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Autore: Jordan Hemingway    05/01/2019    1 recensioni
Una città di cacciatori. Una faida secolare tra Gilde rivali. Una creatura che può essere avvicinata solo in sogno, due nemici giurati uniti da un incantesimo sbagliato e una coppia di impostori pronta a tutto pur di salvarsi la pelle.
Se i sogni si mischiano alla realtà tutto diventa possibile.
La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul sito, ‘Cronache di Cacciatori’
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 5 Shadows

 

 

“Gli archi non bastano” sentenziò Tales scuotendo la testa. “Servono balestre.” Si girò verso Gerda che in quanto capo – autonominato – della spedizione per Chiras stava esaminando alcune picche dall’aria usurata.

“In che cosa spendiamo i soldi destinati all’armeria?” Si lamentò gettando da parte un’asta scheggiata. “Che ne dici delle balestre per i draghi? Sulle loro condizioni potrei impegnare mia madre.”

“Tua madre si è già impegnata in un bordello tre volte per pagarsi da bere” le ricordò Petyr.

“Troppo pesanti: dovremmo usare dei muli per portarcele dietro e le Sfingi ci sarebbero addosso subito se mancassimo il bersaglio.” Tales si grattò il moncherino: nonostante fossero passati anni dalla perdita del braccio a volte provava ancora la sensazione di averlo appena lasciato sul campo di battaglia.

Di solito capitava nei momenti di maggiore tensione.

“Ci saranno addosso in ogni caso, perché preoccuparsi di un paio di balestre su ruote?” Gerda incrociò le braccia. “Ci sarebbero quelle normali, ma…”

“Con frecce rinforzate andranno bene” la interruppe il Minotauro. “Basta che siano in grado di penetrare la pelliccia di un orso, che da quel che ricordo è quasi uguale a quella di una Sfinge.”

“Non avremmo dovuto accettare.” Petyr era seduto in disparte, accanto a una rastrelliera, e sembrava occupato a finire la maggior quantità di vino nel minor tempo possibile. “Che cosa si sarà bevuto il vecchio questa volta?”

Gerda alzò un sopracciglio. “Qualcosa di meglio del tuo veleno per topi.” Indicò la bottiglia del Guercio, il quale la ignorò e proseguì nella sua esposizione.

“È diventato pazzo,” ingollò un altro sorso, “anni fa avrebbe fatto scuoiare chiunque si presentasse con una richiesta non ragionevole, senza badare ai soldi: Sua Grazia di Chiras non avrebbe nemmeno messo piede a Colle Storto.”

“Dovresti evitare di bere, Guercio.” Una voce alle loro spalle fece sobbalzare le tre Luci. “Diventi pesante” lo informò Corin Lance, appena entrato nell’armeria con una faccia che prometteva tempesta – ma non verso di loro, dato che come prima cosa si versò in gola metà del contenuto della bottiglia di Petyr.

“Il vecchio è impazzito” annunciò lasciandosi cadere su una sedia. Il Guercio annuì con passione e si fece avanti per riprendersi la bottiglia. “Più della metà delle Luci lasceranno Colle Storto per andare a Chiras.”

“Impossibile!” Perfino Gerda era attonita. “Se succedesse qualcosa…”

“Ve l’ho detto: con l’età è diventato pazzo” biascicò Petyr esaminando la bottiglia ormai vuota. “Da quanto tempo è in circolazione, voi lo sapete?” Domandò guardandosi intorno. “No, perché nessuno lo sa!” Concluse trionfante.

“Perché a nessuno interessa.” Corin chiuse gli occhi.

“Nessuno ricorda di averlo mai visto giovane.” Petyr abbassò la voce. “Nemmeno il decano degli scrivani del Sindaco.”

“Sarà stato più furbo degli altri.” Corin si passò una mano sulla fronte. “È la prima volta che lo vedo in questo stato: sembra certo che la spedizione e i soldi siano sicuri.”

“Ha mai sbagliato a valutare una caccia?” Tales sperò che il nervosismo nella sua voce passasse in secondo piano.

“Mai.” Gerda giocherellava con una spada da allenamento. “Nemmeno una volta.”

“Perché dovrebbe sbagliarsi proprio questa volta?”

“Già. Perché?” Corin scrollò le spalle. “Forse ha ragione lui, mi preoccupo troppo.” Si alzò e si avvicinò a Tales. “Entro due giorni voglio tutti i preparativi conclusi. Potete prendere quel che volete: balestre, reti, qualunque cosa tu pensi possa servire contro quelle figlie di puttana.”

“Sì capo.”

“Conto su di te Monco. Anche se sei ancora un novellino hai dimostrato di sapertela cavare bene in questi mesi.”

“Il capo spedizione sarei io” ricordò Gerda stizzita ma Corin era già sulla porta.

“Non deludetemi.”

Prima che se ne andasse il Guercio parlò. “Credo più al fantasma di Bill il succhiacazzi che all’identità di Sua Signoria.”

Corin si girò. “Vai a cercarlo allora. Un fantasma è proprio quello che manca a questa spedizione.”

 

 

Quando Cecilia entrò nel sogno la seconda volta capì subito che le cose si sarebbero fatte interessanti.

Questa volta il mondo onirico sembrava in balìa di una tempesta: nonostante non ci potessero essere né lampi né tuoni la sensazione era quella, come se ci fosse qualcosa che distorcesse il tessuto di cui era composta quella dimensione.

Oltre ai corvi naturalmente.

Centinaia di corvi immobili, gli occhi vitrei e i becchi ancora spalancati: bloccati prima di avere il tempo di crocidare per il terrore.

La donna accarezzò un paio di ali spalancate cercando di controllare i conati che iniziavano a salirle dallo stomaco. Come faerie Cecilia possedeva la capacità di scindersi in uno stormo di corvi, quindi era affine a loro per natura ma non era solo questo: c’era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quel sogno, come se ondate di marciume tentassero di farsi strada nelle menti di chi era presente in quel momento.

Era ripugnante e Cecilia non era sicura di poterlo sopportare senza danni per molto tempo.

“Apprezzo lo sforzo ma non il tuo stile” dichiarò al nulla. “Ragione per cui non tornerò indietro.”

Un sibilo la fece voltare di scatto ma dietro di lei c’erano solo altri corvi morti.

“Hai paura.” Questa volta il sussurro era a un passo dalla sua nuca. “Stai cercando in tutti i modi di respingere la mia tempesta perché non sai che cosa aspettarti.”

“So per certo che non sarà nulla di buono.” La faerie lottò contro i tremiti innaturali che iniziavano a scuoterla. Quella non era solo paura: forse la Medusa aveva iniziato ad attaccare la sua mente.

“Ce ne hai messo di tempo per accorgertene” rise la creatura. Cecilia si concentrò sul proprio respiro: sapeva che la pozione di Rayla conteneva elementi in grado di rafforzare le sue difese mentali, ma se gli attacchi fossero continuati sarebbe stato tutto inutile.

“Sono colpita: pensavo che la tua categoria si limitasse a minacciare con veleno di serpenti e sguardo di pietra,” si complimentò cercando di guadagnare tempo, “o anche questa è una diceria di chi vi trasforma?”

“Serpenti per capelli, denti che dilaniano e occhi che tramutano in pietra: le paure degli uomini antichi.” Ora la Medusa si trovava accanto a lei, ma la sua forma era ancora quella della ragazza pensosa in riva al lago. “Il primo di loro a creare questa maledizione ha voluto dare corpo a quelle leggende, i suoi successori si sono limitati a tramandarne la forma. Questa,” indicò se stessa con un sorriso amaro, “non esiste più nella realtà.”

Suo malgrado Cecilia si trovò a chiedere: “C’è mai stato un modo per…”

“La maledizione è irrevocabile: vivere in eterno nella forma che ci viene data oppure morire per mano di qualcuno troppo stupido per pensare al pericolo.” Guardò Cecilia: “Se pensavi di giocare la carta della salvatrice, scordatelo.”

“E non vorresti…,”la faerie esitò, “che quel qualcuno lo facesse davvero? Che ti uccidesse?”

Si ritrovò immobilizzata: la Medusa le passò le dita sul viso. “Questo è davvero stupido. Nessuno vuole o può davvero uccidermi: nemmeno tu.”

“Che cosa ne sai?”

“Io so tutto di te.” Le dita della Medusa si spostarono sui ricci di Cecilia. “Vedo chi sei, che cosa hai fatto, quello che vuoi fare, quel che hai di più prezioso… La tua maga dei sogni dovrebbe riconsiderare il potere dei suoi incantesimi: un mazzo di foglie secche sarebbe stato più difficile da abbattere.”

Il mondo roteò attorno a loro e prese le sembianze di una casa. Scaffali colmi di libri, una scrivania, mappamondi e mappe attorno a una ragazza curva su di essi.

“Tua sorella? Che creatura graziosa,” commentò la Medusa. “Sarebbe un peccato se qualcuno si infilasse nei suoi sogni.”

Contrariamente ad ogni aspettativa Cecilia sbottò a ridere.

“Provaci, ma non te lo consiglio: l’ultima volta che qualcuno ha cercato di entrare nella testa di mia sorella ci ha quasi rimesso la vita.” La donna si rese conto che la stretta mentale della Medusa si era allentata e ne approfittò per liberarsi. “Dopotutto la pozione di Rayla non è da buttar via.”

“Tu…”

“Guarda tu stessa.” Cecilia si fece avanti e afferrata una mano della Medusa la posò sulla propria fronte. “Se vuoi sapere qualcosa su di me basta chiedere. Ricordalo per la prossima volta” le disse mentre sentiva la realtà trascinarla di nuovo nel suo mondo.

 

 

“Abbiamo visite” la informò secca Rayla al risveglio.

Cecilia si raggomitolò nel pagliericcio. “Dì a Tales di tornare un altro giorno: voglio dormire sul serio.”

“Se entro tre giorni non avrò quella Medusa dormire sarà tutto quello che potrai fare.” La voce, roca e indubbiamente maschile, ebbe il potere di far alzare di scatto Cecilia e farle sbattere la testa contro un’asse. “Princeps Johannes. Pensavo foste rimasto a Mallérs per…”

“Per le riparazioni?” Il vecchio alchimista si alzò dalla sedia in cui Rayla lo aveva – suo malgrado – fatto accomodare. “La mia tenuta è distrutta: le mie piante sono morte, la mia collezione di libri bruciata: ci vorranno anni prima di rimettere le mani su almeno una piccola parte di quello che tu hai devastato.”

“Un semplice malinteso, ve l’ho già spiegato…”

“Taci.” Princeps Johannes chiuse gli occhi: senza le due fessure color ghiaccio la testa del vecchio era in tutto e per tutto simile a una noce rugosa. “Sono venuto qui per accertarmi che la mia Medusa venga catturata in tempi brevi. E che cosa ti trovo a fare?” Indicò il letto di fieno. “Dormire.”

“Dormire e sognare sono due cose diverse” intervenne Rayla, il cui profilo sembrava più severo del solito – Cecilia ricordò che tra maghi e alchimisti non scorreva buon sangue – affondando le mani nelle tasche della tunica. “Mi aspetto che un Principe Alchimista lo sappia.”

“Attenta a come parli, strega.”

“Ho capito, ho capito.” Cecilia si affrettò a interrompere quello che sembrava l’inizio di una strage. “Devo sbrigarmi. Che ci crediate o meno, Princeps Johannes, mi manca poco.”

“Vorrei sperarlo.” Rayla storse la bocca. “Con quel che mi costano gli ingredienti della tua pozione. E devo ancora vedere il mio pagamento.”

“Anche per quello siamo a buon punto” assicurò Cecilia avviandosi verso la porta.

“Dove credi di andare?” Johannes puntò il suo bastone contro la sagoma di Cecilia. “Voglio quella Medusa entro tre giorni altrimenti lascerò che il Nero ti distrugga. Sono stato chiaro?”

“Entro tre giorni voglio Corin e Valdemar, mi hai sentita?” Ribadì a sua volta Rayla.

Cecilia indietreggiò fino a raggiungerli e li guardò negli occhi – e poiché la faerie sovrastava di almeno due teste il vecchio Johannes quest’ultimo si sentì vagamente a disagio: “Ho scalato montagne, impersonato contesse, bevuto intrugli disgustosi, pianificato rapimenti e affrontato creature squilibrate per farvi contenti: non potreste mostrare un minimo di comprensione?” Scosse la testa. “Fra tre giorni avrete quel che volete – ammesso sia veramente quel che volete,” fissò Rayla con intenzione, ma la maga non si scompose, “lasciatemi lavorare e vedrete,” concluse uscendo.

Johannes si schiarì la voce. “Mi domando perché l’ho lasciata in vita.”

“Ogni tanto me lo chiedo pure io” concordò Rayla.




Salve: ho deciso di concludere la pubblicazione di questa storia dopo quasi un anno di assenza da efp. Purtroppo per motivi personali faccio ancora fatica a rileggerla/ricordare eventi successi mentre la scrivevo, quindi pubblicherò tutto in un colpo e senza ricontrollare. Sorry not sorry.
Grazie a Nirvana_04 la cui recensione mi ha incoraggiato a concludere la pubblicazione (e a chiudere il cassetto). 
La soundtrack potete trovarla qui : 
https://www.youtube.com/watch?v=JGCsyshUU-A (se i violini non esistessero il mondo non dovrebbe esistere).

  
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