Perdonatemi per il ritardo nello postare questo capitolo, ma ho avuto un brutto calo di ispirazione che spero non si ripeta più..! :(
Ad ogni modo, ora non mi dilungherò troppo e vi lascerò alla lettura, spero che sia di vostro gradimento anche se ci ho messo un pò troppo a scriverlo e non ne sia molto convinta.... è un capitolo di transizione, ma ci stiamo avvicinando al punto clou..! :) Fatemi sapere!!
Vi ringrazio tantissimo, un abbraccio!!
Smack :*
_________________________________________________________________________________________
Capitolo IX
Entrai in sala da pranzo convinta di trovarci tutta l'allegra combriccola di Enrico riunita intorno al tavolo. Beh, mi sbagliavo.
La stanza non era molto grande,
ma possedeva un’immensa
vetrata nella parete frontale alla porta e le tende color panna tirate
per far
entrare la luce calda del sole. Di fronte alla vetrata c’era
il tavolo, in
pesante mogano scuro, con due sottopiatti arancioni e un vaso di vetro
con dei
fiori colorati. A destra, separata dalla zona pranzo con un basso
muretto in
pietra, c’era la cucina, una moderna cucina ultra
accessoriata.
Qui, rivolto verso i fornelli,
c’era Enrico.
Degli altri ragazzi non
c’era neanche l’ombra.
Quando richiusi la porta con un
leggero tonfo, Enrico si
voltò verso di me, sorridendomi. Mio Dio, aveva davvero il
più bel sorriso che
avessi mai visto.
Cercando di ignorare il leggero
brivido che avevo provato nel
vedere quel sorriso, avanzai e mi avvicinai alla cucina, poggiando i
gomiti sul
ripiano in legno del muretto. Osservai curiosa quello che stava
cucinando il
mio ‘carceriere’: chissà
perché ero convinta che avesse delle governanti che si
occupavano dei pasti
e delle pulizia, ed
ero piuttosto sorpresa nel constatare che invece era lui a cucinare.
Okay, non
che fosse particolarmente difficile mettere a bollire il latte!
“Quel vestito ti sta
proprio bene.” Affermò ad un certo
punto, dando le spalle ai fornelli e poggiandosi sul ripiano della
cucina,
incrociando le braccia come a volermi studiare attentamente.
Io sostenni il suo sguardo,
cercando di ignorare il modo
insistente in cui mi stava fissando. L’importante era che non
gli tornasse la
tentazione di alzare le mani, come era successo prima, in
camera… A quel
ricordo avvampai, ma sperai sinceramente che lui non se ne fosse
accorto.
“Credevo che a
colazione ci fossero anche i tuoi amici.”
Dissi invece, decidendo fosse più saggio cambiare
l’argomento.
Lui sorrise nuovamente.
“Sono le dieci passate, loro hanno
già fatto colazione da un pezzo. E poi se ne sono
andati.” Rispose, scrollando
quasi indifferente le spalle.
A quell’informazione, istintivamente, mi irrigidii. “Vuoi dire che ci siamo solo tu ed io?”
Enrico annuì, guardandomi come se avesse voluto trapassarmi da parte a parte con i suoi magnetici occhi verdi. Ricordavano lo smeraldo, ora che ci pensavo. "Si, solo tu ed io." Ripeté: non mi piacque per niente il tono roco e profondo che assunse la sua voce. "Ti da fastidio?"
Se avessi detto di si sarebbe
forse cambiato qualcosa? “No,”
risposi pertanto. “Purché tu tenga le mani a
posto.” Specificai subito dopo, in
modo che non si facesse strane idee.
Stranamente, lui rise, ma la cosa
ormai non mi infastidì più
di tanto. Difficile da credere, eppure stavo iniziando ad abituarmi al
suo
strano modo di fare.
“Come vuoi.”
Concesse, senza smettere di sorridere
compiaciuto. “Eppure non mi è sembrato che il mio
tocco ti fosse sgradito,
prima…” Aggiunse in un sussurro, facendomi
sgranare gli occhi e arrossire come
una bambina.
Grazie al Cielo mi ripresi
abbastanza in fretta. “Vuol dire
che la prossima volta ti darò uno schiaffo, se rifai una
cosa del genere.”
Replicai fredda, incrociando a mia volta le braccia.
Lui sollevò le mani in
segno di resa. “Hai ragione, scusami.
È stato poco delicato dirlo.”
Si era scusato? Wao! Questa si
che valeva la pena scriverla
sul calendario! Il grande leone che chiede scusa alla sua preda,
proprio
carina.
Il mio sguardo tuttavia dovette
lasciar trapelare la mia
diffidenza, perché lui si sentì in dovere di
aggiungere qualcosa a sua difesa.
“Parlo sul serio. Non ti toccherò più,
a meno che non sia tu a volerlo… È una
promessa.”
Lo fissai per un attimo in
silenzio, poi sospirai ed annuii.
“Grazie…” Tanto sapevo benissimo che non
avrei mai osato chiedere una cosa del
genere! Dunque potevo dormire sonni tranquilli.
Quando mi diede le spalle per
tornare ad armeggiare con
l’occorrente per la colazione mi voltai anch’io,
andando a sedermi a tavola. Se
fosse stato un altro l’avrei aiutato senza pensarci due
volte, ma voglio dire,
perché facilitare il compito al proprio carceriere? Volevo
che si stancasse il
prima possibile di me, in modo da farmi tornare a casa senza
più nessuna
intenzione di cercarmi.
Sarebbe stato troppo bello.
“Ecco qua.”
Disse, raggiungendomi a tavola con un vassoio
pieno di dolci di vario tipo. “Ora ti porto il latte e il
caffè.”
Un pensiero simile a quello che
avevo avuto poco prima mi
balenò in mente: accidenti, se fosse stato un altro
l’avrei sposato senza
pensarci due volta! Dove l’avrei ritrovato un altro ragazzo
che mi preparasse
una colazione così splendida? Okay, forse era la fame a
parlare per me.
Quando tornò mi
accorsi che anche lui doveva ancora mangiare:
infatti aveva portato due tazze da caffelatte che posò
rispettivamente prima
sul mio e poi sul suo sottopiatto, ma prima di servirsi si
occupò di me. Versò
gentilmente il latte e il caffè caldo nella mia tazza,
porgendomi poi lo
zucchero, e solo allora si sedette per prepararsi la sua.
Mangiammo in silenzio, io avevo
troppi pensieri per la testa
e non ero in grado di sostenere una conversazione con chicchessia.
Tuttavia non
potevo continuare a ignorare una domanda che mi bruciava in gola sin da
quando
avevo aperto gli occhi, quella mattina, così, dopo un breve
sorso di
cappuccino, sollevai gli occhi su di lui e parlai.
Anche lui dovette avere
un’idea simile, perché parlammo
contemporaneamente.
“Hai dormito
bene?” Lui.
“Quando hai intenzione
di riportarmi a casa?” Io.
Tacqui, incerta se ridere o
innervosirmi, ma il suo sorriso
decise per entrambi.
“Vuoi che ti riporti a
casa?” Chiese leggermente divertito,
allungando la mano a prendere dei biscotti e guardandomi con la coda
dell’occhio. “Il letto era così
duro?”
“No, no, il letto era
perfetto.” Fui costretta ad ammettere,
seppur a malincuore. Non avevo intenzione di discutere della morbidezza
del mio
letto con lui, ma sembrava che la cosa non gli facesse effetto; o forse
era
solo molto bravo a nascondere le sue emozioni. Va beh. “Ma
ciò non toglie che
voglio tornare a casa mia. Ieri alla fine si è fatto come
hai deciso tu, ho
dormito qui, ma non voglio che questa cosa si ripeta. Tra
l’altro non ti ho
disobbedito, anche se non per mia volontà, e quindi non
dovrai neppure
prendertela con i miei amici. Poi i miei genitori si preoccuperanno, e
se non
torno a casa sono anche capaci di andare dai carabinieri! E siccome tu
questo
non lo vuoi, penso che ti convenga riportarmi a casa prima di
pranzo.”
Ecco, avevo detto quello che
dovevo. Mi sentivo quasi più
leggera nell’avergli fatto quel piccolo discorsetto, e ora
non restava che
attendere la sua risposta… Anche se sembrava un
po’ restio a darmela. Mentre parlavo
mi aveva osservato con uno sguardo apparentemente tranquillo, i gomiti
poggiati
sul tavolo e il mento posato su una mano. E quando tacqui rimase ad
osservarmi
ancora a lungo, prima di sospirare, socchiudere gli occhi e prendere un
profondo respiro.
Poi rispose. “Il punto
è che io non voglio che tu te ne
vada…” Mormorò, guardandomi dal di
sotto delle lunghe e folte ciglia nere. Io
non parlai, e lui continuò. “Se te ne vai, non
vorrai più rivedermi, e questo è
abbastanza comprensibile… Ma io non penso di riuscire ad
accettarlo. Anzi, so
già che non lo farò. E…”
Distolse per un attimo gli occhi da me, lasciandoli
vagare per la stanza, prima di farli ritornare decisi sul mio volto.
“…non
voglio ricorrere alle maniere forti con te. Perciò non
obbligarmi a farlo.”
Sgranai leggermente gli occhi,
allontanandomi dal tavolo e
scuotendo la testa. Ero abbastanza colpita dalle sue parole, ma la
piega che
aveva preso il suo discorso non mi convinceva per niente.
“Non riesco a capire il
tuo discorso!” Replicai, infatti.
“Prima dici che non vuoi usare le maniere forti per
trattenermi qui, poi però
ti contraddici dicendo che non esiterai ad usarle se me ne vado! Ma che
cosa
vuoi da me!?”
Mi alzai dalla sedia, spinta da
un’improvvisa ondata di
rabbia impossibile da trattenere oltre. Avrei voluto piangere dal
nervoso, ma
non avrei risolto nulla: non avevo nessuna intenzione di dargli ancora
corda,
credevo di essere stata fin troppo accondiscendente con lui, e adesso
era tempo
che i giochi finissero!
Preoccupato, Enrico
aggrottò le sopracciglia, alzandosi
lentamente a sua volta e tendendo una mano per prendere una delle mie;
cosa che
io non gli permisi, ritraendomi. Sospirò. “Ti ho
già detto ieri notte che cosa
voglio…” Disse, parlando con calma.
Io strinsi i pugni.
“Si, me l’hai detto, e allora?” Replicai,
con tutta la dura freddezza che riuscii a mettere nelle mie parole.
“Che cosa
vuoi fare? Hai intenzione di tenermi qui fino a quando non mi
stancherò e verrò
a letto con te? Così ti sarai stancato e mi lascerai tornare
a casa, forse.”
Lo vidi esitare e trattenere il
respiro, come se non si
aspettasse la mia risposta e non sapesse che cosa ribattere a sua
discolpa. Poi
chiuse gli occhi, scuotendo la testa, e quando mi rivolse nuovamente lo
sguardo
vidi che sembrava sinceramente dispiaciuto. Dovevo ammettere che era un
grande
attore. “Credi ancora che ti voglia portare a
letto.” Mormorò, con una strana
incrinatura triste nella voce. Emise una breve e secca risata,
strofinandosi
gli occhi con la mano, poi tornò a guardarmi.
“È vero, non voglio nasconderti
che lo desidero più di qualunque altra cosa.”
Io rabbrividii, ma lui
sembrò non accorgersene, o forse
decise di ignorare la mia reazione, perché
continuò imperterrito il suo
discorso. “Ma non voglio costringerti. Quello che voglio da
te è che
tu mi permetta di frequentarti, in modo
del tutto normale, ovviamente, come farebbero due
amici…” Il suo tono
all’improvviso cambiò d’umore,
diventando dolce e promettente. “Vorrei andare
al mare o guardare un film insieme a te, portarti a ballare in
discoteca,
invitarti a
cena… Mi ritieni davvero
così bastardo da impedirmi di cercare di… di
conquistarti?”
Sussurrò
l’ultima
parola, ma io la compresi benissimo. Ero arrossita? Senza alcun dubbio.
Dunque era questo che voleva, conquistarmi?
Stavo
sognando o mi stava succedendo davvero?
Distolsi lo sguardo, imbarazzata,
senza sapere che cosa dire.
Tornai a sedermi, e con la coda dell’occhio mi accorsi che
lui faceva
altrettanto. Enrico voleva cercare di conquistarmi. Era per questo che
mi aveva
fatta rapire, era per questo… che mi aveva baciata, quella
mattina.
Immaginavo che se lo avessi
assecondato per un po’ ,
uscendoci qualche volta, forse si sarebbe sentito soddisfatto e presto
si
sarebbe stancato di me… Dopotutto, credevo di non essere poi
quella gran
bellezza da giustificare un comportamento del genere. Magari era solo
un
ragazzino viziato abituato ad avere tutto ciò che gli
passava per la testa, e
non gli sarebbe andato giù che lo rifiutassi: per questo
aveva minacciato di
far del male ai miei amici se non gli avessi obbedito.
E in fondo, che cosa mi costava?
Scossi la testa, troppo stupita
per fare o dire qualunque
cosa. Sapevo che lui era in attesa di una mia risposta, ma io cosa
potevo
dirgli? Dovevo pensarci. Avevo bisogno di riflettere, maledizione!
Tuttavia, per fortuna o per
sfortuna, la nostra conversazione
venne interrotta.
Dal corridoio sentii provenire
dei passi veloci e decisi,
sicuramente maschili, seguiti da qualcuno che correva in modo piuttosto
nervoso. Anche Enrico dovette accorgersene perché
saltò subito in piedi,
fissando la porta con uno strano sguardo minaccioso a deturpargli il
viso
bellissimo. Forse aveva ordinato di non essere disturbato, e
evidentemente
qualcuno stava contravvenendo ai suoi ordini diretti. Mio Dio, il solo
pensarlo
mi fece accorgere dell’assurdità di tutta la cosa!
Nello stesso momento la porta
della sala da pranzo si aprì, e
l’intruso si fece avanti, entrando con decisione furiosa. Non
appena lo vidi
non mi trattenni dall’emettere un sospiro di sollievo e mi
alzai a mia volta,
sorridendo, pronta a raggiungerlo. Grazie al Cielo Alessandra mi aveva
capito!
Tuttavia Enrico mi
afferrò per il polso, trattenendomi e
attirandomi verso di lui, fissando con espressione cattiva Riccardo,
che
sembrava pronto a dare inizio ad una rissa.
“Tu non vai da nessuna
parte, Giulia.” Mormorò al mio
orecchio, in modo abbastanza alto da poter essere sentito
dall’altro ragazzo.
“Questo è
tutto da vedere, Enrico!” Replicò lui, avanzando
verso il centro della stanza. A quel gesto potei vedere, in piedi sulla
soglia
della porta, la mia amica che osservava la scena piuttosto preoccupata.
“Ale!” La
chiamai, sollevata e allo stesso tempo preoccupata
che si trovasse lì. Perché Riccardo
l’aveva portata con sé? Poteva essere pericoloso!
E se gli altri ragazzi non se ne fossero andati, ma stessero aspettando
un
cenno di Enrico per poter partecipare alla rissa? Riccardo sarebbe
finito
peggio di Matteo…!
“Che cosa ci fai qui,
Riccardo?” Domandò con calma il mio
carceriere, senza la minima intenzione di mollare la presa e lasciarmi
andare.
“Credevo ti disgustasse entrare in casa mia.”
“Lascia andare la
ragazza, Enrico.” Sibilò l’altro,
fissandolo con odio crescente.
Inaspettatamente Occhi Belli
scoppiò a ridere, stringendomi
maggiormente contro il suo petto e passandomi le braccia intorno alla
vita.
“Perché dovrei farlo? Di sicuro non
perché sei stato tu a dirmelo.”
Oh, bene. Se Riccardo non fosse
venuto, lui mi avrebbe
lasciata tornare a casa? Fantastico, davvero, soprattutto visto che
ora, per
una stupida questione di orgoglio, non l’avrebbe mai fatto.
Deglutii, lanciando uno sguardo
disperato alla mia amica.
Come diavolo ne saremmo usciti
adesso?