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Autore: Kya_63    19/01/2019    0 recensioni
Percy Jackson pensava che la sua vita sarebbe stata tranquilla, ovviamente nei limiti di un mezzosangue, ma non pensava che stesse tutto per cambiare.
Harry Potter aveva combattuto la sua battaglia, aveva sconfitto il Signore Oscuro e salvato i suoi amici e il mondo maglico, ma qualcosa stava cambiando.
Due mondi diversi, due eroi diversi e un pericolo in comune che minaccia di distruggere il mondo. Questa è la storia che nessuno ha il coraggio di raccontare, che nessun poeta o scrittore conosce veramente sino in fondo e che non ha mai trascritto. Questa è la storia che pure gli Dei hanno paura a narrare.
(Spoiler di Eroi dell'Olimpo, la saga di Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo e Harry Potter. Non tiene conto di TOA)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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TENTARE E SPERARE


Percy camminava serio lungo le vie di New York. Il Sole era in alto nel cielo ed illuminava ciò che poteva, nonostante le grandi nuvole che a volte gli passavano sopra, creando una sensazione di disagio al figlio di Poseidone. Le pire si erano spente prima di mezzogiorno e si stavano riposando tutti, in una qualche maniera. C'era chi lucidava le armi, chi mangiva e beveva, chi dormiva e chi passava i momenti liberi con la persona che amava o con i fratelli, oppure ideava nuove strategie di battaglia. Quel giorno era stata una sconfitta, nonostante avessero respinto l'attacco nemico. Tutti avevano perso qualcosa, quel giorno. Era un giorno da dimenticare e presto lo sarebbe stato anche quello. Il 20 giugno era quello che avrebbe segnato molti e il destino del mondo. Era tutto un "se", un "se" che racchiudeva sia speranza che distruzione, un "se" che poteva decidere tutto. Percy passeggiava, calciando anche qualche sasso poco lontano da lui. Sentiva le mani, dentro le tasche, tremare, mentre si rigirava Vortice in versione penna. Quando si sentì toccare la spalla, sobbalzò e afferrò la spada, scappucciandola e puntandola alla gola di chi l'aveva disturbato. Appena vide gli occhi grigi, abbassò la lama bronzea, rimettendole il cappuccio e mettendola in tasca. Annabeth sorrise, prendendo la mano del moro e intrecciando le loro dita. Percy sorrise nel vedere la ragazza, sempre più bella ai suoi occhi. Aveva sempre più bisogno di lei, come l'uomo ha bisogno di ossigeno e lei era il suo ossigeno, un qualcosa che non gli potevi togliere. Necessitava di lei, ogni secondo di più, perchè, alla fine, era la figlia di Atena che lo teneva in quel mondo fatto di guerra. Sapeva che, in parte, anche lei avrebbe voluto scappare da quello che era il loro mondo, ma non lo faceva, per il semplice fatto quel mondo era parte di lei, come era anche parte di lui. Per tutti è difficile allontanarsi dalla propria casa e per loro lo era particolarmente. Annabeth lo guardò preoccupata:-Tutto okay, Testa d'Alghe?
Percy si riscosse dai suoi pensieri, incrociando per l'ennesima volta gli occhi grigi della ragazza, preoccupati come non mai:-Sì, tutto okay Sapientona.
-Sicuro?- domandò lei, accarezzandogli la guancia, mentre lui annuiva, per poi alzarsi sulle punte dei piedi e dargli un dolce bacio sulle labbra. Il figlio di Poseidone pertò le mani sui fianchi della ragazza, mentre lei intrecciava le mani tra i suoi capelli neri.
-Adesso sto ancora meglio- borbottò il ragazzo, facendo incontrare le loro fronti, mentre i loro respiri si fondevano- Andiamo a fare un giro?
-Sei sicuro di non voler riposare?- chiese la giovane, mentre lui le passava un braccio intorno alle spalle- Oggi è la grande notte, Percy. Dovresti davvero riposare.
-Voglio stare con te, Sapientona- commentò il figlio di Poseidone guardo la ragazza negli occhi, come se volesse fare capire che, al momento, c'era solo lei, nessuna guerra, nessun esercito da incoraggiare, solo lei- Sei l'unica cosa di cui ho bisogno.
-E passeggiata sia, allora!- esclamò la ragazza, intrecciando le mani a quelle del ragazzo, per poi iniziare a camminare fianco a fianco, per la città. Il silenzio reganva tra i due ragazzi, ma stavano bene anche così, perchè, a volte, il silenzio vale più di mille parole, parole che si sarebbero perse nel vento, mentre il silenzio che avevano costruito insieme, fatto di sguardi, parole che leggevano senza doverle anche ascoltare, sarebbe rimasto. Non c'era bisogno di creare rumore in un'armonia perfetta. Il braccio del ragazzo copriva le spalle della ragazza, facendola sentire protetta, come se avesse uno scudo sulla schiena. A loro bastava, bastavano quei piccoli momenti in cui stavano in compagni l'uno dell'altra, senza timore. Fu Percy ad interrompere il silenzio, proponendo alla giovane di salire sul tetto di un palazzo. Salirono sul palazzo, sino in cima, e da lì si vedeva gran parte della città. Certo, era una città segnata, rovinata, al momento, ma era pur sempre bellissima. Era la loro città. Si appoggiarono al parapetto, osservando il Sole proiettare ombre sulle strade di New York. Percy posò la mano su quella della ragazza, attirando la sua attenzione. Percy sorrise e, per un attimo, ad Annabeth sembrò di vedere il ragazzino che era stato e era ancora, e che, probabilmente, sarebbe rimasto per sempre. Annabeth s'avvicinò al petto del ragazzo, appoggiandovici la testa, continuando a guardare l'orizzonte, mentre le braccia del ragazzo la circondavano, chiudendoli nel loro piccolo mondo felice, dove c'erano solo loro e nessun'altro.
-Hai paura, Percy?- chiese la ragazza non staccando lo sguardo dagli edifici che delineavano l'orizzonte- Intendo, hai paura di quello che potrebbe succedere questa notte?
-Ho paura di perderti, Annabeth- rispose lui, scuotendo le spalle- Potrei sopravvivere a mille apocalissi finchè tu sei al mio fianco.
-Io ho la tua stessa paura- disse in un sussurro la ragazza dopo un attimo di silenzio. Il figlio di Poseidone sorrise, un sorriso tenero, ma furbo:-Non devi temere, Sapientona. Io e te ci ritroveremo sempre, in ogni luogo, in ogni spazio e in ogni tempo. Nessuno ci può dividere, okay?
-Tutto tranne la morte- mormorò la figlia di Atena incrociando gli occhi di Percy. Il corvino scosse la testa:-Neppure la morte. E nel caso le Parche vogliano tenerci lontani... beh, andrò da loro e gli ricorderò chi ha salvato i loro divini sederi.
Annabeth scoppiò a ridere davanti alla faccia seria del ragazzo, quella faccia che non ammetteva repliche e che era dannatamente buffa. La figlia di Atena fermò la sua risata, abbracciando il ragazzo, venendo subito ricambiata. Nonostante la promessa del ragazzo, Annbeth aveva paura, paura che lui potesse lasciarla e che potessero dividersi per sempre. Lei non voleva questo. Non voleva dividersi da lui, per il semplice fatto che, senza di lui, non riusciva a vivere. Al diavolo l'architettura, gli Dei, il mondo... tutto, perchè un mondo senza Percy era un mondo nel quale lei non voleva vivere, un mondo senza senso, senza filo logico.
-Che ne dici se andiamo a mangiarci un hamburger?- propose il ragazzo subito dopo averle posato un bacio sulla tempia. Annabeth annuì, ancora cullata dal piccolo gesto del ragazzo. Stava per dirigersi verso l'uscita, quando il ragazzo la strattonò indietro e la guardò negli occhi:-Qualunque cosa succeda, promettimi che cercherai di salvare il mondo.
-Non può esistere, per me, un mondo senza te, Percy. Senza di te, per me, il mondo è solo una prigione in cui sono costretta a vivere, perchè tu sei il mio mondo- ribattè la ragazza fissando il colore degli occhi del corvino, mentre i suoi minacciavano di far scendere le lacrime- Ma, se questo è il tuo desiderio, ci proverò.
Il figlio di Poseidone sorrise, asciugandole le lacrime che avevano iniziato a solcare il viso della bionda:-Neanche io riesco ad immaginare un mondo senza di te, Sapientona, perchè anche tu sei il mio mondo. Non devi piangere, va bene? E adesso, andiamo a mettere qualcosa sotto i denti, okay?
La condusse sino all'Empire State Building. Entrarono in quella che era diventata una mensa, dove tutti i ragazzi, di solito, mangiavano e stringevano amicizie. Si sedettero ad un tavolo e chiesero ai piatti incantati di servire loro degli cheeseburger. Mangiarono in silenzio finchè Leo non si accomodò sulla panca accanto ad Annabeth, seguito da Jason, Piper, Hazel, Frank, Reyna, Nico e Calypso. Il figlio di Efesto prese una forchetta e iniziò a pigarle il manico:-Allora piccioncini, siamo al capitolo finale, non è vero?
-Potresti essere più delicato, Leo?- lo rimproverò Piper seduta di fronte a lui, guardandolo con uno sguardo truce. Leo fece un sorriso sghembo:-Più delicato di così non posso essere, dolce Pip.
-Leo ha ragione- s'intromise Annabeth- Questo è l'ultimo capitolo. Questa sera...beh, non c'è bisogno che vi dica cosa accadrà.
Il silenzio regnò nella stanza per un poco, sino a quando Nico non scoppiò a ridere. Tutti si guardarono preoccupati. Nico non rideva mai. Anche Jason s'unì alla risata, contagiando, poi, tutto il resto del gruppo. Il figlio di Ade s'asciugò le lacrime di gioia:-Scusate, ho perso un attimo il controllo. In ogni caso, in qualunque modo finisca questa storia, voglio dirvi che è stato un piacere conoscervi, lavorare con voi, creare... tutto ciò, quella che definiamo una famiglia.
-Beh- sussurrò Hazel- Anche per me è stato un piacere. Ne abbiamo affrontate tantissime assieme e, ragazzi, non mi dimenticherò mai di voi.
-Io vi devo ringraziare per tutto quello che avete fatto durante questo anno- sorrise Reyna indicando Percy e Jason- Senza di voi, non vi sarebbe l'unità di adesso.
-Abbiamo ancora tanti progetti, vero Bro?- esclamó Jason porgendo il pugno al moro accanto a lui. Il figlio di Poseidone, peró, continuava a guardare il suo cheeseburger.
-Percy?- lo chiamó Annabeth. Il ragazzo alzó lo sguardo verde:-Eh?
-Tutto okay, Bro?- chiese il figlio di Giove. Percy annuì, alzandosi da tavola e, scusandosi, si diresse all'hotel di fronte. Non gli piacevano gli addii e non voleva continuare ad ascoltare. Tutto poteva andare male quella notte, ogni cosa. Lui non voleva dire addio, non cosí. Voleva sperare. Salì le scale dell'hotel e giunse in camera, togliendosi le scarpe e mettendosi a pancia in su sul letto. Doveva calmarsi e riposarsi, se voleva sopravvivere quella notte.

Ziah aveva appena finito di asciugarsi i capelli e vestirsi, quando Carter entró nella stanza, lanciando la borsa da qualche parte e togliendosi le scarpe da tennis. Il ragazzo si lanciò sul letto, rimbalzando a causa del materasso morbido. L'Occhio di Ra lo guardò male, suscitando, così, le risate del ragazzo mulatto bellamente rilassato. Carter alzò le spalle sorridendo e domandò:-Tutto okay?
-No- rispose secca la ragazza sedendosi sul bordo del letto, sfilandosi l'anello magico, contenente l'arma originale di Ra. Carter sorrise timidamente, passando poi un braccio intorno alle spalle della ragazza, abbracciandola:-Dovresti riposare.
-Non riesco- ribattè Ziah girandosi e guardandolo negli occhi- Non riesco sapendo che questa notte potrebbe essere l'ultima.
Bussarono alla porta e subito dopo comparì Sadie, con un vassoio di muffin in mano, seguita dai ragazzi della Brooklyn House, i quali presero tutti posto nella stanza. Il vassoio venne posato sulla scrivania di legno, insieme ad una cassetta di plastica contenente bottiglie d'acqua. Ziah guardò il gruppo entrato con occhi curiosi, ma allo stesso tempo severo. Voleva stare sola e pensare, pensare a come uscire viva da quella notte.
-Siamo venuti qui per passare del tempo assieme prima della battaglia finale no?- rispose Sadie alla domanda muta di Ziah. Carter battè il cinque alla sorella, la quale sorrideva come se ignorasse il fatto che quelle avrebbero potuto essere le loro ultime ore vive. Sadie mosse le mani, facendo volteggiare i muffin, ricoperti di glassa al cioccolato. Carter ne afferrò due e ne porse uno all'Occhio di Ra, la quale, però, sembrava neanche accorgersi del fatto che i suoi amici, la sua famiglia, fosse lì per sollevarle il morale. Era assorta nei suoi pensieri, pensieri che, da qualche giorno, non facevano altro che tormentarla.
-Andrà tutto bene- commentò Jaz con la sua solita gentilezza che la distingueva da tutti gli altri. Ziah alzò lo sguardo sull'amica, scuotendo la testa:-C'è la possibilità che nessuno dei cinque sopravviva, che il Caos prenda piede e distrugga tutto e voi verrete spazzati via, con il resto dell'umanità.
-Evviva la felicità!- esclamò Sadie girando sulla sedia girevole davanti alla scrivania di legno chiaro. Nella stanza calò il silenzio totale, interrotto dal rumore di Sadie che sgranocchiava i biscotti. Cleo si alzò in piedi e scrollò le spalle:-Qualunque cosa accada, combatteremo. Non possiamo lasciargli prendere il mondo.
-Sono d'accordo con te, ragazza!- esclamò l'Occhio di Iside, mentre deglutiva, mandando giù il biscotto- Non possiamo permettergli di metterci i suoi sudici piedi in testa. Forse in un altro universo, ma non in questo.
-Quello che lo può uccidere è il sangue dei Jackson, Sadie, versato direttamente da loro- commentò Walt posando le mani sulle spalle della ragazza- Però se dobbiamo morire, allora mi va bene provare a fermarlo.
Sadie si voltò espirando forte, cacciando un'occhiataccia al ragazzo dietro di lei:- Devi sempre fare il pessimista? Quale parte di "positività" non vi è chiara?
Walt sorrise nel vedere la ragazza gesticolare velocemente, tanto che faceva fatica a seguire le mani pallide di lei. Si chinò e posò un bacio in mezzo ai capelli biondi, facendo arrossire la ragazza, la quale fermò le mani a mezz'aria, balbettando:-Ti picchio con una ciabatta.
Il gruppo scoppiò a ridere, mentre la bionda diventava sempre di più color pomodoro. Sadie incrociò le braccia al petto, borottando qualcosa. Ziah s'alzò e andò alla finestra dalla quale riusciva a vedere l'Empire State Building. Lo osservò con nostalgia, un po'di tristezza e forse con anche della rabbia. Era lassù che avrebbero sconfitto il Caos, sull'Olimpo, davanti ai troni degli Dei. Non c'era nulla di pronto, nulla di calcolato, solo sperato. Il sangue, il loro sangue, avrebbe posto fine a quella guerra. Lei e gli altri erano portatori di ordine, ma anche di Caos. Come il sangue dei Jackson poteva svegliare il Caos, così esso poteva addormentarlo, senza però mai distruggerlo, perchè, come Annabeth aveva spiegato loro, non si può uccidere qualcosa che regola tutto, perchè se ci fosse troppo Maat, ordine, allora non ci sarebbe vita, così il contrario: l'eccessivo Caos non avrebbe portato la vita. Cameron aveva riassunto il concetto in Yin e Yang. Dovevano solo addormetarlo.
-Ziah?- la chiamò Carter, abbracciandole la vita e posando il mento sulla spalla, non sentendo la risposta della ragazza arrivare- Stai tranquilla, va bene? Andrà tutto bene, te lo prometto.
-Non lo so, Carter- rispose la giovane accarezzandogli i capelli- Se fallissimo sarà stato tutto inutile, tutto questa ricerca e così tutto quello che abbiamo passato.
-Sono certo che ce la farete- ribattè il ragazzo- Ho fiducia negli altri e, in particolar modo, in te.

James entrò di soppiatto nella camera, cercando di fare il meno rumore possibile per evitare che la ragazza si svegliasse. Kya era distesa sul letto, a pancia in giù, mentre abbracciava il cuscino, sul quale aveva posato la testa. Aveva un'espressione rilassata, che James non vedeva da mesi sul volto della ragazza. La bocca era socchiusa e un rivolino sottile di bava le scendeva dall'angolo della bocca. Il figlio di Bau sorrise, stendendosi accanto a lei, passando un braccio intorno alla vita della ragazza, che si voltò dall'altro lato, mugnando qualcosa di incomprensibile. James sorrise ancora di più, mentre osservava la giovane voltarsi verso di lui, con gli occhi semiaperti e lo sbadiglio pronto ad arrivare.
-Buongiorno- borbottò la ragazza strofinandosi gli occhi sotto lo sguardo attento del- Che ore sono?
-Circa le due del pomeriggio- rispose il ragazzo dagli occhi verdi- Hai dormito, sì e no, cinque ore, tanto per la cronaca. Adesso stai meglio?
-No-ribattè la ragazza con i capelli rosa abbassando il volto- Ancora non riesco a credere che Anne sia morta. Io... io... non voglio lasciarla andare.
James abbracciò la ragazza, che aveva iniziato a piangere sul suo petto, come se fosse il cuscino su cui prima dormiva beatamente. Il figlio di Bau strinse a sé la ragazza, cercando di confortarla, ma lei non faceva altro che piangere. James le accarezzó i capelli soffici mentre lei stringeva forte la sua maglietta bianca.
-Anne...- inizió il ragazzo- Era una buona amica. Sarà difficile da dimenticare.
-Io non la voglio dimenticare- sussurró tra i singhiozzi la giovane. James annuí:-Allora non la dimenticheremo, te lo prometto. Scriveremo il suo nome sulle mura della ziggurat, lo giuro.
-A lei sarebbe piaciuto un mazzo di fiori sulla sua tomba- confessó- Nulla di gigantesco, solo quello.
James sorrise timidamente, cercando, nella sua mente, un modo per farla sorridere. Sapeva a quello che la ragazza andava in contro. Quella notte avrebbe decretato la vittoria o la sconfitta, la vita o la morte e, in entrambi i casi, lui avrebbe rischiato di perderla. Avrebbe voluto portarla via, oppure prendere il suo posto. Quanto desiderava vivere come i mortali, senza divinità che vogliono separarti dalla persona che ami ogni qualvolta che ne hanno l'occasione.
-Vado a farmi la doccia- disse la ragazza spostandosi dal ragazzo, ascuigandosi le ultime lacrime, alzando il lenzuolo per uscire e dirigersi verso il bagno annesso alla stanza- Tu riposati.
James alzó le sopracciglia, mentre osservava la giovane scendere dal letto, con la maglietta, che usava come pigiama, mezza alzata che lasciava intravedere la biancheria intima nera della figlia di Ishtar. Le fissó le gambe toniche, desiderandole intorno alla sua vita, mentre erano sdraiati sul letto a fare cose poco concie.
-James?- lo risveglió Kya con lo sguardo preoccupato- Mi stai ascoltando?
Il ragazzo scosse la testa e la figlia di Ishtar seguí lo sguardo verde del castando fino al punto in cui stava guardando. Afferró un cuscino e glielo lanció contro con forza, rossa in faccia, come se le avessero gettato in volto un barattolo di vernice color rosso:-Brutto pervertito che non sei altro!
James si tolse il cuscino dalla faccia, ridendo:-È normale che io faccia pensieri sconci su di te, principessa.
-Va a quel paese, James- ribattè la ragazza mentre si dirigeva verso la porta del bagno con il cambio di vestiti in mano. Sentì le risate del ragazzo giungere a lei, poi un cuscino le colpí la schiena. Si voltó, facendo cadere i vestiti che teneva in mano, guardó in cagnesco in castano, il quale pensó che non era stata una grande idea stuzzicare la ragazza, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Kya si avventó su di lui, bloccandogli le mani a lato della testa, ringhiandogli in faccia. Il sorriso furbo di lui fece capolino sulle labbra. Approfittó della situazione e capovolse le posizioni, trovandosi così sopra la ragazza dai capelli rosa, la quale aveva smesso di ringhiare come una leonessa ed era diventata color porpora sulle guance. James le bloccó le mani sopra alla testa, impedendole di fuggire, poi si chinó e posò le labbra su quelle della ragazza, che, meccanicamente, rispose al bacio impetuoso del ragazzo, il quale inizió ad accarezzarle i fianchi con la mano libera. Poco a poco, James liberó i polsi della figlia di Ishtar e le mani di lei si catapultarono tra i suoi capelli castani morbidi. Il figlio di Bau infiló le mani sotto la t-shirt della giovane, accarezzandole la pelle liscia. James sapeva che, prima o poi, lei lo avrebbe fermato, l'aveva sempre fatto, ogni volta che lui ci provava. Quella volta, peró, sembrava diverso, perchè non l'aveva ancora fermato. Dentro al corpo della ragazza, invece, c'erano un miliardo di emozioni contrastanti. Il suo corpo era una fornace, all'interno. Ogni sua molecola stava prendendo fuoco e, ogni minuto che passava, quel fuoco che divampava dentro di lei, si faceva sempre piú grande. Le magliette di entrambi ora erano a terra, in un qualche luogo indefinito della stanza di quell'hotel di New York. James baciava ogni lembo di pelle della ragazza, a partire dal collo sino al basso ventre, fin dove il bordo della biancheria gli permetteva. Non si erano mai spinti oltre il bacio ed era nuovo per entrambi, tutto ció. Certo, Kya sapeva che James non era esattamente una persona dai pensieri casti, ma era nuovo anche per lui. La stanza odorva di sudore, adesso, ed era riempita dai gemiti della ragazza. Tra i due corpi non c'era piú distinzione: uno completava l'altro. I respiri dei due semidei erano un solo respiro affannato e i loro cuori sembravano avere lo stesso ritmo. Il silenzio tornó a regnare nella stanza dell'hotel. Kya e James erano stesi uno accanto all'altro, sotto le coperte, mentre le loro pelli nude si toccavano. James accarezzava i capelli rosa della ragazza, che circondavano il suo volto come una aureola colorata, mentre Kya disegnava fugure immaginarie sul suo petto. James s'alzó sui gomiti e guardó negli occhi la ragazza, accarezzandole le guance ancora accaldate:-Sei bellissima, principessa.
La ragazza sorrise timidamente:- Anche tu non sei male, Mr.Muscolo.
-Siamo in vena di complimenti- commentó lui, mentre lei annuiva- Allora ti dico una cosa.
Si sporse avvicinandosi all'orecchio della ragazza, sussurrandole qualcosa che sapevano solo loro. Kya diventó rossa, spostó il ragazzo, scese dal letto e si diresse in bagno, per farsi quella famosa doccia. Mentre sbatteva la porta, insultò il ragazzo, ancora disteso sul letto, che rideva. Mentre rideva, pesava che, senza di lei, non poteva essere felice.

Harry camminava per l'hotel, cercando di fuggire dai suoi pensieri. C'era probabilità di sopravvivere? No e, se c'erano, erano scarse. Pensó che forse doveva calmarsi. Insomma, quante volte gli era capitato di pensare negativamente e poi, in realtà, era andato tutto bene. Ma a chi voleva mentire! Le cose non erano mai andate bene, o almeno, non del tutto. Poteva sperare adesso? Adesso che combattevano contro il Caos? No, non poteva sperare, ma se c'era una cosa che aveva imparato da Percy era non perdere la speranza, ma lui non ci riusciva.
-Hey, Harry- lo chiamó Ron dalla fine del corridoio. Lo raggiunse velocemente, camminando poi affianco a lui, scendendo le scale assieme, uno accanto all'altro, come quando attraversavano i corridoi della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Dio, quanto gli mancava quel posto intriso di magia! Era stata la sua casa per anni, anni in cui era cresciuto, era maturato ed era diventato un uomo. Gli sarebbe piaciuto raccontare, un giorno, le sue avventure ai suoi figli, partendo da Voldermort sino a quel momento. Voleva raccontare di come aveva girato il globo terrestre, affrontando divinità, mostri e creature maligneche cercavano d'impossessarsi del mondo. Voleva raccontare come erano riusciti a fermare le forze del male, se mai questo fosse accaduto. No, dovevano riuscirci.
-Dovresti smetterla di pensare- disse Ron sempre accanto a lui con le mani in tasca e lo sguardo serio, rivolto verso la fine del corridoio- So che sei preoccupato, anche io lo sono, ma davvero, rilassati.
-Sono molto preoccupato, Ron- ribattè il moro- Potremmo non tornare a casa e il mondo che conosciamo finirebbe. Al momento, non riesco ad essere positivo. Inoltre, i Jackson rischiano pesantamente e ti ricordo che sono gli unici che possono fermarlo.
-Non dimentichiamoci che tu sei collegato con uno di loro- rammentò il rosso abbassando lo sguardo- E quindi rischi anche tu Harry.
-Sarebbe una novità se non fosse così giusto?- chiese una voce femminile dietro di loro. Hermione li raggiunse, mettendo le braccia intorno alle loro spalle. Era più bassa dei due ragazzi, ma per lei non sembrava essere un problema effettivo: si alzava sulle punte dei piedi e spesso si faceva portare in braccio.
-Buongiorno Herm!- la salutò Harry sorridendo, o almeno provandoci- Dormito bene?
-Non è andata male- rispose la ragazza- Madama Chips è passata poco fa a vedere come stavo e mi ha dato delle pastiglie per non so cosa, poi mi ha detto di uscire, per prendere una boccata d'aria e allora sono venuta a cercarvi. Allora? Cosa vi stavate dicendo?
-Niente di particolare- rispose il rosso- Ciò che c'era di importante l'hai sentito.
-Ancora arrabbiato?- domandò la bruna imbronciando lo sguardo, attendendo la risposta del ragazzo, che non arrivò mai a causa di Harry che s'intromise nella conversazione, obbligandoli a stare zitti e a non procedere con quella che sarebbe stata l'ennesima discussione. Dovevano seriamente smetterla i suoi amici. Non potevano discutere ogni tre per due. Erano accadute tante cose sulla Heroes e, per quanto i due ragazzi ci avessero messo una pietra sopra, Harry era convinto che Ron ce l'avesse ancora con Hermione e Draco, per aver trattenuto un quasi relazione segreta. Draco era stata un'ancora per la ragazza, per superare un momento difficile con il rosso, che invece era assente, in quel momento. Era stato naturale abbastanza del resto gli opposti si attraggono in una qualche maniera. Adesso, però era chiaro: Hermione non amava il serpeverde. Il serpeverde aveva trovato una nuova ragazza da amare, ma era ancora sconosciuto a loro il suo nome. Sapevano soltanto che era una ragazza e che aveva i capelli neri, nulla di più.
-Ho voglia di cioccolata, voi?- disse Hermione, girandosi e camminando all'indietro, per osservare i volti dei due migliori amici- So che Ginny, Luna, Draco, Ernie e Neville sono al piano di sotto a mangiare qualcosa. Che ne dite se ci uniamo a loro?
-Direi che è un'ottima idea, Hermione!- esclamò Ron, prendendola sottobraccio e affiancandola- Harry, vieni con noi vero?
-Sì, certo!- esclamò il ragazzo moro, sistemandosi gli occhiali sul naso e sorridendo ai due amici. Insieme, presero l'ascensore, dirigendosi al piano terra e poi alla sala pranzo, dove trovarono i loro amici attorno ad un tavolino da bar, intenti a mangiare qualcosa. Harry prese posto accanto a Ginny, la quale posò la testa sulla sua spalla, inondando le sue narici del suo profumo dolce. Le posò un bacio tra i capelli rossicci e circondò la sua vita con un braccio, mentre con la mano libera prese la tazza colorata che era posata davanti al posto dove era seduta la ragazza. Inspirò l'odore di caffè e cioccolata, bevendone un sorso, mentre l'amaro del caffè si faceva strada nella sua bocca. Draco era di fronte a lui e chiaccherava con Ernie e Neville, mentre sorseggiavano un tè ormai freddo. Il biondo gli sorrise e Harry non potè fare a meno di ricambiare, ammettendo che, per quanto il passato del ragazzo fosse traumatizzante e influente su di lui, era una brava persona che era riuscita ad uscire dall'oscurità che la circondava. Forse avrebbe dovuto capirlo prima, per aiutarlo, ma Draco si era alzato da solo e aveva cambiato direzione, imboccando la strada del bene. Non avrebbe potuto trovare amico migliore, eccetto Ron, ma lui era più un fratello, come Hermione era più una sorella che un'amica. Poi c'era Luna che leggeva un libro. Aveva tagliato i capelli biondi e adesso le arrivavano poco sopra le spalle, ricci come quelli di Ananbeth. Gli occhi brillavano ancora e, la ragazza, non aveva perso la sua aria innocente e da bambina che era sua caratteristica da quando Harry la conosceva. Era assorta nel suo libro, tanto che non si era accorta dell'arrivo del trio. Ginny aveva chiuso gli occhi e si stava addormentando sulla sua spalla, invece. Era carina mentre dormiva.
-Stai comoda?- le chiese il ragazzo accarezzandole il fianco. La rossa annuì, ancora mezza addormentata:-Mi sono bevuta almeno cinque caffè, ma non riesco proprio a rimanere sveglia.
-Veramente ne hai bevuti sette di caffè- precisò Luna non alzando lo sguardo dal suo libro dalla copertina antica- Non ti fa bene tutta questa caffeina, Ginny.
-Questo lo so anche io, Luna- ribattè la Weasley strofinandosi gli occhi con le mani- Ma sembra essere l'unico rimedio per non crollare. In ogni caso, parliamo di altro.
-Tipo?- chiese il fratello mentre assumeva anche lui la sua dose di caffeina- Non abbiamo molto di cui parlare, Ginny, non senza deprimerci.
La stanza piombò nel silenzio totale. Nessuno parlava. Le mani di Harry e Ginny erano unite e sembravano non volersi staccare, ma a loro andava bene così.

Cameron osservava la città dall'alto, senza toccare terra. Era sul tetto dell'hotel e gaurdava la città distrutta. C'era solo della malinconia in quella città che una volta era stata piena di vita. Nonostante fosse cresciuto in una città in mezzo al deserto, Cameron conosceva la città dalle mille luci, quella che non dormiva la notte. A volte, quando era piccolo, saliva sulla grande piramide e gli sembrava di vedere le luci di New York arrivare sino a lì. In quei giorni, invece, sperava che i lampioni funzionassero, solo per permettere a loro di vedere durante le ore notturne. Era una cosa complicata la sua vita. La collana che aveva al collo lo dimostrava. La stella dei Jackson, la stella a cinque punte, gli cadeva sul petto, ricordandogli del peso che portava sulle spalle. Lui era una di quelle punte. Lui era l'aria, l'aria del rinnovo, del cambiamento, ma anche della distruzione. La punta alla sua destra era Kya, la terra,  che porta possibilità di crescere, ma anche lei porta distruzione. E poi, ai lati opposti, Ziah, con il suo elementi caldo, da cui, per secoli, si pensasse fosse origine di vita, cosí come l'acqua, l'elemento di Percy, dalla quale, effettivamente, si era originata la vita. In alto, distante da tutti, vi era Jean, la luce, che poteva essere sia buona che cattiva. La luce poteva essere buia, oscura, ma poteva essere anche luminosa, brillante. Governava tutto, la luce. Si rigiró il medaglione tra le dita, iniziando a giocarci. Era un anti stress.
-Hey nanetto!- lo chiamó una voce femminile. Si voltó e vide Jean, vicino alla porta, i capelli rossi legati in una treccia e gli occhi circondati da un filo di mascara, come se volessero essere ancora piú belli e profondi. Era una bellezza antica e, i suoi occhi, sembravano raccontare il passato, il passato che lei aveva vissuto. La ragazza s'avvicinò, appoggiandosi al muro con i gomiti e guardando anche lei la città sottostante, con occhi tristi.
-Sai- disse Jean iniziando il discorso- Non credevo che avrei rivisto il mondo. Inoltre, credevo che non fosse cambiato più di tanto... invece...
-Ti sei ambientata bene, però- commentò Cameron cercando di sollevarle il morale, senza ottenere nulla però, se non un sorriso da parte della giovane. Jean fece un tenero sorriso rivolto al cugino:-Era meno complicato ai miei tempi, senza Internet o cose simili. Però i vestiti sono molto più comodi. Adoro i jeans e come calzano. Non sai che tortura era per me portare le gonne.
Cameron rise, mentre Jean gesticolava con le mani, cercando di disegnare una gonna a ruota nell'aria. Jean sbuffò divertita come non mai: le piaceva parlare con Cameron. Era un ragazzino molto simpatico, con divertenti orecchie leggermente appuntite, tanto che sembrava un piccolo elfo biondo, con occhi chiari e gli occhiali sul naso. Era forse colui con cui si trovava meglio. Neanche tra i suoi compagni einherjar si trovava così bene.
-A me piacerebbe vivere in un'altra epoca- disse il ragazzo- Penso che mi sarei trovato meglio, per come sono fatto, intendo. A volte credo di non appartenere neanche a questo mondo.
-I semidei non sono sempre guerrieri, Cam- ribattè la ragazza dai capelli rossi appoggiando il mento sui palmi delle mani- C'è bisogno anche di persone intelligenti, anzi, c'è più bisogno di persone che sanno come agire in situazioni difficili che di persone di stampo guerriero.
-Parli per esperienza vero?- chiese il figlio Ehēcatl, osservando la ragazza annuire e sospirare:-Ci sono cose che non dovrei raccontare, o meglio, devono rimanere segrete. Per quanto i segreti possano essere terribili ed insopportabili, a volte sono necessari.
-Ho capito: il passato deve essere tale. Va bene così- la rassicurò Cameron- So che ci sono cose che devono rimanere nascoste e, se non ti senti pronta a parlarne, va bene così. Sappi, però, che se avrai bisogno, io ci sarò.
Jean annuì, abbracciando il ragazzo di slancio, facendolo cadere a terra. Entrambi risero. Cameron si mise in piedi mordendosi l'interno della guancia, come faceva quando pensava. Era preoccupato, parecchio preoccupato, ma sapere Jean accanto a lui, pronta a sostenerlo, gli dava forza. Nonostante si conoscessero solo da qualche giorno, avevano instaurato un bel rapporto, iniziando a comportarsi come fratelli. Alle volte, dopo le battaglie, si sedevano uno accanto all'altro e, magiando pop-corn, parlavano del più e del meno. Jean gli aveva raccontato molto del suo passato. Era una storia triste, parecchio triste. Era nata poco prima della fine della guerra. All'epoca viveva in Inghilterra, ma fu costretta a trasferirsi in Francia, con più precisione in Normandia, dove, insieme alla madre, visse per circa quindici anni. Morì, diventando una einherjar e incontrò un ragazzo, un figlio di Thor, di cui si era innamorata, ma lui era morto poco dopo, traffitto da una freccia, diretta a lei. Jean si era poi scontrata con il Caos ed era stata catturata e rinchiusa in una cella dove il tempo non passava. Era una storia triste, che in un primo momento aveva fatto scendere qualche lacrima a Cameron. Jean non voleva pietà, credeva fosse inutile. Ormai era successo e non si poteva cambiare e la pietà non sarebbe servita a niente.
-Forse- disse Cameron alzandosi da terra e sedendosi sull'aria- Potresti chiedere agli Dei di riportare in vita il tuo fidanzato, il figlio di Thor.
-La morte è morte, Cam, specialmente per gli einherjar- rispose la rossa alzando le spalle- Non si può tornare indietro, non da una doppia morte.
Cameron annuì serio, rimanendo in silenzio. Capiva le ragioni della ragazza: non voleva veder soffrire l'uomo che amava ancora una volta, magari in un'epoca a lui sconosciuta. Jean sorrise timidamente, dandogli una pacca sulla spalla:-Andiamo, nanetto, devi riposare.
-Ma no!- esclamò il ragazzo biondo- Non sei mia madre, Jean.
-No- ribattè la ragazza rossa- Ma sono più vecchia di te, perciò decido io. Andiamo, Cam.
Il biondo sbuffò e scese a terra, guardando male la ragazza, che se la rideva. La figlia Baldr mise un braccio intorno alle sue spalle, sorridendogli. Insieme scesero le scale che portavano ai piani inferiori, continuando a chiaccherare del più e del meno. Erano tranquilli, anche se sapevano che mancava poco alla battaglia finale. Forse c'era speranza, forse no, ma loro avrebbero combattuto, su questo non c'erano dubbi. Avrebbero combattuto fianco a fianco, con la speranza di vincere, anche se c'erano poche probabilità di vittoria, ma ci avrebbero provato.

 

   
 
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