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Autore: Marra Superwholocked    11/02/2019    1 recensioni
Ultimo capitolo della Trilogia delle impavide cacciatrici milanesi.
Durante il loro anno sabbatico, Catherine e Silvia avranno modo di capire se la caccia ai mostri fa realmente per loro. Tuttavia, da semplici cacciatrici in prova, si ritroveranno a dover escogitare un piano per eliminare la minaccia di Arimane, creatura malvagia scappata dalla sua Gabbia ai confini dell'Universo. Il Dottore le aiuterà anche questa volta? E Storybrooke da che parte starà?
Dal testo:
«Ed ecco a voi» disse Amnesha girando la scatolina bianca per mostrare alle cacciatrici il suo contenuto, «l'ultimo Fagiolo Magico.»
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Belle, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: Cross-over, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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PARTE PRIMA

La Caccia Ha Inizio

 

CAPITOLO I

Pilot? Pilot.

 

L'anno sabbatico di Catherine e Silvia stava finalmente per cominciare e, come tante altre ragazze appena uscite dal liceo e con tanta voglia di vivere il mondo reale, avevano organizzato un viaggio. Ma non un viaggio qualunque: sarebbero andate a caccia. Catherine era riuscita a prendere la patente appena in tempo per la partenza; Silvia, invece, ce l'aveva già da un po', ecco perché sarebbero partite con la macchina di quest'ultima, usata precedentemente dal padre. Aveva già parecchi chilometri e la vernice vecchia e rinsecchita, ma Silvia la considerava perfetta – non la sua macchina preferita, ma comunque perfetta per il tipo di viaggio che avevano in mente le due ragazze.
Nel pomeriggio più caldo del settembre di quell'anno, il 2016, Silvia sostava proprio sotto la finestra della cameretta di Catherine. Agli occhi di alcune loro amiche, sarebbe potuto sembrare un appuntamento galante. La verità? Assolutamente no! Catherine, così come Silvia, lo avrebbe considerato una sorta di incesto e, nonostante entrambe adorassero mettere dubbi nelle menti di chi le osservava, negavano apertamente una qualsiasi relazione che andasse al di là della "sorellanza".
«Mi raccomando, Cathy» le disse sua madre con le lacrime agli occhi mentre guardava la figlia allontanarsi dalla porta. Aveva promesso a se stessa di non guardarla salire sulla macchina di Silvia, ma non riuscì a resistere alla tentazione e scese con lei le scale. Sapeva certamente che quell'immagine le si sarebbe stampata in mente finché la sua principessa non avesse fatto ritorno a casa, eppure ascoltò il suo cuore piuttosto che la ragione e la seguì tenendola per mano. La guardò scendere quelle poche scale e ripensò alle prime volte che le aveva salite, talvolta usando anche le mani per compensare le piccole gambine, troppo corte per quei gradini da adulti. «Mi raccomando...» ripeté inconsciamente. Ormai erano arrivate al cancello che le avrebbero portate sulla strada, dove Silvia aspettava appoggiata alla sua macchina. Quest'ultima si staccò dal veicolo non appena le vide e andò subito ad abbracciare la mamma di Catherine come se fosse stata la sua vera madre.
«Mamma, stai tranquilla» le sorrise Catherine col cuore in gola quando le altre due slegarono l'abbraccio. «Ci sentiamo quando raggiungiamo Bologna, okay?»
«Okay, tesoro, va bene» le rispose la madre abbracciandola forte.
Poi Silvia sottrasse dalle mani di Catherine borsone e valigia – a momenti più leggeri dell'aria –, li ripose nel cassone della sua Nissan Navara nera a quattro posti e tornò a guardare l'amica; sua madre le stava tenendo il viso tra le mani, piangeva lacrime non di tristezza, bensì di malinconia, nonostante la figlia fosse ancora lì con lei, sentendola già lontana. Un anno e poi avrebbe toccato di nuovo le guance della sua bambina, i suoi capelli, le sue mani... Mani che all'improvviso presero le sue e gliele staccarono dalle guance. Le sembrò di non poter più respirare e le lacrime non osavano fermarsi.
Le due ragazze salutarono la madre di Catherine un'ultima volta, quella decisiva, poi montarono in auto. Silvia accese il motore e lasciò qualche secondo all'amica per rendersi bene conto di quanto stavano per fare. La riccia vide Catherine cercare un qualsiasi riflesso degli occhi della madre e, percependo la sua tristezza, convenne che fosse meglio per tutti partire subito.


La radio aveva smesso di gracchiare – Silvia aveva inserito il suo album preferito, Bombs Away, e stava canticchiando allegra e spensierata – e stavano quasi per arrivare a destinazione. In mezzo alla campagna dorata e verde per il grano e le uve della Toscana, la strada a doppio senso veniva totalmente ignorata da Silvia, il che faceva innervosire Catherine.
«Silvia, ti prego, torna nella tua corsia, non stare in mezzo alla strada» mugugnò la minore delle due tenendosi ben stretta alla maniglia in alto, quella vicina al finestrino. Okay che era matta da legare anche lei, ma un minimo di buon senso cercava sempre di conservarlo.
«Oh, avanti, ho sempre voluto guidare così! E poi, guarda: non c'è nessuno!» esclamò l'altra tutta estasiata.
«Per favore, Silvia» tentò di non urlare Catherine, sovrastando tuttavia gli Sheppard e la loro Let Me Down Easy.
Silvia abbassò automaticamente il volume della musica e tornò nella sua corsia. Si era totalmente dimenticata del piccolo problema che Catherine aveva con le auto, a prescindere da chi fosse il guidatore, e si sentì un po' in colpa. Pensò che fosse meglio sdrammatizzare: «Che ne dici di dare un nome all'auto?» chiese mantenendo sempre i settanta chilometri orari nonostante il limite di cinquanta.
«Be', la macchina è tua» le rispose Catherine guardando fuori dal finestrino per distrarsi.
Silvia la guardò un paio di volte di sfuggita. Non l'aveva mai vista così distaccata. C'era qualcos'altro, sotto, oltre al mal d'auto. Qualcosa che non voleva svelare per due possibili motivi: o Catherine riteneva non fosse importante, oppure non voleva farla preoccupare inutilmente per qualcosa che poi magari poteva rivelarsi una stupidata. L'una o l'altra cosa, Catherine non sapeva fingere abbastanza bene da poter ingannare l'unica persona – dopo i suoi genitori – che la conosceva come le sue tasche.
«Il Dottore chiama la TARDIS Sexy... Dean accarezza l'Impala sussurrando Baby... Phil Coulson ha la sua Lola...»
«Mh-mh.»
Silvia si accigliò. Cosa cavolo voleva dire Catherine con quel verso? La guardò di sottecchi, senza farglielo pesare assolutamente e architettò una piccola trappola. «Sai, Cathy? Pensavo che sarebbe meglio dire ai tuoi genitori la verità, tutta la verità. Non hai mai mentito a loro due e cominciare proprio ora non mi sembra l'ideale.»
«Già» rispose Catherine, distante e distratta come mai prima.
«E, tanto che ci siamo, perché non dir loro anche che ci sarà difficile arrivare ai quarant'anni d'età senza morire almeno una volta?»
«Sì, mi piace: è perfetto.»
A quel punto, Silvia prese un profondo respiro e accostò con calma sulla destra. Vide l'amica accigliarsi e scambiare con lei uno sguardo confuso. Catherine si assicurò che non arrivasse nessuna macchina alle loro spalle – aveva paura che qualcuno le falciasse – ma non si era nemmeno accorta che avevano ormai lasciato la provinciale per stradine secondarie ed erano così arrivate nel punto più isolato della periferia, dove la luce del tramonto ricopriva d'oro e rame tutto l'ambiente, a partire dal terriccio umido fino alle tegole delle poche case lì attorno. «Perché ti sei fermata?»
«Cathy» disse Silvia con lo sguardo basso. «So che vorresti finire gli studi, quindi sono pronta a fare marcia indietro e a rimandare la caccia se è quello che vuoi.»
Catherine spostò lo sguardo su di una gazza ladra ai piedi di un albero. Beccava frenetica tra l'erbetta secca alla ricerca di cibo. Era molto probabile che ci fossero dei semini o che qualcuno le avesse gettato delle briciole di pane poco prima che le due ragazze fossero arrivate sul posto. Tuttavia, Catherine e Silvia non seppero mai che quell'uccelletto beccava i tessuti organici ancora attaccati ad un osso, forse di un animale o forse no.
Era esattamente in quei momenti che Catherine preferiva non dover scegliere: un futuro certo o la caccia? La famiglia o Silvia? Perché non poteva avere entrambe? Forse un modo esisteva... Forse no... Forse avrebbe potuto tornare a casa una volta ogni tanto, ma se fosse tornata per restare... Se fosse tornata per restare, Silvia sarebbe poi ripartita , senza indugio, perché era quello per cui era nata, lei glielo ripeteva spesso. Ma ormai avevano deciso: un anno di prova e poi le alternative erano chiare ad entrambe. «No» rispose sorridendo. «Ho un anno di tempo per capire cosa è meglio per me.»
Silvia, rincuorata, le sorrise e le diede un pugnetto leggero sulla spalla. Controllò poi che da dietro non arrivasse nessuna macchina e tornò dunque a guidare. «Abbiamo fatto credere alle nostre famiglie di voler andare a visitare Roma e hai detto a tua madre che l'avresti avvertita quando saremmo arrivate a Bologna, quindi immagino che dovrò darmi da fare coi fotomontaggi, dico bene?»
«Esatto, sis. Tanto basterà mettere uno sfondo e regolare le luci!» le rispose l'altra, ben ancorata alla maniglia come sempre.
«Sì, okay, ma quanto tempo ci vuole per fare Milano-Bologna con la provinciale?»
Catherine controllò l'orologio. «Dunque...» Fece il calcolo almeno tre volte per essere più sicura e... «Cacchio!» esclamò spaventando così Silvia. «Per loro, saremmo già dovute arrivare da più di un'ora! Oddio, oddio, oddio! E adesso chi la sente, mia madre?!»
Silvia rise e Catherine stava già per chiamare la madre quando se ne accorse. «Che hai da ridere?»
«L'ho chiamata io mentre schiacciavi un rumoroso pisolino» rise Silvia.
Catherine rimase a fissarla per dieci secondi buoni senza dire una sola parola poi, finalmente, apprese lo scherzo. «Porca miseria, quanto ti odio» esclamò anche lei ridendo.
Le due ragazze si scambiarono uno sguardo d'intesa lungo quattordici anni di amicizia. Cosa poteva andare storto, durante quel viaggio verso il loro primo caso? Be', un po' tutto, a dire il vero, ma mai e poi mai si aspettavano di investire la creatura su cui avrebbero voluto indagare. Infatti, gli Sheppard avevano da poco finito di allietare l'abitacolo con Halfway To Hell quando Silvia sbandò, spaventata – Catherine terrorizzata –, dopo aver leggermente urtato quello che le era sembrato essere un cane randagio spuntato dal nulla.
«Santo cielo, come se fossimo invisibili!» urlò Silvia inchiodando.
«Silvia, dai, magari era incuriosito dai fanali» cercò di calmarla Catherine dopo che si fu calmata prima lei.
L'altra grugnì e le disse di rimanere in macchina, che avrebbe dato una controllata. Non aspettò nemmeno la sua risposta – non avrebbe accettato alcuna replica – e prese una torcia dal cruscotto. Uscì alla fioca luce della sera, il sole è veloce a nascondersi, e rimase in ascolto. Con sé solo un dannato fascio di luce. Merda!, pensò: si era dimenticata in macchina la pistola! Fece subito per riaprire la portiera, ma un rumore alle sue spalle attirò l'attenzione di Silvia. Ella rimase lì ferma, immobile, a fissarsi le mani sulla maniglia nera del suo pickup mezzo scassato. Un altro rumore. Più vicino. Totalmente diverso dal verso di un cane. Silvia deglutì ed ebbe la sensazione di essere il prossimo pasto di qualsiasi creatura avesse alle spalle. Si umettò le labbra e cercò nelle proprie tasche, senza muoversi troppo, un coltello o simile, ma si ricordò di avere tutto nel cassone. Cioè troppo lontano.
All'improvviso il rumore che la creatura aveva già ripetuto due volte si intensificò gradualmente, fino a diventare un orribile ringhio di una belva, non più di una semplice creatura.
«Silvia!» urlò forte Catherine da dentro l'abitacolo, tanto che la maggiore si spaventò. D'istinto, quest'ultima aprì il più velocemente possibile la portiera dell'auto e si infilò dentro con il terrore che le ballava negli occhi. Subitamente, sul finestrino del guidatore si stamparono due zampe canine con artigli forti e incredibilmente taglienti – o così sembrava. La campagna era ormai al buio, ma entrambe le ragazze poterono scorgere la furia nelle iridi della belva, la quale sputava ripugnante saliva sul finestrino ad ogni suo abbaio.
Catherine e Silvia erano a dir poco terrorizzate, ma riuscirono a mantenere un sangue freddo davvero invidiabile e, senza quindi andare nel panico, Silvia staccò gli occhi dalla belva ruggente, ancorò bene le mani al volante e sfrecciò via, lasciandosi alle spalle quella specie di cane assassino.

   
 
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