasferito di ospedale in ospedale perché lo beccano a cercare di far passare gente che non ha l'assicurazione. E tuo padre potrebbe cominciare a mettere da parte qualche spicciolo per pagarti i debiti che ti farai ad andare a Stanford.-
L'aria sembrava più calda, e la notte meno buia, ora che stavano tornando sui loro passi.
-Mmm... Ascolta, Chris.- riprese ad un tratto Bjarne, fermandosi alla vista della chiesa del paese. -Il reverendo Bryce a quest'ora fa distribuire cioccolata calda. Andiamo a trovarlo?-
Il ragazzino fece spallucce, col viso di nuovo semi nascosto nella sciarpa di lana e con le mani ficcate per bene in tasca.
Si misero pertanto in coda fuori dall'edificio antistante la chiesa evangelica, sfidando apertamente con lo sguardo chiunque li fissava con una certa insistenza, certi che il motivo fosse la loro pelle leggermente più scura della media del posto. Quando fu il loro turno, fu Bjarne ad andare avanti, esibendo il suo miglior sorriso.
-Reverendo Bryce! Buon Natale!- esordì, allungando una mano per stringergliela, mentre una signora di fianco al pastore si stava avvicinando con un vassoio carico di bicchierini di plastica pieni di cioccolata calda.
L'uomo squadrò i due bambini con una rapida occhiata, intuendo immediatamente chi fossero (il paese era piccolo, le sorelle Jordan avevano fatto un certo scandalo, e un figlio latino e uno adottato e nero per un quarto non passavano certo inosservati), pertanto cercò di stamparsi in volto ancora una volta il sorriso di circostanza che stava ormai esibendo stancamente da tutto il giorno.
-Ah!- disse, ricambiando la stretta di mano. -Siete i nipoti dei Jordan, vero? Portate i miei saluti a casa!-
-Senz'altro!- esclamò Bjarne, controllando con la coda dell'occhio che Chris avesse preso i due bicchieri di cioccolata. -Ci tenevo a dirle, già che sono qui, che la ringrazio. Per la cioccolata, e perché, se non fosse stato per lei e per tutto quello che ha fatto... io ora non sarei qui.-
Si godette per un momento l'espressione raggelata del reverendo, che aveva aperto appena la bocca, con gli occhi strabuzzati, e il suo sorriso si allargò ancora di più.
-Ancora buon Natale!- concluse, salutando con una mano, e voltandosi per andare via.
     Non appena raggiunsero il cortile della chiesa, Chris scoppiò a ridere sonoramente, per la prima volta in tutta la giornata, tanto che Bjarne dovette togliergli i bicchierini di mano, per evitare che se li rovesciasse addosso.
-La sua faccia! Ah ah ah! Oddio!- continuava a ripetere, piegandosi in due, mentre i passanti li fissavano straniti.
-Sei un grande, Bjarne!- riuscì infine a dire, riprendendo fiato e afferrando la cioccolata che il cugino gli stava porgendo.
-Forse è vero che sono tanto buono da sembrare finto.- rise Bjarne, scaldandosi le mani col bicchierino. -Ma non credere che mi lascerei mettere i piedi in testa tanto facilmente. O che lascerei che qualcuno facesse del male alle persone a cui voglio bene.-
-Magari potresti diventare anche tu avvocato.- suggerì Chris, lasciando emergere il viso dai suoi vestiti pesanti per bere un sorso di cioccolata. -Andiamo a difendere i deboli tutti insieme. Io, te, tuo padre e mio padre. Una famiglia di emarginati. Sai che bella pubblicità? Faremmo soldi a palate!-
Risero entrambi, mentre dal cielo cominciavano a cadere grossi fiocchi di neve, e la campana suonava la mezzanotte.
-Buon Natale, Bjarne.-
-Buon Natale.-
-Spero che i nostri desideri si avverino, un giorno.-
-Lo spero anch'io.-
   
 
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