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Autore: Marty Andry    09/02/2019    0 recensioni
Tutto sembra già stabilito, percorsi obbligati, più o meno indotti, sentieri così lineari che basta un nonnulla per farci deviare. In quel momento torniamo a vivere, rimessi al centro della nostra esistenza, mondi che ne incontrano altri, in un prendersi cura a vicenda delle proprie esistenza.
[Tratto dal primo capitolo: "forse attraverso quel filtro vermiglio, la presenza di Giulia poteva essere più sopportabile. Mentre riversava il contenuto dei calici nel lavandino, sospirò, consapevole del fatto che aveva bisogno del suo amico fegato per tirare avanti."]
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 3
 
 
 
Tu come stai?
 E mi fanno compagnia
quaranta amiche
 le mie carte.
 
 
 
La serata era andata un po’ diversamente da come aveva previsto. Effettivamente, dopo la festa di Claudio erano andati a mangiare in un carino ristorante greco, ma la passeggiata che sperava di fare consistette in un tragitto dal ristorante a casa di Giorgio, per prendere il borsone con il cambio, e poi tornare a casa di Rebecca. L’aria si era parecchio rinfrescata e non vedeva l’ora di buttarsi sotto le coperte, magari abbracciata a Giorgio. Arrivati a casa, lasciarono i capotti nell’ingresso, tutta la casa era immersa nell’oscurità, la stanza di Claudia era chiusa e non sapeva se ci fosse o meno, lei si cambiò e si distese sul letto, aspettando che lui la raggiungesse, ma restò per quasi un’ora in bagno perché doveva radersi la barba. Aveva lasciato la porta della sua stanza socchiusa e vide Claudia che andava verso il bagno.
<< Non provarci, >> disse stanca, dalla penombra della stanza, << c’è Giorgio. >>
Claudia roteò gli occhi e si poggiò allo stipite della porta, con le braccia incrociate.
<< Scusami se non ti ho avvisata. >> si scusò l’altra, senza togliere gli occhi dal soffitto.
<< Non è quello, lo sai. >> rispose seria.
<< Non lo so, oggi è strano. >>
Rebecca si mise a sedere e a carponi sul letto andò verso l’interruttore, per accendere la luce.
<< Perché? >>
Le raccontò grosso modo com’era andata la serata, ma Claudia fu brava a rassicurarla.
<< Sarà stanco, Reb. Sidney, il lavoro di qui, poverino, dovrà gestire un sacco di cose. >>
<< Già. >> sospirò.
<< Quando dovrebbe partire? >>
<< Tra circa un paio di settimane, massimo tre. >> e tornò di nuovo distesa.
<< Venti giorni! Ma quindi non resta per la tua laurea! >> esclamò.
<< Già. >> ripeté.
<< Vuoi un tè? O uno spaghetto agli e olio, vedi tu. Io sono aperta a tutto. >> scherzò.
Rebecca sorrise lievemente. << Il tè va benissimo. >>
 
 
 
<< Mangia, amore mio, sei sciupato! >> scherzò Riccardo mentre porgeva la pizza fumante ad Alessandro.
<< Ti prego, non ti ci mettere pure tu. Già sento la predica che mi farà mia madre e pure mia sorella, ora che è mamma. >> sospirò.
<< Come sta Paola? >> chiese Sergio.
<< Sta bene, figurati. A proposito, dovrei chiamarla, oggi è il suo compleanno. Scusatemi. >> e si allontanò, approfittando di quella tregua per permettere alla pizza di raffreddarsi.
<< Lo stiamo perdendo. >> sentenziò Riccardo.
<< Dici? >> rispose Sergio preoccupato.
<< Assolutamente. Mangia poco, esce poco, dorme poco, l’unica cosa… >>
Sergio scoppiò a ridere con le lacrime agli occhi. << Forse, >> aggiunse tra un singhiozzo e l’altro, << quella è l’unica cosa che dovrebbe smettere di fare per stare definitivamente bene! >>
Anche Riccardo rise, ma gli fece cenno di abbassare la voce, avrebbe potuto sentirli.
<< In realtà, è l’archeologia a fargli male, secondo me. >> precisò Sergio. << Lo assorbe, completamente, e nonostante quella tipa, Elena, gli metta i bastoni tra le ruote, lui continua. >>. Si buttò di peso sullo schienale della sedia. << Non come faccia a trattenersi dal soffocarla. Ogni volta che apre bocca, crolla una colonna. >>
Riccardo rise e gli batté il cinque. << Bella, bravo. Questa mi è piaciuta. >>
Alessandro nel frattempo tornò al tavolo con gli occhi lucidi e si sedette, sovrappensiero.
<< Tutto bene, Ale? >> chiese Sergio preoccupato.
<< Sì, tranquilli. >> rispose sorridendo, << sapete che effetto mi fa parlare con mia sorella e sentire mio nipote che non la lascia respirare. >>
<< Te l’ho detto, io. >> disse Riccardo con un sorriso sornione.
<< Detto cosa? >> chiese curioso Alessandro.
<< Che stai male! >> esclamò Sergio.
Riccardo gli diede un calcio da sotto il tavolo. Sergio incassò il colpo con molta nonchalance.
<< Io! >> esclamò esterrefatto, abbozzando una risata. << Io, certo. Ma voi? Sergio mio, sei tu quello che si è dato al ricamo per superare la depressione post lauream! >>
<< Ssssh!! >> lo zittì. << Questo è il nostro piccolo segreto! >>
<< Io almeno sono ancora mentalmente stabile. >> affermò fiero Riccardo.
<< Parliamone… >> fece Sergio.
Alessandro tossì. << Laura. >> mormorò tra un colpo di tosse e l’altro.
<< Ma quella ormai è acqua passata! >> ribatté.
<< Come no! >> gridarono gli altri in coro, ma una signora del tavolo accanto li guardò male che stavano alzando troppo la voce.
<< Una storia senza importanza, lo sapete. La mia unica sposa è… >>
<< Giulia! >> disse Sergio.
<< Ma dove? >> gridò allarmato.
<< Stavo scherzando! >> si giustificò, addentando il primo specchio di pizza.
<< Non ti permettere! >> lo minacciò sarcastico Alessandro con il coltello liscio.
<< Lo minacci con la limetta per le unghie? >> intervenne Riccardo.
Alessandro poggiò il coltello e scoppiò a ridere, seguito a ruota da Sergio. Loro erano tra i pochi con cui riusciva a liberarsi completamente dei suoi pesi, delle paure, di Giulia e quant’altro. Ogni loro uscita, incontro o semplicemente conversazione aveva spesso un effetto catartico, perché, lo doveva ammettere, i disturbi mentali erano gli stessi.
 
 
Giorgio si era sistemato, finalmente, ma era impegnato in una partita di tennis in streaming, ed era seduto sulla sedia di fronte alla scrivania, con lo schermo del pc che illuminava di un azzurro freddo i capelli liscissimi e portati di lato. Rebecca si alzò dal letto ed andò in cucina dove la aspettava Claudia con due tazze di tè caldo.
<< Ancora chiuso nel suo mutismo? >>domandò.
Rebecca alzò le sopracciglia per annuire, come era solita fare. << Più o meno. Ora sta guardando una partita di tennis. >>
Andò per prendere la sua tazza e si sedette a gambe incrociate sulla sedia del tavolo. Claudia, sulla poltrona di fronte, la imitò.
<< Ma da quanto va avanti così? >>
<< Solo oggi, e non capisco perché. >> rispose sconsolata.
<< Notato qualcosa di strano, insolito? Oppure tu hai fatto qualcosa che gli ha potuto dare fastidio? >>. Le indagini appassionavano molto la coinquilina.
Rebecca scosse la testa. << L’unica cosa, può essere stata la storia dell’archeologo, ma alla fine non capisco di cosa debba preoccuparsi. >>
<< Archeologo? >> domandò. Quel particolare le mancava. Rebecca le raccontò brevemente la storia che giudicava di poca importanza.
<< Non è mai stato interessato alle materie che studiavo, agli articoli che ho scritto, nemmeno quando Chiari mi invitava a pranzo! Perché dovrebbe esserlo ora? >>
Il comportamento taciturno di Giorgio, che anche a cena era stato abbastanza laconico, la turbava perché, da quando lo conosceva, era sempre stato abbastanza logorroico, o quantomeno, dalla parlantina veloce. Non capiva perché, anziché godere delle ultime settimane insieme, preferiva una stupida partita di tennis che, forse, per lui così stupida non era. E di certo, la storia di Alessandro non poteva infastidirlo, perché le era stata chiesta una mano da una persona con cui complessivamente aveva parlato per un’ora scarsa. Pensierosa, iniziò a bere il suo tè ancora bollente. Tra un sorso e l’altro, anche Claudia manteneva il silenzio, cercando un modo per rassicurare l’amica, mentre questa controllava la posta elettronica. Rebecca trovò una mail di Chiari, che aveva urgenza di vederla la mattina perché poi sarebbe partito per un paio di giorni. Era quasi mezzanotte, ed era indecisa se scrivere in quel momento o il mattino seguente ad Alessandro. Bloccò lo schermo del cellulare e lo lasciò sul tavolo, mentre con una mano teneva la tazza. Finì il tè che era rimasto e continuò a fissare lo schermo del cellulare, indecisa. Gli occhi si spostarono su Claudia, che fissava il vuoto e si accorse che Rebecca la stava fissando. La guardò stralunata, cercando di decifrare il suo sguardo.
<< Gli dovevi far sapere l’orario? >> provò.
Rebecca annuì con un cenno del capo, mentre lo chignon che portava si disfaceva e si trasformava in una coda.
<< Scrivigli domani, magari adesso sarà fuori o starà dormendo, in entrambi i casi lo vedrà domattina. >> suggerì.
Rebecca valutò l’idea e sì, la decretò la migliore. Diede un bacio sulla guancia alla coinquilina e si rintanò in camera, dove trovò Giorgio addormentato sulla scrivania, con la partita che andava avanti senza che qualcuno la guardasse. Lo lasciò stare e si buttò sotto le coperte, ansiosa di scoprire qualcosa sul breviario di cui le aveva parlato quello strano soggetto e che, al momento, era l’unico desiderio che la ravvivasse.  Fece molta fatica ad addormentarsi, ma dopo un’oretta il torpore si impadronì di lei e cadde in un riposo profondo.
Al suo risveglio, il mattino seguente, si accorse di non aver impostato la sveglia, e così si era svegliata ben più tardi di quanto di solito non facesse. Si guardò intorno, ancora un po’ rintontita, ed ebbe la sensazione che qualcosa non quadrava. Si guardò intorno e Giorgio era sparito, insieme al borsone che aveva portato con sé la sera prima. Lo chiamò immediatamente, e la voce sveglia di lui rispose subito.
<< Scusami, >> si giustificò, << avevo dimenticato che oggi veniva mio fratello e va via stasera, quindi passeremo la giornata insieme. >> la liquidò, apparentemente mortificato.
Rebecca gli disse di non preoccuparsi, anche lei avrebbe avuto da fare, mentì.
 
 
Detestava le domeniche, come detestava l’inverno, la pioggia. Come spesso accadeva, quella notte aveva dormito cinque ore, quasi un record. Arrivato a casa, la sera prima, aveva sperato che Rebecca le scrivesse, ma il messaggio non era arrivato né ieri sera né durante la notte. Aveva fatto colazione con il cellulare accanto e se ne era separato solo per fare la doccia. Proprio mentre era sotto il getto violento dell’acqua fredda, il cellulare poggiato sulla lavatrice vibrò. Si accorse del messaggio solo quando fu fuori, afferrò il cellulare e due enormi gocce d’acqua colpirono, causa capelli bagnati, la scritta Filologa sul display. Lo posò per passarsi un asciugamano sui capelli e lo infilò nella tasca dell’accappatoio. Lo aprì fermo, a piedi nudi, accanto alla porta della stanza da letto, che aveva bisogno di un’opera di bonifica dai vestiti sparsi qua e là negli ultimi due giorni. Rebecca gli dava appuntamento per il pomeriggio successivo.
Perfetto, pensò.
Dove?, chiese.
Posò il cellulare su un ripiano della libreria a muro e andò a vestirsi in maniera ben diversa rispetto agli altri giorni. La domenica, o comunque quando sapeva di non dover uscire, abbandonava molto spesso camicie, giacche e a volte anche cravatte per avvolgersi in magliette e pantaloni di felpa. La risposta di Rebecca non tardò ad arrivare.
In un posto tranquillo dove possiamo parlare senza che qualcuno ci guardi male.
Ci pensò su per qualche minuto. Il bar di fronte al dipartimento, il pomeriggio, era abbastanza vuoto, e potevano lavorare in tranquillità, dato che molti studenti, che non trovavano posto in biblioteca si rifugiavano lì. Quello poteva essere un buon compromesso, ma aspettò una mezz’ora prima di poterle dare una risposta, in testa gli ritornava la questione dell’orgoglio di genere. Impiegò quella mezz’ora con una chiamata a sua madre che, effettivamente, lo trovò parecchio annoiato.
<< Che programmi hai per oggi, Ale? >> domandò.
<< In realtà non lo so, penso che cucinerò qualcosa da congelare, così questa settimana ho già tutti i pranzi e qualche cena pronti. >>
 
 
Detestava le domeniche oziose, quella soprattutto, in cui le ronzava in testa il nome di Matilde. Claudia era via per tutto il giorno insieme a Sara, questioni lavorative che non la riguardavano, i suoi genitori e sua sorella non era riuscita a contattarli nemmeno quel giorno e desiderava terribilmente parlare con qualcuno e sfogarsi. Matilde, Matilde, Matilde. Già il nome non le piaceva, ma anche lei, ammise viaggiava parecchio con la fantasia. Giorgio nel corso degli anni aveva avuto parecchi pazienti, era normale che qualcuno gli fosse rimasto più impresso di altri, ma non sapeva perché, quella donna la rendeva perplessa. Nel frattempo, mentre preparava una torta per distrarsi, le arrivavano i messaggi di Alessandro, che le proponeva luoghi per lavorare con discrezione. Lo scambio di messaggi però la distraeva dalla preparazione del dolce, per cui decise di chiamarlo.
<< Ciao! >> rispose Ale dall’altro capo.
<< Ciao, scusami se ti ho chiamato, ma io non posso fare due cose contemporaneamente. >>
Si maledisse, perché quell’affermazione poteva farla sembrava sciocca.
<< Non ti preoccupare, >> la rassicurò. << ti ho fatto delle proposte, dimmi tu cosa ne pensi. >>
Alessandro, in sottofondo, sentiva un rumore di fruste elettriche e la sua voce rimbombava, probabilmente era in vivavoce.
<< Mmmh… >> mugolò mentre assaggiava il mascarpone. << Lì c’è troppa gente che non ho intenzione di vedere. Dico, Da Fa Lu, gli altri non so dove siano. >>
<< Il Verri è vicino corso Gerusalemme, Rosso di sera in una strada perpendicolare a via Falcone. Per me è indifferente. >>
<< Facciamo da Rosso di sera? È più comodo, rispetto a casa mia. >> propose.
<< Perfetto, a domani allora. E grazie ancora, davvero. >>
<< Figurati, a domani. >> e riattaccò.
Se fosse stata meno lucida, anche se praticamente non lo conosceva, gli avrebbe riversato addosso tutte le ansie maturate nel giro di ventiquattr’ore, di come la sua partenza per Berlino dopo la laurea non la rendeva più felice come all’inizio perché soffocata dall’insistente presenza di un nome: Matilde. Per poco non volle scriverlo con il cacao sul suo tiramisù. Soddisfatta del lavoro, mise la teglia in frigorifero e lavò spatole, coppe e fruste.
 
 
Alessandro sperò che quantomeno la torta di Rebecca, o almeno a quello supponeva servissero le fruste, fosse uscita bene nonostante la chiamate. Nella schiettezza con cui gli aveva detto non riesco a fare due cose contemporaneamente, aveva colto la stessa spontaneità di Claudio, forse per quello andavano tanto d’accordo.
Per entrambi, il pranzo passò tranquillo, con il telegiornale dell’una che scorreva con le solite notizie negative, e il pomeriggio fu ancora più ozioso della mattina. Rebecca aveva trascorso la giornata in pigiama e, abbandonata sul letto, leggeva uno dei libri che aveva pescato tra i tomi di Chiari. Per quel giorno, aveva deciso, niente studio, aveva bisogno di una pausa seria, seppur di una giornata. La sua posizione preferita per leggere era a pancia in giù, poi, quando si stancava, poggiava il cuscino sul muro e la schiena su di esso. Nel giro di due ore era quasi arrivata a metà del volume, ed era anche abbastanza leggibile nella versione tedesca originale. Era una sorta di Giulietta e Romeo della Germania del III secolo avanti Cristo, carina per le ambientazioni ed il candore della ragazza. Ma bastava un niente, un aggettivo di troppo, che le tornava in mente Matilde. Si arrese, chiuse il libro e accese il computer. Con il suo profilo Facebook spulciò quello di Giorgio. Nessuna novità tra le sue informazioni generali, tra gli amici cercò il nome che tanto le tornava in testa. Lo digitò nella barra di ricerca e le uscì un unico risultato. Matilde Gualdo, inequivocabilmente lei. Non c’erano né molte informazioni né molte foto se non con suo figlio e con qualche amica. Guardò la data di nascita, era solo un anno più grande di lei. Nessuna traccia di marito o compagno. Una laurea in Infermieristica. Stop. A giudicarla esteriormente, sembrava comunque una bella ragazza, seppur troppo giovane per avere un figlio di nove anni. Nella foto del profilo, vedendo la data in cui era stata inserita, il 2 gennaio, era seduta e accanto suo figlio in piedi, identico a lei, con lo sfondo di un salone molto simile a quello di Claudio, illuminato a giorno. Le gambe, incrociate, erano coperte fino al ginocchio da una gonna plissettata color senape, perfettamente intonata con l’ambiente. Con una mano teneva stretta la vita del bambino, vestito di tutto punto anche lui. Il suo sorriso era tirato, mentre la madre mostrava tutti i denti, con gli occhi verdi luccicanti ed i capelli biondi tinti sistemati in una piega impeccabile. Non l’aveva mai vista, nemmeno quando era andata, in quattro anni, a trovare Giorgio in clinica. Perplessa, spense il computer e si tolse gli occhiali, stanca. Erano da poco passate le sette e sentì il cellulare vibrare, lo recuperò da sotto al cuscino e vide il nome di Sara, anche se un po’ sfocato a causa delle diottrie mancanti.
<< Sara, dimmi. >> disse con la foce floscia.
<< Disturbo? Ti va una passeggiata dopo cena? Così poi tu e Claudia tornate a casa, noi siamo sul treno, dovremmo arrivare in un paio d’ore. >>
<< Non so se mi va… >> mormorò.
Dall’altro capo del telefono sentì Claudia urlare un << Vedi di muoverti e non fare storie! >>
Non toccò che cedere, sconfitta.
 
 
Non aveva voglia né di uscire né di vedere Sergio e Riccardo, anche perché entrambi erano impegnati, non aveva nemmeno voglia di lavorare, quindi Alessandro decise di guardare un film, a causa della noia ne scelse uno che durava tre ore, almeno così avrebbe ingannato il pomeriggio fino all’ora di cena. Dopo tre ore, il film in realtà non aveva fatto altro che annoiarlo, trama eccessivamente inverosimile, ed era passato alla fase cena. Accese il microonde per riscaldare un po’ del riso agli spinaci avanzato dal pranzo e si sentì, mai come allora, uno di quei single che passavano le serate nei pub a guardare le partite, con l’unica differenza che di fatto non era single e non gli interessava nessuno sport che non prevedesse lo scavo in posti strani e dimenticati persino da Dio. Finito di mandar giù il riso, si spremette un’arancia, che fa sempre bene, come dice sua madre, e scese per buttare la spazzatura, operazione che rimandava già da due giorni. Trascinò il sacco ben chiuso fino a l’ascensore, quasi cadendo perché gli sfilò una pantofola. Quando aprì il portone, si ritrovò una marea di gente che gli sfilò davanti, che si apprestava a cominciare l’ultima parte del weekend o a trascinarsi, annoiata, verso casa, con il pensiero già rivolto al lunedì. Anche lui, in modo o nell’altro, si stava trascinando, insieme al sacco, verso il cassonetto nero esattamente dalla parte opposta della strada. Nessuno faceva caso a lui e al modo in cui era vestito, come sempre, ma Alessandro, attento e discreto osservatore, cercava di non lasciarsi sfuggire nessuno. E ai suoi occhi non sfuggì Giorgio, che passò rapido davanti al cassonetto, senza rendersi conto della sua presenza, ma Alessandro non riuscì a capire se la ragazza accanto a lui fosse Rebecca o meno, anche se aveva dei dubbi, visto il colore dei capelli, troppo chiaro.
Gettato il sacco, rientrò, con una sola curiosità, sapere chi fosse Giorgio. Aveva ragione Claudio a dire che era antipatico, ma magari si sbagliava, era solo l’impressione di un bambino troppo ingenuo, o forse aveva semplicemente ragione. Salì le scale, l’ascensore era occupato, e rientrò in casa. Lo stereo proponeva musica straniera, per il momento. Si si sistemò nella sua postazione da indagine, sul divano con le gambe incrociate. Cercò il nome ed il cognome di Rebecca su internet e subito gli apparve il suo profilo Facebook. Non si dovette nemmeno sforzare molto per cercare i dati di Giorgio: era lì, con lei, nella foto del profilo. Lei sorrideva, di profilo, e lui la tratteneva per i fianchi, forse lei cercava di sfuggirli, e non ha tutti i torti, si disse Alessandro. Giorgio Corsini, venticinquenne. Fisioterapista. Ovviamente, da un soggetto come lui, Alessandro si aspettava che non facesse mistero del suo curriculum scolastico e professionale. Guardò le sue foto, in molte vi era Rebecca, naturalmente, in molte altre indossava un completo da clinica lilla, in altre ancora era in palestra o con un abbigliamento da footing. Sì, certo, sportivo come lui, commentò. Andò indietro con le foto e si accorse che Rebecca era presente anche in quelle precedenti al suo trasferimento all’università, fin dal liceo. Fece due più due, la loro storia doveva essere abbastanza lunga. Il suo pensiero corse a Giulia, per cui ormai non provava altro che un tenero affetto, inutile negarlo. Per fortuna, non doveva chiamarla, era in Francia per una serie di convegni sulle sue amate suffragette e nessuno dei due aveva accennato a videochiamate. Improvvisamente, lo avvolse un velo di tristezza, che subito si trasformò in magone. Chissà, si chiedeva, come Rebecca riuscisse a stare saldamente al fianco di Giorgio.
  
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