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Autore: ViolaClegane    29/12/2018    0 recensioni
Viktor, il guardiano della Torre dell'Orologio, veglia sulle lancette e sulla luna, mentre una ragazzina ostinata cerca di scappare di casa. In un mondo notturno e allusivo, strani fiori bianchi inducono il sonno e i sogni intrecciati dei personaggi svelano un inquietante mistero. Una favola notturna sul senso del perdersi e ritrovarsi, fra innocenza e disincanto.
Genere: Malinconico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Una sera me ne stavo seduto in cima alla Torre dell’orologio, affiancato dal grande disco giallastro della Luna che proiettava ombre lunghe un po’ sbilenche. Mi piaceva il suo tetto di pietra, da cui il paese intorno sembra piccolo come una miniatura.
 
- E tu che cosa ci fai lì? - chiese una vocina alle mie spalle, emergendo dalla botola.
 
Una ragazzina si sollevò a fatica dalla scala a pioli, issandosi sul tetto.
 
- Come è buio qui! –  esclamò guardandosi intorno.
 
- Da giù - spiegò lisciandosi l’abito stropicciato da cui sbucava un lembo della camicia da notte - sembra un posto così luminoso! Invece quando arrivi qui c’è solo oscurità. Che delusione!
 
Si avvicinò, frugando in un piccolo sacchetto da cui estrasse un biscotto, che mi offrì.
I pantaloni le arrivavano sopra le caviglie, che erano così magre che mi chiesi come potesse stare in piedi senza spezzarsi.
Il viso ovale mi scrutava attraverso occhi neri. Sarebbe diventata una bella ragazza, quando sarebbe stata più grande.
 
- Che cosa stavi facendo? – chiese con noncuranza.
 
- Niente …  guardavo la Luna. Ho inventato una poesia, la vuoi sentire?
 
Annuì.
 
Le recitai alcuni versi.
Mi guardò spazientita, scuotendo la testa.
 
- Credi che basti starsene appollaiati su una torre e ululare come un segugio per sfornare dei bei versi? Che ingenuo! E invece ci vuole ben altro!
 
Cosa? Non me lo seppe spiegare, ma di sicuro - di qualunque cosa si trattasse - io non la possedevo.
 
- Comunque sono contenta di avere trovato qualcuno qui. Sarà meno noioso, quando scapperò di casa – ridacchiò allegra, prima di addentare un biscotto.
 
- Questa però non è una vera fuga – continuò - solo una prova. Pensavo non ci fosse nessuno qui, invece …
 
- Invece ci sono io.
 
-Già - ammise sospirando delusa - ma poteva andare peggio. Voglio dire … sembri piuttosto innocuo. Non mi sarai di intralcio, se terrai la bocca chiusa.
 
Mi squadrò da cima a fondo, ridendo sprezzante. Estrasse un altro biscotto che afferrai con entrambe le mani e iniziai a sgranocchiare. Forse era questo che mi rendeva così poco temibile, la mia debolezza per lo zenzero.
 
- Voglio scappare di casa perché mio padre mi costringe a sposarmi – spiegò lei senza che gliel’avessi chiesto.
Ripresi a masticare il biscotto che avevo lasciato a metà, annuendo. Se l’avessi assecondata, forse ne avrei avuto un altro.
Lei si mosse per cambiare posizione, aggiustandosi gli abiti nei quali, per quanti sforzi facesse, la camicia da notte bianca, leggera, non voleva saperne di entrare. Si guardò intorno e si alzò passeggiando avanti e indietro, gettando a intermittenza lo sguardo verso le case buie.
 
- Tu te ne stai sempre qui da solo? Si vede che non conosci la società, non hai un briciolo di educazione, e non sei per niente di compagnia. Non mi hai nemmeno chiesto come mi chiamo e perché non mi voglio sposare. Non sei curioso?
 
No, non lo ero. Ma qualcosa nel suo tono di voce mi suggerì che avrei fatto meglio a farle quelle domande, se avessi voluto un altro biscotto.
 
- Sono sempre solo. Io non le conosco, le buone maniere. Cosa ci devo fare?
 
Lei scosse da testa contrariata.
- Va bene, te lo dirò lo stesso. Mi chiamo Martina.
 
La manina si avvicinò alla cintura con il sacchetto, che sistemò senza però dare l’impressione di volerne estrarre un altro dolce.
 
Martina, soppesai fra me. Non devo dimenticarlo o si arrabbierà di nuovo. Poi sembrò attraversarle la mente un’idea fulminea.
 
- Ma tu dove abiti? – chiese sospettosa.
 
- Io vivo qui, nella Torre. Sono il Guardiano.
 
Sembrò di nuovo delusa.
 
- Farai bene a non mettermi i bastoni fra le ruote o sarà peggio per te! – minacciò puntano il dito indice davanti ai miei occhi.
 
- E comunque sia, adesso è tardi. Devo rientrare prima che si accorgano che non sono in camera - disse senza accennare un passo in direzione della botola. Io continuavo a rimanere seduto sul gradino di pietra a osservarla. Pensai volesse un segno di incoraggiamento, così feci cenno di sì con il capo, sforzandomi di assumere un’aria abbattuta. E un po’ lo ero, per via della cintura dalla quale i biscotti non si allontanavano.
 
- E tu? Non dici niente. Io me ne vado e tu nulla? Certo che sei un bel tipo!
 
Ci risiamo. Che cosa ho sbagliato questa volta?  Si piazzò davanti a me, schiacciandomi con la sua enorme ombra e appoggiando con rabbia i pugni serrati sui fianchi.
 
- Sei impossibile! Per prima cosa un gentiluomo si offrirebbe di accompagnare a casa una fanciulla sola nel pieno della notte. Ma a te non passa neanche nel più remoto angolo del tuo piccolo cervello, vero? E poi non hai più chiesto perché non mi voglio sposare. È chiaro che te ne sei già dimenticato e non ti interessa. E soprattutto …
 
Tutto d’un fiato, povera piccola, senza pause né esitazioni. Doveva avere una rabbia molto lineare in testa.
La guardai dubbioso. Non mi veniva proprio in mente altro, che potessi avere sbagliato.
 
 - E soprattutto non mi hai nemmeno chiesto se ritornerò!
 
Non capivo perché avrei dovuto. Poi le guardai i pugni serrati, la cintura. I biscotti.
 
- Ritornerai?
 
- Non lo so. Forse sì forse no. E di sicuro non ritornerò per te.
 
Sospirai. Ecco perché passo il tempo da solo, soppesai scrutando la sua espressione imbronciata.
 
- E se proprio lo vuoi sapere, hai una pettinatura ridicola! - urlò precipitandosi verso la botola. Allora mi alzai di scatto, l’inseguii, riuscii ad afferrarle le spalle mentre i suoi piedini si immergevano trovando appoggio sui primi gradini scuri dentro la botola. Non l’afferrai con forza, ma appena le mie mani toccarono le sue spalle si fermò, come se le avessi fatto un incantesimo.
Occhi carbone mi fissavano con un’espressione che non riuscivo a decifrare e non conoscevo. Nessuno mi aveva mai guardato così e io non sapevo cosa volesse dire. Forse si sarebbe arrabbiata di nuovo, ma che male c’era a tentare?
 
 - Posso avere ancora un biscotto, prima che tu vada?

Si accigliò terribilmente e strinse gli occhi costringendo montagne di carbone dietro due fessure. Con le mani tremanti di rabbia slacciò il sacco contenente il prezioso bottino e lo scaraventò a terra.
 
Perché si era arrabbiata? Proprio non capivo. Se voleva tenersi i biscotti poteva farlo. Che fosse una di quelle incomprensibili regole che conosce solo la buona società?
 
Mentre mi chinavo a raccogliere la busta profumata di spezie lei e la sua rabbia infantile si erano già dissolte nel buio.
 
Ho la sua borsina, pensai. Tornerà.
   
 
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