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Autore: _Bri_    09/01/2019    11 recensioni
[Storia Interattiva - Iscrizioni Chiuse]
Mentre ad Hogwarts si sta svolgendo il Torneo Tre Maghi, da qualche parte, in Inghilterra, esiste un "Giardino Segreto" apparentemente bellissimo ed unico, ma che nasconde ben più degli incanti che lo immergono nel costante clima primaverile. Dodici celle, occupate da dodici creature che il dottor Steiner ha rinchiuso lì. Il motivo è sconosciuto, ma chi vi è rinchiuso dovrà lottare con tutto se stesso, per ottenere la libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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CAPITOLO III
I Ricordi
 
 
“Respira, tesoro mio. Non è successo niente. Sono qui, mi vedi?”
 
Evangeline non riusciva a vedere nulla. Sentiva solo una voce, chiarissima, pronta a fagocitare ogni singolo rumore del luogo in cui si trovava. Ma dov’era? Non lo ricordava
 
“Uno…due…tre…respira Evie, non ti lascio, sono proprio accanto a te”
 
Avvertiva come una bolla pesante e compatta ostruirle i polmoni; frammentata, quella si era poi annodata in ogni alveolo, impedendo al suo corpo di trovare il giusto modo di inglobare l’ossigeno. Ma quella voce, quella splendida melodia che credeva di non poter più sentire, stava scavando dentro di lei, aiutandola a sbarazzarsi di quelle malefiche ostruzioni
 
“Brava…brava la mia piccola Evie. Respira amore mio, che io non posso più farlo”
 
D’improvviso il buio che l’aveva inglobata, prese una vacua forma umana, formata da minuscoli granelli opalescenti. Ma quale orrore, Evangeline provò nel riconoscere i bei capelli di Freya che ciondolavano come uno straccio usato dal suo capo, piegato d’un lato.
Ed il suo collo storto, spezzato da una corda spessa, che tirava in alto il corpo morente.
Ed i suoi occhi, non più vivi, piatti, spenti, persi nei suoi, chiari e ancora vispi.
Avrebbe voluto urlare, ma il respiro faticava ancora ad impossessarsi di lei.
 
-Cara! Respira, sono qui! Respira con me…respira con me!-
 
La voce di Freya s’era piegata, assumendo una sfumatura diversa, ma altrettanto piacevole perché, Evie se lo sentiva, quella voce l’avrebbe riportata alla realtà. La stava salvando.
Così l’orrore lasciò il posto allo stupore, quando l’immagine dell’impiccata assorbì la luce, restituendole l'aspetto di un viso dolce ma accigliato, che la carezzava con preoccupazione. Fu solo a quel punto che Evangeline percepì i polmoni liberarsi totalmente ed il corpo assimilare l’aria, motrice di vita.
Tossì tante volte ed ad ogni colpo di tosse, la mano di Odette era pronta a sostenerla colpendole la schiena per aiutarla a compensare la mancanza d’ossigenazione. Non aveva ben capito cosa fosse successo, Evie. Perché d’improvviso si fosse ritrovata ad annaspare alla ricerca disperata di aria, che l’aveva ridotta in fin di vita. L’unica cosa che riuscì a comprendere, mentre tornava a respirare con regolarità, fu che quei due non erano persone malvagie e che, probabilmente, erano stati rinchiusi proprio come lei.
Un pianto liberatorio si scatenò dagli occhi, mutandosi in singulti aggressivi appena Evangeline si era riappropriata di lucidità. Era entrata in contatto con il suo più grande incubo, che per tante notti non l’aveva abbandonata e che ora si era presentato, più vivido che mai, a riportarla alla realtà si, ma con estremo dolore.
Pianse per l’immagine di Freya, che Freya non era più. Pianse nel ricordare quell’involucro morto, che l’ultima volta aveva visto oscillare dalla Torre d’Astronomia. Pianse perché la caducità dell’essere umano si era palesata a lei con il più temibile dei giochi, strappandole via qualcosa di unico e raro, davvero troppo presto.
Ed Odette sussultò mentre carezzava i capelli della strega, perché con quel tocco aveva involontariamente assorbito parte dei suoi pensieri, immagazzinando il raccapriccio di quell’osceno ricordo.
 
*
 
Aprì gli occhi a fatica. Era assurdo provare quella strana sensazione di riposo, dettata da ore di sonno. William passò una mano sugli occhi, fino a stringere l’incipit del naso percependo una forte emicrania che nell’immediato s’era sostituita al piacevole condizione che un sonno ristoratore gli aveva portato. Accennò ad un sorriso.
Sapeva perfettamente da cosa fosse stato scatenato quel terribile mal di testa, perché esso si presentava, infame, ogni qualvolta William si ritrovava ad utilizzare il proprio potere. Certo, non era la prima volta che Will si fosse ritrovato ad assorbire gli spiacevoli effetti della maledizione cruciatus; gli era andata bene, questo era un dato di fatto, perché sapeva quanto devastante potesse essere l’effetto della maledizione, specialmente se indirettamente assorbito, come era stato costretto a fare.
William non tentò nemmeno di capire dove si trovasse, anche se percepiva un calore diverso rispetto a quello della cella che occupava ormai da parecchi giorni. Ora doveva solo trovare il modo per scacciare quella terribile emicrania, che si annidava in lui come un potente veleno e che avrebbe riportato grandi conseguenze, se non avesse agito all’istante. Con gli occhi chiusi tentò quindi di concentrarsi, per scacciare via l’ultimo granello tossico ed evitare che quello s’espandesse
 
“Ancora non ti sei alzato, pelandrone?! Forza! Ci sono un paio di belle ragazze che ci aspettano!”
 
La voce di Gideon arrivò come un uragano, nella sua mente annebbiata, seguita da quella di Fabian, lievemente più squillante
 
“Già…e poi Molly pretende che passiamo a trovarla; ha due gemelli appena nati da gestire e credo abbia bisogno del nostro supporto”
 
“Dato che noi sappiamo cosa possano combinare due teste calde della stessa età in una stessa casa, no?”
 
William sbuffò ed appiattì il viso contro il morbido cuscino
 
“Ma hanno solo qualche mese…” rispose con voce strascicata ed insonnolita
 
“Ma imparano in fretta!” rispose pronto Gideon, mentre tirava via il lenzuolo di William
 
“E va bene…ma prima le ragazze, giusto?”
 
“Ma certo” si intromise Fabian, sedendosi sul suo letto “abbiamo promesso loro che avresti cantato per noi il tuo ultimo pezzo…e tu sei uno che mantiene le promesse, non è vero Will?”
 
Un sorriso più sincero illuminò il viso di William, mentre sentiva l’emicrania sparire; ma passò pochissimo tempo, prima che un’espressione contrita scosse il volto. Si mise subito a sedere e trattenne la testa con le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia; percepiva quella piccola sfera velenosa staccarsi dallo stomaco e poi risalire con rapidità fino alla carotide, calpestando infine la lingua ed obbligandolo a spalancare la bocca.
William rigurgitò quell’ultimo concentrato di male che, luminoso, si dissolse nell’aria.
Tornò a respirare con regolarità. Assaporò lo stato di benessere che lo aveva appena raggiunto, pensando che quella fosse la droga migliore del mondo. Le iridi chiare, fagocitate dalle pupille che s’erano allargate per il buio della stanza, fissarono un lettino speculare al suo, su cui Cora sembrava riposare serenamente. Non si trovavano nella cella né dell’uno né dell’altra, questo era evidente. Cautamente s’alzò dal letto, altrettanto cautamente s’avvicino con passo morbido a Cora e rimase in piedi, ad osservare i lineamenti docili della giovane Dagenhart, le labbra morbide appena schiuse, per lasciare spazio ad un respiro regolare. Probabilmente era svenuta davanti alla sua luce, succedeva spesso.
William provò dispiacere, ma non sufficiente per scansare la quiete percepita dall’avere liberato il suo corpo da quell’orrore.
Ora stava bene davvero.
 
*
 
Non c’era cosa che lo terrorizzava di più al mondo, che i cani. Nello specifico, Alistair aveva la paura recondita di incontrare un gruppo di cani randagi, feroci, che lo avrebbero attaccato e dilaniato. Per questo quando puntò gli occhi su quel cane di media taglia, seppur docile, Alistair cominciò a tremare più di quanto non stesse già facendo; probabilmente quello era l’inferno, si disse, non sapeva fornirsi nessun altro tipo di spiegazione plausibile in merito. I suoi occhi correvano frenetici da Joshua a quel cane dal pelo candido ed il naso rosa che, gioioso, strattonava appena il guinzaglio per avvicinarsi ad ognuno dei presenti per richiedere coccole in cambio di feste e scodinzolii; il ragazzo pensò, agitato, di essere diametralmente opposto a quel quadrupede. Non era una persona che sapeva fare amicizia, Al, non lo era mai stata; invece quel cane sembrava così felice di ritrovarsi a contatto con tante persone, che ad Alistair saliva la nausea al sol pensiero. Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da Joshua che, stretto nelle spalle, si era avvicinato a lui, ma non era ad Alistair che si era rivolto, bensì a quell’uomo che gli metteva i brividi
 
-Posso togliergli la benda dalla bocca? Sarebbe…più semplice tranquillizzarlo-
 
Robert Steiner s’avvicinò al cane a cui iniziò a dedicare attenzioni, carezzandolo e riempendolo di complimenti. Joshua, pietrificato, attese una risposta affermativa che arrivò poco dopo, così si posizionò davanti Alistair ed incrociò le braccia
 
-Ascoltami…ora toglierò la benda, ma tu non dovrai urlare, né dare di matto in alcun modo, va bene? Dobbiamo collaborare, se vogliamo uscire da qui senza uscire di testa-
 
Alistair annuì con frenesia e trattenne il fiato, quando Joshua sciolse la benda che gli cerchiava la bocca; rimase in silenzio, sebbene sentiva il cuore schizzare fuori dal petto, ma si calmò quando vide i capelli di Joshua virare ad un verde bosco
 
-T-tu hai f-fatto una mag-gia? I tuoi cap-pelli…-
 
Joshua si rese conto che ci sarebbe voluto un bel po’ di tempo, per calmare Alistair anche se aveva appena intuito come avrebbe potuto fare
 
-Non tutti i maghi sanno farlo…io sono un metamorfo, posso cambiare il mio aspetto come voglio…posso anche diventare come te, in realtà-
 
Nonostante Joshua non fosse avvezzo alle chiacchiere, la sua arguzia gli fece intendere che avrebbe dovuto impegnarsi per tranquillizzare Alistair, altrimenti quel babbano avrebbe fatto presto una brutta fine. Purtroppo conosceva bene Robert Steiner, che si era appena rivelato a lui con l’ennesima faccia, diversa da tutte le altre che aveva visto fino a quel momento. Rimandò le elucubrazioni si Steiner, Joshua, perché purtroppo il tempo era poco e lui doveva agire in fretta.
Quando il ragazzo sgranò stupito gli occhietti, Joshua accennò un sorriso
 
-Vuoi che te lo mostri?-
 
-S-si, p-p-per piacere-
 
Detto fatto, Joshua ci mise davvero poco ad assumere le sembianze di Alistair, che rimase incantato davanti a quel cambiamento incredibile. Invero, Era esattamente come trovarsi davanti ad uno specchio, non fosse per i vestiti che Joshua non s’era premurato di mutare
 
-M-magnifico…-
 
Un batter di mani distrasse i due
 
-Miei cari ragazzi, passerei ore a guardarvi, dico davvero…trovo estremamente affascinante lo stupore di un babbano davanti alla ricchezza della magia. Purtroppo non abbiamo molto tempo ed io vorrei spiegare al nostro junge come mai ritengo sia così raro e prezioso-
 
Robert afferrò il guinzaglio dalla mano del Mangiamorte, così s’avvicinò ai due, facendo ritirare le gambe di Alistair
 
-Non morde…forza, accarezzalo-
 
Joshua tornò alle proprie sembianze, così annuì in direzione di Alistair. Il babbano venne slegato, anche se avrebbe preferito di gran lunga rimanere legato a quella poltrona ed essere impossibilitato nel movimento, piuttosto che essere obbligato a toccare quel cane, eppure aveva capito di non avere scelta. Così allungò la mano, tremante, per sfiorare la nuca del cane che strattonò il guinzaglio, affinché gli fosse concesso di avvicinarsi ancor più ad Alistair
 
-Gut, mein freund!- lo rimbrottò quasi divertito il dottore; al suo comando il cane si rabbonì ed Alistair, ancora fortemente insicuro, lo accarezzò strizzando gli occhi
 
-Bene…bravo cane, bravo cane…- Robert Steiner riconsegnò il cane al Mangiamorte, prendendo poi in mano la gabbia con il piccolo corpo senza vita custodito al suo interno
 
-Credo tu non sappia di possedere questo grande dono, Alistair Gordon, ma sono più che felice di svelarti la verità…con una prova pratica- Robert aprì la gabbia e la consegnò poi a Joshua, che lo guardò perplesso
 
-Cosa dovrei farci?- chiese teso il mago
 
-Vorrei che il nostro amico carezzasse questo povero animaletto sfortunato. Sapete, ha abbandonato questo mondo non più di qualche ora fa- Steiner tornò ad allacciare le mani dietro la schiena, mentre lo sguardo chiaro rimase fisso sul corpicino inerme
 
-I-io non, non…v-voglio-
 
Robert accennò un sorriso alle rimostranze di Alistair –Non credo che tu abbia scelta- rispose, secco.
Alistair guardò ancora una volta Joshua, che tratteneva la gabbia all’altezza del suo viso
 
-Non preoccuparti, assecondalo- lo incitò Joshua, con voce pacata. Così Alistair scovò quel briciolo di forza nascosta chissà dove ed allungò una mano per carezzare il dorso gelido del piccolo cane chiuso nella gabbia. Era abituato alla morte, Al, visto il lavoro da infermiere, eppure quella era una situazione diversa; era passato da un animale vigile, allegro, sveglio, ad uno senza vita in un batter d’occhio. Mentre i pensieri s’affollavano nella mente la mano continuava a toccare il pelo ispido e freddo che ricopriva il cagnolino senza vita; si distrasse solo quando percepì un pizzicore spandersi dal palmo, fino a raggiungere la punta delle dita, come se la mano fosse intorpidita
 
-Ma cosa…-
 
Joshua sgranò gli occhi e quasi non perse la presa della gabbia, quando sentì quella muoversi leggermente, movimento seguito da un lieve mugolio acuto.
E lo stupore aumentò nel percepire la paura negli occhi di Alistair che, all’istante, ritirò la mano e cominciò ad urlare
 
-M-ma è….ma è…-
 
Joshua spostò subito lo sguardo su Robert Steiner, cui volto si era illuminato di un ampio sorriso mentre fissava, estasiato, quel piccolo cane tornare alla vita
 
-Mi ha p-preso in g-g-giro! Il cane…il cane è vi-vivo!-
 
-Per quanto io sia un abile ammaliatore in questo caso sento di doverti smentire, caro ragazzo…è solo merito tuo, se questa creatura è tornata a vivere. Non avevo mai incontrato un mastro della vita fino ad ora-
 
Joshua era sconvolto. Il suo sguardo correva rapido, non sapendo bene su chi mantenere l’attenzione. Si riscosse solo quando sentì un latrato acuto provenire dal cane al guinzaglio; quando i suoi occhi chiari rotarono su di esso, dovette sforzarsi di trattenere un gemito: l’animale tremò, mentre dalla bocca s’espandeva una schiuma bianca e copiosa, che precedette il crollo a terra. Lo sguardo vitreo. Un ultimo respiro.
Quel cane che sembrava in perfetta salute, era appena morto davanti i suoi occhi.

 
 
*
 
Blue Demon.
 
Una luminosa scritta a neon, vibrava davanti gli occhi di Mazelyn. La ragazza rise, al pensiero che era lì, che tutto aveva avuto inizio. Rise per quella sorte malevola che l’aveva perseguitata per anni, fino a condurla in quel giardino, dove stava morendo di sete. Non l’aveva mica voluto, Maze.
 
Blue Demon.
 
Ed un fischio assordante, che l’aveva fatta svenire. Svenire…lei non poteva svenire. Era stata la troppa sete?
 
Blue Demon.
 
Gli occhi di Jayden, brillanti e vivi, a mischiarsi con i tubi luminescenti di quell’insegna. Quegli occhi che credeva di non poter ricordare più. Era per cercarli ancora che aveva bevuto troppo. Era per guardarli un’altra volta, che era finita per perdere la razionalità. Quegli occhi e quel sorriso gentile, persi nel fondo di un boccale.
E di quell’insegna luminosa, che aveva decretato il suo destino
 
-Sei fortunata ragazza, ti abbiamo portato il tuo pasto-
 
Una voce profonda scacciò le oniriche immagini che s’erano frapposte fra i suoi occhi e la realtà. Maze sbatté le palpebre un paio di volte, per mettere a fuoco la situazione. A fatica riconobbe quel Mangiamorte che aveva incontrato un paio di volte, che tratteneva un’anziana signora imbavagliata e tremante di paura. Erano nella cella della fenice, non aveva dubbi, eppure faticava ancora a credere di non essere morta
 
-Questa signora si sacrificherà per la tua sopravvivenza. Il mondo farà a meno di Eleonore Dussey…sai, ci ha dato del filo da torcere ultimamente-
 
Adrian spinse la donna verso Mazelyn, rannicchiata sul suo letto –Sta riempendo i giornali con le sue idee babbanofile; è convinta che bisognerebbe aprire una cooperazione con il mondo degli umani senza magia, non lo trovi ridicolo?-
 
Maze boccheggiò, incapace di pronunciare anche una sola parola. La sete era tornata, prepotente, a farsi sentire e con quella un barlume di forza, che la portò ad afferrare la spalla dell’anziana donna, con gli occhi verdi gonfi di lacrime. Era incredibile la paura che ingombrava gli occhi degli esseri umani, quando sapevano di essere prossimi alla morte, pensò assuefatta Mazelyn
 
-p…pieffà…- un sussurro uscì dal bavaglio, che fece roteare gli occhi di Adrian
 
-Già, non credo proprio sentiremo la tua mancanza, signora Dussey- l’uomo portò una sigaretta alla bocca che accese con fare annoiato, prima di spostare momentaneamente l’attenzione su Maze, i cui occhi s’erano sgranati, gonfi di rosso sangue –buon appetito-
 
Adrian dette le spalle alle due ed uscì dalla cella alpha, che richiuse con un lento movimento di bacchetta. Mentre si allontanava sentì le preghiere della vecchia strega assopite dal bavaglio. Ma presto quelle preghiere divennero urla strazianti, che scemarono in un piacevole silenzio.
Mazelyn Zabini aveva avuto il suo pasto.

 
 
*
 
Jules si aggrappò alla catena della sua cella. Aveva scorto una piccola chiazza umida nell’angolo più buio di essa, così per passare il tempo aveva deciso di asciugarla; i grandi occhi castani osservavano i contorni frastagliati della macchia e, con essi si muovevano le dita esili, dalle quali si scatenò una lieve corrente calda. Non ricordava la prima volta che era riuscita a mettere in pratica la sua dote; per quanto ne sapeva, Jules era sempre stata in grado di governare l’elemento, pagando lo scotto di una vita sospesa in aria, motivo per cui era costretta ad indossare le pesanti scarpe di ferro battuto
 
“La mia bambina sta crescendo…vieni uccellino, papà ti ha fabbricato delle scarpe nuove”
 
La piccola, con i capelli chiusi in un codino laterale, mosse dei passi frettolosi verso Justine, agganciandosi poi alla gamba della mezza veela. Si sentiva felice, felice come non mai, perché amava la sua bellissima mamma ed il suo splendido papà.
Justine sorrise e si chinò per chiuderla in un abbraccio fragile
 
“Mon petit oiseau”
 
“Papà è tornato? È solo?”
 
La donna chiuse il visino pallido e tornito fra le mani “Si, oggi niente visite, saremo solo noi tre”
 
“Mi posso togliere le scarpe, mamma? Mi fanno tanto male”
 
“Per questo il papà te ne ha fabbricate di nuove. Andiamo, ci aspetta in giardino”
 
Jules sentì la tristezza divorarle lo stomaco. Chissà se i suoi genitori sapevano che si trovasse lì. Lei, che stava per fare quattordici anni, era stata lasciata sola proprio dalle uniche persone che l’avevano sempre amata senza condizioni. La mano tesa verso la chiazza cominciò a tremare e la lieve corrente si trasformò presto in un vento vivace, che smuoveva gli oggetti della cella della vergine. Jules non si rese conto che un falco pellegrino stava lottando contro il vento per passare attraverso le sbarre della cella, ma quando sentì il verso lamentoso uscire dal becco, spostò rapidamente gli occhi nella sua direzione ed il vento si placò di botto, così che il falco riuscì a superare le sbarre. Jules agganciò entrambe le mani alla catena, per riprendere la discesa verso il pavimento, non prestando attenzione a quell’uccello che, in un turbinio scuro, tornò ad assumere le normali sembianze
 
-Siamo nervose?- La voce melliflua di Roxanne, atta a sistemarsi i capelli dopo la trasformazione, arrivò alle orecchie di Jules come una presa in giro
 
-Da chi mi porterai oggi?- diretta, fredda, distaccata. Roxanne rimase stupita dal tono rigido adottato da Jules, ma al solito non diede mostra dei suoi sentimenti, rimanendo impassibile
 
-Conoscerai una persona nuova-
 
-E quando incontrerò il dottore?-
 
La Mangiamorte strinse le labbra, ma si limitò ad aprire la cella e a fare segno a Jules di precederla.
 
*
 
Martha spalancò gli occhi, allarmata. Ancora una volta stava facendo quel sogno, lo stesso sogno che si ripresentava a cadenza regolare, da quando era lì. Sfiorò il lenzuolo stropicciato, tentando di ricordare la morbidezza della tenera erba su cui era seduta; ispirò profondamente l’aria, assaporando il ricordo del clima in cui era immerso il castello di Eilean Donan. Alzò la mano chiudendo di nuovo gli occhi, serrando poco dopo le dita come per afferrare quell’energia vitale, proveniente da quelle rovine che aveva scovato.
Accennò un sorriso nostalgico, perché vide con chiarezza quel sorriso dell’uomo che sarebbe diventato suo marito. Martha non credeva che sarebbe stato possibile. Lei era quella strana, lo era sempre stata, per tutti. Ogni ragazzo che si era avvicinato a lei era presto fuggito a gambe levate, perché la brillante Martha Zeller era impossibile da capire, decifrare, seguire; anche Victor glielo aveva ribadito, nonostante Martha fosse sicura che quel mago, che era uno dei migliori amici di suo marito, fosse ben più strano di lei e non faceva che prenderla bonariamente in giro. Chissà come stava, Victor.
E chissà come stava Philip, fuori di lì, ignaro di quello che era successo a sua moglie. Magari stava pensando ad una sua fuga, forse di nuovo in Perù. No, Martha scosse il capo ed aprì di nuovo gli occhi; non era possibile che Philip pensasse una cosa simile, perché era cosciente quanto lei del forte amore che li legava.
Philip l’aveva sempre compresa nel profondo; si era premurato di studiarla con cautela, di scansare quel velo opaco frapposto fra lei ed il resto del mondo ed aveva passato la soglia senza timore.
Philip la stava cercando, questa era una certezza. Non doveva permettere a quell’insidioso giardino di instillarle pensieri negativi nella testa, perché se quello fosse accaduto, Martha avrebbe perso la giusta lucidità che le avrebbe permesso di mettersi in salvo. No, lei era più forte, doveva esserlo.
Il lungo fiume di pensieri venne interrotto dall’apertura della cella; questa volta sarebbe dovuta uscire senza nemmeno mettere nello stomaco la colazione.
Beh, poco male pensò, mentre sciacquava velocemente il viso e sistemava i capelli in una coda di cavallo: Martha Zeller doveva assolutamente approfittare di ogni occasione utile, per capirne di più di quella situazione; non volevano fornirle spiegazioni? Perfetto, sarebbe stata lei, a mettere insieme i pezzi del puzzle.
 
*
 
Yann era steso in mezzo ad una piccola isola di fiori, con le braccia spalancate e lo sguardo che vagava sornione. Dopo la traumatica esperienza a contatto con quel vampiro (e a seguito di quel fischio assordante che gli aveva fatto perdere i sensi), si era ritrovato nella sua cella e non era uscito per tre giorni. Non che non avrebbe voluto, semplicemente non glielo avevano concesso. Purtroppo stava accadendo tutto quello contro cui aveva sempre lottato: Yann era stato costretto a piegarsi al volere di qualcun altro. Ricordava con distinzione la prima volta che aveva abbandonato la sua famiglia d’origine; non aveva che otto anni, Yann, ma era già consapevole che quel distacco sarebbe stato necessario, perché all’interno della comunità veniva guardato con circospezione ed era ovvio che temessero le sue strane facoltà. Era stato doloroso, per un bambino tanto piccolo, ma non c’era stata altra soluzione. Talvolta le persone, in realtà molto più spesso di quanto si crederebbe, preferiscono non approfondire laddove ce ne sarebbe bisogno. Yann Reinhardt non era che un bambino bisognoso di essere compreso, di essere aiutato e sollevato da un peso troppo grande per lui, ma nessuno se ne era mai preoccupato.
Appena percepì dei passi alzò di scatto la schiena, mettendosi seduto nel tentativo di capire da dove provenisse quel rumore; date le sue ultime esperienze era decisamente il caso di attivare i sensi. Gli occhi neri s’assottigliarono, per mettere a fuoco la figura di quella Mangiamorte, affiancata da una ragazza minuta dai capelli chiari, che si muovevano leggeri sulle spalle
 
-Non mi sembra l’ora di schiacciare un pisolino, paparino-
 
Yann saltò in piedi, mentre le pupille saettavano dalla bella e algida Roxanne, che non perdeva l’occasione di canzonarlo, alla piccola strega che lo guardava curiosa
 
-L’ennesima presentazione- Roxanne alzò gli occhi al cielo, mentre allargava il palmo per indicare Jules
 
-Lei è Jules ed ha bisogno del tuo aiuto, sono sicura che sarai pronto a servirla, giusto Yann?-
 
-Ma io…- Jules tentò di replicare, ma venne zittita da Roxanne
 
-Ragazzina, questo è Yann Reinhardt, feccia sinti, se ti interessa saperlo, ma abile magifabbro, per tua fortuna: non so bene per quale motivo, ma il dottore ci tiene a farti un regalo per il tuo imminente compleanno, così ha deciso di mettere a disposizione del signore qui presente un laboratorio, per fabbricarti delle scarpe più…confortevoli-
 
Yann non si era reso conto, fino a quel momento, delle assurde scarpe indossate da Jules, ma quando lo sguardo calò su di esse un’espressione di stupore colorì il viso
 
-La costringete a portare quegli arnesi?!- il mago tornò a fissare Roxanne, furente più che mai. Percepiva il fuoco sfregolare sotto il primo strato d’epidermide, voglioso di scatenarsi su quel bel viso maledetto
 
-Datti una calmata- disse Roxanne non curandosi della sua ira; invece la sua attenzione era tutta per l’orologio da taschino che aveva tirato fuori
 
-Avete una mezz’ora per fare due chiacchiere, questa piccina ti spiegherà tutto, non è vero cara?-
 
Jules abbassò lo sguardo e dopo qualche secondo di assoluto silenzio, si limitò ad annuire. Ad Yann si strinse il cuore, nel riconoscere la tristezza nel visino candido.
Lo stesso identico sentimento che egli stesso aveva provato per tanto, tanto tempo.
Yann ancora non lo sapeva, che Jules era esattamente come lui: una giovane impaurita, costretta a convivere con un potere che l’aveva spesso marchiata con il simbolo dei freak.
 
*
 
Ciò che era successo l’aveva lasciata turbata. Odette era abituata a vedere le cose in maniera positiva ed era sempre stata pronta ad affrontare ogni tipo di sfida le si fosse propinata davanti. Fino a quel momento.
Era stata allontanata dall’ospedale contro la sua volontà e proprio mentre si stava occupando di un paziente; chi mai poteva essere stato tanto meschino da fare una cosa del genere? Sicuramente qualcuno che le era stato vicino, ecco. Odette non se n’era accorta. Lei non era una che abusava del proprio potere, non lo aveva mai fatto; talvolta capitava che leggesse inconsapevolmente la mente delle persone, ma lei più di chiunque altro era ben consapevole di quanti orribili pensieri venivano prodotti, persino dai soggetti più inaspettati. Per il suo lavoro era molto utile saper leggere la mente, perché grazie alla lettura del pensiero aveva carpito spesso informazioni che i pazienti le negavano, magari per vergogna, ma fondamentali per produrre una diagnosi utile; non si poteva ritenere quello un comportamento convenzionale, ma Odette si premurava sempre di tenere per sé i pensieri altrui, mossa da una forte etica professionale.
Ma chiunque l’avesse rinchiusa lì, si era ben premurato di celare i propri pensieri, quindi si trattava certamente di un ottimo occlumante, come quella Evangeline Montague, che aveva incontrato nel giardino, in compagnia del suo amico di vecchia data Lucas.
Lucas, un altro enorme punto interrogativo.
Per anni aveva condiviso le giornate con il ragazzo e per anni non si era mai resa conto che quello nascondesse in sé un potere così devastante; effettivamente in quel momento riusciva a spiegarsi molte cose, ad esempio cosa fosse successo durante una festa ad Hogwarts, a cui Odette non mancò di partecipare. Lucas si era ubriacato, probabilmente con del pessimo sherry recuperato fra le cianfrusaglie di sua zia e aveva dato di matto; subito dopo si scatenò un forte terremoto che terrorizzò il gruppo di amici, Odette compresa e dal quale Lucas scappò in preda al panico. Il giorno dopo, il ragazzo raccontò di essersi trovato ai margini della foresta proibita, in stato di semi incoscienza, ma fortunatamente fu trovato dal guardiacaccia Hagrid che gli impedì di entrarvi. Gli amici la presero a ridere, dando a Lucas del coglione codardo e l’amico ci fece una risata sopra, asserendo di essersela fatta addosso e la storia finì lì. Ma Odette percepiva che ci fosse qualcosa sotto, anche se non se la sentì di penetrare la mente di Lucas per capirne di più.
Ed ora era chiaro che a scatenare quel terremoto era stato proprio lui. Avrebbe voluto parlare con il suo amico, avere la possibilità di fargli delle domande, di chiedergli se fosse vero che scatenava quel grande potere, quando accadeva e se fosse in grado di gestirlo; ma appena Evangeline si riebbe, Lucas scomparve. Odette, inizialmente in uno stato di panico, aveva urlato spasmodicamente il nome dell’amico, ma poi tentò di riacquistare lucidità, concentrandosi su quella giovane strega dagli occhi chiari, che singhiozzava fra le sue braccia e richiamava il nome di una certa Freya.
Chiunque fosse questa Freya, doveva aver inciso molto, sulla giovane Montague, perché non la smetteva di disperarsi.
E come le era consono, Odette tentò di curare le ferite emotive di Evie, consolandola e rassicurandola dicendole che sarebbe andato tutto bene, fin quando i Mangiamorte non arrivarono per dividerle e riportarle nelle rispettive celle.
 
*
 
Martha seguì il modificarsi del rigoglioso percorso, fatto di cespugli e siepi, fiori coloratissimi e vibranti insettini. Avrebbe camminato per ore, persa nei suoi pensieri, se non fosse che il giardino, più vivo che mai, l’aveva condotta ad una porticina di vetro opaco, che sezionava in due un muro di edera verde. Entrando, Martha rimase incantata dalla sera a cupola, che custodiva le piante più disparate ed al suo interno, farfalle più o meno grosse si libravano leggere, alla ricerca di succoso nettare
 
-Martha, finalmente un volto amico! Vieni qui signora Butler, magari riuscirai ad aiutarmi con questa gentilissima donna-
 
La voce familiare di Victor le fece roteare d’istinto gli occhi, ma al contempo la tranquillizzò all’istante; non era da sottovalutare il poter fare affidamento su qualcuno che si conoscesse abbastanza bene, in un contesto simile, per questo Martha fu grata di aver potuto rincontrare il mago, di cui seguì la voce nella serra. Se non che s’arrestò e poi si gettò di lato, quando un grosso traliccio muschioso sbucò esattamente dal punto in cui si trovava
 
-Ma che diavolo!- imprecò, prima di rimettersi in piedi ed affrettarsi a seguire la voce di Victor che sembrava scherzare con qualcuno
 
-Non mi sembra il modo più carino di accogliere qualcuno…oh, eccoti Martha, tutto bene?-
 
Martha s’aggrappò al braccio di Victor quando una grossa scossa del terreno la destabilizzò; alzando lo sguardo, poté scorgere un mulinare di capelli rossi, che mascheravano a tratti un viso spigoloso e molto, molto arrabbiato. La donna si trovava in piedi su una roccia ed intorno a lei germogliavano tralicci inferociti, simili a quelli del tranello del diavolo, ma decisamente più corposi.
Elyon puntò gli occhi verdi su Martha, ma alla rabbia si sostituì il dolore, così Elyon piegò la bocca e gemette di dolore, mentre le piante spuntate dal nulla sembravano soffrire con lei
 
-Un momento…ma io la conosco…- Martha si strinse ancor più al braccio dell’amico, che la sosteneva con pazienza –lei ha lavorato per un periodo all’erboristeria di mia madre…mi pare si chiami…-
 
-Andatevene!- gridò Elyon, in evidente stato di rabbia
 
-Secondo te rimarremmo qui a farci schiaffeggiare dalle tue amiche, se non fossimo costretti?-
 
-Victor, credo che provocarla non sia la maniera migliore per…o cielo!-
 
Una liana grossa come un tronco, si avvicinava a loro a velocità elevata; li avrebbe travolti, se Victor non avesse tirato indietro Martha per poi spalancare le braccia: gli occhi della strega si velarono, alla chiara vista di uno disco lattiginoso, una sorta di scudo che si generò dal petto del magigiornalista; nell’impatto con quell’atipica forma di magia, la liana rimbalzò e tornò indietro come un boomerang, fino a colpire in pieno Elyon che volò via, fino a schiantarsi contro un cespuglio di ortensie particolarmente rigoglioso. Lo scudo si dissolse all’istante e Victor ordinò a Martha di rimanere ferma, senza fornirle alcun tipo di spiegazione; corse verso la rossa, che gemeva di dolore in mezzo ai fiori
 
-Te l’avevo detto di stare ferma, non so controllare quel dannato coso; tutto bene?-
 
Victor allungò una mano verso Elyon, ma quella la scacciò subito, mentre a fatica si rimetteva in piedi. Entrambi si stupirono di vedere che le contusioni sul corpo di Elyon erano scomparse
 
-Bene? Stupido idiota, come potrei stare bene?! Mi hai appena rigirato il mio colpo!-
 
-Scusa tanto se ho tentato di salvarci la pelle, pazza di una Yaxley!-
 
Nel sentire il cognome Martha, rimasta a debita distanza, si illuminò d’improvviso
 
-Ma certo! Tu sei Elyon Yaxley! Hai lavorato per un paio d’anni nell’erboristeria di mia madre…sono la figlia di Pauline, ricordi?-
 
Elyon roteò il capo verso la ragazza e prese ad ispezionarla con occhi sottili
 
-E che cosa ci farebbe la figlia di Pauline qui dentro? Tu sai qualcosa? Hai parlato con Steiner?! Se sai qualcosa devi dirmelo, subito!-
 
-Steiner?- Martha boccheggiò appena, perdendosi per l’ennesima volta nei suoi pensieri. Si, perché nel sentire quel nome un campanello d’allarme s’era attivato. Ma la ex corvonero non aveva molto tempo per riflettere, dato che Elyon s’avvicinava a lei con passo nervoso e sguardo furibondo, seguita da Victor che sembrava intenzionato a saltarle addosso per arrestare la sua marcia. Ma nessuno dei tre mosse più un passo, quando un fischio assordante li costrinse ad accasciarsi a terra.
Martha coprì le orecchie con le mani, così come Victor che sembrava gridare qualcosa ed Elyon, accasciata davanti a lui, ma presto raggiunta da qualcuno. Man mano che il fischio scemava, Martha riuscì a riacquistare lucidità, aprendo gli occhi quel tanto che bastava per vedere una mano calare sulla lunga chioma color rame e stringerla con forza
 
-Ti avevo detto di comportarti bene…stupida! Ora sono costretto a portarti da lui, dannazione-
 
-Mollami! Lasciami!- rabbiosa, Elyon tentò di divincolarsi dalla presa di Adrian, impresa in cui alla fine riuscì, per poi rigirarsi verso di lui e spingerlo con forza
 
-Tu sei un bastardo fuori di testa! Che cazzo stavi facendo, mi osservavi?! Mi spiavi come un fottuto malato?!-
 
Victor e Martha, ancora scossi, osservavano la scena terrorizzati. Lentamente Victor si parò davanti la ragazza e prese a sussurrarle
 
-Stai dietro di me, non muoverti fin quando non se ne vanno-
 
Martha annuì, ammutolita. Rimase a guardare quei due litigare furiosamente; si perse nelle vene del collo di Adrian Reed, che si gonfiavano, rendendo il suo viso paonazzo.
Guardava quella che aveva conosciuto come l’apprendista della madre, che aveva appena causato un furibondo attacco della natura, cercare di colpire il Mangiamorte, che riuscì a placcarla per miracolo, afferrandole poi il viso e sussurrandole cose che non poteva sentire.
Vide Elyon rabbonirsi piano, la furia scemare, il petto saltare avanti e indietro sotto la maglia sgualcita.
Li osservò allontanarsi insieme, con la mano di Adrian a stringere un braccio di Elyon, non riuscendo a spiegarsi cosa diavolo fosse appena successo.
Sicuramente nulla di buono.
 
*
 
Cora schiuse gli occhi a fatica. Si guardò intorno, ma constatò di riuscire a mettere a fuoco con difficoltà, visto il buio al quale non era affatto abituata. Ma nel momento in cui riuscì a riconoscere la sagoma di capelli disordinati di William, in piedi accanto al suo letto, Cora si paralizzò ed il suo sguardo perse la consistenza delle immagini.
Buio.
Vuoto.
Silenzio.
D’improvviso Cora sentì il proprio corpo alleggerirsi, come fosse fragile cristallo, sospeso nel nulla. Non sentiva la fame, non provava la sete. Non aveva bisogno di respirare, la bella strega. In quel momento Cora si sentiva parte di quel nulla che la circondava e che l’aveva resa un involucro vuoto, insensibile ed in pace.
Cora avrebbe galleggiato per molto tempo; sarebbe rimasta sospesa nella pace dei sensi, perché il non provare nulla era la più formidabile delle sensazioni.
 
Quando tornò alla realtà, sentì le spalle strette da una presa solida. Tutt’insieme era tornata a respirare, a desiderare acqua e cibo, a provare paura; percepì il cuore battere forte nel petto e salire fino alla gola, fino alla testa che ora faceva malissimo
 
-Ehi ragazza, dimmi che stai bene, non sono sicuro di sopravvivere ad un altro assorbimento-
 
-Io…ma cosa è successo…la testa, che male che mi fa…-
 
La voce uscì dalle labbra in un sussurro lieve, mentre le dita spingevano sulle meningi, con la volontà di scacciare quel dolore acuto che sapeva sarebbe durato ancora per un po’
 
-Mi hai fatto spaventare- sussurrò William, che non voleva essere scoperto sveglio dai Mangiamorte che, sicuramente, sarebbero corsi da loro –ti sei svegliata, ma appena mi hai visto hai ribaltato gli occhi e…hai parlato, o almeno credo fosse la tua voce-
 
-E cosa ho detto?- chiese tranquilla ma frastornata, Cora
 
-Qualcosa a proposito di un cerchio…ma se devo essere sincero sembrava che recitassi una poesia di Baudelaire-
 
-Di chi?-
 
-Un grandioso poeta babbano…ma lascia stare. Comunque…- William lasciò che Cora si massaggiasse la fronte, così sedette accanto a lei, mantenendo un tono molto basso
 
-Hai detto qualcosa riguardo ad un cerchio e di come gli elementi sconfiggano lo spazio ed il tempo. Hai parlato di vita e morte, mi pare tu abbia detto che non sono che un’illusione…diavolo, non ho la minima idea di cosa voglia dire. Per caso ti è successo altre volte?-
 
Cora sentiva il dolore lancinante diminuire appena; quella voce profonda era una cantilena piacevole, per le sue orecchie. Una nenia che stava velocizzando il tempo di guarigione
 
-Per piacere…hai detto…hai detto di chiamarti William, giusto?-
 
L’uomo annuì, mascherando un velo di preoccupazione nell’osservare quella ragazza tanto bella, quanto probabilmente fuori di testa
 
-Parla ancora…parla ancora per me, William…questo mal di testa sai, ci metterà…un po’-
 
Inizialmente il mago restò in silenzio; sapeva cosa volesse dire provare delle forti emicranie, ma nel suo caso il modo di farle passare era diametralmente opposto a quello. Alla fine, incitato nuovamente dalla giovane strega purosangue, a William non rimase che fare ciò che gli riusciva meglio: raccontare.
Parlò ancora a lungo, con tono sommesso, mentre stropicciava le mani e si guardava intorno, imbarazzato da quell’assurda situazione che lo vedeva chiuso in una stanza buia con una ragazza che conosceva appena. Ma era nell’assurda natura di William fare del bene e anche in quel caso, mentre Cora si distendeva di nuovo sul letto, con le mani a coprirsi gli occhi ed un leggero sorriso di sollievo ad incresparle il viso, William sentì di non poter fare altrimenti.
 
*
 
Come era dolce, il movimento dell’acqua. Ad Alon, il suo elemento naturale era mancato terribilmente.
Aveva sofferto, fino al punto di non riuscire nemmeno a chiedersi perché fosse stato portato in quel luogo; perché proprio lui, fra tanti. Beh, Alon aveva cercato blande risposte, anche se non era sicuro che stesse percorrendo la direzione corretta, seguendo le sue supposizioni.
Un’ipotesi, comunque, giunse in concomitanza di Jules.
Fino a quando non aveva conosciuto la piccola strega, Alon non aveva pensato a nulla di razionale, ma incontrare quella creatura magnifica, lo aveva fatto ragionare. Jules era come lui, Jules era atipica, si allontanava dalle coordinate degli altri maghi.
Jules era diversa.
Che c’entrasse il fatto di essere un ibrido? Alon non era di certo uno sciocco ed aveva intuito che ci fosse del sangue veela a scorrere nelle vene della tassorosso, ancor prima che lei glielo confermasse
 
“Allora, me lo vuoi dire perché ti chiami Jules?”
 
La piccola strega rideva e rideva, sospesa in aria, aggrappata con una mano ad una delle sue scarpe
 
“I miei genitori, sai…non sono riusciti a scoprire se fossi un maschio od una femmina, quando mia madre si recava alle visite. Mi hanno raccontato che il medimago era sconvolto, che non aveva mai visto una situazione come quella” quella nuvola di capelli pallidi scosse l’aria e Jules inchiodò gli occhi in quelli di Alon, che sentì istantaneamente un groppo salire alla gola
 
“Sapevano che ero lì, ma era come fossi inconsistente, come…fatta d’aria, ecco. Non seppero definire il sesso, solo che la creatura che cresceva nel ventre stava bene. Solo questo. Perciò decisero che, comunque fosse andata, mi avrebbero chiamata Jules, come il padre di mia madre, quel fortunato mago che un giorno incontrò una veela, a cui era predestinato” (1)
 
Alon ascoltava rapito quel racconto, che tanto assomigliava ad una favola, proprio come la storia della sua vita. Jules parve afferrare i suoi pensieri e proseguì, leggera come l’aria che la muoveva
 
“Jules era stato un uomo molto fortunato, che aveva vissuto la sua vita circondato da amore…per questo decisero di chiamarmi così. Mi dissero che sarei stata fortunata più di chiunque altro e che avrei ricevuto tanto amore quanto ne fossi riuscita a donare”
 
Alon sfregò il viso, poi tirò indietro i lunghi capelli biondi. Un sorriso amaro comparve sul volto; quanto si erano sbagliati, i genitori di Jules. Altro che fortunata: loro tutti avevano avuto la malasorte di incontrare il cammino di quei pazzi carcerieri ed ora non avevano molte vie di scampo, valutò.
L’unica cosa che desiderava, Alon, era poter andare via di lì, portandosi dietro Jules e quanti più ostaggi possibili e poi affondare ancora nelle tiepide acque marine, nelle quali viveva la famiglia materna. Non poteva bastargli immergersi in quel misero lago quando gradivano i Mangiamorte; Alon aveva bisogno di tornare alla sua vita, rivedere i suoi amici maghi, riabbracciare Alissa e mostrarle incantevoli magie che sapeva compiere con la bacchetta.
Quella bacchetta che gli era stata strappata via, proprio come la sua libertà.
Un forte sospiro si sommò ad un incedere di passi pesanti, che portarono il ragazzo a spostare l’attenzione sulle sbarre della cella, aldilà della quale un ragazzone di bell’aspetto, lo osservava stupito
 
-Diamine, è la prima volta che scopro un’altra cella, ma devo dire che quello che vedo non mi dispiace- disse Lucas sorridendo malandrino, mentre s’avvicinava alle sbarre. Alon lo raggiunse e s’aggrappò ad esse
 
-Chi sei? Sei un recluso anche tu?-
 
-Mi chiamo Lucas e si, sono il fortunato ospite della cella eta- Lucas si scostò appena per lanciare uno sguardo alla targa posta sopra le sbarre –So pronunciare la mia solo perché me l’hanno detto, non ho idea invece di che razza di lettera sia questa-
 
Alon ispezionava con curiosità l’espressione bonaria dell’altro –Sono lettere greche e questa è la lettera mi: chiunque ci ha rinchiusi qui, deve essere stranamente appassionato alla lingua, immagino- Alon sospirò ancora –Oppure semplicemente folle- il ragazzo scrollò il capo, così allungò la mano oltre le sbarre –comunque io sono Alon…sai, credo di ricordarmi di te ad Hogwarts-
 
Lucas tornò a sorridere e strinse con vigore la mano dell’altro, non risparmiandosi l’ennesimo sorriso sconveniente –Credimi, se ci fossimo già incontrati mi ricorderei di te…ti chiederei di fare una passeggiata per conoscerci meglio, ma non credo che nessuno qui abbia intenzione di farti uscire, per oggi-
 
Alon arrossì appena, rendendosi perfettamente conto che quel Lucas aveva appena fatto evidenti apprezzamenti sulla sua persona
 
-Ecco vedi, io…-
 
-Stai tranquillo splendore, stavo solo scherzando! È colpa dei tuoi capelli; mi piacciono i biondi, se non l’avessi capito-
 
Alon rimase interdetto per un po’, per poi scoppiare a ridere, seguito a ruota libera da Lucas. Per fortuna quegli incontri casuali sapevano regalare loro almeno un po’ di leggerezza, altrimenti, valutò Alon, sarebbero affondati prima del tempo che qualcun altro stava scandendo per loro.
 


 
(1) Vila o Veela, queste creature hanno un compagno predestinato loro dalla nascita.
 
Buongiorno, buon anno e buon tutto quello che credete sia più consono augurare! Come state?
Bene, siamo giunti al terzo vero capitolo di questa storia. Ve la state facendo qualche domanda? Spero di avervi messo addosso almeno un po’ di curiosità.
Volevo informarvi che il prossimo capitolo sarà dedicato al personaggio più votato da voi (ribadisco che tutti o quasi i vostri oc appariranno comunque, non temete), ma probabilmente saranno capitoli un tantino più brevi.
Vi chiedo inoltre di farmi sapere quale dei miei oc vorreste che approfondissi: escludendo il dottor Steiner, avete carta bianca!
Colgo l’occasione per ringraziarvi tutte: le opinioni che avete esposto su questa interattiva mi hanno fatta davvero felice e credetemi se non me le aspettavo minimamente. Spero che anche questo capitolo sia apprezzato come i precedenti.
Per il resto attendo i vostri commenti (negativi e positivi), le vostre supposizioni ed i vostri desideri: insomma scrivete pure tutto quello che vi passa per la testa!
A presto
 
Bri
   
 
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