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Autore: ToscaSam    25/01/2019    1 recensioni
La solita storia di una ragazza che si iscrive all'università e incontra dei ragazzi.
Più o meno.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VII
 
la notte che Tullia passò, fu costellata di strane emozioni: la prevalente era la paura. Perché Paolo le aveva presentato i genitori subito dopo che si erano baciati? Perché diavolo l'aveva definita la sua fidanzata? Perché accidenti di un diavolo quella sua mamma li aveva invitati a pranzo e alla messa?
Tullia si sentiva mordere da una fitta dolorosissima, rossa e pungente.
Si rigirava sull'altro fianco e provava a pensare: Paolo mi ha baciata, ho vinto io. Giulia ha perso. Ho vinto la mia prima gara per le attenzioni di un ragazzo.
Ma poi sopraggiungeva il ricordo della stupida promessa che aveva fatto a una divinità non identificata, i mille interrogativi come “e ora che ho vinto la gara, cosa devo fare”? Si pensava stupida, la più stupida di tutte. Aveva usato il suo ritrovato fascino per sedurre Paolo, il ragazzo che meno le piaceva fra tutti.
Perché non poteva tornare alla beatitudine della compagnia dei suoi amici? Giocare a fare la signora, mentre tutti si adoperavano per lei, dare e ricevere soddisfazioni, fare conversazioni stimolanti, sentirsi a proprio agio.
Tullia ebbe un'altra morsa allo stomaco: da quel momento in poi non poteva più stare con i suoi amici come c'era stata fino ad ora. Lei ora era impegnata con un altro ragazzo. Loro dovevano vederla come un miraggio svanito, un oggetto vietato. Non potevano più fare galanterie nei suoi confronti. Lei doveva cambiare, di nuovo, diventare un'altra quando ancora la sé migliore stava nascendo.
Doveva accantonarsi, di nuovo. Sentirsi fuori luogo. Non dire e fare quello che avrebbe voluto.
Adesso lei doveva andare a messa con i genitori del suo fidanzato, pranzare da loro e pensare a una vita infinita con Paolo.
Paolo. Perché proprio lui? Perché quel ragazzo cattolico, con le sopracciglia unite, con gli occhi sporgenti e le labbra molli? L'unica cosa vagamente attraente di lui era il sorriso. Bella consolazione. A che serviva un fidanzato con il bel sorriso?
Tullia non vedeva vie di scampo, si sentiva soffocare. Non riuscì a chiudere occhio completamente e mai, nemmeno per un istante, fu sopraffatta dalla gioia per aver baciato il ragazzo che si era scelta.
La mattina arrivò in un battibaleno, anche se la nottata era parsa lunga e tormentata. Ecco che doveva vestirsi con cura, ma non le piaceva niente di quello che c'era nel suo armadio. Quelli erano vestiti per una donna indipendente, che ha amici brillanti all'università, che è di comitiva, che ride, che scherza e che adora parlare di storia.
Come si sarebbe vestita la fidanzata ufficiale di Paolo, il giovane credente che non poteva permettersi di salutare la ragazza che gli piaceva, perché quando si è a messa bisogna solo ascoltare la parola del Signore? Quello che trovava inutile e disgustoso ogni cosa che interessasse a Tullia? Quello che non aveva minimamente capito che Tullia non voleva incontrare i suoi genitori il momento dopo essersi scambiati il primo bacio?
Tullia ebbe una forte sensazione di nausea e corse in bagno a vomitare.
Si tirò su, sentendosi vagamente meglio, ma aveva un aspetto orribile. Allo specchio c'era una figurina pallida, di nuovo stramba, chiusa dentro una scatola in cui si era voluta ficcare per forza.
Era una pazza, si disse.
Si vestì senza cura particolare, scese le scale di malavoglia, aprì il portone e si sforzò di sorridere quando arrivò Paolo.
Si aspettò che almeno lui si dimostrasse contento di vederla, che le dicesse che era bella, anche se sapeva di avere una cera orribile.
Paolo non disse niente, se non:
« Sbrighiamoci».
Tullia trovò sgradevole l'assenza di odore di quella macchina. Tutto era sgradevole. Aveva di nuovo il mal di stomaco, soffriva in modo evidente, ma Paolo non parve in alcun modo accorgersene.
A metà viaggio, Tullia era sopraffatta da ogni tipo di malessere e per questo decise di iniziare una conversazione. Paolo sarebbe stato volentieri zitto per tutto il tragitto.
« Perché mi hai baciata?» disse con una sofferenza palese.
« Perché mi piaci» rispose lui, con ovvietà.
« Perché?» insistette lei.
« Che ne so» balbettò: « mi eri sembrata carina, quando hai preso il volantino della messa»
« Ah».
Paolo fu felice delle risposte date e tornò a guidare sorridente.
Tullia voleva di nuovo vomitare.
Arrivarono a San Leonardo in orario. Camminarono lungo la salita, anche se stavolta non c'erano tante macchine parcheggiate e si erano fermati molto più in alto.
Paolo non le prese mai la mano e lei non gliela chiese.
Arrivarono davanti alla chiesa. Tullia si dovette fermare per riprendere fiato, ma Paolo incalzò: « Sbrigati».
Quando Tullia salì i pochi gradini che la separavano dall'ingresso del luogo di culto, aveva le lacrime agli occhi.
Paolo la condusse lungo la navata centrale e le fece cenno di sistemarsi accanto a sua madre, che quando la vide la salutò con cerimoniosa gentilezza.
Buongiorno. Buongiorno. Dormito bene? Si. Sono così contenta che tu sia venuta. Eccetera eccetera. Tullia cercò di concentrarsi sulle parole del prete, sulla celebrazione, sui riti che il prete compiva, ma non ci riuscì.
La testa pareva galleggiare dentro un mare di cotone, abbastanza soffice da trasportarla qua e là, abbastanza solido da soffocarla.
Quando la messa fu finita, i genitori di Paolo salutarono molte persone, poi fecero cenno ai ragazzi di uscire. Si diressero tutti e quattro verso il portale centrale e una volta fuori, la madre disse:
« Venite in macchina con noi?»
Tullia era certa che Paolo avrebbe risposto: “no, abbiamo parcheggiato qui vicino” e invece disse:
« Va bene».
Tullia fu costretta ad accomodarsi sul sedile posteriore della macchina molto costosa dei genitori di Paolo, con lui accanto.
« Le ho riportato lo scialle» disse Tullia con una vocina spettrale, passando lo scialle che l'aveva riparata dal freddo la sera prima.
« Oh figurati, non importava» rispose la signora, afferrando il pacchetto con impazienza.
Tullia si sentiva adesso una perfetta idiota: era seduta dietro come i bambini, accanto a Paolo che sembrava piccolo e smilzo dentro quel macchinone. Davanti stava una coppia di sconosciuti che la trattavano con gioia esibita ma con un'evidente titubanza interiore.
Si sentì calciata indietro nel tempo, ricacciata all'adolescenza, quando ci si sente grandi ma agli occhi di tutti siamo ancora piccoli. Fu una sensazione orribile.
Paolo scorse per tutto il tempo lo schermo del cellulare, in silenzio, con un'espressione pacifica dipinta sulla faccia.
Tullia si abbandonò al sedile, chiuse gli occhi e sentì le palpebre bruciare per la nottata terribile che aveva passato.
Arrivarono a casa: era una villetta molto elegante, a un passo dalla campagna. Era dipinta di un bianco nevato e il tetto era arancione, proprio come una casetta di marzapane.
Per parcheggiare dovettero premere il pulsante di un telecomando, che fece aprire il gigantesco cancello in ferro battuto dietro cui si espandeva un giardino ben curato.
Appena scesero, Tullia vide un cagnolino dentro un recinto. Felice di quella distrazione, si diresse a fargli le feste ma Paolo la sgridò:
« Non toccare gli animali prima di andare a mangiare».
Tullia fu costretta ad abbandonare il cucciolo, che già saltava e scodinzolava di gioia.
Quando entrarono, Tullia si sentì di nuovo la creatura più fuori luogo dell'intero universo: la casa era estremamente curata ed elegante. C'erano piedistalli con sopra dei vasi vuoti, c'erano nicchie nei muri che contenevano minuscoli oggetti dall'aria fragile. Regnava un'aria di ordine e simmetria, che mandava ancora più in confusione il cervello di Tullia.
I genitori di Paolo avevano apparecchiato in salotto, un'altra stanza meravigliosa. Alle pareti c'erano quadri dall'aria antica che raffiguravano nature morte, cacciatori e scene di pesca.
La tavola aveva una tovaglia bianca, piena di fronzoli ed erano stati sistemati al centro due candelabri d'argento con candele rosse.
Suonarono al campanello. La mamma di Paolo andò ad aprire.
Che bello! Esclamò. Ci furono un sacco di convenevoli, tutti colpi che Tullia ricevette nello stomaco, uno dopo l'altro. Che piacere, etra, entra. Ecco la piccolina. Venite, che vi presento la fidanzata di Paolo. Mamma, occhio allo scalino, ecco qua. Prego, prego, venite dentro.
In un battibaleno, Tullia si ritrovò a stringere mani a presentarsi a fare complimenti a bambini piccoli e a dichiararsi contenta di incontrare tutti quanti.
C'erano i due fratelli di Paolo, entrambi con moglie e figli. C'erano i nonni paterni e materni. C'erano due zii e una zia.
Tutti si informarono sugli studi di Tullia, chiesero da dove veniva, chi fossero i suoi genitori. I bambini piccoli vollero salirle in collo, fecero a gara a chi riusciva a parlarci di più.
La mamma di Paolo raccontò come Tullia e suo figlio si fossero conosciuti, esibendo la fede cattolica di Tullia, che era addirittura andata alla messa di inizio anno accademico. Non sono molte le ragazze così accorte, al giorno d'oggi.
Tullia non sapeva se il suo falsissimo sorriso riuscisse ad ingannare anche una sola persona lì dentro. Tutti erano gioiosi e cordiali.
Sembrava un pranzo di Natale, uno di quelli vecchio stile, con la famiglia al completo, con i bambini che vogliono alzarsi da tavola per giocare, con i brindisi e con le tante portate.
Tullia mangiò pochissimo e fu bonariamente rimproverata da tutti.
Finito di mangiare, Paolo la portò sul divano e si misero a guardare la televisione. Con loro, c'erano anche gli zii e i bambini.
La giornata infernale terminò verso le quattro del pomeriggio, quando Tullia pregò disperatamente Paolo di riportarla a Pisa. Lui ci rimase male. Le chiese se non volesse rimanere anche per cena, ma lei rispose quasi urlando che voleva andare a casa.
Sfilò lungo il salotto, dando baci, abbracci e strette di mano. Spero di rivederti presto, come sei bella, ciao, ciao.
Il padre di Paolo fu costretto ad accompagnarli in auto, poiché loro avevano lasciato la propria in cima alla salita del paesello.
Quando furono in macchina, Tullia si rintanò in una posa a riccio, chiusa nel giacchetto, disperata.
Dopo una buona mezz'ora di silenzio, Paolo sospirò, con l'ombra di un sorriso sulle labbra:
« Che bella giornata».
  
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