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Autore: Tenar80    25/01/2019    1 recensioni
Corea 2018. Olimpiadi invernali.
Una leggenda alla propria ultima gara.
Un campione in cerca di conferme.
Un atleta di valore, di uno stato periferico.
Una giovane promessa alla propria prima olimpiade.
Il tutto complicato dai sentimenti, dallo scandalo doping, da un calendario gare studiato apposta per accanirsi sui pattinatori, dalle rivalità sportive e gli infortuni.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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Ed eccoci al secondo capitolo, in cui scopriamo che ne è stato di Victor e Yuuri nell'ultimo anno... Buona lettura!


 – Ed eccoci qui, per la quarta volta – disse Victor, rivolto al peluche a forma di barboncino posato sulla trapunta blu del letto.

    Trent’anni suonati e ancora si portava appresso un peluche. Si concesse di sorridere di se stesso. Non poteva immaginare di essere lì, in quel momento, senza il pupazzo.

    A Torino lo aveva stretto quando si era chiuso in bagno a piangere, furibondo per la peggior gara della propria vita, a neppure vent’anni si sentiva un atleta finito. Di Vancouver aveva ancora una foto, lui e Chris mezzi ubriachi, mentre festeggiavano il suo argento, e il pupazzo tra loro, posizionato in modo che sembrasse bere un cocktail. A Soci, dopo l’oro, non aveva trovato di meglio, per festeggiare, che mettere la medaglia al collo del barboncino, con la certezza che il suo cane, al proprio rientro a casa, sarebbe stato l’unico a gioire davvero.

    Aprì la finestra e lasciò che l’aria gelata gli schiaffeggiasse il viso. Cercò di assaporarla, per imprimerla nella memoria. Questo misto di freddo e cemento, con un sentore del mare lontano, l’odore della sua ultima olimpiade. Voleva viverne ogni istante, senza pensare al futuro. E il futuro, comunque, era Yuuri e gli faceva infinitamente meno paura di quattro anni prima.

    Chissà se anche Yuuri in quel momento era alla finestra, la sua di certo chiusa e non aperta. Chissà se davvero si trovava bene con i compagni di squadra e i tecnici della nazionale, come continuava a dire, o se in realtà aveva la vitalità sociale di un geco attaccato alla parete. Il campione del mondo in carica, terrorizzato all’idea di scambiare quattro chiacchiere con atleti che lo idolatravano. Victor sorrise.  Come sempre, quello che agli altri sembrava follia, era stato la sua salvezza. Ci aveva provato, ci aveva provato davvero a essere il volto atletico della Russia, impeccabile fuori come dentro il palaghiaccio. Fingere che non ci fosse davvero nulla più che un interessamento professionale per quel giapponese dai risultati sempre più eclatanti. Ogni volta che prendeva l’aereo per tornare a San Pietroburgo, senza Yuuri, gli sembrava che qualcuno lo prendesse a pugni dentro. Come avere un gatto che si facesse le unghie all’interno del suo stomaco. Alla fine era diventata una scelta necessaria. Dopo la finale del Grand Prix dell’anno precedente, Yuuri primo, finalmente, e lui secondo, dichiarare di essere felice per la vittoria del proprio compagno di vita era stata la cosa più naturale. Era convinto, in quel momento, di aver perso per sempre la propria nazione. Eppure, tra la frustrazione di non poter stare con Yuuri e la rabbia di aver scoperto che lo stesso medico che aveva cercato di spacciare medicinali proibiti a lui aveva contattato Yuri all’insaputa di Yakov, il prezzo da pagare, in quel momento, gli era sembrato equo. La possibilità di disputare quell’ultima Olimpiade se non proprio per la Russia, almeno per qualcosa di simile, era stato un dono del destino. In ogni caso, nessuna felpa con sopra il nome di una nazione valeva Yuuri. Nessun altro avrebbe potuto sopportarlo a lungo, tollerare la sua competitività e quell’istinto insopprimibile a mettersi in mostra. A volte, al mattino, si svegliava col terrore che Yuuri si fosse accorto della propria forza e che lo guardasse per quello che era, un residuato di atleta, mediocre come tecnico e di nessun valore come individuo.

    Sorrideva ancora, Victor, mentre il vento gli gelava il naso e le guance, ma più si sforzava di non pensare al futuro e meno ci riusciva. Quel freddo gli piaceva. Lui era una creatura del ghiaccio, ma come quell’inverno ancora gelido, ma già rivolto alla primavera, anche il suo tempo stava finendo. E dopo il suo, non subito, ma inevitabilmente, sarebbe finito anche quello di Yuuri. Il fatto di essersi sbloccato così tardi era un vantaggio per lui, ora. Aveva una resistenza e una scioltezza che Victor invidiava e tuttavia quanto ancora avrebbe potuto andare avanti prima di rischiare di farsi male sul serio? Victor lo amava troppo spingerlo oltre i suoi limiti fisici, per vederlo su una barella o scorgerlo ogni mattina stringere i denti per il dolore di tutte le lesioni pregresse, come capitava a lui. Eppure, quanto arida sarebbe stata la loro vita, senza il ghiaccio?

    – Cazzo, Victor! Chiudi quella finestra!

    – Ancora di buon umore, eh, Yuri?

    E lui che aveva sperato che Otabek lo addolcisse e, sopratutto, lo tenesse un po’ di più fuori dai piedi!

    Non più l’età per dividere la stanza con un diciassettenne.

    – Vado a farmi la doccia non provare a entrare di nuovo in bagno, vecchio pervertito.

    – Stavo solo cercando una cosa. Non sei il mio tipo, Fata di Russia.

    – Lo so. Tu dormi con i cani. Lo sa Yuuri che è il sostituto del tuo peluche?

    – Senti, sfoga la tua rabbia adolescenziale come vuoi, ma lascia fuori Yuuri.

*    

       Yuuri guardava fuori dalla finestra, cercando di capire se dalla sua camera si vedesse la palazzina dei russi.

    Il cellulare trillò.

    «Se la serata continua così, dovrai aiutarmi a occultare un cadavere».

    A quanto pareva convivere con Yurio non era una passeggiata. Ma faceva troppo freddo per tentare un’azione di salvataggio.

    – Io vado giù con gli altri, magari vediamo un film tutti insieme, ti va? – chiese Kenjiru.

    – Sì, dammi un attimo e ti raggiungo – rispose Yuuri al compagno di stanza, con ancora un occhio al telefono.

    – Che effetto fa essere praticamente sposati?

    – Quello di essere divisi in due, a volte.

    Si arriva persino a sentirsi in colpa per non essere depressi. Che strana cosa, l’amore…

    Ma in effetti la cosa straordinaria era quella. Yuuri, dopo essere stato in panico per settimane al solo pensarci, si sentiva in realtà del tutto a suo agio. 

    Tutti erano stati terribilmente gentili con lui, fin dal ritiro pre olimpico. Durante il viaggio, poi, aveva parlato a lungo con il tecnico della nazionale, Tamura, e Yuuri era rimasto sbalordito nello scoprire che era l’allenatore a sentirsi inadeguato. «Ho seguito pattinatori per tutta la vita, ma mai del tuo livello». Per la prima volta si era reso conto che tutti i membri della squadra di pattinaggio giapponese quando lo guardavano vedevano Yuuri Katsuki, il campione del mondo. Non quel mediocre atleta per cui il grande Victor Nikiforov si era complicato la vita ed era andato a un passo dal saltare le olimpiadi. Yuuri non era certo di quale versione di se stesso fosse quella più vera. Probabilmente lo erano entrambe ed era la prima volta che se ne rendeva conto. Non ci avrebbe creduto a lungo, conoscendosi, ma si godeva il momento. Era l’unica olimpiade a cui avrebbe partecipato e voleva viverla fino in fondo.

    Il cellulare trillò di nuovo.

    «Domani mattina vieni a vedere il mio allenamento? Hai il permesso di Yakov».

    «Se non hai ancora ucciso Yurio. Il terreno è gelato e a scavare ci metteremmo ore».

    Aspettò la successiva emoticon con la linguaccia.

    Sapere Victor lì rendeva tutto più bello. Sapere di poterlo vedere l’indomani era ancora meglio.

 

    – Sei venuto a porgere il tuo collo per fartelo tagliare? – gli disse Mila, appena Yuuri entrò nel palazzetto.

    Iniziamo bene.

    – Non morderlo, l’ho chiamato io! – la fermò Yakov.

    Non che questo risolse la situazione. Gli sguardi di tutto il team russo su di lui andavano dal disprezzo all’odio, con varie sfumature del mezzo. Tranne uno. Che, però, era l’unico che gli interessasse.

    Victor pattinava al centro della pista. Quando lo vide alzò un braccio per salutarlo, buttò la testa all’indietro, lasciando che l’espressione concentrata lasciasse il posto a un sorriso, con gli occhi azzurri che si illuminavano, del colore dell’alba sul ghiaccio.

    Com’è che mi fa sentire ancora così? Del tutto inadeguato ad esserne il destinatario.

    – Ributtante – sentì alle proprie spalle.

    – Ciao Yurio – disse Yuuri, riconoscendo la voce.

    Il ragazzo più giovane boffonchiò qualcosa che si perse nelle parole di Yakov.

    – Ragazzi, tutti fuori tranne Victor e i due Yuri.

    Gli altri atleti russi lanciarono degli sguardi interrogativi, ma obbedirono, limitandosi a scuotere il capo.

    – Voi due, Yuri, venite qui – li chiamò l’allenatore russo, quando Victor era rimasto l’unico sulla pista.

    Yuuri, avvicinandosi, cercò di valutare le condizioni del compagno. Sapeva che la caviglia destra, ormai, gli faceva male sempre, mentre la schiena era una questione altalenante. Ma Victor, al contrario di lui, era nato per gareggiare, più si avvicinavano le competizioni e meglio sarebbe stato.

    – Che cos’è che sta per succedere? – gli chiese Yurio, avvicinandosi.

    – Ora lo vedi – replicò Yuuri.

    – Coraggio, Victor, fai quello che fai meglio: pavoneggiati – disse intanto Yakov.

    Il giapponese e il russo si appoggiarono al bordo pista. Yuuri si rese conto che non riusciva più a respirare normalmente.

    Voglio vedertelo fare.

    Il compagno, intanto stava prendendo velocità. Lo vide fare la mezza torsione, caricare sulla gamba sinistra…

    – Ma cosa… – mormorò Yurio.

    Yuuri sentì il cuore che perdeva un colpo a ogni avvitamento.

    Una. Due. Tre…

    – Cazzo – boccheggiò Yurio.

    Quattro. E mezzo.

    Atterrò. L’inclinazione non era ottimale.

    – Cazzo – fu il turno di Yuuri.

    Ti prego, no…

    Victor appoggiò una mano sul ghiaccio, prima di riprendere l’equilibrio e venire a fermarsi proprio davanti a loro.

    – Cerca di farlo meglio, in gara – commentò Yakov.

    – Poteva uscire anche peggio – replicò Victor.

    Aveva una luce nello sguardo… Una luce, pensò Yuuri, che nulla, neppure lui, poteva dargli, se non il pattinaggio.

    – Chiudi la bocca, Yuri, sembri scemo – borbottò Yakov.

    – Era un quadruplo Axel – mormorò il ragazzo, trasognato.

    – Cosa pensavi fossimo venuti a fare alle Olimpiadi, una scampagnata? – replicò il tecnico.

    – Tu sei ancora intero? – chiese poi Yakov a Victor, che in quel momento si stava massaggiando la caviglia destra.

    – No, non credo, ma non dovrei andare in pezzi prima della fine.

    Victor si avvicinò a Yuuri e gli strinse la mano. Prima che potessero baciarsi, Yurio li interruppe.

    – Lo farai già nella gara a squadre?

    L’atleta più anziano lanciò a Yuuri uno sguardo di scuse e poi scosse il capo.

    – Non siamo messi così male da aver bisogno di un quadruplo Axel per vincere la gara a squadre – si inserì Yakov.

    – E invece dovresti proprio, così, dimostrare per una volta che ti importa di qualcun altro oltre che di te stesso – sbottò Yurio.

    Yuuri strinse un poco di più la mano del compagno, per trasmettergli calma.

    Victor, tuttavia, non si scompose.

    – Faccio il corto per la gara a squadre – disse, calmo. – Considerato che ogni salto potrebbe essere l’ultimo della mia carriera, mi sembra di dare parecchio. La maggior parte di voi mi guarda come se avessi un’orribile malattia contagiosa.

    – Ringrazia che te l’abbia lasciato vedere, Yuri – disse Yakov. – Qualsiasi altro atleta al mondo dovrà imparare a farlo guardando delle registrazioni, ammesso che ce ne saranno. Con questo vantaggio tu dovresti riuscirci per la prossima stagione.

    Yurio scosse il capo. C’erano troppe emozioni contrastanti che gli balenavano nel fondo negli occhi. 

    – Ho finito, per il momento? – chiese a Yakov.

    – Hai finito – rispose l’allenatore.

    Senza altra parola, Yurio si voltò e si allontanò con lunghe falcate irate.

    – Ah, l’adolescenza, che bella età! – commentò Victor, prima di permettersi di baciare Yuuri.

    Yakov finse di non vederli e sospirò.

    – Io non ce la posso fare ancora a lungo con lui. Tu non eri così.

    – Ero peggio, ma è stato tanto tempo fa.

    – Forse è vero, ma lui è troppo giovane e io troppo vecchio.

    – Yakov, seriamente, dobbiamo fare qualcosa per il suo libero. Fa schifo.

    L’allenatore sospirò.

    – È vero. Puoi aiutarlo?

    Victor scosse il capo.

    – Non se mi graffia appena faccio un passo verso di lui… Ma, sinceramente, l’Ave Maria di Schubert?

    – Sul momento sembrava una buona idea. I giudici lo ricordano per Agapé, volevamo riportarlo a quel tipo di eleganza, ma niente, lo esegue come una marionetta. E poi cade. Il problema non è tecnico, è mentale.

    – Non posso farci niente se non si fida di me – replicò Victor. – Credo che si senta tradito dal mio comportamento, dal suo punto di vista ha ragione.

    Yakov scosse il capo.

    – Proverò a parlarci… Vuoi farlo tu il libero della prova a squadre? Possiamo ancora invertire…

    Victor scosse il capo.

    – Lo farò se me lo chiedi, ma vorrei arrivare sulle mie gambe alla cerimonia di chiusura, Yakov.

    Questo allarmò Yuuri, perché Victor doveva essere proprio con le spalle al muro per ammettere una debolezza.

    Quanto ti fa male la caviglia?

    Anche Yakov doveva pensarla allo stesso modo.

    – Beh, vediamo. In ogni caso quel libero è un problema che va risolto.

 
   
 
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