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Autore: G RAFFA uwetta    07/01/2019    0 recensioni
Un’antica maledizione bussa alla vita del giovane Auror Harry Potter sfiorandolo, quasi derisoria. Ma il Fato è capriccioso e ha in serbo per lui ben altro. Attraverso i chiaroscuri dei suoi ricordi, torneranno a galla verità nascoste e faranno male, quasi quanto pronunciare: Avada Kedrava.
‘L’eternità giace in chi ha memoria.’ – uwetta.
Dal testo: “— Ho l’impressione che ci sia qualcuno che non dovrebbe essere qui, — aveva risposto all’amico, senza smettere un secondo di guardarsi in giro preoccupato. — Quanto sei paranoico, Harry! Vabbè che hai vinto il premio come miglio Auror dell’anno, ma adesso esageri! Chi vuoi che sia così pazzo da pensare di potersi mettere contro di loro, — aveva indicato la sala gremita di gente, mentre gli poggiava il braccio intorno al collo in un goffo abbraccio. — Goditi il momento, — poi l’aveva trascinato con sé.
— Imperio! — aveva sibilato sottovoce qualcuno: gli occhi di Ron divennero vacui mentre con estrema lentezza estraeva la propria bacchetta.”
Tutte le riflessioni sulla psiche sono mie personali considerazioni.
Presenza accennata di Bondage e di violenza. Pre-slash.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Narcissa Malfoy, Ron Weasley | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Harry, Harry/Ginny
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller



Cap. 1 – Il passato immerso nel bacile di un Pensatoio

La stanza era in ombra, solo in un punto preciso la tenue luce, che traspariva dai tendaggi pesanti, accarezzava il pavimento. Regnava un fosco silenzio, caliginoso e impenetrabile come la spessa nebbia londinese di fine estate. Non era stata una brillante idea quella di tornare lì, ma lo doveva a se stesso e a tutto ciò che di buono e positivo aveva vissuto tra quelle mura.



Voglio le pareti tutte bianche, — aveva cinguettato Ginny mentre faceva scorrere un dito lungo il bordo tarlato della finestra, — mobili essenziali e il pavimento con mattonelle color pesca. — Harry l’aveva guardata aggirarsi radiosa per la piccola casa, soffermarsi in più punti e gesticolare impaziente assieme al giovane architetto fresco di laurea; era stata volontà della ragazza abitare nel mondo Babbano, e Harry si era adeguato con gioia. — Tu che dici, Harry? — Ginny l’aveva guardato con occhi luminosi, trepidante, tra le mani un campionario di tessuti dalle mille sfumature. — Mi rimetto alla tua volontà, — le aveva sorriso innamorato. — Non dimenticarlo, — aveva risposto seria, — mai.

Se solo si fosse accorto in tempo della bieca luce che sonnecchiava inquieta tra le ciglia socchiuse degli occhi di Ginny.



Fece un altro passo e si fermò al centro della pozza chiara, voltando le spalle alla finestra. Chiuse gli occhi e, trattenendo il respiro, cercò di arginare, come gli aveva insegnato lo Psicomago, il terrore che ancora oggi lo assaliva quando serrava le palpebre. — Un lutto, di per sé, è facile da superare, — gli aveva ripetuto pazientemente il dottor Lethargie Taubheit1 fin dalla loro prima seduta. — Ciò che la nostra mente non accetta è l’idea di colmare nuovamente ‘il vuoto’ che si crea perché ‘i ricordi’ cosiddetti perduti’, nella nostra testa, diventano un ‘per sempre’, poiché riteniamo che ‘chi non c’è più’ non possa, per ovvie ragioni, aiutarci a rielaborarli. — Harry scosse piano la testa, il fiato diligentemente sotto controllo, le dita serrate intorno alla propria bacchetta.



Sei splendida. — Harry l’aveva baciata sulla punta del naso e stretta un po’ più forte, allineandola al proprio corpo solido mentre ballavano al centro della stanza con il vestito bianco in pizzo prezioso illuminato dalla luna. L’aveva spogliata con esagerata lentezza, studiando ogni anfratto, ogni piega della sua giovane e profumata pelle, si era inebriato di ogni ansito, di ogni carezza, di ogni bacio che si erano scambiati; l’aveva amata con l’ardore della passione e la tenerezza dell’inesperienza.

Catturato dall’onda del proprio orgasmo, aveva strizzato le palpebre cosicché non si era accorto delle iridi della moglie diventate luminose come i bagliori dell’inferno.



La bacchetta tra le dita si illuminò brevemente e, in un nugolo di polvere, le tenebre si squarciarono. Harry attese pazientemente che il cuore rallentasse la sua corsa, fissando ostinatamente il chiarore che oltrepassava la cortina delle lunghe ciglia nere. Una volta riaperto gli occhi, non aveva idea di cosa si sarebbe trovato di fronte, di cosa quella stanza gli avrebbe restituito, nonostante i suoi ricordi indossassero le vestigia di tetri incubi, poiché nessuno dei suoi vecchi amici gli aveva più parlato da allora. – O per lo meno nessuno di quelli che per lungo tempo ho ritenuto la mia famiglia. – Sospirò amareggiato.



Tu credi nel futuro? — Ginny, splendidamente fasciata in un tubino nero, stava litigando con la clip di un raffinato girocollo davanti allo specchio; lo stava osservando quieta, in attesa della sua risposta. Harry, confuso, si era grattato la cicatrice, in un gesto così abituale da passare inosservato. — Per un lungo periodo ho temuto di non averne uno, — le aveva spiegato incerto, — ma da quando ho scoperto di amarti sei stata tu al centro di ogni cosa — Harry aveva distolto lo sguardo, arrossendo imbarazzato. — Perfetto, — la voce contenuta di Ginny era sporcata da una sfumatura bieca, quasi irrisoria, — allora sarà più facile del previsto, — aveva esclamato enigmatica uscendo dalla camera.

Harry, disorientato, era rimasto impalato per parecchi minuti nell’atto di infilarsi la giacca scura della divisa di gala.



Aprì gli occhi di scatto e sbatté le ciglia più volte per mettere a fuoco il muro di fronte. Impietrito, piantò le iride di un verde cupo negli occhi fiammeggianti della sua Ginny, rinchiusa in una cornice rosicchiata dal fuoco.

Quel quadro era stato l’unico vezzo imposto da Harry nella loro camera matrimoniale fin troppo minimalista. Ritraeva la ragazza davanti a un laghetto, china verso le papere, in un giorno qualsiasi della loro vita insieme. Non c’era stato un vero motivo per scattare la foto, ma Harry aveva sentito il desiderio di far sapere a tutti quanto quella donna lo stesse rendendo felice.

Ora, era solo una lastra immobile, il fuoco ne aveva prosciugato tutta la magia, con il volto della moglie deformato dall’odio che spiccava ghignante sulla parete sporca di sangue.

Deglutì a vuoto.



Suvvia, Harry, non sei nemmeno un po’ curioso? — Ginny, rannicchiata sul lungo divano bianco, stava sfogliando distrattamente una rivista Babbana dimenticata da Hermione due settimane prima. — Cloe, quella signora attempata che alleva formiche e vende profumi per gatti in fondo alla strada, mi ha confessato che lo fa spesso per vivacizzare il proprio matrimonio. — Harry, per nulla interessato, si muoveva avanti e indietro per la stanza recitando a mezza voce il discorso che avrebbe tenuto quella sera alle nuove reclute. — Mi ha detto, — aveva continuato leggera, mentre con la coda dell’occhio non perdeva un solo movimento del marito, — che è normale, all’inizio, provare un po’ d’imbarazzo. — Aveva cercato di rassicurarlo con voce zuccherosa e suadente: — Non c’è niente di vergognoso nell’ammetterlo. — La donna si era allungata languida arcuando la schiena e spalancando le cosce snelle; sembrava stesse galleggiando in una pozza lattea.

Harry, distratto, si era fermato a un passo dalla finestra, i fogli di pergamena stretti tra le dita. — Ammettere cosa? — aveva chiesto soprappensiero; Ginny era uscita dalla stanza impettita e lui, quella notte e alcune a seguire, era stato costretto a dormire nella stanza degli ospiti.



Tutto attorno a lui era desolazione ed era stato lui l’involontaria causa di tutto quello; gli si strinse così forte il cuore che pensò di percepire distintamente il pianto disperato della propria anima. Fece un giro su se stesso e gli occhi accolsero soltanto distruzione.

Dove un tempo c’era il letto, su cui aveva dormito e amato la sua Ginny, rimanevano tre assi in croce e la sagoma indistinta del materasso; macchie scure, come schizzi di un artista impazzito, imbrattavano le pareti un tempo bianche come la luna d’inverno, e la cenere nera e pesante era disseminata ovunque.

La sua mente si rifiutava di riconoscere quel luogo, eppure, l’abitudine a viverlo gridava a pieni polmoni che sì, quella stanza era stata l’alcova di un amore genuino e puro, finché il morbo, che stava crescendo all’insaputa di tutti nel corpo di sua moglie, ne aveva divorato l’anima.

Si inginocchiò preda della vertigine ed ebbe un conato: quello su cui poggiavano le ginocchia era l’esatto punto in cui Ginny o, meglio, la sua versione indemoniata, stava eretta un secondo prima che la sua magia involontaria l’uccidesse; il sole impietoso delineava ogni ruga del pavimento.

Sbatté forte i pugni in terra e urlò.

Perché? — chiese all’aria, forse sperando che il bastardo che un tempo dimorava nella sua testa gli desse un segno. — Che tu sia maledetto! — sibilò furioso, — Che la mia ira ti possa raggiungere ovunque tu sia!

Gli rispose solo il fruscio del silenzio che, imperturbabile, lo avvolgeva come un guscio.



Ti fanno male? — aveva chiesto con fare scientifico Ginny mentre stringeva, con un colpo calibrato della bacchetta, dei nastri neri ai polsi e alle caviglie di Harry; il moro, a disagio, aveva bofonchiato tra i denti mezze parole. — Non è stato poi così difficile, — aveva aggiunto la ragazza sorridendo soddisfatta al corpo bloccato del marito, — vedrai che ci divertiremo. Di certo io sì! — aveva puntualizzato sfregandosi maliziosa le mani.

Harry era sdraiato nudo sul letto matrimoniale, le braccia e le gambe divaricate in modo quasi osceno, gli occhi spalancati fissi al soffitto. Non si capacitava di come era riuscito a cacciarsi in quell’assurda situazione, di quando sua moglie era riuscita a strappargli il consenso per quella follia. Era sempre stato una persona semplice, lui, dai gusti modesti e dalle esigenze ancora più umili. – Non è di certo colpa mia se il Mondo Magico mi ha eletto come “suo eroe”. – A quel pensiero aveva scosso la testa sprofondando il capo nel cuscino.

Dalla stanza attigua sua moglie non aveva smesso un attimo di parlare. — ...c’è una parola di sicurezza da concordare. — A Harry si erano rizzati immediatamente tutti peli: belli e fieri come soldatini davanti a un plotone d’esecuzione. — Sono così eccitata, è da sempre che aspetto questo momento! — Rassegnato al suo destino, Harry aveva sentito un brivido freddo esplodergli in testa, nel punto in cui c’era la cicatrice a forma di saetta, quando Ginny era apparsa nel suo campo visivo a lato del letto. — Ma che? — aveva farfugliato sbigottito, il corpo che reagiva entusiasta al vestitino succinto e provocante indossato dalla moglie.



Giaceva a terra, forse da ore, raggomitolato su se stesso come una matassa di lana grezza, le dita artigliate nei capelli scuri. Gli dolevano i muscoli, troppo tesi nell’inutile sforzo di non cedere ai ricordi, e la testa gli sembrava un pallone malamente gonfiato che galleggiava a mezza strada verso la pazzia. – Sei stato folle a tornare qui, – sembravano accusarlo gli occhi rossi e immobili nella foto. – se solo Merlino mi desse un’altra occasione, ti ridurrei a un grumo spugnoso di carne.

Harry rabbrividì. C’era sangue ovunque, quel lontano giorno, che sgorgava corposo dalle ferite, come mille foci nel deserto rovente.



In via del tutto precauzionale, il primo colpo gli era stato inferto sulla spalla con un flogger2. “Per saggiare la resistenza dei lacci,” aveva motteggiato la moglie mentre leccava la punta della sua bacchetta con la lingua, gli occhi socchiusi in modo seducente. Il secondo era esploso alla base dello scroto, tra le cosce spalancate di Harry, nel punto più sensibile di ogni uomo. Il corpo del moro, seppur trattenuto al materasso dai lacci, era schizzato verso l’alto inarcandosi fin quasi a spezzare la spina dorsale; non era riuscito a emettere alcun suono, sebbene avesse la bocca spalancata come il becco di un pulcino affamato; gli occhi due pozzanghere bianche.

Così non va, — aveva sibilato Ginny, scuotendo piano la testa, — troppo facile. — Con un complicato gesto del polso gli aveva lanciato addosso un incanto sconosciuto che gli aveva immediatamente ‘sciolto la lingua’3, permettendo ai suoni dentro la sua gola di liberarsi nella stanza. — Perfetto! — aveva sorriso compiaciuta, incurante dello sguardo di terrore che liquefaceva i lineamenti pallidi del marito.

Da un fodero allacciato sulla coscia sinistra, aveva estratto uno stiletto d’argento magico dalla lama particolarmente sottile, l’aveva fatto roteare tra le dita, mentre i suoi occhi scorrevano languidi lungo le forme scolpite di lui. Con un guizzo degno di un cobra, glielo aveva conficcato nella carne del polpaccio, così profondamente, da inchiodare la gamba al legno sotto al materasso: Harry aveva emesso un solo grido, amplificato dall’incantesimo.



Vomitò bile e un filo di bava penzolava irrisorio dalla bocca del moro. Come allora, Harry tremava tutto, come se il tempo si fosse dissolto e lui fosse ancora là, sul letto sfatto in balia della lucida crudeltà della moglie. Nella sua testa era ancora tutto così nitido: la furia granitica di Ginny, per nulla smussata, il dolore così solido, tangibile lungo ogni terminazione del corpo, fin dentro le cicatrici che gli decoravano la carne. Teneva gli occhi spalancati, impossibilitati a richiudersi perché era troppo orrendo quello che il buio celava.

Piangeva, Harry, come un animale agonizzante, inerme davanti al proprio carnefice.



Quante storie, ‘Sopravvissuto’, per due miseri taglietti. Dimmi, — l’aveva canzonato la voce gelida di Ginny, — dove sono finiti la tua arroganza, il tuo entourage, la tua vigliacca Fortuna sempre pronta a tirarti d’impaccio? Dimmi, o eroe, chi sacrificherai per la tua Salvezza? — aveva riso sprezzante, dispensando Cruciatus come fossero Cioccorane.

Harry, immobilizzato su quel letto da giorni, aveva ferite infette disseminate ovunque sul corpo di un pallore cadaverico, respirava a fatica attraverso la bocca, mentre l’ennesimo rivolo di sangue si era già incrostato alla base del naso. Tutta la sua persona tremava, scossa da marosi di dolore e terremoti di terrore, fin dentro l’anima; non aveva più lacrime, non aveva più voce, solo finissima polvere al posto del cuore.

Attraverso l’occhio sano, l’altro era uno scuro coagulo informe, non perdeva di vista la sagoma indistinta di sua moglie, troppo annichilito e sfinito per accettare la cruda realtà.

Quando era stato ferito la prima volta, aveva urlato a pieni polmoni la frase concordata “Lord Voldemort è il mio Signore e Padrone4, sperando così di fermare l’insania che sembrava aver investito sua moglie, ma Ginny aveva riso deliziata, fino all’isteria, mentre i suoi occhi sprezzanti si indurivano. A quel punto, nella mente di Harry era esploso l’orrore e la raccapricciante sensazione che il Passato fosse finalmente giunto fin lì per richiedere il proprio tributo. — Non può essere, — aveva sussurrato sgomento e incredulo mentre il folle terrore che l’aveva invaso banchettava con la sua mente.



Si sentiva stremato, la testa doleva e i ricordi gli bombardavano la coscienza minando la sua precaria stabilità mentale. Cercò di alzarsi facendo leva sulle braccia ma quelle cedettero, emotivamente instabile per reggere il suo peso. Rotolò di fianco e finì sotto il quadro; da quella prospettiva Ginny sembrava acquistare una luce nuova, quasi limpida e serena. Sospirò. Lentamente si mise una mano sul cuore, premendo piano finché non l’avvertì galoppare libero.

Era tornato in quella casa per combattere i suoi demoni, per affrontare come un nobile Grifondoro le sue miserie e ripartire da zero con ciò che rimaneva di se stesso.

Avere il cuore infranto non ti impedirà di amare, — gli aveva suggerito lo Psicomago il giorno in cui aveva tentato, per l’ennesima volta, di farla finita. — Sono i cocci dell’anima che ti fanno sanguinare. Quelli sì che sono infidi, — aveva incalzato davanti al suo sguardo dubbioso, — piccole scaglie affilate che ti penetrano il cervello.

Solo ora comprendeva quanto avesse ragione: davanti a quel ritratto tarlato dalle fiamme, capì che non gli riusciva proprio di condannare la moglie, non adesso che sapeva come erano andate le cose, non ora che si affacciava timidamente una nuova vita.



Uccidimi! — Nelle ultime ore, Harry aveva supplicato la moglie perché mettesse fine a quell’agonia. — Ma certo che morirai, — l’aveva assicurato incredula, come se il marito non la ritenesse una donna magnanima, — a tempo debito. — Costretto con la forza a rimanere inchiodato al letto, il moro aveva perso da giorni la sensibilità di ogni terminazione nervosa e il suo cervello era in preda alle allucinazioni; una peggiore dell’altra. Tutt’intorno a lui, c’era odore di morte, di marcio, di bile, e dei miasmi dei suoi stessi escrementi.

Come… Harry si era dovuto fermare per racimolare fiato, la gola che cedeva al passaggio della saliva mischiata al sangue, la mente così scombinata da impedirgli di articolare in modo compiuto. Cosa sei? Infine, con grande sforzo, era riuscito concentrarsi e porle l’unica domanda che persisteva vivida nel suo cervello ottenebrato dal dolore. Ginny, per nulla turbata dalla curiosità del marito, senza battere ciglio, si era girata verso il quadro e aveva sorriso complice alla se stessa che, come riflessa in un Avversaspecchio5, mostrava la sua vera natura.

C’era un che di spaventosamente corrotto nello sguardo che si erano scambiate, tanto che qualcosa di profondamente insito dentro Harry finalmente si era destato annusando l’aria guardinga. Quello sguardo così arrogante, spietato e sicuro di sé era certo di averlo già visto indosso a qualcuno, un essere così spaventoso che l’aveva sepolto sotto cumuli di altri ricordi meno importanti.



Inconsapevolmente, Harry prese ad accarezzarsi il polso facendo scivolare lievemente il polpastrello sul marchio lasciatogli dai denti del Basilisco. Tom Orvoloson Riddle, sei riuscito a devastare la mia esistenza in modi davvero pittoreschi. biascicò ironico, mentre una lacrima solitaria luccicava tra le ciglia scure.



Note dell’autrice: questa storia era nata per partecipare a un contest ma poi, come sempre, i personaggi hanno fatto di testa loro e ne è venuta fuori una long.

Nel mio immaginario, Harry non può assolutamente vivere tutta la sua vita accanto a Ginny. Lui ha un bisogno quasi viscerale di prendersi cura del proprio compagno. Quindi, siete certi di figurarvi la Weasley come una piccola principessa indifesa? Io no di certo! Indi per cui, Draco compare sempre e ovunque, come il prezzemolo.

Buona lettura e sono graditi i commenti.

1Letteralmente, tradotto dal tedesco, letargo torpore

2Piccolo frustino.

3Non è da intendersi letteralmente, semplicemente qualsiasi vibrazione prodotta si sarebbe amplificata nonostante gli eventuali sforzi di soffocare le urla.

4Chi pratica il bondage ( https://it.wikipedia.org/wiki/Bondage ) concorda preventivamente una parola di sicurezza che serve a fermare il dominante quando il sottomesso avverte disagio, o quant’altro lo disturbi, per interrompere il ‘trattamento’. In questa storia, per ragioni di copione, ho calcato la mano facendo dire a Harry una frase intera.

5Lo specchio mostra i propri nemici. Harry, erroneamente, pensa che sua moglie sia posseduta dal giovane Riddle e che il riflesso sia la sua anima già corrotta da Tom.

   
 
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