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Autore: _Bri_    08/02/2019    9 recensioni
[Storia Interattiva - Iscrizioni Chiuse]
Mentre ad Hogwarts si sta svolgendo il Torneo Tre Maghi, da qualche parte, in Inghilterra, esiste un "Giardino Segreto" apparentemente bellissimo ed unico, ma che nasconde ben più degli incanti che lo immergono nel costante clima primaverile. Dodici celle, occupate da dodici creature che il dottor Steiner ha rinchiuso lì. Il motivo è sconosciuto, ma chi vi è rinchiuso dovrà lottare con tutto se stesso, per ottenere la libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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CAPITOLO VI
Il Velo e l’Uragano

 
Jules non riusciva a trattenere la felicità. Seduta sul lettino della sua cella, con indosso solo una leggera sottana di un verde stanco, sgambettava al settimo cielo, con gli occhi fissi sulle sue nuove scarpe. In quel momento, in cui la speranza di toccare picchi di felicità era ridotta ai minimi termini, quel dono le aveva risollevato il morale.
Poi tutto quell’agitarsi si placò quasi di botto e le gambette pallide rallentarono, fino a limitarsi ad un molleggiare appena accennato. In realtà Jules capì che non ci fosse proprio nulla di cui essere allegri, vista la condizione in cui lei ed una serie di persone a cui si era già irrimediabilmente affezionata, si trovava in quel momento. Mentre le dita indugiavano sul lenzuolo leggero, gli occhi salirono lungo la catena attaccata al soffitto della sua prigione; il dottor Steiner aveva dimostrato per lei delle accortezze delicate, se ne era accorta. Quella catena ne era un esempio, come la mascherina che l’aiutava a prendere sonno, oppure l’essersi munito del valido aiuto di Yann per forgiarle quelle scarpe. Eppure, nonostante tutto, egli non s’era più presentato a lei e mai, nemmeno una volta, si era premurato di fornirle anche solo una spiegazione. Non aveva capito perché si trovasse lì ed il pensiero suo volò ai genitori, che dovevano essere nel pieno dell’agitazione per quella loro figlia dispersa, che ben altre preoccupazioni aveva dato loro nella vita. La sua condizione clinica, difatti, era sempre stata un grande mistero e Alizée ed Heron, che a seguito del difficile parto legato alla nascita di Jules non erano riusciti ad avere altri figli, avevano fatto di tutto per scoprire cosa si celasse sotto le anomalie della strega. Jules si ritrovò a ricordare con un sorriso velato di tristezza, il primo incontro con il dottor Steiner, che aveva portato nella famiglia una ventata di speranza: la prima, dopo moltissimo tempo.
 
“E tu devi essere Jules.”
 
Robert teneva le mani sulle ginocchia, piegato per raggiungere l’altezza della bambina che, impaurita, tentava di nascondersi dietro la gamba del padre.
 
“Deve scusarla dottore, non ha ottimi rapporti con i medici, come potrà bene immaginare. Purtroppo abbiamo avuto delle esperienze spiacevoli, in passato…” Heron passò una mano sul capo biondo della piccola, la quale spiava con un solo occhio il viso rassicurante di quell’uomo. Robert Steiner, dal canto suo, espose un grande sorriso mentre agitava la bacchetta davanti al musetto fattosi subito curioso: dalla punta di essa si formò una bolla opalescente all’interno della quale brillava una lucina, luminosa come una lucciola. La piccola Jules sgranò allora gli occhi e, scostandosi un po’ dalla gamba del padre, a cui rimase attaccata solo con una manina, si allungò abbastanza per tentare di raggiungere la bolla.
 
“Non devi avere più paura ‘kleine wolke’ (1), faremo in modo di scoprire perché sei tanto speciale, puoi fidarti di me.”
 
Heron seguiva la bolla con lo sguardo grigio, trovandosi poi a sorridere con spontaneità. Quell’uomo era stato in grado di trasmettergli una sicurezza mai provata prima. Del resto il suo nome cominciava a saltare di bocca in bocca, in quanto a seguito della morte del suo predecessore, una medimaga illustre, sembrava che Robert Steiner avesse ricoperto il suo posto con grande dignità, arrivando persino a superarla in quanto a fama e notorietà.
 
“Questa bolla, bambina mia, è proprio come te,” riprese il dottor Steiner “è bella, speciale ma un pochino fragile.”
 
Jules, che si era definitivamente staccata dal padre per tentare di prendere la bolla che fluttuava troppo in alto, sfilò le scarpine con velocità; si librò in alto come un palloncino gonfiato con l’elio e finalmente, felice più che mai, riuscì ad agguantare la bolla, trattenendola fra le sue dita senza che quella esplodesse. Robert si mostrò curioso, convinto che quella bolla sarebbe senz’altro scoppiata con un solo tocco, eppure lo stupore aumentò quando, dall’alto, la bambina si rivolse a lui:
 
“Lei non è fragile, e non lo sono nemmeno io!”
 
La bolla cambiò rapidamente colore e quel piccolo nucleo contenuto al suo interno, divenne presto l’occhio di un ciclone in miniatura che, funesto, si agitava sulle pareti per tentare di uscire.
 
“Jules, ora basta, è pericoloso!”
 
Heron non fece in tempo a sfoderare la bacchetta per richiamare a sé la figlia, che l’uragano incrinò le pareti in cui era custodito; da quel momento in poi si scatenò il caos: una piccola esplosione annunciò la rottura dell’involucro ed il ciclone aumentò presto di misura, cominciando ad inglobare quadri, libri e suppellettili presenti nello studio di Robert Steiner.
 
“Basta!” gridò allarmato il giovane Heron, ma Robert Steiner gli fece un rapido gesto con la mano mentre con l’altra si teneva aggrappato al margine del tavolo; così, strabiliato davanti l’esplosione di quella magia unica e potentissima, si rivolse a Jules.
 
“Hai ragione! Tu sei forte, Jules, mi ero sbagliato! Dimostrami di esserlo ancora di più allora, comanda il tuo potere!”
 
La piccola strega sembrava non risentire dell’effetto di quella tempesta; semplicemente se ne stava sospesa vicina al soffitto e guardava la scena con sguardo di sfida. Ma le parole del dottore avevano colpito in pieno quella bimba di soli sei anni, che da quando era nata si sentiva dire di essere ‘fragile’. Per lei quello non era solo un gioco: Jules voleva difendersi da chi la guardava con sospetto e pietà. Per questo accolse la richiesta del dottor Steiner ed apparentemente senza alcuno sforzo –le bastò infatti allungare una mano verso il ciclone- pose fine a quella tempesta. Appena la calma tornò a regnare nello studio, Heron allungò la bacchetta verso sua figlia cercando di trattenere l’ira, in quanto era consapevole che non fosse che una bambina incapace di gestire tutto quel potere magico. Con un gesto fluido la richiamò a sé, stringendola poi fra le braccia.
 
“Non devi più farlo Jules, mai più! È pericoloso quello che hai fatto…”
 
“Strabiliante…” sussurrò Robert, noncurante del caos in cui la piccola aveva gettato il suo studio. Jules Airgood era un caso unico, ne era ben consapevole. Aveva già avuto prova di quanto un potere tanto devastante potesse essere scatenato e pensare ad Elyon Yaxley fu inevitabile; eppure la grande differenza fra le due si trovava nel fatto che la piccola sembrava saper padroneggiare l’elemento dell’aria con maestria, seppure scatenarlo era stato un gesto inconsapevole, mosso dall'incoscienza infantile.
 
La cella si aprì d’improvviso, senza nessuno ad accoglierla. Jules accantonò i ricordi con un sospiro, infilò un vestitino smanicato e corse fuori. Quel giorno era il suo compleanno e a quanto pareva, il dottor Steiner le aveva fatto un altro regalo: la possibilità di non festeggiare i suoi quattordici anni in solitudine.
 
*
 
Dentro quei sei o sette metri quadri che lo ospitavano, Joshua credette di impazzire. Da quando era stato rinchiuso era ovviamente aumentano il suo livello di ansia e bisogno di ordine ed organizzazione. Per questo continuava a riordinare quel poco che era presente nella cella, piegare e ripiegare i quattro vestiti che gli erano stati concessi, pulire con cura maniacale, nonostante sapesse che ogni qualvolta uscivano dalle proprie celle, probabilmente i mangiamorte passavano con incantesimi di pulizia e quindi il suo lavoro era pressoché inutile. Ma Il metamorfo ne aveva estremo bisogno, in quanto riteneva che altrimenti, rinchiuso lì dentro, avrebbe perso la ragione. Mentre disfaceva e rifaceva il letto per l’ennesima volta, Joshua cominciò a ripetere una lunga serie di nozioni riguardante la geografia astronomica.
 
-Il Sole, definito Nana Bianca, dista dalla Terra centoquarantanovemilioni e seicentomila chilometri e la sua temperatura raggiunge i cinquemilasettecentosettantotto gradi…-
 
-Mi spieghi per quale motivo sai delle cose tanto inutili?-
 
Joshua raddrizzò immediatamente la schiena e si voltò verso l’entrata della cella, al di là della quale si trovavano Lucas, munito del suo più splendente sorriso, e quel maledetto Adrian, che lo fissava con cipiglio.
 
-Ti sei guadagnato un amichetto per la giornata, Hollens. Tu muoviti ad entrare, devo ancora fare un milione di cose e hai idea di quanta voglia io abbia? Beh, te lo dico: esattamente zero.-
 
Lucas sorrise placido, infilò le mani in tasca e varcò la soglia della cella che si era appena aperta ad un colpo di bacchetta del Mangiamorte. -Risparmia adesso il tempo, Reed, che quando sarò uscito di qui sarai il primo che farò sbattere ad Azkaban, stai tranquillo.-
 
Di tutta risposta Adrian si limitò a sorridere a sua volta: -Lo sai che non sei nella posizione di fare minacce, eh, stupido idiota?-
 
Joshua picchiettò sulla spalla del suo “ospite”, mentre gli occhi chiari si erano soffermati sulle vene del suo collo che si erano gonfiate esponenzialmente: -Lascia stare, meglio non combinare guai inutili.-
 
Al lapidario ammonimento di Joshua, Lucas roteò gli occhi, quindi alzò la mano e salutò Adrian con fare decisamente sfrontato: -A dopo allora. Ah, tanto per sottolinearlo: stupido è sinonimo di idiota, sei riuscito a fare uno strafalcione grammaticale in una sola frase!-
 
Adrian agitò la bacchetta ed in seguito alzò il dito medio a Lucas: -Ti sei guadagnato la tua prima tacca. Fottiti.- Così si accese una sigaretta e s’allontanò dalla cella. Joshua era rimasto ad assistere a quello scambio di battute con tanto d’occhi; quel Lucas si era dimostrato sciocco, presuntuoso e incosciente, eppure non poteva che apprezzarne il coraggio e, ancor più, la sua niente affatto velata critica alla grammatica misera del Mangiamorte.
 
-Beh, pare dovremo tenerci compagnia per un po’ Josh,- Lucas irruppe nei suoi pensieri insieme ad una vigorosa pacca sulla spalla, che lo fece irrigidire –quindi questo è il tuo buco, eh? Sei un fottuto perfezionista maniaco dell’ordine per caso?-
 
Perfetto, Lucas si era appena sabotato da solo.
 
-Senti Heathcote, mi sembra ovvio tu sia costretto a rimanere qui contro la mia volontà; visto che risulta evidente quanto io non abbia intenzione di comunicare con te, ti pregherei di…-
 
Rabbrividì, Joshua, quando vide Lucas gettarsi sul letto che aveva rifatto per la quinta volta nell’arco di un’ora, rinunciando all’ennesima sistemata solo dopo aver raggiunto lo stato più vicino alla perfezione. Con noncuranza il ragazzone sfilò le scarpe, incrociò le mani dietro la testa e solo a quel punto rivolse un sorriso sornione al metamorfo.
 
-In soli cinque minuti ho imparato ben tre cose su di te: sei un perfezionista, detesti essere toccato a tradimento e non ti piace essere interrotto. Adoro!-
 
Joshua rimase di stucco e non riuscì che a sbocconcellare qualche parola –E tu…tu come fai a…-
 
-Sono un auror, piccolo…oltre che a scolpire il mio meraviglioso fisico, devo anche studiare le persone.-
 
Joshua non comprese il reale motivo, ma sentì il viso andare a fuoco. Quel ragazzo lo aveva scansionato con una semplicità strabiliante. Non seppe dire se la cosa lo mettesse a disagio, o se cominciasse a piacergli.
 
*
 
Evie teneva le braccia conserte e spiava, da un angolo di quella cella, Victor Selwyn sfogliare un libro con aria assorta, con le gambe stese sulla parete su cui poggiava la testata del suo letto. Era stata tenuta rinchiusa per ben due giorni, prima che la cella dell’Incanto si aprisse all’improvviso, per darle modo di seguire il percorso obbligato, che l’aveva portata dritta dritta da Victor, il quale non si era affatto curato del suo arrivo. Si era persino premurata di salutarlo con un rapido “ehi”, ma Victor si era limitato a spostare gli occhi scuri ed infossati nelle occhiaie su di lei solo per un breve momento, prima di tornare alla lettura. Gli occhi di Evangeline fluttuarono sullo scrittoio e si arrestarono su quella piramide identica a quella che si trovava nella sua cella, ma con una differenza sostanziale: un liquido luminescente raggiungeva un numero considerevole di tacche. Stufa di starsene da parte e di essere ignorata, marciò verso il letto e sedette al fianco di Vicky, obbligandolo a spostarsi appena. Le braccia ancora conserte e gli occhi inchiodati sul suo viso:
 
-Non so se te ne sei reso conto, ma sono qui, razza di fagiano!-
 
D’improvviso Victor gonfiò la bocca, per poi scoppiare a ridere: -Razza di fagiano?! Tu si che ci sai fare con le offese, ragazzina!-
 
Il magigiornalista continuò a ridere convulsamente, picchiettando i piedi sulla parete.
 
-Che diavolo hai da ridere?! E poi si può sapere perché non mi guardi negli occhi, eh?!-
 
Victor cercò di trattenersi, seppure qualche ultimo singhiozzo trapelò dalla sua bocca: -Sarai mica matta? Se ti guardo mi ipnotizzi ed io non voglio farti del male, ragazzina.-
 
Evie avvampò, -Non chiamarmi ragazzina! Sono maggiorenne, sai?! E poi quello che hai detto non ha alcun senso! Prima di tutto io non ipnotizzo proprio nessuno…- -Beh, quasi- si intromise lui. –No che non lo faccio! Secondo poi: perché mai dovresti farmi del male?! Pur volendo non ci riusciresti, saresti imbambolato!-
 
A quel punto Victor smise di ridere definitivamente. Rilassò la schiena sul materasso ed incrociò le mani sulla pancia, prima di puntare lo sguardo in quello della ragazza: -Ti spiego una cosa, Evangeline: la vita mi ha disgraziatamente munito di un potere di protezione che schizza fuori nei momenti meno opportuni…sono quasi certo, dunque, che se tentassi di imporre il tuo imperius su di me, ti schianteresti al muro come un gattino lanciato via da una mandria di erumpent. Vuoi essere un gattino in mezzo ad una mandria di erumpent, per caso?-
 
Con le braccia ancora strette sotto il seno, Evie fissava con occhi sgranati quel mago tanto impertinente, che aveva la capacità di farla arrossire come nessuno era mai stato in grado di fare. Inaspettatamente, la strega liberò una risata sguaiata:
 
-Come ti vengono in mente queste immagini?! Sei fuori di testa, tu!-
 
Victor alzò un angolo della bocca, mentre osservava il mutare emotivo di quella ragazza che, dalla ritrosia, era saltata a tutt’altra condizione.
 
-Bene. Ora che ti ho fatta ridere che dici, posso tornare al mio libro? L’ho letto solo sette volte, del resto. Fosse mai mi sfugga qualche virgola fuori posto.- Victor riprese “Le affinità elettive” in mano e tornò a leggere, con un sorrisetto stampato in viso. Di contro Evangeline si placò e, lentamente, sciolse la stretta delle braccia.
 
-Ehi!- si lamentò Victor, mentre lei si faceva più spazio sul letto, costringendolo a tirare giù le gambe dal muro e sedendosi, come nulla fosse, con le gambe incrociate sul suo cuscino.
 
-Senti Victor…-
 
-Puoi chiamarmi Vicky, tanto qui la mia posizione sociale se ne è andata a puttane.-
 
La strega puntò i gomiti sulle ginocchia ed abbandonò il viso sui palmi delle mani:
 
-Vicky…già che siamo qui, me lo vuoi dire come mai hai frequentato tanto spesso il San Mungo?-
 
Le pupille del ragazzo vibrarono sulle righe del romanzo sgualcito dal tempo. Senza concedere ad Evangeline lo sguardo, Victor sbuffò: -Sai che in questo romanzo ci sono interi capitoli che descrivono l’architettura di un giardino maniacalmente curato? Mi sembra molto adatto al momento.-
 
Evie colse la sua volontà di cambiare argomento, ma non demorse affatto: -L’ho letto solo tre volte. Quindi, il San Mungo?-
 
Solo a quel punto Victor tornò a guardarla, ridotto ormai a rannicchiare il corpo lungo in uno spazio decisamente ridotto: -E tu? Quella Odette ha parlato di un crollo nervoso, mi pare.-
 
-Facciamo un patto: ti racconterò la mia storia, ma non prima della tua confessione. Che abbiamo da perdere?-
 
Un sorriso amaro solcò il viso del magigiornalista che, continuava a guardarla dal basso, sebbene rilassò le gambe che piegò accanto a lei.
 
-Niente da perdere, figurati…se non la vita stessa, mia cara Ottilia (2).-
 
La strega inarcò un sopracciglio, ma in quel caso non disse nulla. Si limitò ad attendere che Victor iniziasse a parlare e raccontarle di quando, per la prima volta, scoprì di essere affetto da una malattia apparentemente incurabile, che aveva fatto capolino nella sua vita assieme al suo scudo.
 
*

 
Quel giorno faticò ad alzarsi dal letto. Martha aveva acquisito così tante informazioni da catalogare e gestire, che la sua testa aveva, al solito, lavorato incessantemente per due giorni, limitando le ore di sonno ad una scarsa manciata. L’insonnia, l’incessante lavoro mentale e la condizione di segregazione l’avevano fatta crollare in uno stato di semi catalessi, sfiorando anche momenti di dolorosa debolezza. Di fatto si stava adoperando moltissimo per capirci qualcosa, e sebbene qualche ora prima fosse certa di avere ottenuto ottimi risultati, in quel momento non era più tanto convinta. A tratti sentiva non ce l’avrebbero fatta, ad uscire da quel posto. Se così fosse stato, non osava immaginare cosa avrebbe provato Phil se lei non fosse più riuscita a tornare. Con lo stomaco in subbuglio e l’animo a pezzi, non oppose resistenza quando il suo carceriere passò a prelevarla; sottostò alla volontà di Adrian e si fece portare nei meandri di quel Giardino, cambiato per l’ennesima volta. Mentre gettava il passo nelle sue scarpe consumate, non si curò delle vibranti siepi che si spostavano al loro passaggio, né della nebbia che solo lei sapeva di percepire con nitidezza, la quale ad ogni respiro offriva l’immagine di un altro luogo, probabilmente quello nascosto dietro la grande illusione in cui era immersa. L’unico pensiero che maturò, mentre il Mangiamorte le rivolgeva parole che non era davvero in grado di ascoltare, fu il ricordo amaro del forte senso di libertà che da molto tempo non aveva più provato e che l’aveva sempre mossa.
 
Hogwarts era stata una scoperta continua. Non si era mai fatta intimidire dalle regole imposte, tantomeno dagli ammonimenti frequenti che Vitious rivolgeva agli studenti della sua casa. Nessuno riusciva a sedare la curiosità di Martha, che sfruttò a pieno il suo ruolo di prefetto e poi di caposcuola, svicolando dai dormitori alle ore più improbabili solo per scoprire qualche ala nascosta della scuola, oppure per farsi un giretto nella sezione proibita della biblioteca, dove molte cose aveva appreso. Ma la sua sete di conoscenza ed il suo desiderio di libertà non si erano di certo arrestati agli anni scolastici: acquisiti ottimi risultati con i M.A.G.O., Martha Zeller aveva messo su un impavido ed ambizioso progetto e si era recata in Perù senza indugio, dove aveva concluso con clamoroso successo il corso per diventare spezzaincantesimi. Chiunque, conoscendola, non si sarebbe aspettato nulla di diverso. La strega era sempre stata brillante in incantesimi, merito indubbiamente di quella sua marcia in più, che le permetteva di vedere, percepire, sfiorare magie misteriose ai più. Martha, con questo speciale ‘sesto senso’ c’era nata e anche se molte delle persone che avevano avuto a che fare con lei non l’avevano mai compresa  –o comunque non ci avevano mai provato davvero- alla strega non importava: non era la gloria che andava cercando, tantomeno il rispetto di maghi e streghe che, a sua volta, non riteneva di rispettare. Martha aveva solo l’esigenza di andare a fondo alle cose, affidandosi spesso al filo dei suoi pensieri che si ammassavano nella testa e che lei, con piacevole sforzo, tentava di ordinare. Suo padre Christopher aveva tentato di sedare lo spirito avventuriero di lei fin dall’infanzia, asserendo che avrebbe dovuto tentare una carriera seria, piuttosto che girare di qua e di là senza uno scopo specifico; lui la vedeva così e Martha si ribellò con tenacia a questo pensiero, considerato da lei retrogrado ed affatto avanguardista. Con il tempo imparò a capire che quella del padre non fosse che autentica preoccupazione per una figlia che, di fondo, stimava ed adorava più di ogni altro essere umano.
Il Perù era stata una prova meno dura di quanto si sarebbe aspettata e Martha, con la perenne testa fra le nuvole, tornò rinvigorita in Inghilterra, appagata solo in parte dal sapere conquistato nel caldo paese dell’America del sud. Voleva di più, imparare di più, di modo da poter dare di più, perché sotto a quello spirito inquieto e mai fermo, si nascondeva un animo nobile ed altruista.
Non lo avevano capito i suoi compagni ad Hogwarts, che la definivano ‘quella strana’, perché mai e poi mai Martha si risparmiava domande incalzanti ai professori, anche quelle che per gli altri potevano essere considerate stupide od apparentemente prive di senso. Ma Filius Vitious l’aveva capito, di aver coltivato una studentessa si, anomala, ma in un’accezione tutta positiva: perché Martha era brillante, una scintilla ingegnosa e speciale, dotata di carattere, caparbietà e capacità invidiabili. Per questo al suo ritorno dal Perù, aveva mostrato premura di incontrarla. Nulla di strano, visto che i due non avevano mai perso i contatti, dato che Vitious si era sempre mostrato un ottimo insegnante di vita, in grado di coltivare le sue doti.
 
“Devi cogliere questa ennesima possibilità: una specializzazione come indicibile al Ministero potrebbe esserti molto utile, mia cara.”
 
Martha posò la tazza sul comodino al fianco della brandina e spostò l’attenzione da quella, a Filius, che la guardava sorridente.
 
“Non ho la minima intenzione di chiudermi in un ufficio, non fa per me, lo sai.” Rispose con garbo.
 
“Non sarebbe così; vedila come un’ulteriore sfida: sei una giovane donna brillante, Martha Zeller…sono sicuro che il Ministero acquisirebbe una valida collaboratrice, con te. Sei già un’eccellente spezzaincantesimi e la tua dote non deve essere sprecata. Promettimi che ci penserai, sai che potrei anche mettere una buona parola per te, anche se sono convinto che non ce ne sia alcun bisogno!”
 
Martha sorrise mentre tirava una ciocca di capelli chiari dietro l’orecchio. Quell’uomo aveva così tanta fiducia in lei da farla quasi commuovere, anche se non si poteva dire fosse una persona sentimentale. Un lieve bussare alla porta della stanza fece voltare entrambi.
 
“Professore…mi spiace ma l’orario di visite è finito.”
 
Chiuso nel suo camicie, Philip sorrise placido in direzione dell’ex insegnante di incantesimi, per poi lanciare un fugace sguardo imbarazzato a Martha, così abbassò il tono della voce:
 
“Vi ho concesso venti minuti in più…”
 
Filius si alzò dalla seduta al fianco della ragazza: “Non sono mai stato ammonito in vita mia, nemmeno quando non ero che un giovane studente: non ho alcuna intenzione di guadagnarmi il mio primo cartellino giallo!” dichiarò, accennando una risata “Allora, promettimi che ci penserai.”
 
Martha annuì e accompagnò con lo sguardo il mago, che uscì dalla stanza. Philip, appoggiato allo stipite della porta, la guardava con un mezzo sorriso: “Non dovresti nemmeno ricevere visite, Zeller.”
 
“Concedimelo, Butler: sono settimane che non vedo che la tua faccia!”
 
I due liberarono una risata in sincrono, che piano scemò fino a lasciare, sui loro volti, dei sorrisetti complici.
 
-Martha?-
 
Una voce femminile la riportò alla realtà. La strega arrestò il passo e fece fluttuare lo sguardo fino a soffermarsi sulla figura di una bella ragazza con i capelli scuri e la pelle olivastra, dai tratti latini. Batté un paio di volte le ciglia, prima di riconoscere Odette McCall, una collega di Philip, che aveva incontrato qualche volta al San Mungo, quando si recava a fare visita a quello che sarebbe diventato suo marito.
 
*
 
-Ottocento, novecento, millecinquecento scatole d’argento…fine settecento ti…regalerò.- (3)
 
Cora teneva le mani chiuse a pugno sul lavandino del suo bagno mentre osservava il suo volto, stranamente acqua e sapone, riflesso nello specchio. I Mangiamorte erano intervenuti giusto in tempo, proprio quando i compagni di reclusione avevano cominciato a spingere affinché lei motivasse i suoi rapporti con il dottor Steiner. Si era sentiva sollevata e così non aveva opposto alcuna resistenza, facendosi condurre nella propria cella in cui era rimasta chiusa, in solitaria, per due giorni. Era giunto il momento che qualcuno le desse delle spiegazioni, perché il tempo stava scorrendo con una rapidità inaudita e Cora cominciava a sentire il peso di quella reclusione assolutamente insensata. Una voce profonda, ma estremamente melodiosa, la distrasse da quel tanto pensare e d’istinto voltò il viso verso la porta, che aprì di scatto ritrovando con suo grande stupore, nella propria cella, William Lewis con le mani abbandonate in tasca, i capelli spettinati e l’aria assente, mentre canticchiava quella canzone.
 
-Che diavolo…mi è preso un colpo! Che ci fai tu, qui?-
 
Il mago, come si fosse reso conto in quel momento della presenza di Cora, interruppe la canzone e inclinò il capo nella sua direzione.
 
-Spiacente di importunarla, signorina Dagenhart…ma pare che oggi sarà costretta ad ospitarmi.- ciò detto William alzò le spalle e tornò a guardarsi intorno con aria annoiata. Cora arrossì appena: sapeva di essere in una cella, ma in qualche modo aveva l’impressione di dover fare gli onori di casa perché nessuno, fino a quel momento, aveva mai messo piede in quello spazio a lei dedicato, se non quei Mangiamorte che ronzavano intorno al dottor Steiner. Cora non era abituata a non dare peso alla forma; era stata educata così e l’apparenza, per la famiglia Dagenhart, era tutto. Così Cora si sentì improvvisamente sotto pressione, anche se quell’uomo l’aveva vista in condizioni peggiori di così. Come se avesse ascoltato i suoi pensieri, William si avvicinò allo scrittoio della cella e si abbandonò sulla sedia, mantenendo la sua aria sorniona.
 
-Questa cella è molto meglio della mia…- valutò fra sé mentre si guardava intorno, infine rivolse lo sguardo chiaro a Cora, rimasta in piedi intenta a spostare il peso da un piede all’altro, mentre torturava un gomito con la mano, in evidente imbarazzo. Will inarcò un sopracciglio: -Quindi non hai idea del perché mi abbiano fatto arrivare qui, immagino.-
 
La strega scosse il capo e sedette sul letto accavallando le gambe, nel tentativo di ritrovare compostezza ed una parvenza di eleganza: -A te non hanno detto nulla?-
 
Dalla bocca di Will sfuggì una risata profonda, che Cora trovò piacevole e seducente: -Non so se l’hai notato, ma non abbiamo a che fare con delle personalità particolarmente…loquaci. Non che la cosa mi dispiaccia in fondo; vorrei solo uscire di qui e lasciarmi questa storia alle spalle, come tutti noi, suppongo.-
 
Cora soffiò un sospiro stanco. Gli occhi chiari calarono sul pavimento, correndo lungo la fuga fra il mattonato di marmo.
 
-Senti io…io non ho avuto l’occasione di…di…ringraziarti quando sono, ecco…svenuta. Sei stato molto gentile.- Concluse lei, sconvolta dall’imbarazzo di cui si stava caricando. William sembrò reagire a quelle parole con interesse, perché se fino a quel momento non faceva che gingillarsi e cercare qualcosa in quella cella che generasse in lui un qualche tipo di coinvolgimento, davanti a quel ringraziamento claudicante si irrigidì appena.
 
-Beh, non è che tu sia proprio…svenuta; direi piuttosto di avere assistito ad una profezia, cosa che non mi era mai successa prima. Insomma è stata un’esperienza interessante e, per quel che vale, potrei essere io a ringraziare te.-
 
Il tentativo di smorzare la tensione funzionò, perché Cora tornò ad alzare lo sguardo fino ad incrociare quello di William, tornato ad assumere la solita aria sorniona.
 
-Io non ricordo nulla…non so cosa sia successo e non so cosa ho detto.-
 
-Peccato, visto che sono stato un pessimo traduttore a quanto pare. Dovrei limitarmi a scrivere canzoni, invece guarda un po’,- Will allargò le braccia, divertito –Sono diventato l’assistente di un oracolo.-
 
A Cora scappò una risata. Quell’uomo aveva l’assurda capacità di metterla a proprio agio e la strega, a quel tipo di sensazione lì, non era affatto abituata.
 
-Ma tu chi sei, William Luwis?-
 
A quella domanda, Will tornò a sorridere appena, di un sorriso malinconico.
 
-Un cantastorie, miss Dagenhart, solo questo.-
 
-Un cantastorie con una vita complicata alle spalle, non è vero? Ho sentito parlare di te…nei salotti dell’alta borghesia dei maghi. Sarei curiosa di sapere quale delle voci su di te sono vere.-
 
-Chiedi e ti sarà dato. Sei o non sei una veggente?-
 
*

 
Alon stava tentando di trattenere la rabbia, ma trovò decisamente complicato gestire le proprie emozioni, in quel momento. Davanti a lui una donna che aveva conosciuto da poco, respirava affannosa e veniva trattenuta fisicamente da Yann Reinhardt, anche lui una nuova conoscenza del Giardino. La strega dai capelli rossi era arrivata in quell’ala del giardino con passo nervoso e nulla di lei gli aveva trasmesso serenità. Si erano presentati con velocità, mentre quella studiava la situazione con sguardo spiritato, come se da un momento all’altro si aspettasse di essere attaccata. Ad Alon ricordò un grande felino, in assetto difensivo davanti all'aggressione di un bracconiere; nel mentre Yann, un mago dall’espressione burbera, cercava di instaurare un dialogo a fatica. Alon aveva quindi scoperto che quell’uomo aveva conosciuto Mazelyn e Jules e che, per quest’ultima, aveva fabbricato delle nuove scarpe. Nell’apprendere l’informazione Alon si rasserenò, perché aveva quantomeno scoperto che Jules stesse bene.
Il problema vero si presentò quando, con passo aggraziato, spuntò dal nulla Roxanne Borgin, con quel suo maledetto orologio in mano la quale, nell’imminente, rivolse un sorriso presuntuoso ad Elyon: era evidente che le due streghe si conoscessero già da tempo. La reclusa della Torre era subito scattata, pronta ad attaccare la Mangiamorte e gridando, nei suoi confronti, una serie di coloriti epiteti a tratti irripetibili.
 
-A cuccia, Yaxley…non vedi che non siamo sole? Sei sempre la solita…- Roxanne allacciò le braccia e s’avvicino ad Elyon, ancora trattenuta da Yann –Non capisci proprio quando è il momento di fermarti, non è così? Non mi capacito di come Ad sia tanto attratto da una come te.- Il sorriso con cui concluse quell’affermazione risultò veleno, per Elyon, che con una forte strattonata rischiò di ribaltare Yann, che a quel punto gridò:
 
-Smettila! Provocarla non serve a niente!-
 
Roxanne spostò rapidamente lo sguardo su Yann e d’improvviso il sorriso scomparve: -Non ti impicciare, razza di zingaro sangue marcio. Vuoi beccarti una punizione?-
 
A quel punto toccò ad Alon intervenire in quanto Yann, davanti quell’insulto, spinse con forza Elyon lontano da Roxanne ed a lei si avvicinò minaccioso.
 
-Credi di farci paura? Davvero? Stai provocando la persona sbagliata: non ho proprio nulla da perdere d’altronde!-
 
Yann aveva colto Roxanne alla sprovvista: con un rapido gesto le afferrò il vestito e probabilmente le avrebbe dato fuoco, se Alon non si fosse avventato per tirarlo via. A quel punto Roxanne, orripilata, si tirò indietro e sfoderò la bacchetta con la quale schiantò Yann, incarcerò Elyon pronta a saltare addosso ed infine puntò il legno verso Alon. Quest’ultimo alzò le mani in alto:
 
-Non farlo, per piacere,- tentò, conciliante –abbiamo solo perso la calma…si comporteranno be…-
 
-Taci, ibrido. Vi siete guadagnati molto più di una punizione: crucio!- Gelida, lapidaria, grave. Roxanne non esitò a scagliare la maledizione su Alon che gridò di dolore crollando a terra.
 
-Ma cosa…no…no!-
 
Jules credette di vivere un incubo. Aveva sentito, mentre seguiva il percorso tortuoso, un vociare agitato; eppure mai avrebbe pensato di assistere a quella scena raccapricciante. Gli occhi saettarono dalla strega che si dimenava lottando contro corde invisibili, ad Yann, tramortito a terra. Infine indugiarono inorriditi su Alon, che si contorceva a terra e che tentava di trattenere le urla.
La strega percepì il cuore accelerare nei battiti e la pressione salire, mentre l’orrore sul suo viso virava all’ira. Un’ira devastante, che mai aveva raggiunto simili livelli.
 
-Lascialo subito…lascialo!-
 
Roxanne non si curò della piccola strega che urlava nella loro direzione, se non fosse che, d’improvviso, il cielo limpido s’oscurò ed un vento gelido sferzò il suo abito scuro. Non si era resa conto subito, la Mangiamorte, che Jules stava scatenando una tempesta in piena regola.
I capelli della piccola strega fluttuavano intorno a lei mentre gli occhi castani, immobili, fissavano Roxanne, che abbassò la bacchetta nel momento in cui un ciclone formatosi alle sue spalle si stava avvicinando a lei.
Quella ragazzina innocente stava scatenando la forza della tempesta.
Roxanne aveva perso il controllo; il corpo si era pietrificato e l’unica cosa che riuscì a fare, fu fissare l’uragano che s’avvicinava a lei con la volontà di inghiottirla. Fu a quel punto che Alon tentò di rialzarsi da terra, seppure sentisse il corpo a pezzi; con estrema fatica si voltò verso Jules, dallo sguardo annebbiato, avvolta da una tempesta che non sembrava incidere su di lei.
 
-Jules! Basta, ti prego! Io sto bene…guardami!-
 
Nella sua testa non c’era che nebbia e tutto, intorno a lei, si era fatto vago e tetro. Ma quella voce lì riuscì a creare un piccolo squarcio di pura luce e per un momento, Jules, tornò alla realtà.
 
Ma no, quella non era la realtà. Quello non era il Giardino.
 
Come sospesa in un limbo, Jules fluttuava in uno scenario atipico, dai colori troppo brillanti per essere reali.
Eppure ricordò di essere già stata lì: lo sciabordio del mare, il profumo della salsedine, la calda luce di un sole che s’apprestava ad abbandonarsi, docile, nelle acque cristalline.
E davanti a lei finalmente lo riconobbe: Alon era cambiato, sembrava più maturo, ma finalmente lo aveva riconosciuto, a differenza del loro primo incontro, a cui mai era riuscita a dare una spiegazione. Se ne stava lì, con i lunghi capelli sciolti che con quella luce avevano assunto sfumature dorate, le braccia che si apprestavano ad allungarsi verso di lei, il più bel sorriso del mondo.
 
-Alon!- gridò, Jules. Ma il ragazzo non rispose. Stava per correre verso di lui, quando qualcosa attraversò il suo corpo.
Non la vide in viso, quella ragazza. Vide solo la schiena di una figura minuta, ed i suoi capelli mediamente corti che lasciavano scoperto un collo pallido.
Vide Alon sciogliersi di commozione, mentre la ragazza gettava le braccia intorno al suo collo e affondava il viso, che non fu mai in grado di vedere, nell’incavo fra il collo e la spalla di lui.
Alon la strinse più forte che mai e così fece la strega minuta, alla quale il mago sussurrò:
 
“Finalmente sei tornata.”
 
-Torna qui…Jules: torna qui!-
 
Una corrente impetuosa l’aveva strappata via da lì, gettandola in un buio inizialmente sordo che, pian piano, assunse la voce di Alon. Quando aprì gli occhi si ritrovò distesa a terra, mentre i lunghi capelli biondi del mago le solleticavano la faccia e le sue mani scuotevano il suo corpicino. Appena riuscì a mettere a fuoco, notò gli occhi chiari del mago, velati di lacrime. Allungò una mano e gli carezzò la guancia.
 
-S…scusami, forse ho…fatto un casino.-
 
Alon a quel punto si sforzò di sorridere. Intorno a lui la tempesta era scomparsa, ma l’unica cosa che ritenne davvero importante fu che quella ragazzina si fosse ripresa e stesse bene.
Il resto, in qualche modo, si sarebbe aggiustato.
 
*

    
 
“Ma se ci sposassimo adesso?”
 
Erano passati solo tre mesi, dall’ufficializzazione del loro fidanzamento. Martha aveva fatto penare non poco Philip, che aveva atteso i suoi tempi dilatati senza scomporsi; lei, del resto, temeva di legarsi a qualcuno, in quanto mai e poi mai avrebbe voluto perdere la cosa a cui teneva di più al mondo: la sua libertà. Eppure il medimago l’aveva capita, fin dal primo momento. Ogni meccanismo anomalo era ben chiaro ai suoi occhi, per questo mai aveva forzato la mano con Martha, limitandosi a starle vicino con la delicatezza che gli era propria, facendo in modo che lei tenesse presente solo una cosa: Philip la amava nella sua interezza. La garanzia di questo amore incondizionato, che accoglieva di buon grado i suoi pregi come le sue singolari ‘stranezze’, avevano fatto in modo che la strega accettasse il dato fatto che si presentava a lei; semplicemente, anche Martha amava Philip. Per questo quando la molla dell’accettazione scattò, conseguenza naturale fu spiazzarlo con una richiesta simile, precipitata di punto in bianco davanti ad una tazza di buon tè. Philip, che non aveva nemmeno fatto in tempo a togliersi la divisa, rimase di stucco davanti alla serenità di Martha, la quale aveva posto quell’interrogativo con la leggerezza che si usa quando si parla del tempo. Boccheggiò, il giovane mago.
 
“Mi prendi in giro? Perché se è così sbrigati a chiamare qualche mio collega, dato che credo mi stia prendendo un colpo al cuore.”
 
Martha inarcò un sopracciglio, non dando peso all’enfasi di lui: “Ti sembra che stia scherzando?”
 
Dopo aver ingoiato grandi quantità di saliva per il tanto ansare, Philip corse nel suo studio, lasciando Martha al tavolo della cucina, per tornare qualche attimo dopo, senza camice e con una scatolina, che Martha osservò perplessa.
 
“E quella?”
 
“Io avevo già comprato…oh, insomma: aprila!”
 
Un sorriso morbido addolcì il viso affilato di Martha, mentre gli occhi si incastrarono su un modesto anellino; un brillante dal riverbero azzurro era incastonato su una fascetta d’oro bianco.
Il loro matrimonio rappresentò alla perfezione il loro rapporto; in quattro e quattr’otto finirono in un paesino Irlandese e lì si sposarono, senza nemmeno un invitato. Furono presenti solo un paio di testimoni, persone sconosciute recuperate nel porto vicino. Eppure, Phil e Martha, erano più felici che mai.
Quella notte i loro corpi collimarono come si fossero esplorati per la prima volta; Philip guardava il corpo acerbo di sua moglie, mentre giocava con una ciocca dei suoi capelli chiari. Era abituato al suo sguardo perso in chissà quale angolo dell’universo, per questo si stupì della vividezza dei suoi occhi, che s’agganciarono a lui. Sorrise, appagato dell’amore che sentiva di provare per quella creatura.
 
“Non sei spaventato da me, Phil?”
 
Il mago sorrise, prima di tirare Martha a sé e stringerla con forza, come se da un momento all’altro potesse volare via.
 
“Me l’hai insegnato tu…se c’è una cosa che è immorale, è la banalità (4), signora Butler.”
 
Martha non stava ascoltando. Odette l’aveva scossa, chiedendole cosa ci facesse lì, se avesse informazioni riguardo a quello che stava succedendo, chi altro avesse incontrato. La strega s’arrestò quando si rese conto che l’altra aveva perso il filo del discorso svariati minuti prima. Non volendo, Odette entrò nei suoi pensieri, scontrandosi con un momento davvero molto intimo della vita di Martha Zeller. In tutto questo, Adrian Reed continuava a fumare in disparte, mentre teneva d’occhio con svogliatezza la situazione Alistair: il babbano era stato portato lì e cercava di tenersi lontano da Mazelyn Zabini la quale, divertita, gli lanciava battute sul suo bel collo candido. Odette spostò l’attenzione su quei due, ma prima che potesse intervenire, Martha scattò in direzione di Mazelyn.
 
-Ora basta. Non vedi che è terrorizzato?-
 
In realtà Alistair, che volente o nolente stava cominciando ad abituarsi alla sua nuova condizione e alle continue, sconvolgenti novità, stava semplicemente tentando di evitare che quel vampiro tanto avvenente lo stordisse con il suo infinito potere. Babbano si, scemo no, questo era quanto continuava a ripetersi Alistair. Mazelyn inarcò un sopracciglio e risentita, si girò in favore di Martha:
 
-Stai calma, stavo solo cercando di passare il tempo…non ti stai annoiando, tu?-
 
-Annoiando?- Martha non perdeva mai la pazienza, ma quella strega-vampiro stava mettendo a dura prova la sua tranquillità –Come puoi solo parlare di noia, in un momento come questo? Piuttosto cerchiamo di darci da fare; ci deve essere un motivo se hanno deciso di raggrupparci in questo modo.-
 
Odette si avvicinò ad Alistair con cautela; il ragazzo teneva lo sguardo sui piedi:
 
-Tutto bene tu? Sembri…un po’ scosso. Le tue orecchie sono un tantino troppo rosse, forse dovrei visitarti…-
 
-Non t-toccarmi!- gridò Alistair che si tirò subito indietro, -Scusa…s-sto solo tentando di m-mantenere la calma.-
 
Odette sorrise comprensiva, quindi si limitò a concedere all’alto ragazzo una pacca sulla spalla, prima di tornare a guardare Martha e Maze:
 
-Martha ha ragione, dubito che sia tutto casuale.-
 
-Io c-credo ci sia uno s-schema dietro.-
 
Il balbettio di Alistair allertò tutte e tre le streghe, che si voltarono in contemporanea a fissarlo, cosa che fece aumentare il rossore delle orecchie di Al a livelli esponenziali.
 
-Ecco…- riprese lui, stropicciandosi le mani –Ci…ci ho p-pensato per due g-giorni. Bene o m-male voi s-siete tutti maghi, m-mentre io…io s-sono un comune essere u-um-umano, non fosse per q-quella cosa che so f-f-are…-
 
Alistair deglutì. Maze assottigliò gli occhi ed incrociò le braccia, mentre Martha ed Odette si mostrarono più rassicuranti, anche se lo sguardo della prima aveva assunto una sfumatura di follia, segno che il suo cervello si fosse messo in azione.
 
-Alistair…credo che il motivo si trovi nei particolari poteri di ognuno di noi.- disse comprensiva Odette, ma Alistair con estremo coraggio alzò una mano, che zittì all’istante il medimago:
 
-Va b-bene…sicuro i n-nostri poteri ci l-legano in qu-qualche modo…ma…-
 
Martha si intromise con fare concitato –Che vorresti dire? Parla, presto!-
 
Alistair gettò una rapida occhiata ad Adrian che a tutto stava pensando, tranne che a tenere d’occhio quei quattro.
 
-E s-se ci fosse a-altro? S-se ci ac-ac…ma porca miseria- Alistair inveì contro il proprio incespicare nelle parole, prima di tirare un sospiro e ricominciare a parlare –Se ci accumunasse  qualcos’altro? C-ci sarà qual-l-cosa di strano…- Alistair dedicò una rapidissima occhiata a Maze, prima di tornare su una più rassicurante Martha –Ok v-voi siete tutti un p-po’ strani però…-
 
-Senti chi parla, il babbano che resuscita i morti!-
 
-Mazelyn!-
 
-Ho capito…scusate!-
 
-I-insomma…dico solo di pensarci su…-
 
Martha trovò quel discorso illuminante. Effettivamente fino a quel momento non avevano mai pensato di concentrarsi davvero su cosa li accumunasse, dando per scontato che fossero i  poteri, l’anello di congiunzione dello sfortunato gruppo di reclusi.
Purtroppo con l’arrivo del patronus di Roxanne, furono costretti ad interrompere l’interessante brain storming.
 
-Ma porca Morgana…uno scontro?! Io le stacco la testa…questa è la volta buona…forza voi! Muovetevi!-
 
Il Mangiamorte costrinse i quattro a tornare nelle loro celle. Pare che Roxanne avesse urgentemente bisogno di lui per gestire una questione particolarmente tempestosa.
 
*
 
Il corridoio del reparto era immerso nel solito via vai concitato. Medici, infermieri e pazienti ingombravano lo spazio ed il vociare era diventato quasi assordante, alle orecchie di Philip.
 
-Dottore, abbiamo bisogno di lei nella stanza cinque, c’è un bambino che sta vomitando lumache da un quarto d’ora…pare sia tornato ieri da un viaggio all’estero con i genitori e da allora, non ha più smesso di…rigurgitare invertebrati.-
 
-Arrivo Murphy…arrivo.-
 
Philip aveva sempre amato il proprio lavoro, ritenendo di aver realizzato la sua più grande passione, nella vita. Di una cosa però era ormai certo: da quando sua moglie era scomparsa nel nulla, nulla aveva più la stessa importanza. Inizialmente Philip non si preoccupò più di tanto per la sua assenza, convinto che Martha fosse partita all’improvviso per una missione affidatale dal Ministero, anche se mai e poi mai la strega mancava di inviargli anche solo un gufo. In realtà quel drammatico giorno aveva sperato che lei facesse una delle sue improvvisate, consapevole che Philip avesse il doppio turno ed effettivamente c’era rimasto male, non vedendola arrivare. Ma la tristezza mutò presto in preoccupazione quando, di ritorno a casa, capì che di Martha non c’era traccia: era come se tutto fosse stato lasciato all’improvviso, come se fosse uscita per tornare presto.
Non mancavano vestiti, né valigie, né calzature. Gli indumenti che solitamente utilizzava per le missioni erano puliti e ripiegati nella solita anta del loro armadio.
Era evidente, quindi, che Martha fosse scomparsa.
Philip, le rispettive famiglie, gli amici: tutti si erano adoperati per cercare la strega scomparsa. Con raccapriccio, Phil aveva inoltre scoperto che anche uno dei suoi migliori amici era scomparso nel nulla. Victor si era dissolto di punto in bianco mentre si trovava alla Redazione de “La Gazzetta del Profeta” e, come Martha, non aveva lasciato traccia di sé.
Per giorni e giorni il medimago non tornò al San Mungo. La prima settimana era stata dedicata alle ricerche, poi il dolore e la depressione erano giunti a bussare alla porta. A quel punto Philip aveva trovato difficile persino alzarsi dal letto, senza che fitte dolorose gli torturassero lo stomaco.
Il pensiero di Martha lo stava massacrando e si stava lasciando andare senza capacità di reazione.
La decisione di riprendere a lavorare, arrivò a seguito di un incontro con i genitori di Victor, che conosceva da quando non era che un bambino. La loro determinazione lo stimolò, fino a fargli rendere conto che nulla era perduto e che quelle sparizioni non potevano essere un caso: avrebbero ritrovato Martha e Victor, dovevano solo credere nel loro obiettivo.
 
Philip visitò quel ragazzino, diagnosticando una forma acuta di lumacosi equatoriale. Mentre compilava la ricetta con la terapia, il mago pensò che doveva esserci qualcosa di davvero sospetto in quella situazione.
La gente continuava a sparire…come nel caso della sua collega Odette McCall o del capo reparto “lesioni da incantesimo” Robert Steiner.
E chissà quanti altri erano scomparsi, senza che Philip ne sapesse nulla.
Strinse la penna nella mano con forza: non si sarebbe dato per vinto, doveva tenere duro, doveva farlo per la sua Martha.
 
*
 
-Come è potuto accadere?-
 
-Robert, io…-
 
Il dottor Steiner batté le mani sulla sua scrivania con forza.
 
-È solo una ragazzina, Roxanne…ha quattordici anni…mi vuoi dire che ti sei fatta fregare da una ragazzina?-
 
-Una ragazzina anomala e molto potente, Robert!- Roxanne aveva perso tutta la sua compostezza. In quel momento tremava così tanto di paura e rabbia che Robert stentò a riconoscerla; l’uomo tentò di calmarsi.
 
-Per fortuna è intervenuto Adrian, sono stato uno sciocco a pensare di poterti lasciare da sola…e solo perché non hai saputo resistere a provocare Elyon!-
 
La Mangiamorte serrò la mascella –Non è stato merito di Adrian…la ragazzina si è placata da sola.- Robert inarcò un sopracciglio –Vuoi spiegarti meglio o devo strapparti le parole di bocca?-
 
Roxanne si rilassò; sapeva di possedere un’informazione sensazionale e che in realtà, il caos generato aveva portato con sé ottime notizie:
 
-C’è stato…Robert: l’orologio è impazzito, lo smottamento è avvenuto.-
 
Le pupille s’allargarono nelle iridi chiare e l’espressione tesa si rilassò. Roxanne sorrise compiaciuta: aveva conquistato l’attenzione del dottore.
 
-Mia cara…penso tu mi debba delle spiegazioni; se è come dici tu, questo è il risultato migliore mai ottenuto fino ad ora. Abbiamo una speranza!-
 
La strega annuì. Era vero: avevano ottenuto un risultato mai sperato, grazie a quella piccola strega che si era immolata ad arma, per difendere nient’altro che un inutile ibrido.
 


(1) Kleine Wolke, in tedesco nuvoletta.
(2) 
Ottilia è una dei protagonisti di “Le Affinità Elettive” di Goethe.
(3) 
Will sta canticchiando “Ottocento”, di Fabrizio de André.
(4) Citazione di “Bianca”, degli Afterhours.
 
 
Non ho saputo resistere a quella bellissima gif su "Jules", anche se è enorme!
E non ho saputo resistere nemmeno alle foto da "presunti sposi" della coppia meravigliosa, che io amo con tutta me stessa (parlo, ovviamente, di Martha e Phil).

Che dire? La vostra partecipazione, le vostre teorie, la voglia di condividere con me le idee beh…mi rende felicissima. Non voglio aggiungere nulla a questo capitolo. Mi limito a chiedervi di votare l’oc che vorreste come protagonista del prossimo capitolo; ovviamente dei vostri, dato che dei miei è rimasto solo Adrian.
Buon weekend a tutte :)
 
Bri
   
 
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