Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Vitani    21/01/2019    1 recensioni
Dopo la sconfitta di Gargoyle, i superstiti del Nuovo Nautilus cercano lentamente di far tornare alla normalità le proprie esistenze. Non è semplice, quando si è vissuta un'avventura come la loro.
Electra ha visto morire l'uomo che amava e si trova da sola con un bambino da crescere. Nadia non riesce a smettere di guardare al passato nonostante abbia ormai la vita che desidera.
Presto, troppo presto, l'incubo di Atlantide torna ad addensarsi sul futuro.
E, stavolta, sembra esigere la vita dei suoi Figli.
Basteranno a salvarli l'abnegazione di una madre, il legame di una sorella e di un fratello?
Basterà il comandamento di un padre, "vivi"?
Basterà l'amore?
"Nadia, noi non siamo obbligati a dare o ricevere amore. Noi siamo amore."
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Medina Ra Lugensius, Nadia Ra Arwol, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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PARTE PRIMA
GUARDARE AL FUTURO
 



 
«Echo. Appena ci avvicineremo alla superficie comunicate all’accampamento la nostra posizione e avvisateli di preparare le scialuppe.»
«Agli ordini.»
«Raoul, voi coordinerete le operazioni di sbarco.»
«Sì.»
Furono gli ultimi ordini che diede. Raoul, l’anziano capo-macchinista del Nautilus, sedeva alla sua postazione senza il coraggio di voltarsi a guardarla. Ebbe solo il cuore di farle una domanda.
«E voi, vicecomandante?»
«Io resterò a bordo per avviare le manovre di affondamento della nave. Vi raggiungerò appena ho finito.»
Si era rifiutata di sedere al posto di comando. Si rifiutava di girare la testa, di vedere quel vuoto che aveva alle spalle. Parlava con voce ferma, però, risoluta, al punto che ebbero timore di non vederla ritornare. Temettero che decidesse di restare lì, di farsi affondare con la nave, perché dopo la morte di lui ogni cosa aveva perso di senso.
Era così per tutti, figurarsi per lei.
L’aveva amato, lo sapevano tutti. Quello che ignoravano era che portava suo figlio in grembo.
Lei dovette percepire la loro esitazione, perché finalmente li osservò, uno per uno. Osservò le loro schiene, ascoltò il loro silenzio, comprese la loro sofferenza.
«Tornerò», disse, «State tranquilli.»
Glielo doveva.
L’Eritrium si appoggiò sull’acqua dolcemente, in un punto nascosto e profondo al largo della baia di Suruga. Chi aveva scelto di restare a bordo durante la battaglia contro il Red Noah venne sbarcato sulle scialuppe inviate dalla costa. La navicella restò a pelo dell’acqua alcune ore, il tempo necessario a completare il trasbordo di tutto l’equipaggio e a portare le scialuppe a distanza di sicurezza.
Rimasero tutti a guardare, Raoul, Echo, gli altri ufficiali, i feriti scesi dal Nuovo Nautilus, Jean, Nadia, Grandis, Hanson e Sanson. Osservarono con malinconia crescente la navicella che si inabissava, dolcemente com’era atterrata. Lei aveva deciso di non far esplodere il motore, per evitare uno tsunami, aveva detto. Così aveva disattivato il dispositivo a para-annichilazione ed espulso l’aria dalle casse zavorra, che avevano immediatamente iniziato a riempirsi d’acqua. Mentre l’Eritrium scendeva, si era assicurata che il motore restasse spento e aveva ancorato lo scafo in modo che si incagliasse fra gli scogli del fondale. Se anche qualcuno l’avesse fortunosamente trovato, e ne dubitava a quella profondità, nessuna tecnologia umana sarebbe stata in grado di farlo ripartire. Avrebbe dovuto distruggerlo, forse, ma non se la sentiva.
Non si trattava del suo Nautilus, ma era comunque la nave che li aveva riportati a casa.
Tutti tranne lui.
Guardò la plancia un’ultima volta, guardò il sedile vuoto del comandante, spinse oltre lo sguardo fino alla postazione dei sonar. Non ce la faceva. Era una codarda. Tremava, ma finse di non vedere. Tremava al punto da non riuscire quasi a respirare. Non sapeva cosa ne sarebbe stato di lei, ma doveva essere forte. Per suo figlio, se non per se stessa.
Ingoiò a vuoto, inspirando profondamente, e si portò le mani al ventre.
«Vado, comandante», sussurrò.
 

Temevano che non sarebbe ritornata, nonostante tutto, che avesse avuto un ultimo ripensamento e deciso che non ne valeva la pena. Perfino Grandis era in ansia, guardava la navicella che si inabissava con occhi spalancati e ancora lucidi. Non l’avrebbe mai perdonata se non fosse riemersa, mai.
Raoul taceva, osservando l’Eritrium con aria stanca.
Erano tutti sfiniti, provati emotivamente più che nel fisico, e perdere anche lei sarebbe stato intollerabile.
Trattennero il fiato quando videro uno dei gusci di salvataggio dell’Eritrium affiorare dal pelo dell’acqua. Raoul diede immediatamente ordine di avvicinare le barche e, all’apertura del guscio, la aiutò a salire a bordo.
«Come stai?» le chiese.
Non rispose, Electra. Abbozzò solo un sorriso, lieve, lontano, e chiuse gli occhi.
Il rumore delle onde le era familiare, così come l’odore salmastro. Se stava a occhi chiusi poteva ancora immaginare di essere sul Nautilus, di averlo accanto. Come quelle volte in cui erano in emersione e stavano sul ponte esterno a osservare il tramonto, lei poggiata alle balaustre e lui poco più indietro. Non parlavano granché, all’epoca. Era già iniziato il momento dei silenzi, più o meno da quando lei era cresciuta e aveva saputo.
Capì che si avvicinavano alla costa, udiva le voci di quelli rimasti all’accampamento, li salutavano, festeggiavano. Si chiese come avrebbero reagito nel capire che Nemo non era con loro. Lei stessa si chiese come fare a sopportare il vuoto che sentiva nel petto. Sembrava volerla divorare. Non ci pensò, si rifiutò ancora. Occhi chiusi, il più possibile. Dai la colpa al sole.
Pensò che avrebbe dovuto piangere.
Non ci riusciva.
Forse, semplicemente, non capiva.
Attraccarono. Qualcuno, non capì chi, la aiutò a scendere.
Va tutto bene, si ripeté. Va tutto bene, va tutto bene. Il sole splendeva sulla sua testa come se avesse voluto farsi beffe del dolore di tutti. Il sole abbagliante di un giorno che lui non aveva potuto vedere.
Aprì gli occhi, Electra, guardò lontano un punto di fronte a sé, oltre le sagome degli uomini dell’equipaggio. Sorrise. Era felice, no? Doveva esserlo. Avevano sconfitto Gargoyle, finalmente. Lo era, lo era davvero. Felice di averlo sconfitto. Il desiderio di tutta una vita. Ma a che prezzo?
Fece un passo, un altro.
«Electra!»
Cadde.
 Incurante delle mani che cercavano di sostenerla, crollò svenuta sulla sabbia.
 

 
“Medina.”
Mani calde che le cingono il viso.
“Ascolta, Medina. Qualsiasi cosa accada devi promettermi di essere forte, va bene? Forte come sei sempre stata.”
Ha degli occhi bellissimi, sembrano neri ma sono verdi, di un verde scurissimo e profondo.
Te ne accorgi solo se li guardi davvero da vicino.
È felice di aver potuto notare quel dettaglio, perché significa che gli è accanto, finalmente gli è accanto.
Labbra sulle labbra, un bacio leggero, dolce.
Gliene dà tanti, sempre.
Lui la lascia fare, le lascia fare tutto quello che vuole.
Medina sorride.
“Te lo prometto.”
 
Aprì gli occhi già sapendo cos’era accaduto. Si trovava in una delle tende allestite dall’equipaggio rimasto a terra. Era da sola, per fortuna. Non avrebbe sopportato sguardi di commiserazione, di pietà. Aveva promesso di essere forte e lo sarebbe stata. Quelle versate sulla plancia del Nautilus, il giorno dell’affondamento nella fossa di Tonga, sarebbero state le sue ultime lacrime.
Entrò Icolina.
«Oh, vi siete svegliata, vicecomandante. Mi fa piacere. Avete avuto un brutto calo di pressione.»
«La battaglia», rispose semplicemente Electra.
Meglio così, meglio dare la colpa alla stanchezza piuttosto che al vuoto. Lui non avrebbe più visto il mare né l’alba. Non avrebbe visto i mille e mille giorni di felicità che lo aspettavano. Non si sarebbe più svegliato con lei accanto. Non le avrebbe mai più sorriso. Non avrebbe mai guardato il volto di suo figlio. Era impensabile che si fosse privato di una tale gioia dopo tutta la sofferenza della sua vita.
Una fitta al petto le tolse il fiato.
Faceva male.
Espirò lentamente. C’erano cose che andavano fatte.
«Icolina, non c’è più bisogno che mi chiami vicecomandante. Non sono più il comandante di nessuno.»
L’infermiera sembrò sorpresa. Era ovvio. Ormai erano così abituati alla vita all’interno di un sottomarino da non riuscire a ragionare come persone comuni. Erano stati sempre come una famiglia, questo sì, ma era comunque un ambiente in cui vigeva una gerarchia che lei si era sempre data da fare per mantenere. Icolina e suo nonno non facevano parte del nucleo originario dell’equipaggio del Nautilus, ma erano stati fra i primi a salire a bordo. Il loro villaggio natale in Medio Oriente era stato distrutto da Gargoyle durante uno dei primi esperimenti riguardanti la Luce di Babele e Icolina, ancora bambina, era rimasta orfana. Suo nonno, l’unico parente che le fosse rimasto, aveva prestato soccorso ai sopravvissuti e li aveva guidati fino a un villaggio nei pressi del disastro. Aveva preso con sé anche Icolina e le aveva insegnato a essere una brava infermiera. Qualche anno dopo, mentre indagava i movimenti di Gargoyle, Nemo li aveva trovati e aveva deciso di reclutarli. Il Nautilus non era ancora stato varato.
Raoul, in particolare, era stato felice di avere una ragazza a bordo. Pensava che avrebbe potuto essere una buona amica per Electra, cresciuta tra uomini. Erano quasi coetanee, dopotutto. Eppure, Electra non era mai riuscita ad aprirsi. Non aveva idea di come fosse avere un’amica e, dopo aver indossato una divisa da soldato, non le era più interessato. Aveva altro a cui dedicarsi. Non che fosse una persona asociale o scontrosa, ma c’era qualcosa in lei che metteva gli altri membri dell’equipaggio in soggezione. Eccettuati, ovviamente, quelli che la conoscevano da più tempo. Quelli che l’avevano vista crescere.
Sospirò. Poteva provare almeno un po’ di indulgenza verso se stessa.
«Icolina,» disse «ci conosciamo da tanti anni eppure credo di non averti mai detto il mio vero nome. Mi chiamo –»
«Signorina Electra!»
Non ebbe il tempo di finire la frase.
Jean sbucò dentro la tenda come una furia, con sul volto un enorme sorriso e la gioia negli occhi.
«Ho sentito parlare, finalmente si è svegliata!»
Electra sorrise a sua volta. L’entusiasmo di quel ragazzo era contagioso e, una volta di più, fu certa che avessero fatto la scelta giusta salvandogli la vita. Proprio lui, fra tutti, non meritava di morire per mano di quel mostro. Era forse il solo, fra loro, davvero innocente. L’unico che non c’entrasse proprio nulla.
«Sì, Jean. Sto bene.»
Entrò anche Nadia, subito dietro di lui. Sembrava intimidita, come se non avesse idea di come rivolgersi a lei. Stava a occhi bassi, si tormentava le mani.
«Electra…», sussurrò infine, «Grazie.»
Electra sorrise. C’era una cosa che Nadia doveva assolutamente sapere.
«Ascolta, Nadia» disse «Dove andrete tu e Jean adesso?»
Furono sorpresi da quella domanda, perché in verità non ci avevano ancora pensato.
«Be’,» rispose Jean «suppongo che torneremo in Francia, a Le Havre.»
Electra esitò per un istante. Era… difficile ammetterlo così, dopo averlo confidato solo a poche persone. Entrarono anche Grandis e Marie, venute a vedere come stava. Lo sguardo che Grandis le lanciò, in particolare, fu eloquente. Sapeva.
«Io credo che tornerò in Marocco», disse, «Vivevamo là quand’ero ancora piccola. Ho bisogno di stare un po’ in pace. E vorrei che mio figlio nascesse in Africa. È il luogo in cui io e suo padre siamo stati più felici.»
Grandis chinò il capo. Non c’era bisogno che venisse aggiunto altro. Electra trovò, chissà dove, la forza per abbozzare un sorriso incerto.
«Vi scriverò quando vi sarete sistemati. Nadia, mi farebbe piacere se fra qualche mese veniste a conoscere il tuo fratellino.»
Non osservò la reazione di Nadia. Le bastava che sapesse, che capisse. Guardò, invece, la fedina d’oro bianco che portava al dito e il sorriso sulle sue labbra s’incrinò.
«Era mio marito», sussurrò.
Nell’udire quelle parole Nadia le si avvicinò. Aveva il passo leggero di una danzatrice, l’animo scosso. Il dolore di aver perso un padre appena ritrovato, la consapevolezza che avrebbe avuto, presto, un fratello. E poi c’era Electra. L’aveva odiata a lungo, per motivi che ormai le sembravano così futili da non ricordarli neppure più. Non le disse niente. Si chinò sulla sua branda e la abbracciò. La abbracciò come avrebbe fatto una sorella. Electra sobbalzò.
«Nadia…»
Non si aspettava quel contatto. Lo capiva, però. Capiva quanto profondamente fossero unite da un dolore comune. Ricambiò l’abbraccio. Nadia era figlia dell’uomo che aveva amato sopra ogni cosa e questo era ciò che, un tempo, aveva innescato la crisi. Adesso era ciò che le faceva provare affetto. Inaspettatamente, pianse. Non capì se di commozione o di dolore. Tra le braccia di quella ragazzina versò lacrime. Fu come svuotarsi di tutto, almeno per un attimo.
Fu una consolazione.
Trascorsero qualche minuto così, a farsi coraggio l’un l’altra, unite come non erano mai state.
«Grazie, Nadia.»
C’erano anche altre cose che andavano fatte. Electra scostò Nadia, poi si alzò in piedi. Aveva ancora dei doveri verso i suoi uomini.
«Ora andiamo. Devo andare a parlare con l’equipaggio. Si preoccuperanno se non mi vedono.»
Icolina si allarmò.
«Aspetta, non alzarti. Riposati ancora un po’.»
Electra scosse la testa.
«Non serve. Sto bene.»
Era chiaro che nessuno le credeva, ma ebbero almeno il cuore di non farlo notare apertamente.
 

Chiamò a raccolta l’equipaggio, ben sapendo che sarebbero stati gli ultimi ordini che avrebbe dato.
Li fece radunare tutti nella piccola insenatura che anche Nemo aveva usato per il suo discorso di commiato. Non aveva idea di che parole avrebbe usato, ma li guardò a lungo. Prima di parlare osservò i loro volti uno per uno, volti di uomini e ragazzi che erano diventati una famiglia e che nel corso degli anni si erano uniti alla loro causa mettendo in gioco le loro vite.
«Devo ringraziarvi», esordì, «Ringraziarvi per il vostro contributo in questi anni di lotta e di battaglie. Molti dei vostri compagni sono morti perché potessimo giungere fin qui. Il capitano è morto perché potessimo ritornare.»
Tacque per un attimo. I marinai si tolsero il cappello, chinarono il capo. Alcuni pregarono.
«Io vi ringrazio per quello che avete fatto fino a oggi. La minaccia di Gargoyle è finalmente sventata, dopo tredici lunghi anni. Da questo momento siete liberi. Fate delle vostre vite ciò che volete, ma vivetele fino in fondo. È l’unico comandamento che lui ci ha lasciato, quello che ritengo più importante. Da parte mia io pregherò con tutto il cuore perché nessuno di noi debba più rivivere un’esperienza come questa. Grazie ancora, sempre.»
Alcuni di loro avevano le lacrime agli occhi.
«Grazie a lei, vicecomandante.»
«Grazie!»
«Grazie mille.»
Salutarono Electra con un coro di grazie e quasi scese ancora una lacrima anche a lei. Era la fine di un lungo incubo ma anche la fine di un sogno, quello che aveva visto scomparire una dopo l’altra le sue ragioni di vita. Tutte a parte una.
Le restava la vita che portava in grembo.
Nemo le aveva donato il suo regalo più grande, l’amore, e quel bambino ne era il frutto.
 

«Dal porto di Shimizu ci imbarcheremo per Yokohama. Da lì salperemo per Calcutta e proseguiremo per Suez, con scalo a Bombay. Una volta nel Mediterraneo proseguiremo per Tangeri, da cui tu e Nadia potrete agevolmente proseguire fino in Francia.»
Raoul stava illustrando a Jean le tappe del loro prossimo viaggio. Avrebbero impiegato mesi ad arrivare dal Giappone fino al Mediterraneo con mezzi normali, ma d’altra parte non c’era bisogno di avere fretta. Le minacce che avevano alle spalle si erano dissolte, il clima era mite e la traversata per mare si prospettava sotto i migliori auspici.
«E voi?» gli chiese Jean «Il resto dell’equipaggio… che farete?»
«Io andrò a Tangeri con Electra. Te l’ha detto anche lei, vivevamo tutti lì prima di imbarcarci sul Nautilus e sarò ben felice di trascorrere in pace i miei ultimi anni sotto al caldo sole dell’Africa. Per quanto riguarda il resto dell’equipaggio, sono liberi ormai. Possono andare dove preferiscono.»
Il vecchio macchinista sorrideva, ma si notava che era parecchio stanco.
Dover ritrovare una routine, dover ricominciare a vivere dopo l’esperienza che si erano trovati ad affrontare, era qualcosa di tutt’altro che semplice.
«Comunque faremo insieme quasi tutto il viaggio di ritorno, sei contento?»
Jean annuì. Certo che era contento. Fosse stato per lui, non li avrebbe mai lasciati.
 

Quel pomeriggio Electra era scesa fino a Shizuoka con Icolina, Marie e King.
Avevano comprato dei vestiti e tutto quello che sarebbe stato necessario per il viaggio. Marie si era divertita tantissimo a girare per negozi e ne aveva rimediato dei nastri per capelli e delle collanine, oltre ai sorrisi dei commessi. Non capiva una parola di quello che dicevano ma era una bambina, e i bambini si fanno comprendere piuttosto bene a tutte le latitudini.
Per Electra era stato strano girare per negozi, non lo faceva quasi mai neppure quando il Nautilus sbarcava per i rifornimenti dalle parti di qualche città. Preferiva restare a bordo a badare alla nave, in mezzo ai suoi libri e agli strumenti della sala di comando. Le sentiva, naturalmente, le voci che correvano fra i marinai a bordo. Dicevano che era un peccato che una ragazza così bella si trascurasse a tal punto. Oh, ma lei non si era mai trascurata, tutt’altro! Solo che non le interessava essere particolarmente appariscente, perché il solo uomo che avesse mai desiderato la considerava una figlia.
Tutto il resto era ridicolo.
L’ipotesi di amare qualcun altro le era sempre sembrata inconcepibile.
Si era divertita quel pomeriggio, anche a badare a Marie che era una bambina vivace ma spiritosa e simpatica. Non l’avrebbe mai detto quando le faceva fare i compiti sul Nautilus, ma perfino la sua compagnia la faceva rilassare.
Era stato solo per un paio d’ore, ma era stato piacevole comportarsi, per una volta, come una donna normale. Pensare che avrebbe dovuto farlo ogni giorno della sua vita era un’altra storia. Non le sembrava ancora possibile.
Electra, in quel momento, era davanti a uno specchio.
Si era tolta l’uniforme e l’aveva sostituita con una sottoveste, a cui era seguita una lunga gonna di un bel punto di azzurro che si intonava coi suoi occhi. Non indossava il corsetto, non l’aveva mai fatto e non ci era abituata, figurarsi ora che era incinta. Sopra si era messa una semplice camicia bianca estiva e un giacchino leggero. Guardò il suo riflesso. Con quell’abbigliamento sembrava più giovane. Non fosse stato per i capelli corti e per l’aria più matura che aveva acquisito nell’ultimo periodo, sarebbe quasi potuta passare per una ragazzina. Non era più abituata nemmeno a quello, a vedersi con abiti civili addosso.
Be’ avrebbe dovuto abituarsi, d’ora in avanti, e cercare di ignorare il cuore che sussurrava.
Avrebbe voluto che lui la vedesse con quei vestiti addosso, che le dicesse che le stavano bene.
Avrebbe voluto che fosse lì, con loro.
A vivere una vita perfettamente normale, magari insignificante ma felice.
Avrebbe voluto.
Ormai lo sapeva, abituarsi al vuoto sarebbe stata la cosa più difficile.
Le si spezzava il cuore.
 
 
 
- continua -




 
N.d.A. Prima di tutto: non vi preoccupate per Electra. Al momento è (un bel po’) in crisi, ma considerate che è passato praticamente meno di un giorno da quando sono tornati. Ha appena iniziato a realizzare ma non ha intenzione di seguire Nemo nella tomba, non farà gesti sconsiderati e avrà presto un bambino di cui occuparsi. D’altra parte, io resto convinta di una cosa: Nemo non avrebbe mai accettato di ricambiare il suo amore se non fosse stato più che certo che lei potesse farcela da sola anche se lui fosse morto.
Insomma, la ragazza ha forza da vendere e lo dimostrerà andando avanti.
Certo avrà anche i suoi momenti di crisi, perché sì, perché dopo una perdita del genere è umano averli, tant’è che spenderò qualche altra parola al riguardo anche nel prossimo capitolo. Non solo dal suo punto di vista ma anche da quello di altri personaggi che comunque a Nemo erano legati.
Congedato l’equipaggio, i nostri si metteranno quindi in viaggio verso il Mediterraneo. L’itinerario che ho esplicitato in questo capitolo ricalca in parte (al contrario) quello percorso dai protagonisti de “Il giro del mondo in ottanta giorni”.
Alcune scene, infine, sono riprese dal penultimo capitolo della mia fanfic “I giorni dell’amore”.
Spero che questo primo capitolo, per quanto abbastanza introduttivo, vi sia piaciuto.
A presto!
 
Vitani
   
 
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