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Autore: AdhoMu    28/01/2019    7 recensioni
["Principenny" Clearwater / Charlie Weasley (et Percy Weasley)]
"Weasley.
Patronimico riferito ad antichissima famiglia magica inglese, appartenente al rinomato gruppo delle Sacre Ventotto. I suoi membri sono tradizionalmente affiliati alla Casa di Grifondoro e presentano un biotipo ben preciso, costituito da capelli rossi, pelle chiara e lentigginosa ed occhi di colore variabile fra il celeste e il nocciola."
Ah: e sono anche maledettamente numerosi, aggiungerei io.
E pure fascinosi, accidenti a loro.

Dodici caselle. Dodici draghi.
Riusciranno Penny e Charlie a recuperarli tutti prima della Battaglia Finale?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Antonin Dolohov, Charlie Weasley, Filius Vitious, Penelope Clearwater, Percy Weasley
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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4. Situazioni proibite dal Protocollo di Kyoto.
 
Glielo devo dire.
Charlie aveva tutto il diritto di saperlo: la consapevolezza di doverlo assolutamente mettere al corrente dei miei trascorsi di fidanzata di Percy mi assillò a oltranza durante i giorni successivi alla sua partenza, dalla mattina alla sera, senza interruzioni.
Appena torna glielo dico.
C'era giusto un piccolo problema, però: Charlie non tornava.
Da quanto sapevo, si sarebbe dovuto trattenere fuori sede soltanto per una manciata di giorni, giusto il tempo di prendere parte al matrimonio di suo fratello, godersi un po' di tempo in famiglia e poi rientrare in Romania.
Quei "due o tre giorni", a me, parvero eterni, e più di una volta mi sorpresi ad osservare l'orologio da polso per verificare che non fosse rotto. Ero agitata e impaziente, ma quando il giorno stabilito per il ritorno arrivò e trascorse senza che di Charlie si vedesse neppure l'ombra, la mia inquietudine cominciò a crescere a dismisura. 
E, a peggiorare ulteriormente le cose, contribuì il giro di gufi mattutino cui corrispondeva la consegna dei giornali e della posta.
Da qualche anno Charlie era abbonato al Cavillo. Io quel giornale non lo avevo mai letto, ma sapevo che la testata apparteneva alla famiglia di una mia giovane compagna di Casa, tale Luna Lovegood, una ragazza apparentemente strampalata ma, sotto sotto, dotata di una saggezza pressoché assoluta. Da quando mi trovavo alla Riserva, comunque, avevo preso l'abitudine di farmi prestare da Charlie le sue copie, tanto per mantenermi aggiornata sulla situazione in Patria; e quale non fu la mia sorpresa quando, in quel brumoso mattino di inizio agosto, un gufo trafelato lasciò cadere nel mio piatto un involto protetto da carta oleata, sul quale era affisso un bigliettino che diceva:
Ci scusiamo con la gentile utenza per i ritardi nelle consegne, avvenuti per causa di forza maggiore.
Un po' nervosa aprii il pacchetto ed estrassi il giornale, avida di notizie. Manco a dirlo il titolo, stampato a lettere cubitali sulla prima pagina, mi strappò un grido di sorpresa mista a sgomento, che indusse Mircea e Freiwald a piantare in asso le uova strapazzate e a raggiungermi di corsa.
- Oh, per Priscilla... per la saggia Priscilla... - continuavo a ripetere, le mani premute sulla bocca.
- "Rufus Scrimgeour assassinato" - lesse Freiwald ad alta voce. - "Ministero della Magia destituito da tre giorni".
Non sapevo che cosa fare. 
Con le gambe che mi tremavano mi alzai in piedi, decisa a raggiungere la mia stanza e fare le valigie per tornarmene seduta stante in Inghilterra.
Proprio in quel momento, però, un provvidenziale uccellino giallo e nero si fiondò dentro attraverso finestra semiaperta e mi consgenò un messaggio di chiaro contrordine:
Resta ferma dove sei, Principessa di Itaca. Il Barone Rosso sarà presto da te con nuove istruzioni. 
E sotto, una firma minuscola che, un istante dopo la lettura, svanì dalla carta:
Sturgis.
 
Le notizie riportate dall'articolo del Cavillo erano sconcertanti: il Ministero era caduto, il Signore Oscuro e i suoi seguaci avevano preso il potere e il Mondo Magico Inglese si ritrovava nel caos più assoluto. Ma una notizia in particolare, inserita nella pagina dei necrologi, mi colpì con violenza:
Muore Alastor "Malocchio" Moody, valoroso Capo-Auror.
Lessi freneticamente ogni riga disponibile ma il testo, piuttosto fumoso, non descriveva le circostanze del decesso.
Furono davvero giorni terribili, quelli, che io trascorsi in preda all'apprensione più nera. Non riuscivo a fare niente, non riuscivo a concentrarmi; ero angosciata e irritabile tanto che, in un paio di occasioni, rischiai seriamente di farmi abbrustolire da un draghetto indignato che avevo apostrofato un po' troppo bruscamente. Vista la situazione, comunque, i miei colleghi non ebbero nulla da ridire e, anzi, mi accudirono come meglio poterono.
Io mi sentivo inquieta come una belva in gabbia; alternavo momenti di stanca apatia a vere e proprie sceneggiate da stagione lirica, lamentandomi del fatto di essere relegata in quella landa remota e di non poter disporre di uno straccio di notizia.
Andai avanti così, in una montagna russa emotiva che definire insana sarebbe un eufemismo finché inaspettatamente, una sera di metà agosto, la situazione si sbloccò.
Mi ero ritirata già da qualche ora in camera, ma non riuscivo a dormire: me ne stavo lì, sdraiata sul letto, a girarmi come un Nargillo e a pimpinellare. La stanza, per fortuna, era vuota: fin da quando ero giunta alla Riserva, infatti, vi dormivo da sola perché l'altra occupante, una certa Marianne Brandt, si trovava in Germania a casa dei genitori per usufruire di un periodo di congedo.
Sta di fatto che, mentre per l'ennesima volta valutavo scelte e conseguenze del partire o restare, un fruscio leggero richiamò la mia attenzione: guardando bene mi accorsi che, infilato sotto la porta, c'era un bigliettino bianco e piuttosto spiegazzato.
Partiremo a giorni per la Missione - c'era scritto in una grafia puntuta ma ordinata - tieni pronte le tue cose. C. W.
Le iniziali non lasciavano adito a dubbi: Charlie era tornato.
Col cuore in gola aprii di scatto la porta; nel corridoio buio, non c'era anima viva. Non osai muovermi. 
Certo: avrei potuto raggiungere la stanza di Charlie per accertarmi che si trattasse davvero di lui, ma preferii rimandare al giorno dopo nel timore di imbattermi in un Wassily particolarmente... ben disposto.
 
Se mi ero illusa di potermi finalmente lasciare andare con lui ad un dialogo chiarificatore, mi sbagliavo di grosso.
Charlie usciva prestissimo al mattino e, la sera, rincasava molto tardi; le rare volte in cui lo incontravo era sempre di fretta, costantemente in procinto di "recarsi a fare qualcosa".
Tentai più volte di avvicinarlo per parlargli, ma lui non me ne diede l'occasione; sempre molto gentilmente, mi spiegava di avere da fare e poi, con un sorriso un po' assente, si scusava e se ne andava.
Insomma; magari non sarò stata un mostro di sensibilità, però una cosa l'avevo capita anch'io: al di là degli impegni più che comprensibili (ma quantomeno misteriosi, dal momento che nessuno, in sede, sembrava sapere che cosa diavolo combinasse fuori casa tutto il santo giorno) Charlie sembrava fermamente intenzionato ad evitarmi.
E così una sera, stanca di vedermelo sfuggire fra le dita, mi sedetti nel salottino d'ingresso e attesi che rientrasse.
Dopo neanche mezz'ora, eccolo di ritorno.
- Charlie - lo chiamai, saltando in piedi.
Lui mi rivolse un sorriso un po' incerto. Era così carino, Priscilla Santa, con quei riccioli rossi che gli ricadevano sugli occhi: al suo ritorno mi ero subito accorta che la coda di cavallo era sparita e, captando per caso un brandello di conversazione fra lui e Freiwald, avevo appreso che sua madre, in occasione del matrimonio di Bill, aveva visto bene di "darci un taglio".
- Oh, Penny. Ciao.
- Ti posso parlare? - lo incalzai, decisa a rompere lo stallo.
Lui temporeggiò per qualche attimo.
- Oh, sai com'è... - mi rispose, tantando invano di aggirarmi. - Domani devo alzarmi prestissimo...
- Solo un paio di minuti, Charlie - lo pregai, impedendogli di passare. - Per favore.
- Uhm. Va bene.
Io rimasi un istante ferma a guardarlo, tormentandomi le nocche delle dita. Ora che ce lo avevo lì, porca di quella mandragola, non sapevo bene come abbordare l'argomento.
- Come... come è andato il matrimonio? - gli domandai allora, sentendomi sommamente sciocca.
- Oh, molto bene - replicò lui, guardandomi negli occhi. - Le visite in famiglia sono sempre, come dire... estremamente illuminanti.
Io gli restituii lo sguardo, nervosa.
- Ah sì?
- Sì.
- E... a cosa ti riferisci, esattamente?
- Oh beh. Per esempio al fatto che uno può raccontare alla sua adorabile sorellina della sua nuova collega e inaspettatamente scoprire, così en passant, che suddetta collega va a letto con suo fratello! - esclamò allegramente lui.
Io mi tinsi di viola.
- Cosa?! Io non vado...
Charlie corrugò la fronte.
- Okay, io... io ci andavo... - ritrattai precipitosamente, paonazza. - Ma... ma non è questo il punto!
- Ah no? E quale sarebbe, il punto?
- Io e Percy... Oh, era una cosa seria, molto seria, accidenti! Siamo stati insieme cinque anni, Charlie! Cinque!... Dovevamo sposarci...
- Ah beh - replicò lui, fingendosi sollevato - questo mi rincuora davvero molto, devo dire!
Charlie si girò dall'altra parte, deciso ad andarsene: evidentemente ne aveva abbastanza. Io però gli girai intorno e lo fronteggiai:
- Erano... sono affari miei, va bene? Io e Percy siamo stati insieme, siamo stati felici, ma lui mi ha mollata. Punto. Che cosa diavolo aveva a che vedere, questa cosa, col nostro lavoro qui in Riserva?...
- Sì, ma dopo quello che è successo... - mi interruppe lui, scuotendo la testa - Quand'è che avevi intenzione di dirmelo? Allo scambio delle fedi?
Lo fissai sbigottita.
- Ma io... io non pensavo... non speravo che le cose fra me e te sarebbero evolute in questo modo, Charlie! - protestai, alzando la voce di un'ottava. - Non ho avuto il tempo di dirtelo prima che tu partissi: è stato tutto così veloce! Ma ero intenzionata a parlartene al tuo ritorno, solo che tu mi hai evitata per giorni!
Lui mi scrutava, i begli occhi nocciola illuminati dai bagliori del lampadario fioco. 
La sua espressione un po' scettica mi ferì, perché avevo sempre detestato sentirmi attribuire poca serietà, di qualsiasi contesto si trattasse. E proprio mentre noi ce ne stavamo lì a fronteggiarci in silenzio, quel cretino di Wassily passò in corridoio, tendendo l'orecchio e decelerando vistosamente; una nostra occhiataccia sincrona, tuttavia, lo convinse a trottare.
Io ero molto, molto seccata.
E comunque - sibilai, piuttosto stupita nell'udirmi formulare un concetto tanto ardito - non ti sto mica chiedendo di portarmi all'altare, dannazione!
Charlie rimase un secondo interdetto, ma si riprese subito.
- Quindi vorresti dirmi che, per te - mi chiese, avvicinandosi di un passo - si tratterebbe soltanto di... di...
- Di quello che è, per tutti i Satiri del Monte Olimpo! - strillai io.
Lo vidi che sollevava le braccia e mi afferrava le spalle, stringendole tanto forte fra le dita da farmele scricchiolare. Mi fece un po' male, ma io sostenni il suo sguardo.
- Penny, io non... - mormorò lui, lasciandomi andare di scatto. - Oh, accidenti!
E così, dopo avere assestato una pacca sul muro ed essersi lasciato andare ad un sonoro Maledizione!, Charlie girò sui tacchi e mi piantò in asso, come un' Arianna derelitta, abbandonata sull'isola di Nasso.
 
Avevo un diavolo per capello.
Sommamente turbata, andai a rintanarmi nella mia stanza e, una volta dentro, presi a camminare su e giù, su e giù come un'anima in pena, del tutto ignara del fatto che, poco oltre il sottile strato di legno di faggio della porta, Charlie aveva coperto una decina di volte l'esigua distanza che separava i suoi alloggi dai miei per poi, puntualmente, desistere e tornarsene scornato sui suoi passi.
Improvvisamente, mentre ero lì ad arrovellarmi, udii bussare.
Incorniciato dal riquadro buio del corridoio, mi trovai davanti il volto sornione di Wassily.
Dimmi che ho sentito bene - esordì, guardandomi estasiato. - La nostra principessina poliglotta... con che disinvoltura mi passa da un fratello all'altro?!... Мне нравится! (*)
Io, dinnanzi a cotanta impudenza, rimasi a bocca aperta.
- Ma... ma come ti per... Fuori dai piedi, razza di maniaco filosovietico! - urlai, prima di scagliargli dietro una decina di fatture che lo costrinsero ad una fuga precipitosa. Ero veramente furiosa, caricata a molla come un Pupazzetto Salterello.
Indignata, mi richiusi l'uscio alle spalle.
Due minuti dopo, però, altra bussata.
- Che cosa caspiterina... - ringhiai, spalancando la porta come una furia.
Oltre lo spiraglio, un paio di brillanti occhi nocciola ed il riflesso ramato di capelli di fiamma che rilucevano nella penombra. Era Charlie.
- Quell'idiota di Wassily - mi disse, infilandosi timidamente una mano fra i riccioli per tirarli indietro. - Ti ha mancato di ris...
Quello fu, ufficialmente, il momento in cui tutta la mia proverbiale razionalità da Corvonero andò definitivamente a farsi benedire. Già piuttosto infervorata di mio, lo afferrai per il colletto e lo trascinai dentro. 
Un secondo dopo, io e Charlie ci stavamo baciando come due folli dietro la porta, che lui aveva richiuso con un calcione ben assestato.
Non mi disse nulla; non spiegò né giustificò. 
Semplicemente, agì; e la sua intraprendenza, a me, non dispiacque affatto.
Di una cosa, però, ero ormai più che certa. 
Volevo Charlie: lo volevo con tutta me stessa. 
Volevo farmi bruciare da quei suoi bagliori di fiamma, inebriarmi con quel suo aroma di Weasley capace di stordirmi come uno scapaccione di Platano Picchiatore, perdermi fre le sue mani grandi e calde, fondermi con la sua pelle di neve bollente e, soprattutto, mettere definitivamente al bando le buone maniere, il galateo, il bon-ton, l'etichetta e cazzate simili.
E lui, evidentemente, la pensava allo stesso modo.
Non perse tempo, difatti: in una sublime miscela di furia e galanteria mi abbassò l'abitino di raso celeste, facendomelo scivolare giù dalle spalle con un paio di carezze decise. 
A quei tempi io usavo capi di lingerie raffinata, targati La Perla Gris, che mia madre faceva importare direttamente da Barcellona ad ogni cambio di stagione e che quell'acqua cheta di Percy aveva sempre apprezzato parecchio. E com'è quella vecchia storia? Ciò che piace ad un Weasley... Charlie rimase fermo un istante a guardarmi, mordicchiandosi il labbro; ed io, approfittando di quell'attimo di esitazione neanche fossi stata la più scaltra degli Eredi di Salazar, gli sfilai velocemente la maglietta.
Lumos!
Ah, volevo vederlo bene, me lo volevo gustare fino in fondo quel suo addome divino, che una sola occhiata era bastata a farmi desiderare disperatamente; lo volevo ammirare con calma, percorrerlo con la punta delle dita, strofinarmici contro; e così feci, con la mente completamente annebbiata al cospetto di quel superbo esemplare di Rosso Inglese (cit. Ems).
Per tutta risposta lui mi spinse indietro e, con una manata assai poco diplomatica, liberò il ripiano dello scrittoio. Libri e libercoli dei più disparati dialetti draghesi furono scaraventati a terra senza tanti complimenti ma vi assicuro che io, abitualmente così attenta al mio materiale di studio, non me ne curai affatto. 
Poi, sempre mantenendo le labbra incollate alle mie, Charlie mi sollevò da terra senza alcuno sforzo e mi mise seduta sulla scrivania. Quindi, tenendo a freno l'impazienza per godersi a fondo ogni singolo attimo, mi sfilò lentamente le calze di seta, una dopo l'altra.
- Ho sempre avuto un debole per le ragazze sofisticate - mi confessò in un soffio, mentre io gli accarezzavo i muscoli tesi delle braccia. 
La miriade di gancetti del mio corsetto di pizzo mise a dura prova le sue dita abituate a maneggiare ben altri ferri, ma Charlie procedette con metodo e se la cavò egregiamente; e quelle stesse dita ruvide, poco dopo, me le sentii sulla pelle, a carezzarmi in ogni dove facendomi rabbrividire mentre, con rozza delicatezza, lui mi liberava della mia lingerie di gran lusso.
Credetti di impazzire quando il suo corpo solido e caldo aderì al mio, facendomi ardere la pelle. Mi sporsi in avanti e, tremando come una foglia imperlata di rugiada, saltai giù dalla scrivania; poi, presolo per mano, lo trascinai sul letto.
Lì rimanemmo per qualche istante, sdraiati l'uno a fianco all'altra, avvinghiati come Avvincini e ormai del tutto incapaci di tenere a freno le mani e le lingue; queste ultime - e pardon per la franchezza - in senso sia letterale sia metaforico, visto quello che ci dicevamo. Nessuno dei due era più in grado di resistere: e così, con me ancora attaccata addosso, Charlie si liberò in fretta dei pantaloni sdruciti e dei boxer, rossi come il peccato, per poi afferrarmi di scatto i polsi e rovesciarmi all'indietro.
E mentre lui, accogliendo benevolmente le mie suppliche pronunciate con voce strozzata, scivolava sopra di me - contro di me - e mi baciava lentamente la gola facendomi smarrire le ultime briciole di ragione, l'occhio mi cadde sullo specchio affisso dietro la porta.
Oh, per tutte le Lune di Giove dai nomi di amanti!
La vista di quella schiena vigorosa e di quelle natiche sode, lievemente squadrate, nonché di quei fianchi snelli che tanto avevano turbato i miei sonni, ora stretti fra i miei arti inferiori contratti fino allo spasmo, neutralizzò la mia capacità di trattenermi oltre.
Per fortuna che Charlie, al contrario di quello stordito di Wassily, si era ricordato di insonorizzare la stanza, o credo avrei svegliato di soprassalto l'intero casolare.
 
Per decenza, mi asterrò dal riportare in questa sede quanto in quel momento di gloria, mandando a quel paese gli anni e anni di lezioni di etiquette impostemi da mia madre, lo scongiurai di farmi; il messaggio, tuttavia, giunse forte e chiaro alle sue orecchie e così Charlie, che evidentemente non aspettava altro, agì all'istante, più che lieto di accontentarmi.
Lo sentii che si spingeva in avanti, con quella sua dolcezzaa un po'rustica; ed io, gli occhi chiusi e il respiro affannoso, ero già lì pronta a gustarmi la mia tanto agognata fetta di Paradiso quando, per Salazar Ladro, qualcosa di inatteso accadde.
Un bussare concitato e improvviso, subito seguito da un bisbigliare sommesso, fece scoppiare la bolla, riportandoci bruscamente alla realtà.
- Wessly!
Nel riconoscere la voce di Wassily Charlie si tirò su di scatto, lasciandosi sfuggire un'imprecazione così volgare che, se ve la riferissi qui ed ora, probabilmente farebbe un buco nella carta, ma che potrei riassumere come segue:
Coglione di un russo!... Ma cosa accidenti...
Quello insistette:
- Wessly, è urgente!
- Ma porca di quella...
- Weasley!
La voce smorzata di Mircea si sovrappose a quella di Wassily; aveva una sfumatura talmente preoccupata che noi, allarmati, saltammo su immediatamente a sedere sul letto.
- Non si tratta di uno scherzo. Apri la porta, dannazione.
Al che Charlie si alzò precipitosamente e, incespicando nelle lenzuola, raccattò in fretta un paio di indumenti dal pavimento della stanza e se li infilò alla bell'e meglio, per poi raggiungere velocemente la porta mentre io, atterrita all'idea di farmi vedere in déshabillé, mi rifugiavo con un salto all'interno dell'armadio.
Dalla mia postazione di fortuna, fui in grado di seguire il breve dialogo che seguì.
- C'è un tipo stranissimo in salotto - stava dicendo Mircea a voce bassissima; all'udire le sue parole un vago senso d'inquietudine si sovrappose alla frustrazione bruciante che provavo per essere stata interrotta proprio sul più bello. - Ti sta cercando.
- Stranissimo e sinistro. Parla inglese ma non credo lo sia - aggiunse Wassily in un soffio. - Si è presentato come Dolohov. Antonìn Dolohov.
- Oh, merda - fu l'unico commento di Charlie.
- Non so come diavolo abbia ottenuto il permesso per accedere alla Riserva - continuò Mircea. Parlava in fretta, sembrava piuttosto spaventata. - Sinceramente, non mi è piaciuto affatto. 
- E cosa... che cosa gli avete detto? - la voce di Charlie suonava nervosissima, cosicché io cominciai seriamente ad agitarmi.
- Gli abbiamo mentito - rispose Wassily. - Gli abbiamo detto che ti trovavi fuori con Penny, in un giro di ricognizione esterna.
- Freiwald è di là che lo intrattiene - aggiunse Mircea. - Io spero proprio che questo Dolohov sia un pessimo Legilimens, o mi sa che siamo fritti.
Sentii che Charlie rivolgeva loro qualche altra parola di raccomandazione e di saluto; subito dopo, lo udii tornare sui suoi passi.
Penny!... Penny, dobbiamo fare in fretta... - mi disse a bruciapelo. - Le tue cose sono pronte?
- Sì... ma Charlie - gli dissi, guardandolo smarrita - che cosa sta succedendo? Chi diavolo è questo Dolohov?...
Lui mi venne vicino e tese le braccia per stringermi in un abbraccio solido e rassicurante.
- Te lo spiego dopo - mi disse, per poi ordinarmi: - vestiti più in fretta che puoi e aspettami qui; vado a prendere il mio zaino e, appena torno, ce la squagliamo.
- O-okay.
Lui si girò per andarsene; dopo due passi, però, lo vidi che si voltava nuovamente verso di me:
Ah
- Ah cosa?
- Niente, solo... lascia perdere le calze Perlier, o quel... quel che è. Mettiti... ehm... più comoda possibile, intesi? - mi raccomandò, guadagnandosi da parte mia un'occhiata mista fra l'incredulo e lo sbigottito.
Poi, dopo avere dato una rapida occhiata attraverso la porta semichiusa, corse fuori nel corridoio buio.
Io non persi tempo.
Premurandomi di fare il più velocemente possibile mi infilai jeans, maglione e scarponi, recuperai con un rapido appello i miei testi di draghese sparsi in ogni dove e i pochi effetti personali che ancora non avevo riposto, e stipai il tutto nello zainetto.
Charlie mi raggiunse qualche secondo dopo: era vestito di tutto punto, zaino in spalla e bacchetta alla mano.
- Tutto pronto?
Io annuii.
- Andiamo - bisbigliò, per poi fermarsi di colpo e voltarsi verso di me.
Ehm.
- Che cosa c'è, Charlie? - gli chiesi io, atterrita all'idea di dover apprendere qualche altra pessima notizia.
- Ci potresti... ehm, smaterializzare tu, per favore?
- Oh - sorrisi io, divertita dalla sua espressione vagamente imbarazzata. - Ma certo. Certo. Vieni qua - gli dissi, afferrandogli la mano e intrecciando le dita alle sue.
Un secco crack sancì ufficialmente l'inizio della nostra fuga.
 
La Riserva dei Lungocorni Rumeni era protetta da una serie di barriere concentriche a prova di smaterializzazione che, come Charlie mi spiegò in seguito, avremmo dovuto attraversare a piedi avvalendoci di speciali passaggi sconosciuti ai più.
Quella sera, quando ci materializzammo nei pressi di uno di essi, si stava scatenando sulla foresta un acquazzone primordiale.
- Come faremo a trovarli? - gli chiesi io, tenendo puntata in alto la bacchetta dalla quale facevo scaturire un incessante Repello Impluvium nel disterato tentativo di non inzupparmi fino al midollo.
- Li ho cercati io nei mesi scorsi - rispose lui con un sorriso - il primo è proprio qui, dietro questo tronco coperto di funghi.
Prima di procedere, però, mi avvertì:
- Sono funghi magici estremamente allucinogeni; tenta di respirare il meno possibile, okay?
Tirandomi su il collo del maglione a coprirmi il naso, eseguii in tutta fretta.
Dall'altra parte della barriera, nessuna traccia di pioggia.
- Dove andiamo?
- Questa parte di bosco è particolarmente scura e intricata - mi disse Charlie. - Vi è stato piantato un particolare Sottobosco Dissuasivo che, te l'assicuro, è meglio affrontare alla luce del giorno. Dormiremo qui.
- Oh - commentai io, guardandomi intorno smarrita.
Charlie mi indicò l'apertura di una piccola grotta: uno spazio assolutamente angusto, piuttosto simile ad una buca, in effetti.
- Dobbiamo...?
- Non ti preoccupare: questa tana è stata scavata dai Tassi. Tassi di Tosca, per l'esattezza.
Finalmente mi riuscì di sorridere.
Sapere di trovarmi all'interno di una buca scavata da una delle creature più benigne del mondo magico mi infuse un grato senso di sicurezza e di tepore. Mentre, lievemente rasserenata, mi accingevo a tirare fuori il sacco a pelo dallo zainetto, mi accorsi che Charlie armeggiava con una scatoletta di legno quadrata.
- Che cos'hai lì? - gli domandai, incuriosita.
Lui, per tutta risposta, rimosse il coperchio per mostrarmi il contenuto. L'interno della scatola era suddiviso in un buon numero di scompartimenti quadrati di circa dieci centimetri per lato. Erano tutti vuoti tranne uno, dentro al quale avvistai una piccola sagoma verde scuro acciambellata su se stessa.
- Che modellino grazioso - mormorai, intenerita alla vista del minuscolo Lungocorno che dormiva beato.
- Non è un modellino - mi corresse Charlie, allungando un dito per carezzare il dorso del rettile in miniatura. - L'ho dovuto ridurre e addormentare, ma di solito misura all'incirca quattordici metri e quarantacinque ed è un tipo decisamente... nervosetto.
 
Post-scriptum:
Bene. 
Come forse saprete, la trattazione di certe situazioni mi riesce particolarmente difficile, per cui sarò immensamente grata a chiunque vorrà elargirmi commenti, suggerimenti, consigli e considerazioni. Non foss'altro che per mandarmi bellamente a ca... a quel paese.
Riguardo invece il cattivo di turno, Antonìn Dolohov. Tempo fa, ammaliata dalla bellezza di Praga, scrissi una breve storia incentrata proprio su di lui: si intitola Tramonto ad Est ed è disponibile sul mio profilo. Consiglio vivamente a chi ne avesse voglia di leggerla, perché alcune caratteristiche di Dolohov che inserirò nei prossimi capitoli riprendono direttamente la caratterizzazione là tracciata.
Ed ora l'Angolo dell'Omaggio: Marianne Brandt è stata un'alunna del Bauhaus, pioniera del design industriale nei maschilissimi ateliers di metallurgia. Date un'occhiata, se vi va, al servizio da tè che ha disegnato: io potrei fare follie per aggiudicarmi la teiera!!
(*) Quella roba lì dovrebbe voler dire "mi piace" in russo. Pronuncia rigorosamente ignota.
 
 
 
 
   
 
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