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Autore: _Bri_    25/01/2019    7 recensioni
Storia ispirata in parte a "Sex Education", nuova serie televisiva di Netflix.
Elliott Johansson non ne sapeva niente d’amore, figuriamoci di sesso. Se qualcuno gli avesse detto, magari con una premonizione un po’ raffazzonata, che si sarebbe ritrovato chiuso nel bagno delle ragazze del terzo piano –praticamente in disuso, vista la costante fastidiosa presenza di Mirtilla Malcontenta- a dare consigli ai suoi compagni di scuola sul come migliorare la propria vita sessuale, Elliott avrebbe singhiozzato risate a rotta di collo.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Robins, Nuovo personaggio, Roger Davies
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo I
Caso clinico 1: Parvati Patil (e l’intruso)
 
Era stato dannatamente sciocco a pensare che, nel Confesional (così l’aveva definito Roger, più che orgoglioso di aver trovato un simile nomignolo), si sarebbe presentata solamente la categoria maschile di Hogwarts. In realtà Elliott si sentì in parte sollevato, dato che l’abbondanza di ormoni adolescenziali e le vaghe spruzzate di testosterone, spesso e volentieri erano accompagnate da olezzi decisamente fastidiosi, che riuscivano a valicare il divisorio tra il bagno in cui s’accomodava lui e quello dell’interlocutore. Per questo motivo il corvonero si era visto costretto a mescolare oli essenziali trafugati alla scorta di Piton, che aveva poi infilato in una boccettina sulla quale, ad intervalli regolari, poggiava le narici del naso dritto per aspirarne l’aroma.
Ma quella volta Elliott poté risparmiarsi di estrarre l’ampollina in quanto, con l’arrivo della sua paziente -lui si sarebbe rifiutato di definirla così, ma non voleva discutere di certo col suo migliore amico che esigeva professionalità- era giunto anche un delizioso profumo, forse un tantino esagerato, di autentico patchouli. Con Roger si erano accordati in una certa maniera, per mantenere l’obbligo di riservatezza: il capitano si sarebbe occupato di reclutare i poveri disperati, si sarebbe fatto pagare la parcella e poi avrebbe spedito il malcapitato di turno al bagno, di modo che il soggetto non avrebbe dovuto incontrare il viso scavato di Elliott Johansson per tutelare la propria privacy. Ciò nonostante, Elliott capì immediatamente a chi potesse appartenere il profumo che ben conosceva; i casi erano due: doveva trattarsi di Padma Patil, sua compagna di casa, oppure di sua sorella gemella Parvati, smistata invece in Grifondoro. Elliott attese un po’ dopo aver sentito chiudere la porta del bagno. Silenzio. Tossicchiò. Altro silenzio. A quel punto Elliott raccolse il coraggio e, cercando di esibire un tono professionale, si rivolse alla strega mentre apriva il quaderno d’appunti.
 
“Come…come posso esserti utile?”
 
Dal silenzio, ad un fiume di parole. Il magiterapista improvvisato saltò sul posto non appena la voce squillante, ansiolitica e serrata di quella che doveva essere a tutti gli effetti Parvati, invase il bagno.
 
“O-ok…se ho capito bene il problema è che ti senti privata della tua personalità.” Suggerì Elliott. In realtà Parvati Patil aveva dato lustro ad una situazione ben più incresciosa, che il corvonero si era sentito in dovere di ridimensionare; di fatto era successo non una, ma ben due volte che qualcuno uscisse con Parvati, convinto inizialmente fosse Padma e questo, ovviamente, aveva scatenato nella grifondoro un complesso di inferiorità nei confronti della sorella, che sarebbe stato difficile da sdoganare.
 
“Hai idea di come possa essermi sentita, quando Gregor mi ha chiamata Padma?” Ecco: Parvati stessa aveva mandato all’aria la privacy, “Ho pregato Shiva affinché aprisse il suo terzo occhio per individuare quel peccatore, ma dopo tre notti di preghiere senza risposta ho capito che, probabilmente, il problema sono io!”
 
Un profondo sospiro pose fine alla confessione. L’idea che quella strega avesse passato notti intere a pregare una divinità, affinché questa si occupasse di qualcuno solo perché l’aveva chiamata con un altro nome, lo inquietò non poco; con Parvati ci sarebbe dovuto andare molto, molto cauto, altrimenti non aveva idea delle ripercussioni che avrebbe messo in campo contro di lui. Prudente, come se si trovasse all’interno di una gabbia con una tigre a digiuno da giorni, Elliott parlò:
 
“Immagino che non ti sia confidata con tua sorella…”
 
“Giammai!” stridulò Parvati, al punto che Elliott fece volare il quaderno d’appunti, “Non hai capito che il mio problema è proprio lei?!”
 
“Ma a quanto ho potuto constatare da ciò che mi dici, avete un bel rapporto voi due, non credi che…”
 
Il secondo salto del quaderno arrivò in concomitanza di un pugno che Parvati assestò sulla parete del bagno: “Senti, razza di secchione depravato, qui la questione è più che seria! Vedi di trovare una soluzione al mio problema, ci siamo capiti?!”
 
Ciò detto Parvati si alzò e, con voce soave, gli augurò una buona giornata, affermando che si sarebbero visti la settimana a venire. Elliott, con le braccia spianate contro la parete, attese con il fiato sospeso di sentire i passi di quella grifondoro allontanarsi ed infine abbandonare il bagno, in cui rimase finalmente solo. A quel punto il povero corvonero rilasciò il fiato: ancora una volta si chiese perché diavolo avesse deciso di assecondare Roger in quella folle impresa che, per il momento, lo stava solo facendo sudare freddo. Valutò l’idea di cominciare ad assumere tranquillanti, visto il senso di inadeguatezza provato nel far fronte a casi del genere: non si parlava solo di sesso purtroppo, qui si trattava di indagare nel profondo l’animo umano e lui, che di sensazioni forti sentiva di non provarne quasi mai, era sempre più convinto di non potercela fare. Inoltre c’era da aggiungere che il vero e proprio regime instauratosi ad Hogwarts, tramite la mano guantata di rosa confetto della professoressa Umbridge, aveva fatto salire l’ansia, sensazione che non era solito provare, a livelli inenarrabili. Era difatti terrorizzato dall’idea di essere beccato e l’ultima cosa che avrebbe voluto, l’apatico e studiosissimo Elliott, era una sospensione ad interim o, peggio, ad aeternum.
Affranto, raccolse il quaderno da terra e sarebbe stato anche pronto a defilarsi, non fosse che sentì la porta del bagno spalancarsi e, quella più piccina al suo fianco aprirsi e richiudersi con un colpo secco. Evidentemente Roger si era dimenticato di dirgli che aveva in programma un secondo appuntamento per la giornata; eppure Elliott era stato abbastanza chiaro sul suo serrato orario delle lezioni, a cui non avrebbe mai anteposto quell’occupazione, Priscilla gli era testimone. Ma ormai il paziente era entrato ed Elliott proprio non se la sentiva di abbandonarlo lì.
 
“Emh…salve, cosa posso fare per te?”
 
Nessuna risposta. Se fosse stata di nuovo Parvati se ne sarebbe accorto perché, probabilmente, le quattro mura del bagno non sarebbero sopravvissute una seconda volta alla sua ira. Forse era una ragazza che voleva usare davvero il bagno.
Andò in panico.
Fosse stato davvero così, quella povera studentessa l’avrebbe preso per un maniaco, per un voyeurista magari.
Il panico aumentò.
Immobile, Elliott attese un qualsiasi tipo di segnale, che fortunatamente per il suo cuore, che batteva in petto in maniera compulsiva, si concretizzò con un rumore di carta stropicciata. Gli occhi verdi calarono al suolo, raggiungendo lo spazietto d’aria al di sotto del divisorio: un serpentello di carta scura, incredibilmente simile ad un’anguilla, sguisciò nello spazio fino a risalire sulle gambe lunghe del mezzo svedese e schiudendosi infine sulle ginocchia. Elliott osservò a lungo quel pezzo di carta prima di avere il coraggio di afferrarlo con le dita lunghe, come se quello fosse portatore della peggiore spruzzolosi di tutti i tempi. Rilesse più volte quell’unica riga, costituita da una grafia nervosa e disordinata, nel tentativo di capire se il biglietto fosse realmente indirizzato a lui o se ci fosse stato un equivoco. Effettivamente che fosse un malinteso era da escludere visto che il messaggio era inequivocabile
 
Smettila con queste sedute, è meglio per te.
 
Ovviamente nessuna firma era posta in calce al biglietto, figuriamoci. Elliott si riebbe non appena sentì la porta adiacente aprirsi di nuovo e così, con gesto di grande coraggio, si alzò di scatto e s’affrettò ad uscire di lì:
 
“Ehi, aspetta!” gridò moderatamente, ma l’unica cosa che vide fu l’anta dell’ingresso ai bagni richiudersi. Fu totalmente inutile correre fuori e tentare di individuare qualcuno: il corridoio sembrava isolato.
 
*
 
Il caso Parvati lo aveva totalmente assorbito. Doveva trovare il modo di darle dei consigli validi che non fossero cose tipo ‘tagliati i capelli così non vi confonderanno più’, o altre simili frasi scontate che avrebbero scatenato l’ira della Patil grifondorina. Così Elliott, che non solo non ci capiva nulla di sentimenti, ma che era anche figlio unico e quindi non in grado di sperimentare il conflitto del legame fraterno, passava il suo tempo libero in biblioteca, tentando di approfondire l’argomento sui libri, unico mezzo a sua disposizione che, fino a quel momento, non l’aveva mai tradito. Inoltre quel biglietto minatorio lo aveva frastornato e, non fosse stato per Roger Davies, che fra allenamenti e rincorse di gonnelle lo affiancava e lo supportava, avrebbe mollato tutto.
Rifugiatosi in un angolo isolato della biblioteca, Elliott infilò la testa in un voluminoso tomo scritto dal famoso psicoanalista Arthur Goodhead che, nel quinto paragrafo di ‘La magia della psiche’, affrontava appunto il complesso di inferiorità. Egli enunciava con chiare parole, nascita, squilibri e soluzioni alla problematica:
 
‘Il superamento del complesso di inferiorità può avvenire solo e soltanto a seguito dell’inevitabile comprensione del fenomeno. Il soggetto in cui si riscontra tale complesso è fermamente convinto di possedere difetti evidenti a tutti…’
 
Grazie al diadema di Priscilla, signor Goodhead…da solo non ci sarei mai arrivato” sussurrò con ironia Elliott, che proseguì rapido nella lettura.
 
‘…Il complesso di inferiorità primario trova origine nell’infanzia, durante la quale l’educazione od il rapporto con i fratelli incidono nella predominanza di inadeguatezza e impotenza…’
 
Elliott chiuse il tomo di botto; un’illuminazione era arrivata alla testa come un’epifania e finalmente dopo tre giorni recluso a leggere stronzate psicanalitiche, il mago aveva capito cosa doveva fare. Se era vero che lui non possedeva metri di paragone, era altrettanto vero che poteva farsi una chiacchierata con una coppia di gemelli molto conosciuti ad Hogwarts: parlare con Fred e George Weasley gli avrebbe chiarito qualche dubbio ed era certo che quello fosse quantomeno un buon punto di partenza.
Riposto il libro con tutta fretta, Elliott recuperò le sue cose e corse fuori dalla biblioteca, alla ricerca di quei due grifondoro che avrebbero potuto aiutarlo. Recuperati mantello, sciarpa e cappello, s’apprestò ad avviarsi verso il campo da Quidditch, dopo aver recuperato l’utile informazione che la squadra grifondoro si stesse allenando proprio in quel momento. L’aria gelida gli sferzava il viso che, stranamente, assunse un tono decisamente più sano, sebbene le occhiaie rimasero, al solito, a cerchiare gli occhi che presero a lacrimare in risposta al vento. Arrivato finalmente in prossimità del campo, Elliott si domandò, mentre gli occhi indugiavano su una ragazza che stava planando a terra mentre tratteneva una palla sottobraccio, come diavolo facessero ad allenarsi con quel clima tanto ostile; non avrebbe mai compreso la passione per quello sport che, in ogni sua sfaccettatura, trovava faticoso, pericoloso e sinceramente stupido.
 
“Ehi, chi diavolo saresti?”
 
Quella voce squillante richiamò la sua attenzione; il corvonero abbassò di molto lo sguardo, fino ad incontrare la piccola figura di una strega dall’aria decisamente infuriata: mani sui fianchi, bocca imbronciata, occhi chiari e inquisitori, capelli rossi dal taglio corto, piuttosto disordinati, come la sua divisa del resto. Era evidente che la ragazzina avesse appena concluso gli allenamenti.
 
“Emh, ciao.” borbottò il ricurvo Elliott, grattandosi la nuca nascosta dal berretto di lana.
 
“Ti ho fatto una domanda: chi sei e che cosa ci fai qui? Non sei uno di noi, altrimenti t’avrei conosciuto.” rimbeccò quella, con cipiglio.
 
“I-io ecco…mi chiamo Elliott. Elliott Johansson ed effettivamente sarebbe quanto mai scorretto affermare che sia uno di voi per più di un motivo: numero uno…- prese ad enunciare lui, alzando l’indice –non gioco a Quidditch e non credo di saper distinguere un bolide da una pluffa, se non tramite la pura teoria; numero due: effettivamente appartengo alla casa di Priscilla Corvonero, quindi…”
 
L’ennesimo urlo, arrivato alle sue orecchie in quelle dure giornate, lo fece sussultare; quella strega che sembrava tanto graziosa nascondeva la voce di un’aquila:
 
“E se non sei uno di noi perché cazzo sei qui?! Ti ha mandato per caso quel coglione di Roger Davies a spiarci, eh?! Beh, di pure al tuo amico che può andarsene al diavolo, lui ed i suoi stupidi giochetti! Abbiamo già una marea di guai senza che ci si metta quel cascamorto di mezzo!”
 
Ciò detto, la ragazza gli dette le spalle pronta a marciare lontano. Elliott boccheggiò per qualche istante, prima di recuperarla con un paio di lunghe falcate.
 
“Ehi…aspetta, aspetta! Non sono qui per riferire nessuna strategia…ti assicuro che se mi conoscessi sapresti che il mio interesse per questo sport è praticamente nullo…di solito vengo sul campo solo quando sono obbligato dai miei amici e…”
 
La strega inchiodò, sbuffò e piroettò di nuovo verso di lui, facendolo arrestare di botto per evitare di caderle addosso.
 
“Ma quanto parli? Te lo hanno mai detto che sei logorroico, Elliott Johansson?”
 
“Veramente questo mi capita quando non mi si da la possibilità di…”
 
“Allora? Che cosa vuoi?” la strega incrociò le braccia “Non ho tutto il pomeriggio, sai? Devo andarmi a cambiare, quindi vedi di sbrigarti.”
 
Elliott poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui si era innervosito tanto, davanti ad una persona. Solitamente perdeva il controllo delle proprie emozioni solo e soltanto quando si trovava in stati d’alterazione da alcool od eccitanti d’altra natura, ma era davvero difficile che un essere umano riuscisse ad irritarlo in quel modo. Chiuse i pugni nel tentativo di trattenersi davanti tanta maleducazione.
 
“Cercavo George e Fred Weasley, avrei sincero bisogno di parlare con loro ed ho immaginato si trovassero sul campo per gli allenamenti…”
 
“Ma allora sei davvero fuori dal mondo, damerino! Non lo sai che quella testa di zucca della Umbridge ha espulso loro ed Harry Potter durante la partita con i serpeverde? È successo tipo tre settimane fa, motivo per il quale, pensa un po’, sono passata da riserva a titolare e, notizia dell’ultima ora, se te lo stessi chiedendo: no, non ne sono affatto contenta, stiamo facendo schifo! Ora scusami tanto, Elliott Johansson, ma devo andare.”
 
Bene. Senza assolutamente capirne il motivo, comunque Elliott aveva compreso che quella grifondoro lo odiasse. Era sicuro di non averla mai conosciuta e per quanto si stesse arrovellando il cervello, non aveva idea di cosa avesse potuto farle per meritarsi di essere trattato in quel modo scorbutico. Eppure la seconda lampadina della giornata s’accese: rapido, estrasse dalla borsa una penna ed un pezzo di pergamena sgualcita, quindi corse di nuovo incontro alla furia, che aveva quasi raggiunto gli spogliatoi femminili:
 
“Scusami, giuro che non ti disturberò più se mi farai questo favore…” Elliott giurò di vedere il corpicino acerbo vibrare di rabbia, così s’affrettò a proseguire, ponendosi davanti a lei ed allungandole il pezzo di carta –Potresti scrivermi qui il tuo nome e…non so, magari aggiungere che voglio solo parlare con loro di una questione importante?”
 
La strega puntò gli occhi glaciali in quelli di Elliott “Giura che ti toglierai dalle palle, se lo faccio.”
 
“Croce sul cuore.”
 
*
 
“Ancora con quel biglietto? Vamos, hombre, por favor!” Roger teneva un braccio poggiato intorno alle spalle della sua amica Lisa che, assieme al mezzo Uruguayano, spiava incuriosita l’anguilla di carta, spiegata nelle mani di Elliott. Quest’ultimo s’era rannicchiato su una delle poltrone della sala comune e stava mettendo a confronto il biglietto minatorio con quello scritto dalla grifondoro imbufalita.
 
“Non è lei,” borbottò fra sé, ignorando i due compagni di casa, che si scambiarono occhiate incerte “questa è una scrittura distintamente maschile, dovevo pensarci prima. Beh, almeno ho fatto un tentativo…ehi!”
 
Elliott allunò la mano tentando di recuperare il pezzetto di pergamena, ma Lisa Turpin fu decisamente più rapida di lui e, sogghignando, lesse ad alta voce il biglietto:
 
“Parlate con questo bradipo catalettico o non mi darà pace…” la strega inarcò un sopracciglio con aria divertita, prima di proseguire “Demelza Robins? Perché mai dovresti avere un biglietto di Demelza Robins?”
 
Roger, il re dei pettegoli, subito allungò l’occhio su quella grafia tonda e ingombrante:
 
Ohoh! Non mi avevi mai detto di intrattenere rapporti con quella tipetta! Non so se ritenermi offeso in seguito a questa omissione, oppure contento per te: una niña muy bonita!”
 
Elliott sospirò. Ovviamente avevano ridotto l’inizio di un’importante indagine investigativa a banali apprezzamenti fisici.
 
“Stavo solo cercando di capire chi mi avesse mandato quel biglietto, van…”
 
“Ti devi rilassare, Ells, goderti un po’ la vita! Sarà stato qualcuno invidioso della tua brillante testolina.” Roger sedette sul bracciolo e riconsegnò all’amico il biglietto sottratto a Lisa “Piuttosto: stai lavorando sul caso doppiapi?”
 
Lisa attivò nell’immediato le sue antenne “caso doppiapi? Che vuol dire? Di che si tratta?”
 
“Di questioni d’affari non si parla a tutti, carina.” Concluse Roger, con uno dei suoi sorrisi più splendenti mentre Elliott, rassegnato, affondò ancor più nella poltrona: doveva parlare con quei due gemelli il prima possibile.
 
*
 
“Quindi fammi capire Johansson: stai scrivendo un articolo sul giornalino scolastico e vorresti indagare il rapporto fra gemelli…” George Weasley era seduto su una comoda poltrona ai Tre Manici di Scopa e teneva le mani congiunte davanti al viso.
 
“E hai giustamente pensato di rivolgerti ai grandiosi gemelli Weasley per l’occasione. Ottima scelta amico.” Fred, seduto accanto al fratello, ammiccò compiaciuto. Prendere appuntamento con quei due era stata un’impresa ardua, ma fortunatamente l’uscita ad Hogsmeade di quel sabato era capitata a fagiuolo.
 
“Di questi tempi, sai…bisogna essere cauti: non si sa mai cosa o chi ti aspetta dietro l’angolo. Per tua fortuna ci hai consegnato il biglietto di Elzuccia, altrimenti ci saremmo visti costretti a declinare.” Proseguì George, mentre si guardava le unghie dandosi un tono.
 
“Vi ringrazio per avere accolto con positività questo incontro.” Elliott sfilò il cappello di lana facendo schizzare i capelli neri, così sedette ricurvo davanti a loro e, tirando fuori il suo taccuino, iniziò a porre domande ben calcolate. Quei due non dovevano capire cosa ci fosse sotto, altrimenti avrebbe tradito la fiducia posta alle basi del rapporto che sussisteva tra paziente e magiterapista. Gli sarebbe bastato, più avanti, dichiarare che l’articolo era stato tagliato per fare posto alla classifica delle sette streghe più talentuose di Hogwarts e sarebbe andato tutto liscio.
Certo, il corvonero non si sarebbe aspettato tanta difficoltà nel mantenere alta la concentrazione di quei due che, ogni due minuti, salutavano qualcuno o scoppiavano a ridere per qualche battuta di cui, ovviamente, Elliott non capiva il senso. Fortunatamente dopo più di un’ora, il mago riuscì a tirare fuori qualcosa di sensato:
 
“Insicuri e gelosi dell’altro? Il punto è un altro amico: bisogna saper sfruttare le occasioni! Sai quante volte Georgie ed io abbiamo sfruttato a nostro vantaggio l’essere come due gocce d’acqua?”
 
“Esatto,” si introdusse George “una bella ragazza crede sia Fred? E chissenefrega? Siamo identici! Fin quando la cosa non si fa seria, tanto meglio per noi.”
 
“Ben detto fratello!” I gemelli si dettero il cinque, seguito da una serie di pugnetti e schiaffetti che, evidentemente, sancivano un’intima complicità. Nonostante l’assoluta frivolezza con cui avevano trattato l’argomento, Elliott aveva estrapolato ciò che reputò più utile: avrebbe dovuto semplicemente dire a Parvati di vedere il ‘ bicchiere mezzo pieno ’, tanto per dirla alla babbana; nessun sotterfugio o necessità di distinguersi, che avrebbe comportato un accrescimento dell’ansia da prestazione, bensì un atteggiamento più sano e menefreghista.
Elliott lasciò i due gemelli alle loro battute e, dopo aver ringraziato, si defilò, decidendo che era giunto il momento di tornarsene ad Hogwarts.
 
*
 
“…Per questo ti dico che, la prossima volta, potresti cercare di ignorare la cosa. Tu sai chi sei e devi essere fiera di te; vedrai che lo capirà anche quel Gregor o chi per lui, l’importante è tenersi ben distante dalla competizione con tua sorella e rammenta che siete due persone ben distinte. Ricordati chi sei e cosa vuoi, Parvati.”
 
Il glorioso discorso venne accolto con singhiozzi e ringraziamenti, dalla grifondoro. In realtà Elliott era convinto di aver detto un sacco di assurdità eppure, con ogni evidenza, le sue parole avevano fatto centro. Parvati spalancò la porta del bagno di Elliott e letteralmente si gettò ad abbracciarlo; lui, che era uno che si destabilizzava con facilità disarmante in presenza del contatto fisico, s’era fatto rigido come la statua di Boris il Basito e pallido come la Dama Grigia in una giornata di pioggia. Ciò nonostante regalò alla strega un paio di pacche sulla spalla, convinto che quella non l’avrebbe smollato, se non avesse ottenuto una qualche reazione da parte sua.
Quando Parvati se ne andò (ma non prima di aver detto “e comunque Padma ha un neo sotto il capezzolo sinistro alquanto bruttino”, informazione che Elliott non aveva alcuna premura di apprendere), il mago s’alzò dalla sua seduta e prima d’andarsene lanciò, come di consueto, uno sguardo all’altro bagno per controllare che fosse tutto in ordine.
Ma i suoi grandi occhi verdi s’allargarono ancor più, alla vista di una piccola scritta in rosso posta sul divisorio, che era più che certo non fosse mai stata lì prima d’ora:
 
Secondo avvertimento: chiudi qui questa buffonata!
 
Era più che ovvio che Roger avrebbe dovuto dargli ascolto, ne valeva della sua incolumità; o quantomeno della sua più che brillante carriera scolastica, valutò Elliott mentre estraeva la sua bacchetta di faggio, con la quale cancello quel messaggio minaccioso.

 

Chiedo venia per il mio spagnolo terribile. Dovessero esserci degli errori, per piacere fatemelo notare.
 
Influenza più solitudine per qualche giorno, uguale capitolo delirante. Insomma, qui il mistero si infittisce. Questo poveraccio di Elliott ha ricevuto serie minacce ed ha avuto a che fare con un caso particolarmente ostico. A proposito di Parvati: sussiste la solita ambiguità del nome; chi la nomina Calì, chi Parvati; io semplicemente ho scelto il nome che preferisco.
 
Per quanto riguarda invece quella piccola furia di Demelza Robins: non ho trovato notizie certe sulla sua data di nascita e sinceramente non ricordo se sui libri viene specificato quando avviene il suo smistamento; per questo ho scelto di inserirla nello stesso anno del golden trio. Inoltre so che Demelza entrerà ufficialmente come titolare nella squadra di Quidditch solo durante il sesto anno di Harry e Ron, ma ho deciso di approfittare della squalifica dei gemelli ed Harry dalla squadra e l’ho introdotta in anticipo.
 
A proposito di età: Elliott, nato il 7 Ottobre 1978, frequenta il sesto anno nel momento in cui è ambientata la storia, mentre il suo amico Roger, sebbene sia nato presumibilmente nello stesso anno ma prima del primo di Settembre, frequenta l’ultimo anno.
 
Mi preme infine accontentare la richiesta di Francy, quindi vi inserisco l’illuminante immagine di Elliott, sfinito dopo una sessione di terapia.
 
   
 
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