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Autore: Frulli_    05/01/2019    3 recensioni
"Il sole accecante di quella mattina estiva penetrava di prepotenza nel corridoio tramite la soglia della porta, aperta, ed occupata da un uomo alto e magro. Si portò una mano sopra gli occhi per mettere a fuoco la figura quanto bastasse per vederne il volto, magro e pallido, incorniciato da folti capelli ricci e neri, lunghi fino alle spalle. Due occhi grigi e penetranti erano incassati nel viso magro.
[...]
Il corridoio prese a vorticare pericolosamente. Il sole lo accecò, oscurandogli la vista. Il pavimento divenne mollo, perse l'equilibrio e cadde. Serrò gli occhi, sentiva voci lontane e distorte. Il cuore e la testa non ressero il colpo ricevuto da quell'allucinazione, e perse coscienza"
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emmeline Vance, I Malandrini, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Dopo la II guerra magica/Pace
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1. Happy Birthday, Harry...

 
Inghilterra, Giorni nostri...


Aprì di scatto gli occhi, madido di sudore. Si mise a sedere, impiegando qualche secondo per capire dove fosse. Cercò di mettere a fuoco la camera da letto, aiutato dai primi raggi del sole che penetravano dalla finestra, oltre le tende. Si girò verso l'altro lato del letto: era vuoto.
Si alzò sbuffando e scese lentamente al piano di sotto. Ginny era in piena preparazione delle colazioni, con la stessa fretta e frenesia di Molly. Sorrise fra sè, facendosi tornare il buon umore.
«Già sveglio?» chiese la moglie.
«Ho dimenticato di dover finire una cosa a lavoro» rispose baciandola e stringendola a sè.
Ginny tacque: sapeva che stava mentendo, ma non disse nulla. Non ne parlavano quasi mai, degli incubi di Harry. Non era un argomento di cui lui parlava serenamente ed un pò, alla fine, ci avevano fatto l'abitudine. Lo sapevano: non era una cosa di cui potevano liberarsi. Anche Ginny aveva gli incubi, ogni tanto, su suo fratello, su i suoi compagni di scuola...avevano tutti vissuto la guerra, lì, e nessuno avrebbe potuto mai dimenticarla.
Cercava, quando accadeva, di alleggerire la giornata a suo marito. Ma quel giorno, Ginny lo sapeva, sarebbe stato più difficile del solito.
Posò una tazza di thè davanti a lui, insieme ad un muffin con una candelina sopra. I due si sorrisero.
«Buon compleanno, Harry» mormorò Ginny baciandolo dolcemente.
«Grazie, amore...»
«Papààà!» Lily scese velocemente le scale del piano di sopra, prima di buttarsi tra le braccia del padre «Buon compleanno! Volevo essere la prima a farteli, James e Al stanno ancora dormendo» precisò la bambina ridacchiando.
«Non è vero!» brontolò Albus frettoloso, caracollando dalle scale insieme a James, ancora ad occhi chiusi «Auguri papà»
«Buon compleanno papà»
«Grazie ragazzi, ma non dovevate alzarvi all'alba, potevate farmi gli auguri direttamente stasera»
«Scherzi?! Porta male!» precisò Albus, sedendosi in attesa della colazione.
Un gufo entrò nella cucina planando delicamente sul tavolo, davanti a Harry.
«Oh, ecco i primi auguri» annunciò Ginny sorridente, servendo anche i figli «Chi è?»
«A giudicare dalle frasi sgrammaticate è Hagrid. Lui è sempre il primo, dopo di voi»
«Lui è sempre stato il primo» precisò Ginny, facendogli un'occhiolino.
Harry sorrise tra sè: il suo undicesimo compleanno, probabilmente il giorno più bello della sua vita.
«Bene! Prima che la cucina venga invasa dal resto dei gufi, vado a prepararmi o farò tardi a lavoro» quindi finì il suo muffin ed il thè, e risalì di sopra per andarsi a preparare.


Avrebbe potuto usare la Polvere Volante direttamente a casa sua, per arrivare al Ministero della Magia senza incontrare tutto quel traffico, ma il caos ed i rumori della Londra babbana non lo facevano pensare. Anzi, a tratti erano quasi rilassanti. Lo distraevano dalle incombenze, dai ricordi fastidiosi, da quelli tristi. Nell'ultimo periodo era difficile, per lui, ricordare cose allegre. Forse era la vecchiaia, ma aveva come un senso continuo e costante di vuoto, come se gli mancasse qualcosa...come se avesse lasciato qualcosa in sospeso.
Arthur continuava a dirgli che era la soglia dei quarant'anni, che ti faceva fare i conti con te stesso. Forse aveva ragione, e cercava di non pensarci.
«Mi scusi signore, ha tempo per parlare della Salvezza tramite il Signore?» gli chiese un gentiluomo in giacca e cravatta, interrompendo così il fiume di pensieri del mago.
«No grazie, sono di fretta» brontolò, accellerando il passo.
Attraversò una strada sulle strisce pedonali, poi si fermò davanti ad un altro semaforo, rosso per i pedoni. C'era un marasma di gente ad attendere che diventasse verde, da entrambi i lati della strada.
Attese, paziente, trascorrendo quei pochi secondi a studiare le persone dall'altro lato della strada: uomini e donne d'affari, per lo più, ma anche mamme con bambini appresso, qualche ragazzo che aveva marinato la scuola -ricordava che Dudley lo faceva spesso e volentieri-, e qualche coppia di anziani signori che faceva una passeggiata per la città. Ed ovviamente i turisti, una marea di turisti.
Il semaforo impiegò qualche secondo per diventare verde. Riprese a camminare, facendosi quasi largo tra la folla. Guardava a tratti i propri piedi e a tratti davanti a sè, per evitare di essere travolto dalla folla che attraversava la strada nel verso opposto al suo.
Poi lo vide, non seppe spiegarsi come. Ebbe come un'intuizione. La sensazione che qualcuno lo stesse osservando.
Davanti a lui, dall'altro lato della strada dove stava per mettere piede, c'era un uomo poggiato contro il muro, che lo fissava.
Indossava jeans neri e una giacca di pelle, come un motociclista. Aveva i capelli neri e ricci, lunghi fino alle spalle, il viso pallido e magro.
Si fermò in mezzo alle strisce pedonali, con il sangue gelido nelle vene e le gambe che non rispondevano più al comando celebrale di muoversi. La gente lo spingeva appena, a destra o sinistra, per poter passare velocemente come se il cemento scottasse. Per lui, invece, sembrava sabbia mobile.
L'uomo all'angolo continuava a fissarlo, senza nessuna espressione. Lo sguardo così duro, gelido, eppure...no, non poteva essere.
Un passante alto e grosso lo superò e passò davanti a lui, coprendogli la visuale. Quando la gente svanì, dileguandosi, era sparito anche l'uomo visto pochi secondi fa. Un rumore assordante di clacson lo fece sobbalzare.
«Allora, che hai visto un fantasma?!? Muoviti!» gridò l'autista della macchina che si era fermato a mezzo metro dalle sue gambe.
Affrettò il passo, spaventato, raggiungendo il marciapiede opposto. Poi girò l'angolo verso l'ingresso del Ministero.
Si, aveva decisamente visto un fantasma.


«Harry, era probabilmente solo qualcuno che vi somigliava, insomma...lo sai che non può essere, no? Lo abbiamo visto, è andato oltre...»
«Lo so, Hermione, l'ho visto bene quando è morto. Ma ti dico che era lui, era Sirius. Era semplicemente identico»
«Ascoltami Harry. Sono passati tanti anni, a quest'ora avrebbe quasi...sessant'anni, no? E invece quest'uomo me lo descrivi come era Sirius ai tempi della guerra. Insomma...me lo hai descritto come tu lo ricordi. Non pensi che forse, essendo oggi il tuo compleanno...tu sia un pò suscettibile ai ricordi?»
La voce delicata e comprensibile di Hermione lasciava intendere solo una cosa: stava impazzendo.
«Forse ha ragione Ron. Forse dovrei farmi un incanto Oblivion e...»
«Non dirlo nemmeno per scherzo!» precisò subito Hermione alzandosi dalla sua scrivania. «Dobbiamo ricordare, tutti quanti. Tutti, nessuno escluso. Il loro ricordo è sempre vivo nei nostri cuori, e la loro scomparsa deve aiutarci a migliorare. A migliorare le nostre vite, la pace e tutto il mondo, magico e non. E' fuori discussione»
«Lo so, lo so...non ti arrabbiare...»
«Non mi sto arrabbiando, Harry. Voglio solo che tu faccia pace con te stesso...» mormorò l'amica, andandolo ad abbracciare. L'altro ricambiò, sorridendo appena.
«Meglio che vada a lavoro...almeno mi terrà la testa occupata»
Harry uscì dall'ufficio del Ministro e si diresse verso la zona Auror, dovendo così per forza di cose attraversare l'atrio principale.
La statua centrale, distrutta ai tempi da Voldemort, era stata ricostruita nel suo punto originario e, su una parete, era stata affissa "La Finestra della Memoria": una serie di medaglie all'onore e targhe commemorative di luoghi e persone distrutti durante la guerra e che non dovevano essere più dimenticati.
Dopo tutti quegli anni, c'erano ancora dipendenti -i più anziani soprattutto- che si soffermavano davanti a quel muro della memoria.
Harry si soffermò sulle foto magiche dei Malandrini, su quelle di Tonks e Malocchio Moody, Fred, Silente e tutto l'Ordine della Fenice morto per loro. C'erano anche foto e targhe commemorative di coloro che erano morti nella prima guerra dei maghi, come i suoi genitori, che svettavano in cima alla parete, o come Emmeline Vance e Doras Meadowes, coetanee dei suoi genitori e membri dell'Ordine. Streghe di grande intelligenza e abilità magica, a detta di Moody.
Si soffermò un istante sulla foto di Sirius, ed il cuore ebbe un sussulto: possibile che stava davvero impazzendo? Che addirittura adesso vedeva il suo padrino in giro per Londra come nulla fosse?
«Ho bisogno di una bella vacanza....» mormorò tra sè, riprendendo il tragitto verso l'ufficio Auror.


La festa che Ginny gli organizzò alla Tana, quella sera, fu particolarmente bella e divertente. Forse Hermione aveva spifferato alla moglie di quel che aveva visto, e Ginny aveva deciso di farlo distrarre più del dovuto. Lei e Molly prepararono una cena per gli invitati con i piatti che più piacevano a Harry, e la moglie ricreò la perfetta copia della famosa torta che Hagrid gli portò quella notte di tanti anni prima. Ballarono e risero a crepapelle per le barzellette e le battute di Ron e George e, quando ormai la festa era finita, Harry potè permettersi di sedersi in giardino, con un bicchiere di Whiskey Incendiario in mano, a guardare le stelle. Le fissò mentre brillavano, e sorrise fra sé quando riuscì a individuare la costellazione del Cane Maggiore.
«La stella più luminosa del cielo» mormorò qualcuno dietro di lui. Era Arthur, seguito a ruota da Hagrid, Ron, Hermione e Ginny.
«Già...» mormorò vago Harry, sentendosi osservato «Che succede?»
Hagrid sorrise «Abbiamo una sorpresa per te, vieni»
Incerto, Harry li seguì verso il garage della Tana «Lo sapete che non sono abituato alle sorprese...»
«Lo sappiamo, ma questo è importante» precisò Arthur, emozionato. Gli fece chiudere gli occhi, quindi entrarono in garage «Bene...apri».
Harry ubbidì. Si abituò subito alla luce nello spazio ristretto del garage, reso ancora più piccolo dalla presenza massiccia di una moto, nero lucido, esattamente uguale a quella di...
Ebbe un tuffo al cuore quando guardò il sorriso gentile di Arthur. Deglutì a vuoto, gli occhi si velarono di lacrime. Lentamente si avvicinò alla moto e la sfiorò, con delicatezza, come se al suo tocco potesse rompersi.
«L'ho restaurata. Dopo l'attacco, beh...ho raccolto i pezzi, o inserito quelli mancanti, è stato un duro lavoro, ho impiegato molto tempo per i doppi turni che faccio al Ministero ma te la volevo dare...credo che lui volesse che fosse tua. Con questa sei stato salvato ben due volte, è bene che la tenga tu»
Non sapeva cosa dire. Ginny gli sorrise, i suoi occhi parlavano più di tanti discorsi che poteva fare a voce.
«Grazie...» si limitò a dire Harry, la voce tremante.

 
Il giorno dopo...

«Teddy, hai spedito più quella domanda al Ministero?» chiese Ginny impugnando il sacchetto di polvere volante. Harry si versò una seconda tazza di thè: il Whiskey Incendiario della sera prima aveva dato i suoi frutti peggiori. Era vecchio ormai, non reggeva più l'alcool come una volta.
«Lo faccio questa mattina Ginny. Victoire mi accompagna» annunciò il giovane. Harry lo fissò qualche istante mentre si sistemava i capelli rossicci, fissando lo specchio. Era proprio cresciuto quel ragazzo, e aveva lo stesso sguardo gentile di Remus ma indubbiamente l'indole casinara e felice di Tonks. Si alzò, raccogliendo la bacchetta dal tavolo.
«Vicky, ti crea qualche problema?» chiese Ginny alla nipote.
«No davvero zia, non preoccuparti» annunciò la giovane bionda, sorridendo felice a lei e poi a Teddy.
«Pensi di fare tardi stasera?» chiese a bassa voce Ginny ad Harry, sistemandogli la cravatta, mentre un marasma di figli e nipoti giravano per la casa, raccogliendo le ultime cose prima di andare via dalla Tana.
«Non ne ho idea, ma ti mando un gufo per aggiornarti ok?» rispose Harry, baciandola. Ginny sorrise, annuendo, e si diresse a controllare che i figli avessero tutto l'occorente per viaggiare per Diagon Alley. Per queste attenzioni Ginny aveva decisamente ereditato da Molly, apprensiva e mamma chioccia. Si girò verso il camino e si fermò colto di sorpresa dal suono dell'orologio magico, le cui lancette lentamente si stavano spostando su "Ospiti".
«Vado io!» gridò felice Lily, correndo verso l'ingresso.
«Ma chi sarà mai a quest'ora? Lily, dobbiamo andare!» esclamò Ginny spazientita.
«Lasciala fare...» mormorò pacato Harry, infilandosi già nel grande camino di pietra, pronto a partire verso il Ministero della Magia. Sentì la porta aprirsi, passi veloci e Lily spuntare, confusa, in cucina.
«Cosa c'è tesoro?» chiese pacata Ginny.
«Papà, il signore nella foto vuole parlare con te» annunciò la bambina, indicando le foto magiche sul camino. Harry seguì il dito di Lily e rimase fermo, qualche istante, incapace di capire. Qualunque "signore della foto" intendesse Lily, era pressocchè impossibile che fosse sulla soglia di casa. Harry deglutì a fatica, con il cuore a mille.
Si voltò verso Ginny, che borbottando tra sè si diresse a grandi passi verso l'ingresso, seguita velocemente da Teddy. Li seguì, il cuore agitato, lungo il corridoio stretto alla cui fine v'era la soglia di casa. Il sole accecante di quella mattina estiva penetrava di prepotenza nel corridoio tramite la soglia della porta, aperta, ed occupata da un uomo alto e magro. Si portò una mano sopra gli occhi per mettere a fuoco la figura quanto bastasse per vederne il volto, magro e pallido, incorniciato da folti capelli ricci e neri, lunghi fino alle spalle. Due occhi grigi e penetranti erano incassati nel viso magro.
«Oh Merlino...» mormorò Ginny, portando le mani alla bocca.
Il corridoio prese a vorticare pericolosamente. Il sole lo accecò, oscurandogli la vista. Il pavimento divenne mollo, perse l'equilibrio e cadde. Serrò gli occhi, sentiva voci lontane e distorte. Il cuore e la testa non ressero il colpo ricevuto da quell'allucinazione, e perse coscienza.


«Harry...? Harry, amore...?»
«Ecco, ecco si sta svegliando!»
«Zitto Ron!»
Harry aprì lentamente gli occhi, ritrovandosi i visi di Ginny, Ron ed Hermione sopra di lui e, oltre, il soffitto del proprio salotto. Cercò di mettere a fuoco le immagini, ancora sfocate davanti a lui. Cercò di ricordare che cosa era successo e, quando ci riuscì, cercò di alzarsi, agitato. «Sirius...» mormorò.
«Harry, no, aspetta...piano ad alzarti, piano, hai battuto la testa»
«Come ai vecchi tempi, eh Harry?»
«Zitto Ron!» lo rimbeccarono in coro le due donne.
«Dov'è? Dov'è Sirius...?» Harry si mise seduto sul divano, lentamente. La testa gli girava, ma non voleva perdere nemmeno un istante.
«Harry, per favore...piano, con calma» la voce gentile e preoccupata di Ginny accompagnava gesti delicati mentre lo aiutava ad alzarsi.
Camminavano lentamente, controllando che Harry fosse in grado di farlo. Percorse il breve corridoio che separava il salotto dalla cucina, quindi aprì lentamente la porta.
L'unico rumore che si sentiva era quello di un cucchiaino che, da solo, girava dentro una tazza di thè caldo. Teddy era seduto al tavolo, come incantato, fissando un uomo che mangiava un pezzo della sua torta di compleanno e sorseggiava quel thè caldo. Era seduto frontalmente rispetto alla porta della cucina e, quando la sentì aprirsi, sollevò gli occhi verso Harry, sorridendogli.
La somiglianza con Sirius era sorprendente, ma capì subito, una volta vicino, che non era il suo padrino. L'uomo davanti a sé vi somigliava in tutto e per tutto, tranne che per un dettaglio: gli occhi. Contrariamente a quel che pensava di aver visto prima di svenire, erano di un verde intenso, chiaro, quasi glaciale, ma gentile e vispo.
«Deluso, Harry?» fu l'uomo a parlare, per la prima volta. Poteva avere la sua età, sì, e vestiva in maniera babbana, tuttavia sembrava perfettamente a suo agio in una cucina di maghi.
Harry non sapeva che dire. Si avvicinò, seguito dagli altri, e lentamente si sedette al tavolo davanti a lui. Aveva il cuore che batteva a mille, e seppur la testa gli dicesse che quello non era Sirius, ma solo una pregevole imitazione, sapeva che in fondo quel momento non lo avrebbe mai dimenticato.
«Voglio dire...uguale è uguale, eh» fu Ron a parlare e a dare una forma verbale ai loro pensieri.
L'uomo sorrise, sotto i baffi neri striati di grigio.
«A chi, di preciso?»
«Beh, a...al padrino di Harry, Sirius»
L'uomo ridacchiò, divertito. Anche quando rideva somigliava a lui. Harry era stordito: come poteva essere? Lo osservò mentre sorseggiava il suo thè e masticava il pezzo di torta.
«Certo che ci somiglio. Sono Alphard Black...sono suo figlio»
Il silenzio, se possibile, divenne ancora più sordo. Ron spalancò gli occhi e la bocca, Ginny rimase di sasso ed Hermione sussultò, come se fosse stata fulminata. E Teddy, se possibile, rimase ancora più incantato di prima.
Harry, dal canto suo, si limitava a fissarlo...a cercare di capire se davvero aveva compreso.
«F-figlio?»
«Sì, suo figlio...»
«Ma io...noi, non sapevamo che...» tentò di parlare Hermione, senza grandi risultati.
«Che mio padre aveva un figlio e una compagna? Benvenuti nel club allora»
«Una compagna?!» esclamarono in coro Ron ed Harry.
Alphard ridacchiò di nuovo, divertito. «Già...mio padre non era quel play-boy che voleva far credere. Alla fine è stato incarcerato anche lui dall'amore»
«Cos...? Io non ci sto capendo nulla» ammise Harry, confuso.
«Nemmeno io» ammise Ron, ancora più sbalordito dell'amico «Voglio dire...quando ha avuto tempo di....beh, di avere una vita?»
«Ron!» lo rimbeccò Hermione, lanciandogli un'occhiataccia.
«Che c'è?! Voglio dire...è stato in prigione per metà della sua vita...»
«Ron ha ragione» intervenne Alphard «So che siete confusi, lo ero anche io, ma una volta che vi andrò detto e mostrato tutto, capirete. So che mi reputerete un pazzo, forse, ma io volevo solo conoscere la mia famiglia, tutto qua»
Harry continuava a studiarlo, con attenzione. «Alphard...era il nome dello zio preferito di Sirius»
L'uomo annuì e sorrise «Zio Alphard. Pro zio, nel mio caso. Ho scoperto molti nomi di molti miei parenti non molto tempo fa, io...ho le chiavi di Grimmauld Place»
Harry deglutì: non aveva più messo posto in quella casa, i troppi ricordi gli provocavano solo dolore.
«Quando sei nato?» gli chiese.
«18 giugno 1982»
«Hai un anno meno di me...»
«Già, siamo quasi coetanei» Alphard gli sorrise, poi addentò la torta «Complimenti per la torta, Ginny»
«Grazie, ahn...Alphard» rispose imbarazzata l'altra, versando quindi il thè per tutti i presenti in cucina.
Harry tacque qualche istante, riflessivo. Diciotto giugno. «Sei nato lo stesso giorno...»
«Lo stesso giorno in cui è morto mio padre, si. Pensa che bei compleanni che ho avuto, da quando l'ho saputo» precisò ironico Alphard.
«Dove sei stato tutto questo tempo? Perchè non sei venuto prima? Chi è tua madre?»
«Harry, calma...ora ci racconterà tutto» mormorò Hermione, percependo la curiosità e l'angoscia dell'amico.
Alphard sorrise. «So che hai tante domande, anche io le avevo e le ho tutt'ora. Avrai le tue risposte, ma non qui. Dobbiamo andare in un posto prima, tutti noi»
«Un posto? E dove?» fu Teddy a parlare, curioso.
Alphard sorrise, quasi emozionato. «Hogwarts...»


Non avrebbe mai pensato, in assoluto, che avrebbe più rimesso piede dentro quel castello. I ricordi negativi aleggiavano su di esso come un'ombra perenne. Non riusciva a perdonarsi di tutte quelle morti: persino Ron v'era tornato, persino Molly a far visita alla tomba del figlio. Persino Ted, a vedere come erano morti i suoi genitori.
E lui, il coraggioso Harry Potter...si era nascosto da quei ricordi per quasi vent'anni. Se ne vergognava amaramente ma era stato più forte di lui: aveva visto troppo in quel castello, ed i ricordi positivi -le grandi avventure con Ron ed Hermione, il suo primo bacio, la sua prima partita di Quidditch- non riuscivano a superare quelli negativi.
Si stupì pensando a come era automatico, per i suoi piedi, camminare svelti e sicuri lungo quei sentieri, calpestati centinaia di volte. Osservò Alphard e Teddy dietro di loro, mentre uno spiegava all'altro il funzionamento delle barche magiche che attraversavano il Lago. Si girò poi verso Hermione e Ron, sorridenti e innamorati come per la prima volta. Sorrise ad entrambi.
«E' bello tornare» ammise sincero.
Hermione sorrise a sua volta, annuendo.
«E' sempre bello» precisò Ron, prima di indicare un punto del cortile. «"E' leviooosa, non leviosaaaa"»
Hermione lo fulminò con gli occhi. «Ti avrei ucciso se ne fossi stata capace, Weasley, sappilo»
«Eddai, quante volte ancora devo dirti che mi dispiace! Ero un ragazzino stupido»
«Guardate!» esclamò emozionato Harry, fermandosi davanti una teca di vetro. Dietro c'erano tutte le coppe ed i premi vinti dai migliori giocatori di Quidditch: accanto a suo padre, c'era anche il suo nome. Sorrise tra sè, felice.
«Harry! Ron, Hermione!» esclamò a gran voce un enorme e felice Hagrid. Camminava con una lieve zoppia, causa delle sua ossa gigantesche, e si aiutava con un bastone. La barba ispida e i folti capelli erano ingrigiti dal tempo che passava inesorabile, anche per un mezzo gigante. Il trio abbracciò all'unisono l'omone, come ai vecchi tempi.
«Harry! Pensavo di aver preso un abbaglio...cosa ci fai qui?»
«Sono stato costretto» precisò ironico Harry, prima di indicargli Alphard dietro di loro. Hagrid sbiancò qualche istante, spalancando appena la bocca.
«Per la barba di Merlino...sei identico a tuo padre!» esclamò Hagrid, abbracciandolo.
Alphard rise, ricambiando la stretta. «Me lo dicono tutti»
«Accidenti...Alphard, vero? Sei proprio uguale a tuo padre, dico davvero. Spero non scapestrato come lui: insieme a suo padre, erano un mix letale» precisò Hagrid ridendo e lanciando un'occhiata a Harry «erano più i giorni che passavano in punizione che quelli passati a lezione! E quel povero Remus faceva sempre da tappabuchi» precisò, sorridendo verso Teddy che, imbarazzato, gli vennero i capelli rosso fuoco.
Gli altri ridacchiarono e persino Harry sorrise.
«Hagrid, ora scusaci ma dobbiamo andare dalla Preside» annunciò Alphard.
«Oh si si, certo, andate pure...ma prima di andare via passate a prendere un thè da me!»
Ripresero a camminare, superando l'ingresso, davanti la Sala Grande, e riprendendo la strada verso l'Ufficio del Preside. Alphard sorrideva tra sè e si guardava intorno come se avesse già visto quel posto: ma non aveva studiato all'estero?
«Conosci Hogwarts, Alphard?»
«Chiamami Al, Harry. No, comunque, come ti dicevo io ho studiato all'estero»
«Eppure ti guardi intorno come se avessi già visto questi corridoi»
«In un certo senso...» precisò l'uomo, lanciando un'occhiata divertita a Hermione, senza apparente motivo.
Arrivati davanti al gargoyle di pietra posto alle porte dell'ufficio, i tre si guardarono incerti: qual'era, adesso, la parola d'ordine? Fu Teddy a rispondere loro.
«Montrose Magpies!»
«Ma certo, dovevo immaginarlo...la squadra preferita di Minerva» brontolò Hermione, seguendo Alphard e Teddy verso l'Ufficio. Ron li seguì ma Harry rimase impietrito davanti le scale d'ingresso. Chiuse gli occhi, cercando di ricordare momenti felici, ma riusciva solo a ricordare l'assassinio di Silente, di Piton, i suoi ricordi nel pensatoio, Voldemort nella Foresta che lo attendeva.
«Harry...» Ron lo richiamò, fermo davanti a lui.
«Ron...non ce la faccio» ammise in un sussurro, la voce tremante.
Ron sorrise dolcemente e gli circondò le spalle. «Lo so che è dura, Harry, io ti capisco...ma puoi farcela. La McGranitt non vede l'ora di vederti sai? Ah, magari alza un pò la voce che ho la sensazione sia mezza sorda»
Harry rise appena, sollevato, quindi insieme salirono nell'Ufficio del Preside.
Tutto era rimasto fermo ad anni prima: il Cappello Parlante, il Pensatoio, persino il trespolo di Fanny era ancora lì, al suo posto, senza la sua proprietaria. I quadri lo salutavano con entusiasmo, e si fermò un istante a guardare Alphard che discuteva animatamente con Phineas, il suo trisavolo o giù di lì.
«Se non fosse che sei un quadro ti avrei già preso a pugni, zio»
«Insolente mezzosangue! Sei tutto tuo padre, lo stesso caratteraccio!»
«Phineas...può bastare, non credi?»
Harry deglutì, sentendosi gelare il sangue. Si girò lentamente verso la parete opposta, dove un sorridente Silente lo guardava da oltre gli occhiali a mezzaluna.
«P-professor Silente...»
«Ciao Harry, chi non muore si rivede!» esclamò il quadro, ridacchiando.
Come si poteva ironizzare sulla morte in quella maniera? Forse solo Silente poteva. Harry fece per dire qualcosa ma qualcuno si schiarì appena la voce. Una voce acuta come quella di un gatto che miagolava per attirare l'attenzione. Si volsero tutti verso la Preside della scuola, seduta oltre la scrivania.
«Professoressa...»
«Harry...»
Si abbracciarono con entusiasmo, sorridendosi l'un l'altro.
«Ci voleva Alphard per farti rientrare in questa benedetta scuola, vero?»
«Lei...conosce Alphard?» chiese Harry, confuso.
«Temo di sì, caro. Più o meno da quando conosco te»
Harry si volse verso Alphard, mortificato, poi verso il quadro di Silente, che sorrideva.
«Ancora adesso continua a nascondermi segreti, professore?» chiese ironico.
«Oh non prendertela Harry, te ne prego. Era per il vostro bene. Suo, soprattutto. Come nel tuo caso, Alphard era un bambino "scomodo" ed ha dovuto nascondersi a lungo. Ha saputo della sua vera identità ben più in là degli undici anni, ed è cresciuto praticamente da solo, senza parenti o amici che gli potessero rivelare la sua vera identità»
«Avanti Minerva, se la metti così sembra davvero una storia tragica» ironizzò Alphard, sfiorando appena un dormiente Cappello Parlante, curioso.
«Ma lo è, caro! Sapessi come mi sono sentita in colpa, per tutti questi anni...e la povera Emmeline, e Sirius...» mormorò una commovente McGrannitt, la cui vecchiaia aveva rammollito come una bambina di cinque anni.
«Su su Minerva, animo! Alphard è sano e salvo, tutto è andato come previsto» precisò allegro Silente «Piuttosto...perchè non illustrate qualcosina ad Harry? Lo vedo alquanto confuso»
Minerva fece segno ai cinque di sedersi, quindi sospirò.
«Eravamo nel pieno della seconda battaglia per Hogwarts, ed Emmeline era devastata dal dolore...»
«No» interruppe subito Alphard, serio «Minerva, se permetti...vorrei essere io a raccontare tutto. Dall'inizio. Come mi è stato raccontato, e come io stesso ho visto con i miei occhi»
Harry spalancò appena la bocca. «Visto? Come?»
«Ci sono molti modi di vedere le cose, Harry...» precisò Alphard, facendo un occhiolino ad Hermione, la quale sorrise imbarazzata.
Poi, ad Harry, si accese finalmente una lampadina. «Una Giratempo? Ma sono andate distrutte!»
«In Inghilterra, forse...ma non nel resto del mondo» precisò Alphard ironico. «Ora...se non vi dispiace...devo raccontarvi una storia di amicizia e amore. La magia più potente del mondo...»




Angolo dell'Autrice_
Bentrovat*! Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto :) Ho aggiunto delle piccole "note personali" alla storia, come ad esempio la tomba di Fred a Hogwarts o la parola d'ordine per l'Ufficio del Preside. Sono piccole aggiunte che coloreranno la mia storia, e che spero vi piaceranno.
Che dirvi, fatemi sapere che ne pensate di questo piccolo assaggio...Stay Tuned!
<3
  
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