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Autore: blackjessamine    02/01/2019    4 recensioni
Ufficio Misteri, 31 dicembre 1998: mentre l'anno della guerra e della pace vive i suo ultimi minuti, un gruppo di Indicibili scopre che una Soglia altro non è che un passaggio, e che dove si può andare avanti, si può tornare indietro.
Un grosso cane nero – apparentemente molto debole, ma innegabilmente vivo – viene estratto dalle macerie di un arco di pietra.
E mentre l'anno della morte e della rinascita volge al termine, i rimpianti si fanno leggeri, pronti ad essere spazzati via dalla speranza di una seconda possibilità.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Harry Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Capitolo 4
Thy hair is acold with dreams, love thou art frail


 

Cruelly, love
walk the autumn long;
the last flower in whose hair,
they lips are cold with songs

for which is
first to wither, to pass?
shallowness of sunlight
falls,and cruelly,
across the grass
Comes the
moon

love, walk the
autumn
love, for the last
flower in the hair withers;
thy hair is acold with
dreams,
love thou art frail

— walk the longness of autumn
smile dustily to the people,
for winter
who crookedly care.

E. E. Cummings







Harry masticava lentamente un boccone di pane dopo l'altro, senza nemmeno accorgersi della consistenza ciccosa di quel panino. Ormai era evidente: nel fine settimana i cuochi del San Mungo dovevano essere in ferie, perché i panini serviti nella sala da tè dell'ultimo piano erano a dir poco immangiabili.
"Harry, vuoi venire da noi, questa sera? Dovrebbero esserci anche Charlie e Percy, magari possiamo mandare un gufo a Ron e..."
"No, grazie, signora Weasley."
Harry deglutì faticosamente l'enorme boccone che aveva in bocca, bevve un abbondante sorso di succo di zucca tiepido, e si affrettò ad aggiungere:
"Davvero, mi piacerebbe, ma è meglio se torno direttamente a casa. Sono un po' indietro con lo studio, e non manca molto ai primi esami..."
Molly Weasley gli lanciò una lunga occhiata penetrante, ma Harry sostenne il suo sguardo senza battere ciglio: sapeva che la donna era preoccupata per lui, che, a suo dire, passava troppo tempo in ospedale, così come sapeva che Molly era convinta che lui e Ron, in quel piccolo appartamento vicino all'Accademia Auror, dovevano sopravvivere solo grazie a cene composte di Zuccotti di Zucca e Cioccorane. Ma Harry era davvero rimasto un po' indietro con lo studio, gli esami di metà semestre si stavano avvicinando con una velocità inquietante, e lui aveva bisogno di tranquillità per riuscire a concentrarsi su quel dannato manuale di fondamenti di diritto magico.
"D'accordo, come preferisci. Magari potresti andare a casa già ora, dormire un paio d'ore e poi concentrarti con calma. Sirius capirà, e comunque ci sono io, qui, e Andromeda ha promesso che se Teddy si sveglia presto farà un salto anche lei, quindi non rimarrebbe solo..."
Harry scosse di nuovo la testa, deciso. Aveva già messo in conto di passare la domenica al San Mungo, e lo avrebbe fatto.

Non era più un mistero, per la comunità magica, il fatto che Harry Potter trascorresse gran parte delle poche ore lasciate libere dall'intenso addestramento delle giovani reclute Auror al capezzale del suo padrino, Sirius Black. La settimana precedente, infatti, un articolo che recava la firma di una certa Anita Mosquito - pseudonimo di una non meglio identificata giovane penna della Gazzetta del Profeta - aveva sconvolto le colazioni di numerose famiglie, riportando la sconvolgente notizia che il Ministero aveva tanto intensamente cercato di tenere nascosta: Sirius Black, Ordine di Merlino alla Memoria, Prima Classe, era, assurdamente, vivo.
Erano state settimane intense, quelle: l'addestramento in Accademia era ancora fermo ad una fase puramente teorica, e richiedeva una tale concentrazione che, a volte, Harry aveva semplicemente paura che prima o poi il suo cranio si sarebbe spaccato a metà. Harry passava le sue giornate chino sui libri, e non appena il grande orologio presente in ogni aula dell'Accademia scattava sulle diciassette, era uno dei primi a raggiungere i camini incantati nell'atrio. Al San Mungo gli orari per le visite erano piuttosto severi e restrittivi, ma aver liberato il mondo magico dal mago oscuro più potente del secolo dava dei vantaggi, e Harry era ben deciso ad approfittarne. Cenava assieme a Sirius, nella sua stanza e poi si fermava un po' con lui, fino a quando qualche giovane infermiera terrorizzata non pigolava che era proprio ora che il signor Potter lasciasse la stanza del signor Black.
Nonostante tutti al San Mungo fossero entusiasti dei passi da gigante che stava facendo la salute di Sirius Black, Harry era preoccupato: dal punto di vista fisico, certo, le cose sembravano migliorare di giorno in giorno, tanto che il guaritore Landmann aveva addirittura osato sbilanciarsi, affermando che prevedeva una ripresa completa con tanto di dimissioni al massimo entro l'arrivo della primavera, ma Harry sospettava che non tutto stesse andando nel verso giusto. Quando Harry entrava nella sua stanza, Sirius si sforzava di mostrarsi sereno, cercava di rispondere alle chiacchiere di Harry, si interessava a quanto gli stava accadendo, a come andassero le cose in Accademia e a come si sentisse, ma era come se stese soltanto recitando una parte. Una parte che spesso non si sforzava nemmeno di interpretare al pieno delle sue capacità. Harry sapeva che Sirius passava gran parte del suo tempo a dormire, e che quando era sveglio assumeva spesso la sua forma Animagus, e si rifiutava di tornare umano anche davanti alle suppliche dei Guaritori. Landmann sosteneva che fosse del tutto normale, che Sirius doveva essere sconvolto da quanto gli era accaduto, e che probabilmente solo ora, che era effettivamente al sicuro, stava cominciando a elaborare razionalmente anche tutti i traumi legati ad Azkaban, e dunque assumere le forme familiari e non troppo razionali di quel grosso cane nero gli serviva a rifugiarsi in una dimensione conosciuta e tranquillizzante. Era solo questione di tempo, diceva l'uomo, prima che Sirius ritrovasse una routine sana e serena. La cosa migliore che si potesse fare, ora, era cercare di lasciarlo solo il meno possibile, cercare di parlargli e di coinvolgerlo in conversazioni che riguardassero il presente, e soprattutto il futuro. Harry ci provava, ma sembrava che Sirius non fosse interessato a niente che lo riguardasse, perché ogni volta che Harry provava ad accennare a quello che sarebbe successo una volta che Sirius fosse stato dimesso, il suo padrino si rabbuiava, smetteva di rispondere e dopo pochi minuti diceva di essere stanco e di aver bisogno di dormire.
Sirius non aveva mai fatto domande su come fosse possibile che lui avesse riattraversato il Velo: l'unica cosa che aveva chiesto era stato un resoconto dettagliato di quanto fosse accaduto all'Ordine dopo la sua scomparsa, ed erano state conversazioni lunghe e difficili, che avevano costretto Harry a riaprire ferite ancora non del tutto rimarginate, e avevano ridotto Sirius a un fascio di nervi. Quando Harry, con poche parole e cercando di omettere quanti più dettagli possibile, si era ritrovato a raccontare ciò che era successo durante la Battaglia di Hogwarts, quando Harry aveva lasciato la scuola per camminare nella Foresta, Sirius non era riuscito a trattenersi: era balzato in piedi, aveva gridato, aveva maledetto Silente e poi aveva preso a pugni il carrello carico di boccette di pozioni che aveva accanto al letto. Quando si era calmato, si era limitato a stringere forte a sé Harry, senza dire una parola.
Da quel giorno, non aveva mai più parlato dei due anni trascorsi dalla sua apparente morte, non con Harry, almeno: il ragazzo aveva infatti scoperto che il suo padrino aveva obbligato una Guaritrice a procurargli gran parte dei quotidiani custoditi nell'Emeroteca del San Mungo, e che li aveva letti tutti, con un'avidità un po' fanatica.

"Oh, Harry, per piacere, puoi ricordare a Ron che la settimana prossima sarà il compleanno della prozia Muriel? Il centonono compleanno è una ricorrenza non da poco, farebbe bene a non dimenticarsi di spedirle un gufo."
Harry venne strappato dalle sue riflessioni dalla voce di Molly, che aveva finito di bere la sua Acquaviola e ora frugava nella sua ampia borsa in cerca di un fazzoletto.
"Sarà fatto, signora Weasley."
"Grazie, caro", mormorò la donna, facendo cenno ad un anziano inserviente di portare via tutto quello che era rimasto sui loro vassoi di stagno.
Attorno a loro, la caffetteria era un incessante vociare: la domenica il San Mungo poteva essere estremamente affollato, e Harry aveva ormai smesso di contare i bisbigli e le dita che si sollevavano ad indicarlo ad ogni suo passo.
Lui e Molly si alzarono in piedi, pronti a lasciarsi finalmente alle spalle quella stanza troppo affollata e decisamente troppo calda.
"Harry, sei sicuro di non voler tornare a casa?"
Quando Harry ribadì che non aveva intenzione di lasciare da solo Sirius, Molly sospirò, rassegnata, e ignorando completamente il barrito di una donna dal volto coperto da un folto pelame color polpa di avocado, domandò, esitante:
"Be', se tu sei deciso a restare qui tutto il giorno, io quasi quasi andrei. Ho un po' di cose da comprare a Diagon Alley, già che sono qui a Londra, e poi correrei a casa... sai, la cena..."
"Non ci sono problemi, signora Weasley. Lei vada pure", si affrettò ad aggiungere Harry. Il ragazzo, infatti, non desiderava minimamente che Molly Weasley si caricasse di un fardello che non aveva bisogno di sostenere. La sua presenza al San Mungo non era esattamente necessaria: Sirius poteva tranquillamente restare solo qualche ora, e, in ogni caso, il rapporto fra i due non era mai stato particolarmente stretto. Molly, tuttavia, sembrava ben decisa a non lasciare soli né Harry, né Sirius: si recava in ospedale quasi ogni giorno, si preoccupava di fare compagnia a Harry durante le lunghe attese, quando i Guaritori sottoponevano Sirius a qualche esame particolarmente spiacevole, ed era diventata una presenza fissa su cui entrambi potevano contare. Harry sospettava che tutto questo darsi da fare servisse anche a lei, che era ben decisa a tenere mani e mente occupati, senza dover correre il rischio di ritrovarsi sola con i propri pensieri.
“Ti ringrazio, caro. Ti accompagno giù, allora, ok?”
I due cominciarono ad attraversare l'affollata sala da tè, ignorando del tutto una bambina con delle splendide ali di farfalla svolazzanti che esclamò a voce alta “Mamma, quello è Harry Potter!”, e avevano quasi raggiunto il pianerottolo del quinto piano, quando Harry si arrestò: riflesso nel vetro delle ampie finestre, il ragazzo ebbe l'impressione di scorgere un profilo conosciuto.
“Che c'è, Harry?” domandò Molly Weasley, ma il ragazzo non le rispose, voltandosi invece verso il bancone affollato. Nell'angolo più lontano da loro, china su una tazza di tè fumante c'era una giovane donna minuta, appollaiata con grazia sull'alto sgabello,la schiena diritta e una mano impegnata a giocherellare con una ciocca di capelli chiari.
Harry non la conosceva bene, l'aveva vista solo qualche volta durante le vacanze di Natale trascorse a Grimmauld Place due anni prima, ma era piuttosto certo che quella donna fosse Alhena Macnair.
Senza fermarsi a riflettere, Harry riattraversò la sala, seguito a ruota da Molly Weasley.
Quando arrivò alle spalle della donna, il ragazzo le sfiorò una spalla, e Alhena sobbalzò appena, rovesciando un po' di tè sul bancone chiaro.
“Alhena?” domandò Harry, osservando il viso pallido della donna arrossarsi, mentre Alhena lo scrutava con aria vagamente spaventata.
“Scusami, non volevo spaventarti...”
“Nessun problema, ero solo distratta.”
Alhena si era ripresa subito: i muscoli del suo viso si erano irrigiditi in un'espressione impassibile, tradita solo dal modo in cui i suoi occhi continuavano a saettare in quelli di Harry, e poi tutto attorno, come se avesse paura di essere osservata.
Harry si schiarì la voce, leggermente a disagio: lui e Alhena non avevano mai parlato molto, e in effetti non aveva nemmeno idea che lei si trovasse ancora in Inghilterra.
“Tutto a posto? Credevo vivessi in Bulgaria...”
La donna arrossì di nuovo, impercettibilmente, prima di affrettarsi a rispondere:
“No, vivo a Budapest in realtà, ma avevo qualche cosa da sistemare qui, e insomma, credo mi fermerò per qualche giorno.”
Harry annuì, chiedendosi che affari potesse avere in sospeso al San Mungo, ma preferì non fare domande: era chiaro che la donna non era del tutto a suo agio, e probabilmente non sarebbe stata molto contenta di vederlo ficcanasare nei suoi affari. Probabilmente doveva fare qualche visita... Harry ricordava che, dopo la battaglia di Hogwarts, Bill e Fleur erano andati spesso a trovare Alhena al San Mungo, dove era rimasta ricoverata per diverso tempo. Quali strascichi si potesse portare dietro, dopo due anni, Harry non osava nemmeno immaginarlo, ma era pur sempre stata Bellatrix Lestrange a confinarla in quel letto d'ospedale.
“Oh, Alhena! Che bello vederti!”
Molly li aveva raggiunti, e guardava la donna con uno strano sguardo penetrante.
“Ciao, Molly. Bill mi aveva detto che avrei potuto incontrarti qui...” Molly annuì, e Harry, colto da un'ispirazione improvvisa, domandò:
“Hai saputo di Sirius?”
Alhena fece un cenno affermativo con la testa, fissando intensamente la tazza che aveva fra le mani.
“Ho saputo, certo che ho saputo. Sta bene, no? Voglio dire, mi sembra di aver letto che stia bene... meglio, insomma. Che si possa riprendere, e...”
La voce le morì in gola, e Harry, confuso, si affrettò a rispondere:
“Oh, sì, sta bene, sta sempre meglio, in effetti. È in ottime mani, e i Guaritori sono tutti convinti che le cose non faranno che migliorare... senti, se hai voglia puoi fare un salto a trovarlo. Sto andando da lui, adesso, e vedere qualche faccia nuova non può che fargli piacere. Anche perché, un po' di tempo fa aveva chiesto di te, e...”
Alhena, che stava prendendo una sorsata di tè, iniziò a tossire furiosamente, lasciando che i capelli le ricadessero davanti alla faccia.
Molly, dando qualche colpetto delicato sulla schiena della donna, guardò Harry con un ampio sorriso incoraggiante, e disse:
“È una splendida idea, Harry. Perché non lasci le generalità di Alhena ai Guaritori? In questo modo, quando avrà tempo ci potrà andare senza problemi, senza dover aspettare di essere con te.”
Harry annuì, stringendosi nelle spalle. Dal momento che la notizia del ritorno di Sirius era arrivata ai giornali, i curiosi che volevano fargli visita solo per vederlo erano aumentati a dismisura, e per arginare quel flusso di pettegoli disinteressati, i Guaritori avevano disposto che solo Sirius stesso e Harry potessero dare disposizioni in merito alle persone ce avrebbero avuto il permesso di oltrepassare il cordone di sicurezza imposto attorno all'ala in cui Sirius era ricoverato.
“Ah giusto, farò così. In ogni caso, io sto scendendo da lui, adesso, quindi se hai voglia...”
“Ci proverò, Harry” intervenne Alhena, sorridendo appena.
“Sono giornate un po' difficili, queste, ma cercherò di ritagliarmi qualche minuto per fare un salto, grazie.”
Harry annuì, senza sapere bene che cosa aggiungere.
“Ehm, ok. Allora magari ci vediamo, uno di questi giorni.”
Si salutarono con un po' di imbarazzo, e Harry si allontanò, confuso. Quando aveva quasi raggiunto l'uscita della caffetteria, Harry si voltò per un secondo, giusto in tempo per vedere Molly Weasley stringere fra le braccia Alhena, accarezzandole con fare consolatorio la schiena scossa da rapidi singhiozzi.

 

***


Sirius osservava il cielo nebuloso di Londra tingersi lentamente di una fioca luce rossastra: erano sempre offuscati, i tramonti di Londra. Opachi, sbiaditi, come se per il sole non valesse la pena di impegnarsi troppo, non per quella città fatta di caos e di un infinito numero di persone che correvano in ogni dove.
Il sapore di quella maledetta pozione antibatterica, acre e pungente, rendeva ogni suo respiro uno strazio nauseante. Odiava quella pozione, perché dopo averla presa non poteva mangiare niente fino al mattino successivo, e non importava quante volte si lavasse i denti, perché quel sapore pesante e nauseante sarebbe rimasto sulla sua lingua per ore.
Con un sospiro rassegnato, Sirius tornò a lasciarsi cadere sul materasso, appoggiando la schiena ai numerosi cuscini che aveva accatastato contro il freddo metallo delle sbarre della testiera del suo letto.
“Dicono che potrebbe nevicare, domani” mormorò Harry, in piedi poco distante da lui. Nevicare, come se questo avrebbe potuto fare una qualche differenza, per Sirius. Un po' di colori in meno fuori dalla sua finestra, ecco tutto. Stava per sbottare, dicendo che non gli importava niente del tempo che avrebbe fatto l'indomani, ma si trattenne: Harry stava solo cercando di alleggerire l'atmosfera di quella stanza, dopo un pomeriggio trascorso a cercare di strappargli più di qualche monosillabo.
Sirius si lasciò scappare un sospiro, massaggiandosi vigorosamente gli occhi. Si detestava, in momenti come quelli. Sapeva che Harry stava facendo di tutto per lui, sapeva che a diciotto anni una giovane recluta non avrebbe dovuto trascorrere tutte le sue serate e le sue domeniche in una stanza d'ospedale, e gli era grato per quelle attenzioni. Gli era grato per davvero. Non sapeva che cosa avrebbe fatto, se non ci fossero state le sue visite a obbligarlo ad uscire dalla sua testa, a lasciare per un po' da parte quella spirale di pensieri che non facevano altro che attirarlo in quel deserto arido che era il suo cuore, dove non sembravano esserci emozioni, ma solo un sordo, informe, uniforme dolore.
Eppure, certe giornate erano più difficili di altre. Lo erano state a Grimmauld Place, quando si ritrovava solo, senza uno scopo, senza la possibilità di fare niente per aiutare gli amici che combattevano, e lo erano ora. Perché non era cambiato niente: la pace non era servita a niente, se non a portare nuovo dolore, a portarsi via altre vite innocenti, e il cielo, per Sirius, continuava ad essere solamente un irraggiungibile rettangolo colorato fuori dalla finestra.

"Come hai detto che si chiama il tuo istruttore, Harry?"
Domandò Sirius, pur sapendo bene che quell'uomo si chiamava Aldrin. Harry gliene aveva già parlato moltissime volte, ma Sirius stava solo cercando un pretesto per far ripartire la conversazione.
Un lieve bussare alla porta li interruppe, e i due si scambiarono un'occhiata confusa: erano passati non più di venti minuti dall'ultimo giro di controllo effettuato dai Guaritori, era altamente improbabile che si trattasse ancora di loro. Soprattutto perché la maggior parte di loro non aveva mai sentito il bisogno di bussare, prima di spalancare la porta.
Fu Harry il primo ad alzarsi in piedi e a raggiungere la porta, e Sirius si ritrovò a strabuzzare gli occhi: sulla soglia c'era un passeggino, e nel passeggino un bimbo che non poteva avere più di un anno, o che forse era anche più piccolo. Un bimbo intento a spalmarsi un biscotto mezzo sciolto su tutta la faccia, sorridendo a Harry e sfoggiando una foltissima zazzera di capelli turchesi.
In piedi dietro il passeggino, più magra, pallida e stanca di quanto Sirius potesse ricordare, c'era Andromeda Tonks.
Sirius non vedeva sua cugina da sedici, lunghi anni, e fu con una fitta al cuore che l'uomo dovette realizzare quanto Andromeda fosse cambiata: non era più la ragazza col sorriso dolce che cercava sempre di rabbonire zia Walburga quando lei se la prendeva troppo con il suo primogenito, né era la ragazza decisa che un giorno, semplicemente, si era chiusa la porta di casa alle spalle, senza più tornarci. Non era nemmeno la giovane madre esausta ma felice che Sirius ricordava dai suoi ultimi giorni di uomo libero. Andromeda era invecchiata, i suoi morbidi riccioli scuri erano venati da fili argentati, e i suoi occhi, così simili a quelli di Sirius, contornati da una sottile rete di fragili rughe, erano gli occhi di una persona che conviveva ogni giorno con un dolore più grande di lei.
Mentre Harry si chinava sul bimbo nel passeggino, Andromeda fece qualche passo nella stanza, fissando intensamente Sirius: dopo un lungo momento in cui i due cugini rimasero immobili a fissarsi, la donna si aprì finalmente in un piccolo sorriso, mentre i suoi occhi si inumidivano.
"È bello rivedere il mio cuginetto preferito", sussurrò lei, risvegliando improvvisamente nella mente di Sirius tutta una serie di ricordi d'infanzia, ricordi nei quali Andromeda, ragazzina, si intestardiva a chiamare Sirius cuginetto, facendolo infuriare, perché lui non era più un bambino piccolo, nel caso lei non se ne fosse accorta.
"Andromeda..."
Sirius sentì le parole spegnersi nella sua gola. Che cosa si può dire a qualcuno a cui un tempo si è voluto molto bene, dopo sedici anni di silenzio?
Fu Andromeda a cavarlo d'impiccio, avvicinandosi a lui e stringendolo improvvisamente in un forte abbraccio. Sirius rimase immobile a lungo, sentendo le braccia magre di Andromeda strette attorno a lui, respirando il profumo delicato e fiorito dei suoi capelli, combattendo il disagio e la voglia di scappare. Alla fine, però, la naturalezza di certi gesti vinse la sua ritrosia, e lui si limitò a ricambiare l'abbraccio.
"Mi dispiace tanto, Sirius. Mi dispiace."
La voce di Andromeda era un sussurro appena percettibile accanto all'orecchio di Sirius, e l'uomo si ritrovò a scrollare appena le spalle, senza mai sciogliersi da quell'abbraccio che sembrava scaturire direttamente dagli anni della sua infanzia.
"Quando sei morto... quando pensavamo che fossi morto, credevo che non mi sarei mai perdonata per non averti cercato, per non aver insistito perché Dora mi permettesse di parlarti..."
Tonks. Quel piccolo vulcano di goffaggine e chiasso che sapeva trasformare ogni cena a Grimmauld Place in uno show di facce buffe e bicchieri rotti. Sirius se la ricordava bimbetta, un piccolo tiranno in grado di obbligarlo a giocare per ore con le sue bambole, e poi l'aveva ritrovata una giovane donna piena di vita e col sorriso sempre sulle labbra. L'ennesimo tributo che la pace aveva preteso.
"Va tutto bene... Andromeda, io ho saputo... Harry mi ha detto di tua figlia e di Ted. Mi dispiace così tanto..."
L'abbraccio di Andromeda si fece appena più convulso, ma quando la donna parlò, lo fece con voce salda.
"Grazie, Sirius"
I due rimasero vicini ancora per un po', fino a quando Andromeda si riscosse, lasciò andare il cugino, e mormorò:
"Sarei venuta a trovarti prima, ma Teddy si è preso un brutto raffreddore, e per un po' di giorni siamo rimasti confinati a casa."
Come a voler sottolineare il concetto, il bimbo che ora sedeva sulle ginocchia di Harry proruppe in un poderoso starnuto, che fece volare quel che restava del suo biscotto sul pavimento e lo lasciò con un'espressione a dir poco confusa, mentre i suoi capelli si scurivano fino a diventare di un brutto verde marcio.
Sirius osservò con attenzione e curiosità Harry pulire il faccino del bambino dai residui di biscotto, il tutto facendolo saltellare sulle sue ginocchia. Dopo qualche minuto, il bambino tornò a sorridere, e i suoi capelli persero quella sfumatura malsana.
Sirius fissò Andromeda, sorridendo appena: Harry non gli aveva mai parlato di quel bambino, ma Sirius non aveva bisogno di fare domande, per capire chi potesse essere.
"Harry non mi aveva detto che sei diventata nonna", si limitò ad affermare.
Andromeda lanciò uno strano sguardo a Harry, che per tutta risposta arrossì, e mugugnò:
"Volevo farlo, ma non ho mai trovato l'occasione..."
Andromeda allora incrociò le braccia al petto e si esibì in un sorriso ironico, mentre gli occhi le si accendevano della stessa luce che avevano quando, da ragazzina, aveva in mente di combinare qualcosa che avrebbe potuto metterli nei guai.
"È strano che non te lo abbia detto, considerando che si tratta del suo figlioccio."
Sirius sgranò gli occhi, confuso. Harry, il padrino del figlio di Tonks? Non immaginava che i due avessero potuto stringere un rapporto tanto profondo.
Harry annuì appena, mentre Andromeda faceva cenno a Sirius di avvicinarsi al piccolo.
"Lui è mio nipote Teddy. Teddy Lupin."
Le parole di Andromeda impiegarono diverso tempo a raggiungere la coscienza di Sirius, ma quando lo fecero, lo colpirono come uno schiaffo in pieno volto.
Teddy Lupin.
Oh, Merlino.
Quel bimbo non era il figlio di Tonks e di un non meglio identificato giovane mago.
La testardaggine di Remus aveva incontrato una volontà ancora più ferrea della sua, in quella ragazza dai capelli rosa.
Grazie a Morgana.
Sirius si inginocchiò lentamente davanti alla poltroncina su cui sedevano Harry e Teddy, osservando con attenzione il viso del bambino. Le sue guance piene e rosee, gli occhi grandi e curiosi, la bocca semiaperta che mostrava tre fieri, minuscoli dentini... Il figlio di Remus, la prova tangibile, viva, che Remus non apparteneva solo ai suoi ricordi più dolorosi. Teddy fissava Sirius con curiosità, e Sirius non lo sapeva se si trattava solo di suggestione, o se qualcosa, nel taglio di quello sguardo limpido, ricordasse davvero gli occhi gentili di Remus. Eppure c'era qualcosa nella piega della sua bocca, nell'espressione seria e concentrata del bimbo, al di là dei colori chiassosi che erano irrimediabilmente un segno della sua discendenza materna, che ricordava Remus così tanto da fare quasi male.
Teddy prese ad agitare le sue gambette piene, e Sirius, istintivamente, allungò una mano ad afferrare quel piedino paffuto, coperto da buffi calzini ricamati con piccoli manici di scopa. Il bimbo si aprì allora in un ampio sorriso, emettendo un versetto soddisfatto. I suoi occhi, notò Sirius, avevano perso la loro sfumatura verde screziata d'ambra, e si erano scuriti in due pozze dello stesso colore di un cielo in tempesta, così come si erano scuriti i suoi capelli, che ora ricadevano in morbide onde nere sulla sua fronte.
"Gli stai simpatico" mormorò Harry, sorridendo appena.
Sirius, perso com'era nello sguardo ridente del figlio del suo migliore amico, a malapena prestò attenzione a quello che Harry stava dicendo.
Fu Andromeda ad aggiungere:
"Ha ragione, sai? Vedi come ti somiglia, ora? Lo fa sempre, quando incontra qualcuno che gli piace."
Fu solo in quel momento che Sirius si rese conto che Teddy, con quel cambiamento, aveva assunto i suoi stessi colori. Sirius allungò la mano che aveva libera a solleticare il palmo paffuto di Teddy, e mormorò:
"Ciao, Teddy. Anche tu mi piaci molto."
"Mmmbah!" fu la risposta entusiasta del piccolo.
Ci fu silenzio, a lungo, un denso silenzio, in quella stanza d'ospedale. C'era gioia, in quell'incontro, una gioia che affondava le sue radici nel dolore dell'assenza, ed era tutto così esplicito, in quel momento, che per la prima volta da quando aveva riaperto gli occhi, Sirius sentì di essere davvero vicino ad altri esseri umani, di poter condividere qualcosa con loro.
Guardando il piccolo Teddy Lupin voltarsi a cercare le braccia di sua nonna, Sirius non poté impedirsi di pensare che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato, in quel gesto. Dovevano essere le braccia di Tonks, quelle che Teddy avrebbe cercato. E doveva esserci Remus a spingere quel passeggino, e ad aiutare il piccolo a soffiarsi il nasino, a consolare il suo pianto e a tenerlo stretto fino al sopraggiungere del sonno.
E invece loro non c'erano, loro, che avevano ancora così tanto da dare, loro che avevano un futuro da stringere fra le braccia, una vita da costruire, loro non erano più lì, e non sarebbero tornati. Mentre lui, Sirius, un guscio vuoto fatto solo di rancori e giornate spente, era tornato da un velo di morte, era tornato e ora poteva accarezzare i capelli turchesi di Teddy, ed era tutto così sbagliato...

Sirius, improvvisamente, sentì il bisogno di cacciare via tutti. Non poteva sopportare la vista di Andromeda, Andromeda così pallida, Andromeda che sorrideva al nipote che era costretta a crescere da sola, Andromeda che doveva sopravvivere alla morte di una figlia di ventitré anni e lo faceva con coraggio e tenacia, lasciando che il dolore mangiasse il suo corpo magro, ma non il suo sorriso.
Proprio quando l'aria sembrava essersi fatta più densa e difficile da respirare, Harry, con tono del tutto casuale, disse:
"Ah, Sirius, sai chi ho incontrato prima, su nella sala da tè? Alhena, Alhena Macnair. Ha detto che se ha tempo, uno di questi giorni farebbe un salto a salutarti."
Fu come se una mano di ghiaccio di fosse stretta attorno alla gola di Sirius.
Alhena era lì, a poche rampe di scale da lui. Non era in un Paese straniero, un Paese dove forse le notizie dall'Inghilterra non arrivavano. Era lì, a Londra, e sapeva che anche lui era lì, ma non aveva il tempo di attraversare quei corridoi che li separavano.
Per la prima volta da quando aveva riaperto gli occhi in quella stanza d'ospedale, tutte le conseguenze di ciò che era accaduto investirono Sirius come un bolide diretto allo stomaco.
Lui era scomparso dal mondo per due anni. Se n'era andato, e le persone che erano sopravvissute avevano continuato a vivere.
Erano passati due anni, da quando lui e Alhena si erano ritrovati a cercare di scacciare il gelo di Grimmauld Place assieme. Non si erano mai promessi niente, e Sirius era scomparso, e Alhena aveva continuato a vivere. Aveva continuato a vivere, per due anni.
Alhena doveva essere diventata una donna meravigliosa, una donna con una vita densa e piena, una vita fatta di abitudini che Sirius non conosceva più. Una vita in cui lui era solo parte dei brutti ricordi legati alla resistenza e alla guerra.
Due anni dopo, Alhena doveva essere andata avanti.
Due anni dopo, non poteva esserci spazio per i brutti ricordi.


 
***


Andromeda fissò Harry, sconcertata: il gorgoglio di gioia del bambino stretto fra le sue braccia non era abbastanza forte per coprire l'uggiolato del grosso cane nero dall'aria minacciosa che era balzato agilmente sul letto di fronte a lei.
Teddy allungò una manina verso quello che, fino a pochi istanti prima, era stato Sirius Black, ma Harry fu rapido a frapporsi fra l'enorme animale e il suo figlioccio.
"Vada a chiamare un Guaritore, signora Black, e porti pure a casa Teddy. Farò un salto da voi appena la situazione si sarà un po' calmata."







Note:
Non era in programma che questo aggiornamento si facesse attendere così tanto, e non era in programma che fosse questo, il contenuto del capitolo.
Sono giorni complessi, le feste sono giorni complessi, i parenti, le incombenze, tutto mi riempie di molta ansia.
L'incontro di Sirius con Teddy lo immaginavo da così tanto tempo che, ora che l'ho scritto, mi sembra di aver buttato nel cesso un'occasione.
Non so, sarà che è tempo di bilanci, sarà che il 2018 è stato un anno strano, fatto di montagne russe emotive, e sarà che al momento mi trovo nella parte più bassa del percorso di questo ottovolante.
Non doveva andare così, questo capitolo, ma abbiamo rischiato che non andasse per niente.
Perdonatemi, ma la mia lucidità in questo periodo sembra non essere reperibile.
 
   
 
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