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Autore: ToscaSam    22/01/2019    3 recensioni
La solita storia di una ragazza che si iscrive all'università e incontra dei ragazzi.
Più o meno.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI
 
I sabati pisani erano stranamente noiosi. La vita si scatenava di venerdì. I fine settimana parevano lunghi strascichi noiosi. Erano appendici di rilassamento totale e spesso di noia, come una domenica più lunga del normale.
Quel sabato, invece, Tullia si sentiva come ai vecchi tempi. I tempi del liceo, quando di sabato si usciva e si facevano giri con gli amici nella speranza che accadesse qualcosa. I suoi sabati sera non avevano mai previsto sbronze o droghe, al contrario della maggioranza delle sue coetanee. Tullia era sempre stata fin troppo brava.
A pensarci, si rese conto di non aver mai vissuto un sabato davvero eccitante, tanto meno era mai stata ad un appuntamento.
Aveva deciso: di quello si trattava. Eppure che tipo di appuntamento era? Fra amici? Fra amici che vogliono conoscersi meglio?
Il tempo parve protrarsi e le lunghe ore della mattina furono infinite.
Tullia non aveva detto niente alle sue coinquiline. Si limitò a dire che quel giorno sarebbe uscita e non sapeva a che ore sarebbe rientrata.
Quando fu il momento di scendere per andare ad aspettare Paolo, Clarissa stava studiando Istologia in cucina e le altre due ragazze erano chiuse nelle loro camere.
Tullia scese le scale col cuore che le martellava in gola.
Aprì il portone e rimase in attesa.
Paolo fu puntuale. Alle quindici e poco più erano già in marcia verso il suo misterioso paesino.
L'automobile era piuttosto pulita, e Tullia constatò con curiosità che non aveva odore. Tutte le macchine hanno un odore, alcune profumano di cuoio, altre puzzano per l'eccessiva esposizione al sole, altre sono soffocate dai profumatori artificiali.
Quella no. Era anonima, come anonima fu la conversazione che i due ebbero durante il tragitto.
Tullia si era preparata un sacco di domande che fossero sia di circostanza ma nemmeno troppo banali. Paolo le liquidò con risposte brevi, come se gli desse fastidio che lei parlasse.
D'un tratto, lui chiese:
« Cosa ti piace?»
« In che senso?»
« In che senso vuoi che sia? In generale. Non sto mica parlando di cibo».
Rise molto della sua battuta e Tullia ne fu infastidita. Le sopracciglia erano ancora più cespugliose e vicine, gli occhi ancora più sporgenti, fissi sulla strada.
« Mi piace la letteratura»
« Meglio la lingua, no?»
« Ehm ...»
« La letteratura è un insieme di discorsi, alla fine. Prendi la Divina Commedia. È molto più interessante studiare la linguistica che i concetti generali, no? A parte che io la odio. Era solo per fare un esempio»
« Ma è la Divina Commedia. Come fai a dire odi la Divina Commedia? È bellissima!»
« Ma via! Cosa ha di tanto bello? Anche la teologia è ridicola, piena di persone che non c'entrano niente con il cristianesimo … è tutta un'accozzaglia».
Tullia fu profondamente offesa da quel discorso senza senso. Provò a dire qualcos'altro che le piaceva:
« Mi piace il Rinascimento. La storia ma anche il resto. Botticelli … fino anche a Raffaello. Adoro la pittura rinascimentale».
Si interruppe, vedendo che Paolo corrugava la fronte.
« … Ehm … a te che periodo piace? Periodo artistico»
« Non mi piace l'arte»
« E periodo storico?»
« Santo cielo, Tullia! Ma a chi diamine piace la storia?!».
Tullia ricevette quelle affermazioni come colpi di pistola rivolti al petto.
Perché le parlava così? Sapeva benissimo che lei studiava storia; perché farle fare di nuovo la figura della stramba? Perché metterla a disagio?
Cercò di non darsi per vinta.
« A te che cosa piace?»
« Viaggiare»
« Ecco. E quando viaggi che vai a vedere? Per forza deve piacerti un minimo la storia»
« Davvero, ora basta con questa cosa della storia. Mi dispiace ma fa proprio schifo. È una materia noiosa e inutile. Anche a Roma, ora, che vogliono ampliare la metropolitana e non possono perché lì dovunque tu scavi, trovi non so che di reperti. Ma ti pare una cosa possibile? Alla fine sono sassi. Ce ne saranno duemila, a Roma. Quando ne hai visto uno, che te ne frega? Non puoi impedire a una città di progredire perché hai dei sassi stupidi da conservare».
Gli si erano arrossate le guance dall'ardore con cui esponeva l'argomentazione. Tullia si zittì definitivamente e per il resto del viaggio non desiderò che ritornare a Pisa.
Le case erano svanite già da un pezzo e una serie di colline dall'aria familiare sfilavano una dopo l'altra al finestrino. Tullia amava il paesaggio toscano. Era nata e cresciuta in un paesino di campagna. Avrebbe potuto perdersi a fissare le onde color grano delle colline in eterno.
Il paese natale di Paolo si chiamava San Leonardo e distava circa un'ora di automobile da Pisa. Erano le sedici e trenta, quando lo raggiunsero.
Il borgo si mostrava arroccato su un colle e per raggiungerlo bisognava salire una strada di pietre, per fortuna trafficabile. Era una gran salita. L'auto di Paolo l'affrontava con una gran fatica, ma lui riuscì a non farla spegnere mai. Ci era così abituato, disse, che sapeva perfettamente quando scalare dalla seconda alla prima.
Quando il paese cominciò ad essere vicino, si notarono diverse auto parcheggiate di fianco alla strada. Anche loro la lasciarono lì, constatando che dovevano comunque fare un bel pezzo a piedi.
La salita era ancora più irta, senza le ruote sotto le scarpe. Paolo si destreggiava come una capra di montagna e sapeva benissimo riprendere fiato al momento giusto.
Tullia non era abituata e dovette fermarsi un paio di volte, suscitando l'irritazione malcelata di Paolo.
Alla fine ce la fecero e raggiunsero il centro abitato. Era piccolo e delizioso. Tullia si dimenticò delle strane circostanze che l'avevano condotta in quel luogo e si dedicò al divertimento: la piazza centrale era carica di bancarelle, si sentiva il profumo delle caldarroste, dei brigidini e della frutta secca.
Paolo riprese a sorridere e Tullia lo trovò di nuovo abbastanza affascinante.
Lei prese a girare in cerca di cianfrusaglie: dolci gommosi, dolci casalinghi, pane e affettati, formaggi, ma anche sassi decorati a mano, portachiavi con le incisioni, minuscole tele dipinte a olio. Ogni tanto lanciava un grido di emozione, colpita da questo o da quell'oggetto. Paolo la seguiva, diligente, a un metro di distanza. Non guardava le bancarelle.
Temendo che si stesse annoiando, Tullia gli chiese:
« Mi fai visitare il paese?».
Lui rispose svogliatamente che non c'era niente da vedere. Tullia era troppo esaltata dalla fiera per arrendersi. Sempre di buonumore indicò a Paolo la figura tozza di una cinta muraria, con ancora qualche torre in piedi.
« Quello non è “niente”. È visitabile?»
« Ancora con la storia, Tullia! Devi imparare a controllarti!»
Tullia fece spallucce e tornò a spulciare i banchi dei dolciumi.
Poiché era ottobre inoltrato, il buio calò molto presto. Tutt'intorno vennero accesi lampioni e lampadine, così che ora il prezioso borgo somigliava a un paesino delle fate. Era davvero bello.
Tullia non poteva essere di un umore migliore e nemmeno Paolo poteva guastarlo.
« Alle nove lanciano i fuochi d'artificio. Quelli meritano davvero!»
disse lui, finalmente un po' entusiasta.
« Sono le sette. Cosa mangiamo?»
« Un panino?»
« Va bene!»
Chiacchierando finalmente con un po' di allegria, i due fecero la fila da una signora anziana che vendeva i salumi. Tullia acquistò un panino con la mortadella e una bottiglietta di Coca-Cola. Paolo lo prese al prosciutto e da bere solo acqua.
Si sedettero su una panchina e mangiarono. Il freddo contatto con la pietra fece prendere a Tullia un attacco di brividi. Fa che questi fuochi si sbrighino, cominciò a pensare, rimpiangendo la sua bella stanzetta di Pisa.
La gente era tanta e offriva un grossolano riparo dal vento, però l'aria era comunque gelida. Tullia bevve la Coca-Cola e si ghiacciò anche lo stomaco. Era certa che non avrebbe mai digerito il panino e che avrebbe vomitato davanti a tutte quelle persone, davanti a Paolo.
Si strinse forte nel giacchetto e nella sciarpa, mentre Paolo la guardava con commiserazione. Perché diavolo l'avesse invitata, per Tullia rimaneva un mistero. Voleva solo arrivare al lunedì, per andare a lezione di cartografia con Rocco, Angelo e Bruno.
« È veramente una cosa incivile, mangiare sulle panchine, vero?» chiese Paolo di punto in bianco.
« Che vuol dire?» rispose Tullia battendo i denti. Non era quello che avevano appena fatto?
« Mi sembra una cosa da barboni. Sembra voler dire che non abbiamo abbastanza soldi per andare in un ristorante»
« Beh ma un po' è vero. Avremmo speso almeno venti euro al ristorante. Così ce la siamo cavata con meno» replicò lei.
Lui le fece un mezzo sorriso.
« Perché, tu risparmi tanto?»
Tullia non lo sapeva. Non si era mai pensata in nessun modo. Le era capitato sia di spendere più di quanto dovesse, ma anche di fare conti per risparmiare più soldi possibili.
Grazie al cielo, i fuochi iniziarono.
Tullia e Paolo si alzarono e si accalcarono in mezzo alla folla. Con le persone appiccicate alle proprie spalle, Tullia riuscì a riscaldarsi un po'.
La notte era veramente bella: limpida e priva di nuvole. Sopra i fuochi d'artificio si vedevano le stelle, organizzate in complicate costellazioni.
Dal cielo cominciarono ad arrivare bagliori rossi, verdi, blu. I fischi precedevano le esplosioni, poi i boati riecheggiavano cupi, finché non sopraggiungeva un altro fischio. E via, e via. Luci, colpi, scintille e fumo.
Tullia era estasiata e non sentiva nemmeno più il freddo.
Poi Paolo la baciò.
Tutto acquistò un senso nuovo. Le esplosioni divennero pretesti e suonarono un ritmo forte e incessante. L'odore della polvere si univa all'odore di pelle, di saliva e di lana. Le sciarpe si schiacciavano insieme ai loro cappotti, che man mano si erano fatti più vicini. Paolo la strinse e Tullia gli cinse la vita. Non badarono alle persone accanto. I fischi e gli scoppi dei fuochi rendevano tutto il mondo una bolla ovattata.
Tullia ce l'aveva fatta. Era così felice che non riusciva a crederci: aveva baciato un ragazzo scelto da lei. L'aveva sedotto e aveva deciso che l'avrebbe avuto.
Cercò di cacciare una strana vocina amara che le sussurrava all'orecchio “e adesso?” .
Spinse quel sussurro lontano dentro il cranio, per incamerare il senso di soddisfazione e goderselo tutto. Alla faccia di Giulia, quell'idiota.
Tullia e Paolo riemersero dal bacio, sorridendosi e abbracciandosi. Rimasero così a godere l'uno del calore dell'altra, mentre nel cielo si dipingevano i più spettacolari colori infuocati.
Poi una folata di vento solleticò il collo sotto i capelli di Tullia.
« Fa freddino eh?» disse lei, abbracciandosi a Paolo ancora di più. Era magro e sentiva la forma delle scapole da sotto il cappotto.
Lui si ritrasse con naturalezza.
« Vado a prenderti uno scialle di mia mamma».
La mamma? Che c'entrava la mamma, si domandò Tullia. Quando gli pose quest'interrogativo, senza riuscire a nascondere l'aria terrorizzata, lui rispose:
« Ne ha uno in macchina. Lo tiene per le emergenze. Puoi usarlo».
Tullia mugolò che lo avrebbe aspettato lì, ma non ci fu verso. Paolo la condusse per mano fuori dalla folla, verso la strada dove anche loro avevano parcheggiato.
C'era la lunga fila di macchine, tutte uguali sotto il riflesso dei fuochi artificiali.
Ma Paolo non si diresse a nessuna auto. Seguì un minuscolo sentiero sterrato fino ad arrivare a quello che Tullia identificò come un piccolo ristorante.
Entrarono, lui tranquillo, lei tremante. Le gambe non smettevano di cedere eppure era certa che non si trattasse del freddo.
Paolo si diresse a passo sicuro verso un tavolo, dove stavano cenando due persone: erano i suoi genitori.
« Mamma, mi dai le chiavi della macchina? Lei è la mia fidanzata. Ha freddo, vorrebbe il tuo scialle»
Tutto di quella frase infastidì Tullia. Avrebbe voluto fuggire.
La signora aveva uno sguardo penetrante, gli occhi sporgenti del figlio e le sue stesse sopracciglia folte. Guardò Tullia con estremo interesse, giudicandola, poi rispose con una voce fin troppo falsata, che voleva sapere di buono a tutti i costi:
« Ah. La famosa Tullia. Abbiamo sentito parlare di te! Tieni, Paolo. La macchina è poco più sotto. Sai, Tullia, l'ha cucito mia nonna quello scialle. Non lo uso mai. Vedi che ha fatto comodo? Sono felice che l'abbia tu».
Il padre sorrideva bonariamente, senza una vera espressione.
Tullia non riusciva a smettere di tremare.
Mugolò un ringraziamento, ma sentì che non poteva annuire o la testa sarebbe volata via.
La mamma non la finì lì. Continuò a fissare Tullia, ignara del terrore che le provocava, o forse no.
« Vi va di venire a pranzo da noi, domani? È domenica. Potreste venire alla messa insieme. Ci sono anche i suoi fratelli!»
« Ehm, grazie ma no.. un'altra volta» Tullia proprio non ce la fece ad accettare.
« Che devi fare domani?» chiese Paolo con insistenza.
« Niente, ma non voglio scomodare i tuoi» rispose Tullia, in trappola.
« Ma che dici. A noi fai piacere» continuò la madre, tutta una moina.
Fu così che quando Tullia ritornò alla macchina con Paolo e misero in moto verso Pisa, con la promessa di rivedersi la mattina dopo presto, lei si stava domandando solo una cosa: perché?
  
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