Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Niglia    19/07/2009    10 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ciao a tutte!!
Perdonatemi per il ritardo nello postare questo capitolo, ma ho avuto un brutto calo di ispirazione che spero non si ripeta più..! :(
Ad ogni modo, ora non mi dilungherò troppo e vi lascerò alla lettura, spero che sia di vostro gradimento anche se ci ho messo un pò troppo a scriverlo e non ne sia molto convinta.... è un capitolo di transizione, ma ci stiamo avvicinando al punto clou..! :) Fatemi sapere!!
Vi ringrazio tantissimo, un abbraccio!!
Smack :*


_________________________________________________________________________________________








Capitolo IX
 

 



 

Entrai in sala da pranzo convinta di trovarci tutta l'allegra combriccola di Enrico riunita intorno al tavolo. Beh, mi sbagliavo.

La stanza non era molto grande, ma possedeva un’immensa vetrata nella parete frontale alla porta e le tende color panna tirate per far entrare la luce calda del sole. Di fronte alla vetrata c’era il tavolo, in pesante mogano scuro, con due sottopiatti arancioni e un vaso di vetro con dei fiori colorati. A destra, separata dalla zona pranzo con un basso muretto in pietra, c’era la cucina, una moderna cucina ultra accessoriata.

Qui, rivolto verso i fornelli, c’era Enrico.

Degli altri ragazzi non c’era neanche l’ombra.

Quando richiusi la porta con un leggero tonfo, Enrico si voltò verso di me, sorridendomi. Mio Dio, aveva davvero il più bel sorriso che avessi mai visto.

Cercando di ignorare il leggero brivido che avevo provato nel vedere quel sorriso, avanzai e mi avvicinai alla cucina, poggiando i gomiti sul ripiano in legno del muretto. Osservai curiosa quello che stava cucinando il mio ‘carceriere’: chissà perché ero convinta che avesse delle governanti che si occupavano dei  pasti e delle pulizia, ed ero piuttosto sorpresa nel constatare che invece era lui a cucinare. Okay, non che fosse particolarmente difficile mettere a bollire il latte!

“Quel vestito ti sta proprio bene.” Affermò ad un certo punto, dando le spalle ai fornelli e poggiandosi sul ripiano della cucina, incrociando le braccia come a volermi studiare attentamente.

Io sostenni il suo sguardo, cercando di ignorare il modo insistente in cui mi stava fissando. L’importante era che non gli tornasse la tentazione di alzare le mani, come era successo prima, in camera… A quel ricordo avvampai, ma sperai sinceramente che lui non se ne fosse accorto.

“Credevo che a colazione ci fossero anche i tuoi amici.” Dissi invece, decidendo fosse più saggio cambiare l’argomento.

Lui sorrise nuovamente. “Sono le dieci passate, loro hanno già fatto colazione da un pezzo. E poi se ne sono andati.” Rispose, scrollando quasi indifferente le spalle.

A quell’informazione, istintivamente, mi irrigidii. “Vuoi dire che ci siamo solo tu ed io?”

Enrico annuì, guardandomi come se avesse voluto trapassarmi da parte a parte con i suoi magnetici occhi verdi. Ricordavano lo smeraldo, ora che ci pensavo. "Si, solo tu ed io." Ripeté: non mi piacque per niente il tono roco e profondo che assunse la sua voce. "Ti da fastidio?" 

Se avessi detto di si sarebbe forse cambiato qualcosa? “No,” risposi pertanto. “Purché tu tenga le mani a posto.” Specificai subito dopo, in modo che non si facesse strane idee.

Stranamente, lui rise, ma la cosa ormai non mi infastidì più di tanto. Difficile da credere, eppure stavo iniziando ad abituarmi al suo strano modo di fare.

“Come vuoi.” Concesse, senza smettere di sorridere compiaciuto. “Eppure non mi è sembrato che il mio tocco ti fosse sgradito, prima…” Aggiunse in un sussurro, facendomi sgranare gli occhi e arrossire come una bambina.

Grazie al Cielo mi ripresi abbastanza in fretta. “Vuol dire che la prossima volta ti darò uno schiaffo, se rifai una cosa del genere.” Replicai fredda, incrociando a mia volta le braccia.

Lui sollevò le mani in segno di resa. “Hai ragione, scusami. È stato poco delicato dirlo.”

Si era scusato? Wao! Questa si che valeva la pena scriverla sul calendario! Il grande leone che chiede scusa alla sua preda, proprio carina.

Il mio sguardo tuttavia dovette lasciar trapelare la mia diffidenza, perché lui si sentì in dovere di aggiungere qualcosa a sua difesa. “Parlo sul serio. Non ti toccherò più, a meno che non sia tu a volerlo… È una promessa.”

Lo fissai per un attimo in silenzio, poi sospirai ed annuii. “Grazie…” Tanto sapevo benissimo che non avrei mai osato chiedere una cosa del genere! Dunque potevo dormire sonni tranquilli.

Quando mi diede le spalle per tornare ad armeggiare con l’occorrente per la colazione mi voltai anch’io, andando a sedermi a tavola. Se fosse stato un altro l’avrei aiutato senza pensarci due volte, ma voglio dire, perché facilitare il compito al proprio carceriere? Volevo che si stancasse il prima possibile di me, in modo da farmi tornare a casa senza più nessuna intenzione di cercarmi.

Sarebbe stato troppo bello.

“Ecco qua.” Disse, raggiungendomi a tavola con un vassoio pieno di dolci di vario tipo. “Ora ti porto il latte e il caffè.”

Un pensiero simile a quello che avevo avuto poco prima mi balenò in mente: accidenti, se fosse stato un altro l’avrei sposato senza pensarci due volta! Dove l’avrei ritrovato un altro ragazzo che mi preparasse una colazione così splendida? Okay, forse era la fame a parlare per me.

Quando tornò mi accorsi che anche lui doveva ancora mangiare: infatti aveva portato due tazze da caffelatte che posò rispettivamente prima sul mio e poi sul suo sottopiatto, ma prima di servirsi si occupò di me. Versò gentilmente il latte e il caffè caldo nella mia tazza, porgendomi poi lo zucchero, e solo allora si sedette per prepararsi la sua.

Mangiammo in silenzio, io avevo troppi pensieri per la testa e non ero in grado di sostenere una conversazione con chicchessia. Tuttavia non potevo continuare a ignorare una domanda che mi bruciava in gola sin da quando avevo aperto gli occhi, quella mattina, così, dopo un breve sorso di cappuccino, sollevai gli occhi su di lui e parlai.

Anche lui dovette avere un’idea simile, perché parlammo contemporaneamente.

“Hai dormito bene?” Lui.

“Quando hai intenzione di riportarmi a casa?” Io.

Tacqui, incerta se ridere o innervosirmi, ma il suo sorriso decise per entrambi.

“Vuoi che ti riporti a casa?” Chiese leggermente divertito, allungando la mano a prendere dei biscotti e guardandomi con la coda dell’occhio. “Il letto era così duro?”

“No, no, il letto era perfetto.” Fui costretta ad ammettere, seppur a malincuore. Non avevo intenzione di discutere della morbidezza del mio letto con lui, ma sembrava che la cosa non gli facesse effetto; o forse era solo molto bravo a nascondere le sue emozioni. Va beh. “Ma ciò non toglie che voglio tornare a casa mia. Ieri alla fine si è fatto come hai deciso tu, ho dormito qui, ma non voglio che questa cosa si ripeta. Tra l’altro non ti ho disobbedito, anche se non per mia volontà, e quindi non dovrai neppure prendertela con i miei amici. Poi i miei genitori si preoccuperanno, e se non torno a casa sono anche capaci di andare dai carabinieri! E siccome tu questo non lo vuoi, penso che ti convenga riportarmi a casa prima di pranzo.”

Ecco, avevo detto quello che dovevo. Mi sentivo quasi più leggera nell’avergli fatto quel piccolo discorsetto, e ora non restava che attendere la sua risposta… Anche se sembrava un po’ restio a darmela. Mentre parlavo mi aveva osservato con uno sguardo apparentemente tranquillo, i gomiti poggiati sul tavolo e il mento posato su una mano. E quando tacqui rimase ad osservarmi ancora a lungo, prima di sospirare, socchiudere gli occhi e prendere un profondo respiro.

Poi rispose. “Il punto è che io non voglio che tu te ne vada…” Mormorò, guardandomi dal di sotto delle lunghe e folte ciglia nere. Io non parlai, e lui continuò. “Se te ne vai, non vorrai più rivedermi, e questo è abbastanza comprensibile… Ma io non penso di riuscire ad accettarlo. Anzi, so già che non lo farò. E…” Distolse per un attimo gli occhi da me, lasciandoli vagare per la stanza, prima di farli ritornare decisi sul mio volto. “…non voglio ricorrere alle maniere forti con te. Perciò non obbligarmi a farlo.”

Sgranai leggermente gli occhi, allontanandomi dal tavolo e scuotendo la testa. Ero abbastanza colpita dalle sue parole, ma la piega che aveva preso il suo discorso non mi convinceva per niente.

“Non riesco a capire il tuo discorso!” Replicai, infatti. “Prima dici che non vuoi usare le maniere forti per trattenermi qui, poi però ti contraddici dicendo che non esiterai ad usarle se me ne vado! Ma che cosa vuoi da me!?”

Mi alzai dalla sedia, spinta da un’improvvisa ondata di rabbia impossibile da trattenere oltre. Avrei voluto piangere dal nervoso, ma non avrei risolto nulla: non avevo nessuna intenzione di dargli ancora corda, credevo di essere stata fin troppo accondiscendente con lui, e adesso era tempo che i giochi finissero!

Preoccupato, Enrico aggrottò le sopracciglia, alzandosi lentamente a sua volta e tendendo una mano per prendere una delle mie; cosa che io non gli permisi, ritraendomi. Sospirò. “Ti ho già detto ieri notte che cosa voglio…” Disse, parlando con calma.

Io strinsi i pugni. “Si, me l’hai detto, e allora?” Replicai, con tutta la dura freddezza che riuscii a mettere nelle mie parole. “Che cosa vuoi fare? Hai intenzione di tenermi qui fino a quando non mi stancherò e verrò a letto con te? Così ti sarai stancato e mi lascerai tornare a casa, forse.”

Lo vidi esitare e trattenere il respiro, come se non si aspettasse la mia risposta e non sapesse che cosa ribattere a sua discolpa. Poi chiuse gli occhi, scuotendo la testa, e quando mi rivolse nuovamente lo sguardo vidi che sembrava sinceramente dispiaciuto. Dovevo ammettere che era un grande attore. “Credi ancora che ti voglia portare a letto.” Mormorò, con una strana incrinatura triste nella voce. Emise una breve e secca risata, strofinandosi gli occhi con la mano, poi tornò a guardarmi. “È vero, non voglio nasconderti che lo desidero più di qualunque altra cosa.”

Io rabbrividii, ma lui sembrò non accorgersene, o forse decise di ignorare la mia reazione, perché continuò imperterrito il suo discorso. “Ma non voglio costringerti. Quello che voglio da te è  che tu mi permetta di frequentarti, in modo del tutto normale, ovviamente, come farebbero due amici…” Il suo tono all’improvviso cambiò d’umore, diventando dolce e promettente. “Vorrei andare al mare o guardare un film insieme a te, portarti a ballare in discoteca, invitarti  a cena… Mi ritieni davvero così bastardo da impedirmi di cercare di… di conquistarti?”

Sussurrò l’ultima parola, ma io la compresi benissimo. Ero arrossita? Senza alcun dubbio.

Dunque era questo che voleva, conquistarmi? Stavo sognando o mi stava succedendo davvero?

Distolsi lo sguardo, imbarazzata, senza sapere che cosa dire. Tornai a sedermi, e con la coda dell’occhio mi accorsi che lui faceva altrettanto. Enrico voleva cercare di conquistarmi. Era per questo che mi aveva fatta rapire, era per questo… che mi aveva baciata, quella mattina.

Immaginavo che se lo avessi assecondato per un po’ , uscendoci qualche volta, forse si sarebbe sentito soddisfatto e presto si sarebbe stancato di me… Dopotutto, credevo di non essere poi quella gran bellezza da giustificare un comportamento del genere. Magari era solo un ragazzino viziato abituato ad avere tutto ciò che gli passava per la testa, e non gli sarebbe andato giù che lo rifiutassi: per questo aveva minacciato di far del male ai miei amici se non gli avessi obbedito.

E in fondo, che cosa mi costava?

Scossi la testa, troppo stupita per fare o dire qualunque cosa. Sapevo che lui era in attesa di una mia risposta, ma io cosa potevo dirgli? Dovevo pensarci. Avevo bisogno di riflettere, maledizione!

Tuttavia, per fortuna o per sfortuna, la nostra conversazione venne interrotta.

Dal corridoio sentii provenire dei passi veloci e decisi, sicuramente maschili, seguiti da qualcuno che correva in modo piuttosto nervoso. Anche Enrico dovette accorgersene perché saltò subito in piedi, fissando la porta con uno strano sguardo minaccioso a deturpargli il viso bellissimo. Forse aveva ordinato di non essere disturbato, e evidentemente qualcuno stava contravvenendo ai suoi ordini diretti. Mio Dio, il solo pensarlo mi fece accorgere dell’assurdità di tutta la cosa!

Nello stesso momento la porta della sala da pranzo si aprì, e l’intruso si fece avanti, entrando con decisione furiosa. Non appena lo vidi non mi trattenni dall’emettere un sospiro di sollievo e mi alzai a mia volta, sorridendo, pronta a raggiungerlo. Grazie al Cielo Alessandra mi aveva capito!

Tuttavia Enrico mi afferrò per il polso, trattenendomi e attirandomi verso di lui, fissando con espressione cattiva Riccardo, che sembrava pronto a dare inizio ad una rissa.

“Tu non vai da nessuna parte, Giulia.” Mormorò al mio orecchio, in modo abbastanza alto da poter essere sentito dall’altro ragazzo.

“Questo è tutto da vedere, Enrico!” Replicò lui, avanzando verso il centro della stanza. A quel gesto potei vedere, in piedi sulla soglia della porta, la mia amica che osservava la scena piuttosto preoccupata.

“Ale!” La chiamai, sollevata e allo stesso tempo preoccupata che si trovasse lì. Perché Riccardo l’aveva portata con sé? Poteva essere pericoloso! E se gli altri ragazzi non se ne fossero andati, ma stessero aspettando un cenno di Enrico per poter partecipare alla rissa? Riccardo sarebbe finito peggio di Matteo…!

“Che cosa ci fai qui, Riccardo?” Domandò con calma il mio carceriere, senza la minima intenzione di mollare la presa e lasciarmi andare. “Credevo ti disgustasse entrare in casa mia.”

“Lascia andare la ragazza, Enrico.” Sibilò l’altro, fissandolo con odio crescente.

Inaspettatamente Occhi Belli scoppiò a ridere, stringendomi maggiormente contro il suo petto e passandomi le braccia intorno alla vita. “Perché dovrei farlo? Di sicuro non perché sei stato tu a dirmelo.”

Oh, bene. Se Riccardo non fosse venuto, lui mi avrebbe lasciata tornare a casa? Fantastico, davvero, soprattutto visto che ora, per una stupida questione di orgoglio, non l’avrebbe mai fatto.

Deglutii, lanciando uno sguardo disperato alla mia amica.

Come diavolo ne saremmo usciti adesso?

 

 

   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Niglia