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Autore: blackjessamine    23/01/2019    3 recensioni
Ufficio Misteri, 31 dicembre 1998: mentre l'anno della guerra e della pace vive i suo ultimi minuti, un gruppo di Indicibili scopre che una Soglia altro non è che un passaggio, e che dove si può andare avanti, si può tornare indietro.
Un grosso cane nero – apparentemente molto debole, ma innegabilmente vivo – viene estratto dalle macerie di un arco di pietra.
E mentre l'anno della morte e della rinascita volge al termine, i rimpianti si fanno leggeri, pronti ad essere spazzati via dalla speranza di una seconda possibilità.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Harry Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Capitolo 6
Camin dolce






Levando la piuma dall'ennesimo foglio che Landmann gli aveva posato davanti, una grossa macchia d'inchiostro schizzò la firma che Sirius aveva appena apposto. Oh, sì, questo avrebbe irritato terribilmente Landmann, nonché divertito Sirius: adorava vedere le narici del Guaritore fremere per la voglia di sbottare in un rimbrotto di qualche tipo, salvo poi doversi trattenere, conscio che il suo ruolo di Guaritore Capo Supremo Meraviglioso Privo di Eguali non gli conferiva alcun diritto di prendersela con la sbadataggine dei suoi pazienti.
Ex-pazienti, se tutto fosse andato bene.
Semi-ex-pazienti, se si pensava che Sirius aveva appena firmato infinite dichiarazioni con le quali si impegnava a recarsi regolarmente alle visite di controllo bisettimanali programmate per i prossimi tre mesi, asseriva che avrebbe rispettato tutte le indicazioni e le prescrizioni di Landmann, e prometteva che, al minimo accenno di un qualche peggioramento della sua salute, sarebbe tornato al San Mungo senza fiatare.
Chissà perché, sembrava che Landmann temesse che Sirius si sarebbe precipitato all'Ufficio per il Trasporto Magico per acquistare la prima Passaporta Internazionale per Brisbane, non appena qualcuno avesse allentato la sorveglianza su di lui. Non che fosse uno scenario che Sirius disdegnava, ma, insomma, non era certo di avere la forza emotiva di affrontare un cambiamento del genere, al momento.

"Signor Potter, posso contare su di lei affinché il signor Black non compia azioni avventate?"
Prima che Harry, da tre quarti d'ora impegnato a dondolare a disagio spostando il peso da una gamba all'altra, avesse il tempo di rispondere, Sirius sbottò:
"Ma per le flaccide pudenda di Vlad l'Impalatore! Non ho bisogno di una balia! Posso andarmene, ora, o devo firmare qualche contratto con cui mi impegno a spedirle un gufo ogni volta che vado in bagno?"
Ignorando l'agitarsi nervoso di Harry alle sue spalle, Sirius si godette con soddisfazione lo spettacolo del bel viso di Landmann che si tingeva di un acceso color aragosta, mentre il Guaritore combatteva con l'evidente impellenza di mandare a quel paese il suo paziente. Se c'era una cosa che Sirius aveva imparato durante quelle estenuanti settimane trascorse sotto la stretta – stretta? Soffocante! –osservazione di Landmann, era che quell'uomo aveva un cervello decisamente al di sopra della media, che ne era estremamente consapevole, e adorava sentirselo dire. Landmann era il fiore all'occhiello del San Mungo, e si muoveva per le corsie dell'ospedale con la stessa benevola pienezza di sé che avrebbe potuto sollevare da terra un dio misericordioso intento a crogiolarsi della sua immensa bontà mentre aiutava i poveri, comuni, insignificanti mortali. Gli altri Guaritori lo guardavano come i bambini del primo anno a Hogwarts fissavano per la prima volta la trasformazione in gatto della professoressa McGrannitt, e il fatto che avesse un sorriso a dir poco abbagliante e folte ciglia a sottolineare il calore del suo sguardo non faceva che aumentare i sospiri di ammirazione delle specializzande che sembravano seguirlo ovunque.
Patetico.
Sirius lo aveva detestato da subito, e il fatto che probabilmente la sua ripresa così repentina e sorprendente fosse dovuta alle geniali intuizioni di quell'uomo non aveva mitigato minimamente la sua antipatia. Se c'era una singola azione di cui andasse fiero, da quando era tornato a respirare, era aver affondato le zanne di Felpato nel braccio di quel Guaritore. Di certo questo non aveva contribuito a rendere il loro rapporto più limpido e amichevole, ma insomma, Sirius era ben consapevole di rappresentare un caso più unico che raro, un evento imperdibile, un'occasione irripetibile di arricchire il proprio curriculum di Guaritore Supremo Bellissimo e Incontrastato. Insomma, Ippocrate o non Ippocrate, Landmann non lo avrebbe mai lasciato morire.
Per quasi un mese avevano avuto entrambi un disperato bisogno l'uno dell'altro, ma Sirius era certo che quel commiato –momentaneo, dato che mercoledì mattina alle dieci in punto Sirius avrebbe dovuto attraversare di nuovo quei corridoi per sottoporsi ai controlli – sarebbe stato accolto da Landmann con la sua stessa gioia.
"Molto bene, allora. Per qualsiasi necessità, non esitate a contattarmi a qualsiasi ora, conoscete il mio indirizzo di casa. Si goda finalmente la sua vita, signor Black."
Senza nemmeno guardarlo in faccia, Landmann girò attorno alla sua scrivania ingombra pile e pile pericolanti di pergamena, passò sotto mura cariche di diplomi e attestati di specializzazione incorniciati con cura, ignorò la fotografia della sua bella moglie che ammiccava con tutti e trentadue i suoi candidi denti, e aprì finalmente la porta del suo studio.
"Grazie ancora di tutto, Guaritore Landmann..."

Sirius, impaziente, si precipitò nell'ampio corridoio dell'ala riservata al personale medico del San Mungo, mentre Harry si preoccupava di mantenere un atteggiamento civile e maturo nei confronti di Landmann.
Quando finalmente il suo figlioccio fu al suo fianco, i due cominciarono a camminare a passo spedito verso la saletta in cui Guaritori e Infermieri erano soliti trascorrere le loro pause: i camini delle stanze dei degenti erano tutti scollegati dalla Metropolvere, per garantire ai malati la massima tranquillità. Harry e Sirius avrebbero potuto utilizzare uno dei numerosi camini a disposizione del pubblico nell'ampio atrio, naturalmente, ma inspiegabilmente la notizia delle dimissioni di Sirius Black aveva raggiunto la stampa, e così al momento l'atrio era assediato da una decina di addetti alla sicurezza intenti a litigare con giornalisti agguerriti pronti a tutto per guadagnarsi il primo scatto del morto-non-morto più famoso del mondo magico. Landmann, sant'uomo, aveva permesso a Sirius e Harry di utilizzare il camino riservato al personale per poter lasciare, finalmente, l'edificio.
"Le flaccide pudenda di Vlad l'Impalatore? Seriamente?"
Harry scosse la testa, senza riuscire a reprimere un sorriso a metà fra l'esasperato e l'ammirato.
Quando i due raggiunsero finalmente la piccola stanza dedicata al riposo dei Guaritori, scoprirono che all'incirca ogni singolo impiegato del San Mungo doveva essersi preso un quarto d'ora di permesso proprio in quel momento: la stanzetta era affollata all'inverosimile, e Sirius riuscì a scorgere diversi volti sconosciuti, in mezzo a quelli dei Guaritori e degli Infermieri che nell'ultimo mese aveva imparato a riconoscere.
"Oh, merda..." Sirius non riuscì a trattenersi. Si era augurato di potersene andare in silenzio, senza fare rumore, senza dover sostenere attenzioni che non avrebbe mai voluto, e invece eccoli lì, tutti quei faccini accesi dalla curiosità, tutti quei colli che si allungavano a osservare Sirius Black e Harry Potter, attrazione numero uno di Londra, una falce per una fotografia, signori!
Harry, che evidentemente in questi mesi doveva essersi abituato a sopportare ben di peggio, non fece altro che sollevare appena le spalle in una posa leggermente rigida, alzare il mento e camminare a passo rapido verso le fiamme del camino, che scoppiettavano allegre. Il giovane fece attenzione a non incrociare nemmeno per sbaglio le numerose coppie di occhi che li seguivano, e Sirius decise di imitarlo.
Presto sarebbe stato tutto finito, sarebbe stato lontano da quei volti curiosi e da quei bisbigli, e avrebbe avuto due giorni, due lunghissimi, spaventosi giorni per abituarsi al fatto di essere un uomo libero. Un uomo libero che aveva perso quindici anni, che non sapeva come funzionasse quello strano mondo e che non aveva idea di che cosa avrebbe fatto della sua vita, ma pur sempre un uomo libero.
Sentendo il calore delle fiamme davanti a sé e il bruciore degli sguardi curiosi nella sua schiena, Sirius afferrò senza troppe cerimonie una manciata di Polvere Volante dalla vecchia scatola di cartone che un tempo doveva aver contenuto una confezione formato industriale di Ossofast.
"Destinazione Uccello Vermiglio, Abbotsbury, allora?"
Sirius non aveva mai voluto pensare a quello che avrebbe dovuto affrontare una volta lasciato il San Mungo, né avrebbe voluto parlarne, ma Harry era riuscito a strappargli qualche mezza indicazione. Se c'era una cosa su cui era stato chiaro, era che non aveva intenzione di tornare a Grimmauld Place, nemmeno se l'alternativa fosse stata quella di accamparsi di nuovo nella grotta poco lontana da Hogsmeade, nutrendosi di topi e avanzi rubati nottetempo.
Non ce ne sarebbe stato bisogno, ovviamente.
Harry lo aveva rassicurato dicendo che, se non avrebbero trovato un'altra sistemazione, l'appartamento che lui e Ron Weasley condividevano aveva un divano piuttosto comodo. Andromeda aveva aggiunto che, fino a quando Sirius si fosse impegnato a ripagare l'ospitalità accollandosi la pestilenziale incombenza dei pannolini di Teddy, la stanza degli ospiti di casa sua sarebbe sempre stata aperta. Insomma, questo finché Sirius non avesse avuto il tempo e la forza di cercare una sistemazione alternativa. Venne poi fuori che niente di tutto ciò sarebbe stato necessario: Harry, infatti, la settimana precedente si era recato alla Gringott per cercare di capire che cosa ne fosse stato del patrimonio di Sirius. Tutti i beni gestiti da un contratto magico stipulato dalla Banca, infatti, erano impregnati di antica e complessa magia, che trovava risalto nei vincoli magici legati al sangue della Nobile e Antichissima Casata Black. Quando Sirius aveva attraversato il Velo, tutti i beni in suo possesso – quelli che erano entrati in suo possesso a causa del sangue che gli scorreva nelle vene, a discapito di ogni strepito e insulto sputato dalla sua cara madre – erano passati in eredità a Harry. Harry, però, non aveva formalmente preso possesso di nulla, salvo, con la sua sola presenza durante la guerra, di Grimmauld Place. I beni della famiglia Black erano vincolati da antichi incantesimi legati al sangue, che non tenevano affatto in considerazione i legami ben più importanti dell'affetto e dell'amore. Non c'era sangue Black, nelle vene di Harry, che del resto non aveva compiuto alcun atto di rivendicazione nei confronti dell'eredità di Sirius, E così, a parte Grimmauld Place, tutto il resto del cospicuo patrimonio Black, negli ultimi due anni, era legalmente proprietà di Harry, ma all'atto pratico, non essendoci stata alcuna rivendicazione da parte del ragazzo, tutto apparteneva secondo magia agli ultimi Black viventi: Andromeda e Narcissa. Nessuna legge avrebbe mai permesso una cosa del genere: anche volendo, qualunque rivendicazione di Narcissa e Andromeda sarebbe stata ritenuta vana e priva di fondamenti, e i folletti della Gringott assicuravano che sarebbero bastate poche firme di Sirius, perché lui tornasse proprietario di ogni cosa. Quando Sirius aveva affermato di non voler niente, e di voler lasciare comunque tutto a Harry, i due avevano discusso. Alla fine, si erano accordati, stabilendo che Sirius avrebbe tenuto per sé il necessario per condurre una vita dignitosa, e il resto di quell'ingombrante eredità – di cui, del resto, Harry non aveva bisogno – sarebbe rimasta intatta fino al momento in cui Teddy avesse compiuto diciassette anni e deciso di voler aprire un allevamento di Ippogrifi in Nuova Zelanda, o di costruire bacchette in Argentina, o anche solo essere schifosamente ricco e viziato.
La cosa interessante, comunque, era il piccolo ed eccentrico cottage situato lungo la costa del Dorset: l'Uccello Vermiglio, l'appartamento che zio Alphard, a dispetto di tutto ciò che la loro famiglia aveva cercato di fare loro, per tutta la vita aveva gelosamente custodito e lasciato in eredità a Sirius. Sirius vi aveva vissuto per i quattro anni che erano seguiti al diploma, nell'incertezza della guerra, senza mai fare programmi, considerandolo solo un luogo di passaggio a cui tornare le notti che non avrebbe passato in giro per conto dell'Ordine. Era stato felice, in quel buco stracolmo di oggetti assurdi provenienti da ogni angolo del globo, felice quanto si può essere a vent'anni, quando una guerra minaccia di cancellare ogni cosa, ma si ha l'arroganza di rispondere al terrore con una risata, credendo in fondo di essere troppo giovani, troppo privilegiati perché qualcosa di brutto potesse accadere davvero.
Zio Alphard era un tipo strano, poteva aver tappezzato di sete cinesi un vecchio cottage che affacciava su una ripida scogliera, ma aveva fatto le cose per bene. Voleva lasciare al nipote scapestrato e ribelle un luogo sicuro, e si era adoperato affinché nessun Black potesse mai intromettersi fra Sirius e l'Uccello Vermiglio. Il cottage apparteneva a Sirius, e solo a Sirius, che ne aveva rivendicato la proprietà varcandone la soglia al raggiungimento della maggiore età. Quando Sirius aveva oltrepassato il Velo, avendo redatto un testamento magico, la proprietà dell'Uccello Vermiglio doveva essere potenzialmente passata a Harry, il suo erede designato, che però ne aveva sempre ignorato l'esistenza. Non essendo mai stato reclamato da nessuno, l'Uccello Vermiglio era rimasto sigillato nella sua magia protettiva per sedici anni, ed ora si sarebbe aperto solamente davanti a Sirius, il suo proprietario. Harry, nei giorni precedenti, aveva cercato di entrarci, non fosse altro che per controllare che l'ambiente si fosse conservato in maniera decente e che fosse adatto ad accogliere il ritorno di Sirius, ma non c'era stato modo di forzare la porta d'ingresso. Neppure Andromeda, nelle cui vene scorreva lo stesso sangue di Sirius, era riuscita a convincere la vecchia porta di legno scuro a cedere sotto il suo tocco.
Oh, be', a quanto pareva Sirius avrebbe dormito fra topi e ragni, quella notte.

“In realtà, ho dovuto promettere a Molly di portarti alla Tana, prima... insomma, una cena di bentornato, una cosa intima, per pochi, ma non ha voluto sentire ragione.”
Sirius si rabbuiò, osservando l'imbarazzo sul viso di Harry. Non voleva nessuna cena di bentornato, non voleva vedere nessuno, voleva solo sbucare in mezzo alla cenere e alla polvere dell'Uccello Vermiglio, lasciarsi cadere sul letto sfatto della sua camera di ragazzo e dormire finalmente per una notte intera, senza essere svegliato da una stupida Infermiera con un cucchiaio di chissà quale pozione pestilenziale.
“Non se ne parla, Harry.”
“Sirius, lo sai com'è fatta Molly... vieni solo dieci minuti, il tempo di buttare giù un bicchiere di vino, e ce ne andiamo.”
Negli occhi di Harry, Sirius vide tutta la sua esitazione: non doveva essere facile per lui dover mediare tra la testardaggine di Sirius e l'esasperante istinto materno di Molly.
“Va bene, ma solo dieci minuti. Anche Landmann ha detto che non devo fare troppi sforzi...”
“Non fingere che ti importi qualcosa di quello che ha detto lui!” sbottò Harry, esasperato.
Per sfuggire ai rimproveri di Harry, Sirius lasciò cadere la manciata di Polvere Volante che teneva in mano nel camino, ed esclamò, con voce chiara:
“La Tana!”

 
***


Tutto accadde molto più velocemente di quanto Sirius avrebbe immaginato.
Lo sgradevole tubrinio della Metropolvere gli ricordò fin troppo chiaramente che quella mattina Landmann aveva insistito per una dose doppia di Pozione Corroborante, che ora minacciava di lasciare il suo stomaco nel modo più disastroso possibile.
E quando finalmente tutto smise di vorticare, Sirius stava barcollando su un vecchio tappeto stinto, spargendo cenere in ogni dove, sentendosi lo sguardo acuto di fin troppe paia di occhi puntate addosso.
Una cosa intima, come no. Una cosa intima, per Sirius, voleva dire condividere una zuppa con i pensieri nella sua testa.
Per Molly Weasley, ovviamente, significava avere almeno sei persone sedute attorno ad un tavolo.
La mano ferma e salda di Arthur Weasley lo aiutò a rimettersi in piedi, mentre l'uomo, sorridendo, sussurrava:
“Bentornato, Sirius.”
Le strette di mano e i sorrisi furono così tanti che Sirius si sentì girare la testa. Non si accorse nemmeno che Harry era riemerso dal camino dietro di lui, reggendo ancora sulle spalle lo zaino con dentro i pochi vestiti che aveva procurato a Sirius per le settimane di degenza.
I Weasley sembravano tutti più sottili di come Sirius li ricordasse, stretti l'uno all'altro, con quei sorrisi che non riuscivano a nascondere del tutto le ombre nei loro occhi.
Ginny Weasley era tornata a Hogwarts, dopo la fine delle vacanze di Natale, e c'erano Charlie e Percy, i due Weasley che Sirius non aveva mai conosciuto, così diversi l'uno dall'altro che a stento si sarebbero detti fratelli, se non fosse stato per quella chioma della stessa sfumatura di rosso e gli stessi brillanti occhi chiari. Percy gli strinse la mano sistemandosi un paio di spessi occhiali sul naso, Charlie si limitò a fare un cenno, scrollando le spalle e aprendosi in un ampio sorriso.
E poi Fleur Delacour – no, Fleur Weasley, a quanto pareva – impeccabile e bellissima, come sempre.
Bill e George, e poi Ron, che sembrava cresciuto di un'altra spanna da quando Sirius lo aveva visto per l'ultima volta.
Andromeda, il viso esausto ma il sorriso svelto, che salutò Sirius con una strizzata d'occhio, e poi Molly, che emerse dalla cucina tenendo fra le braccia Teddy con la stessa naturalezza con cui altri avrebbero impugnato una bacchetta.
E per finire, l'abbaiare entusiasta di una ispida palla di pelo nero, che attraversò caracollante il salotto, arrancando sghemba sulle sue zampette non proprio simmetriche. Marmellata abbaiò e saltellò, annusò e scodinzolò, e Sirius non avrebbe mai voluto ignorarlo a quel modo, ma la porta d'ingresso si era appena aperta, e il sorriso di Alhena, quell'accenno di sorriso sul suo viso pallido era così bello, contro il cielo scuro.
Alhena rimase immobile a lungo, la schiena appoggiata contro la porta ancora aperta, i suoi grandi occhi fissi in quelli di Sirius.
E Sirius lo sentì, doloroso come una ferita aperta, tutto il peso dei suoi due anni di assenza. Perché sembrava che non fosse cambiato niente, non per Sirius, che sentiva solo il bisogno di avvicinarsi a lei e stringerla come aveva sempre fatto, come se fosse la sua àncora, e al tempo stesso come se volesse proteggerla da qualsiasi cosa. Eppure era cambiato tutto, tutto, nel modo in cui lei lo fissava, spaventata e lontana, irraggiungibile.
C'erano anni a separarli, anni fatti della sua rinascita, e non sarebbe bastato attraversare quei pochi metri di tappeto liso per cancellare quella distanza.
Questa consapevolezza si concretizzò nella malinconia con cui Alhena sorrise, chinando appena di lato il capo, come se si stesse scusando.
Una ciocca di capelli chiari scivolò da dietro l'orecchio di Alhena, ricadendole sul viso.
“Ti sei tagliata i capelli.”
Oh, per le pudenda più o meno flaccide di Vlad l'Impalatore.
Landmann si era sbagliato, era evidente che non fosse tutto a posto, nella testa di Sirius. Se fosse stato tutto a posto, le prime parole che avrebbe rivolto alla donna a cui aveva pensato più spesso nelle ultime settimane non sarebbero certo state ti sei tagliata i capelli.
Era un idiota.
Un grandissimo, immenso idiota.
E Alhena si stava passando una mano sulla nuca, facendo scivolare tra le dita quel che restava della sua bella chioma, e i suoi occhi si stavano chiaramente riempiendo di lacrime,
In quel momento, Molly e Fleur presero a parlare contemporaneamente, con una voce decisamente più alta del necessario, dicendo qualcosa a proposito della cena e dei primi gattonamenti di Teddy.
Solo allora Sirius si ricordò di tutte le persone presenti nella stanza, e si voltò per incontrare solo sguardi ignari o compassionevoli. Quando tornò a rivolgersi ad Alhena, lei gli aveva voltato le spalle.
Ci furono chiacchiere inutili, e il trambusto di una decina di persone che si spostavano goffamente dal piccolo salotto alla cucina.
Lentamente, la stanza si svuotò, e con un tuffo al cuore Sirius si rese conto di essere solo con Harry e Alhena. Lei continuava a evitare il suo sguardo, ma Sirius era quasi sicuro che ora non stesse più piangendo.
“Cosa preferisci fare, vuoi andare via?” domandò Harry, che sembrava estremamente confuso dalla situazione.
Istintivamente, lo sguardo di Sirius corse a cercare quello di Alhena, e lei si limitò a scuotere piano il capo.
“Ho fatto i kürtőskalács.”
Sirius non aveva la minima idea di quello che Alhena stesse dicendo, ma quando la donna si avviò lentamente verso la cucina, lui aveva preso una decisione.
Dieci minuti, un'ora, tutta la notte... al diavolo Emerenc Szeredàs e qualunque promessa le avesse fatto.
L'Uccello Vermiglio aveva aspettato il suo ritorno per sedici anni, poteva aspettare ancora.

Note:
Perché Sirius dovrebbe fuggire proprio a Brisbane? Perché l'Oceania è un bel posto dove essere felici. Parola di AdhoMu (davvero, eh, leggetela, se non vi è ancora capitato).
Nell'antica Cina, la stella Alphard era la più luminosa dell'Uccello Vermiglio, quella che potremmo definire la costellazione estiva del fuoco. Lo so, è un nome idiota da dare a un Cottage nel Dorset, ma lo zio Alphard è descritto come un tipo eccentrico, e quindi, perché no?
L'appartamento ereditato da Sirius l'ho collocato nel Dorset (e più in particolare poco lontano da Abbotsbury), perché... perché sì. Perché in questi giorni sto guardando Broadchurch, e sono innamorata follemente di quei panorami. Perché la scogliera della serie mi ricorda un sacco quella rappresentata sulla copertina del primo volume della saga dei Cazalet (che amo molto), e perché Abbotsbury mi ricorda Chesil Beach, che è anche un romanzo di McEwan (che amo molto). Insomma, sono impazzita con i riferimenti, lo so, ma questa storia tutta è nata all'insegna del “perché sì”, quindi portate pazienza.
Il Kürtőskalács, detto anche “camin dolce”, è un dolce tipico ungherese, ed è buonissimo. Spoiler: in cucina Alhena è una frana, in realtà lei ha provato a prepararli, ha fatto un disastro, e Emerenc ha salvato la situazione.
Questo capitolo doveva andare proprio così. Poi ho pensato di cambiare idea, di dare alla storia una piega del tutto diversa, e mi sono un po' bloccata Un po' bloccata per diverse settimane, anche se ho tergiversato con altri capitoli un po' “allungabrodo”. Infine, mi sono ricordata che, maledizione, questa è la mia storia “perché sì”. O “perché no”, vedetela come volete. E sì, le dimissioni e l'incontro con Alhena sono arrivati troppo presto per avere del tutto senso. Sì, qui ho fatto un casino colossale con la questione delle eredità magiche, ma non capisco un fico secco di diritto babbano, figuriamoci quello magico. E sì, nel prossimo capitolo succederà una cosa che forse non avrà senso e sembrerà molto pretestuosa, ma che cavolo, voglio farla succedere perché sì.
Sì, mi sto comportando come una bambina che picchia i piedi.
Perdonatemi, vi avevo avvertiti che questa storia è una barca senza capitano. O con un capitano che ha bevuto troppa Ausscottie (se di nuovo non capite, significa che non mi avete ascoltato e non avete letto le storie di Adho).
Ora taccio, giuro!
   
 
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