Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: Io_amo_Freezer    14/02/2019    0 recensioni
San Valentino è giunto… Ma ci sono persone che hanno valori più importanti a cui dare peso, e altri a cui non importa nemmeno; eppure, si vede che, per questo giorno, Cupido si sia davvero sforzato a stringere tutti nel cerchio dell’amore, e con loro maggiormente.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Dabi, Izuku Midoriya, Shigaraki Tomura, Shouto Todoroki
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Continuava a muoversi, lentamente e con le braccia lungo i fianchi, davanti a sé, ciondolanti e decadenti come se fosse uno zombie, e probabilmente poteva esserlo, dal punto di vista altrui. Avanzò, infastidito dal suono scrosciante della gente, delle loro parole, del loro camminare, come semplicemente del loro esserci.
Cominciava a essere nervoso… Troppo nervoso… Dannazione, avrebbe voluto disintegrarli tutti: c’era troppa gente, troppa per i suoi gusti.
Portò le pupille in avanti, sollevandole da terra e dalla perenne sagoma del pavimento grigio, intriso di piastrelle bianche; e si scrutò attorno per dove dovesse andare. Avrebbe voluto uscire da quel postaccio, solamente per non avere più quella moltitudine attorno, ma gli era impossibile: la sua salute, di recente era molto fiacca, e tendeva a farlo ammalare spesso. Trovava insopportabile anche quello, tanto da innervosirlo. Secondo i medici non sarebbe nemmeno dovuto uscire dalla camera, ma non gli importava: erano fortunati se non erano già defunti, e solo per volere del suo tutore, Kurogiri. Sarebbe dovuto rimanere in quell’ospedale giusto qualche altro giorno comunque, per gli ultimi controlli, e poi sarebbe tornato al suo covo, nella sua camera, a immergersi volentieri davanti a un videogioco… Non poteva davvero resistere…, iniziò a inspirare con fare fin troppo violento, dalle narici; sentendo le pupille vermiglie tremolare dalle emozioni eccessivamente irrequiete e tese, che alla fine lo portò a condurre la mano destra all’altezza del collo, con le dita libere a sfregare con le unghie, con fare lento ma sempre con più forza e insistenza, su quella pelle pallida già tormentata e rovinata per quell’ossessione quotidiana.
Non si fermò comunque, con le gambe, proseguendo in quegli indumenti provvisori; almeno, lo era solo il pantalone, ma lo indossava come pigiama, quindi gli toccava tenerselo; appartenente a quell’istituto grezzo e insopportabile dall’odore di disinfettante e limpidezza, un sapore quasi di nulla in realtà, ma che non riusciva ad accettare: gli aveva dato fastidio già dal primo giorno in cui aveva messo, tristemente, piede in quel terreno sconfinato e nemico, cosparso interamente di luce fino a che non giungeva la notte. Ringhiò malamente, continuando a sfregarsi il lato della gola, sempre più arrossato e pieno di cicatrici; oltrepassando un’infermiera che decise di aumentare il passo senza dargli molta importanza, nonostante il suo volto fosse coperto, oltre che dalla chioma grigia e ondulata che ricadeva sul davanti, anche dal cappuccio scuro della felpa. Non ci fece molto caso, più perché iniziava a essere stanco, e desiderava semplicemente raggiungere il suo letto, in modo da rintanarsi in esso per i prossimi giorni a venire. Quindi ruotò l’angolo, abbandonando quella tortura su sé stesso e tornando a dondolare le mani in avanti, nel vuoto, socchiudendo gli occhi, quasi assopito, ma appena aggirò l’ostacolo del muro, addestrandosi nel nuovo corridoio, dovette sgranare gli occhi d’istinto nel vedere venirgli addosso una sagoma un po’ più alta di lui, troppo veloce di andatura anche se non stesse correndo, e che lo costrinse a indietreggiare di botto di due passi, dopo esserci andato a sbattere di volto contro il suo petto; per non cadere a terra violentemente, e strizzò le palpebre prima di adocchiarlo con fare truce, e le pupille rosse che vibrarono.
-Che cazzo… Guarda dove vai, bastardo.- tuonò, fremendo prima di tornare a sfregarsi, fastidiosamente, il collo, con le stesse dita di prima, analizzando attentamente quell’essere che aveva osato tanto. La cosa peggiore era che, in risposta, si mise a ghignare… Gli dava già sui nervi…!
Non lo aveva mai incontrato prima, lo ammetteva mentre assottigliò maggiormente le palpebre, facendo lievi scatti con le dita della mano che giaceva verso il basso, ancora agitato, come dimostrava l’altro arto, ancora a graffiare, con violenza, e forse era arrivato al punto da aver lasciato il segno, di star grattando via la pelle stessa, oltre al rossore generato: continuando avrebbe finito presto con il tagliarsi e, il sangue, sarebbe fuori uscito di certo. Ma non poteva resistere! Diamine, avrebbe voluto strangolarlo, soprattutto per quella smorfia divertita che non si levava! Eppure… Riconosceva di averlo intravisto da qualche parte, sempre in quell’ospedale… Già… Doveva essere quella specie di persecutore che si era sentito addosso in quei giorni, quando passeggiava per cambiare l’aria fetida di quel posto, troppo gremito di gente. Poteva ucciderlo, stesso ora comunque.
A guardarlo meglio, però, notò che, oltre al vestiario abbastanza lucido anche se trasandato, e a quei capelli neri, a punta e sparati verso l’alto che nemmeno un istrice; aveva dei chiari ed evidenti rattoppi davvero eccessivi e dal colore scuro come di carne morta, o forse era proprio la sua; tenuti sotto gli occhi quasi da sembrare delle borse; da sotto al labbro a prima del petto; per finire sulle braccia senza però intoccare le mani; e anche sulle gambe, da ciò che poté intravedere dai talloni scoperti per via delle scarpe basse e dei pantaloni larghi e alti; tutto all’esterno del suo corpo magro e robusto, impresso su di esso come un tatuaggio, e attaccati alla pelle da quelle che, gli parvero essere, delle graffette, compresi sul mento, che scendevano partendo dalle labbra, e sulle gance, in una linea retta. Come se non bastasse, poi, teneva anche dei piercing a coprire la parte alta delle orecchie. Molto intensi erano, invece, le pupille degli occhi; tremendamente azzurri, marcati da un sentimento particolarmente vivo, ma che non riusciva bene a definire.
-Cos’è? Ti sei incantato, stramboide?-
Che diamine…?, scattò, infastidito da quella domanda e, soprattutto, da quella specie di sopranome datogli; fremette un nuovo ringhio, restando a bocca tappata intanto che strinse la mano a pugno, rendendosi conto solo in quel momento che l’altro arto avesse interrotto quell’agonia contro la sua pelle, perché, in effetti, si era imbambolato a fissarlo, e questo gli diede fastidio; tanto più l’averlo fatto che il commento dell’altro. No, gli davano seccatura entrambe le cose. Assottigliò gli occhi, aspro… Non poteva ucciderlo, non ora. Era meglio andare, decise; doveva, prima di perdere la pazienza. Alla fine, cosa gli interessava, a lui, di fissarlo con tanto interesse? No, non era interesse, era odio.
Avrebbe, però, dovuto almeno minacciarlo, o intimidirlo di stargli alla larga, ma ormai era partito e continuava a procedere verso la sua stanza, come da programmato prima di quello scontro sconveniente.
Strinse forte i pugni, abbandonando poi il collo e lasciando che la pelle respirasse, con le mani, di nuovo entrambe a ciondolare davanti a sé, inermi sotto la sua furia sempre più crescente ed evidente; innervosito e da un macabro luccichio nelle pupille sempre più rosse e macabre: lo stava seguendo.
-Sei davvero inquietante, sai?- sghignazzò, troppo sicuro di sé per i gusti dell’altro che, anche se ebbe l’impulso, continuò a camminare. -Anche sordo?-
Maledizione…, serrò la mascella, scrutando le proprie dita, inermi verso terra, ma ad attendere solo un suo ordine: sarebbero stati pronti a deteriorarlo come lo era lui e la sua voglia di bramare la cenere al posto di quella carne calda e che continuava a deriderlo. Lui odiava i maleducati come quello, e se non lo avesse seminato ancora, alla prossima parola si sarebbe girato, ma non per tenergli testa a parole, bensì per attaccare a racchiudere in una stretta ferrea la sua gola.
-Che simpatia…-
Oh, che pezzo di merda!; fu l’unica cosa che pensò nell’istante stesso in cui si scontrò, andando ad afferrare la pelle dell’altro, con fin troppa sicurezza, come anche con fin troppo desiderio di uccidere, stringendolo con sicurezza prima di sgranare gli occhi, vedendo che la mano fosse finita contro la porta di una stanza che presto si distrusse, disintegrandosi dopo essere marcita con fin troppa velocità da far stupire il moro che, di certo, non se lo aspettava, e che aveva schivato appena in tempo quella mossa.
-Ehi, certo che sei davvero permaloso, eh?-
-Che cazzo vuoi, bastardo?-
-Nulla di che. Mi annoio.- gioì quasi, nel dirlo, alzando le spalle con leggerezza e il solito fottuto ghigno che, Shigaraki, fu pronto nuovamente a togliergli nello scattare in avanti con l’arto, sotto lo sguardo terrorizzato del paziente della camera, ormai scoperta dalla mancanza di quella barriera scorrevole, diventata ormai polvere nel vento. E Shigaraki si mosse talmente veloce, ma nello stesso momento dell’altro; ed entrambi, con il palmo ben aperto e spalancato. Shigaraki non ebbe benché paura; sicuro di sé e del suo quirk, potente come nessuno intanto che, i suoi occhi scarlatti percepirono delle scintille azzurro cielo sprigionarsi al contempo di una scia di fumo; e a quel punto, capendo fosse fuoco; ed era effettivamente evidente, si chinò verso il basso, procedendo verso il nemico con la mano ancora ben protesa, intanto che l’altra del moro procedeva da sopra la sua schiena, troppo lento per lui. In fretta si vide davanti agli occhi la maglia bianca e con una lieve scolatura a mostrargli il petto, dell’altro; e percepì due dita sfiorare quella pelle, ma fu tutto ciò che accadde, perché in un attimo si ritrovò contro il pavimento, colpito dal secondo arto, più precisamente un pugno che aveva attutito sulla propria schiena, costringendolo a giacere contro il pavimento sotto di sé.
Ma non bastava, anzi, lo fece solo sentire più umiliato di prima, più snervato, più sottovalutato. Non avrebbe perso contro un maleducato bastardo come quello! Si affrettò, con la mano, mentre l’altra giaceva contro le piastrelle, con tutte le dite eccetto il mignolo, tenuto ben in alto assieme all’indice; e in fretta tentò nuovamente di toccarlo, allungando tre falangi e ghignando un macabro e sottile “Game Over.” convinto ma quello, producendo qualche fiammata sul terreno, balzò indietro, costringendo Shigaraki a fare altrettanto per non restare scottato, e subito fece qualche passo indietro, nuovamente con le mani a ciondolare nel guardare quel blu farsi più vivo e più intenso, come una barriera che lo divideva dall’altro, ancora a fissarlo, ancora sicuro, con uno sguardo però, più interessato per quella esibizione, che, sembrava, averlo lasciato sazio.
Shigaraki, d’altro canto, sentendo i propri sentimenti meno sbaragliati, per essere comunque riuscito a intimorirlo, portò le dita, della mano opposta a quella usata prima, al collo, a sfregare sempre di più la pelle sottomessa, con foga, e che divenne maggiore, con un movimento ossessivo e odioso, appena l’altro, senza lasciar svanire l’effetto del suo quirk nonostante stesse attirando non pochi dottori e infermieri; continuò imperterrito a sottolineare, tornando lentamente a fregiarsi, di quel ghigno che tanto non sopportava.
-Interessante.- si limitò a commentare mentre venne accerchiato da troppe persone allarmate, e l’altro ne approfittò per defilarsi, silenziosamente e con fare eccessivamente rapido nonostante il suo aspetto e il suo fisico consumato e gracile.
 
 
Quel bastardo maledetto! Se solo lo avesse avuto tra le mani! …Se solo le sue dita fossero state più veloci, se solo l’avesse sfiorato anche l’anulare…! Ora sarebbe stato polvere!
Dannazione! Maledetto!, continuava a lamentarsi, torturandosi nuovamente la gola intanto che aveva, finalmente raggiunto, da solo, senza inseguitori del terzo tipo alle spalle; la propria camera, proseguendo e chiudendosela alle spalle nel spingerla con due dita, tappandola poi contro il muro. E mentre continuava a grattarsi, a sfregarsi con energia, a suppliziare, a maledire quel tipo; con le unghie che grattavano senza sosta sulla pelle pulsante e irrigidita; producendo un suono sempre più duro contro il collo, ormai irriconoscibile per i graffi e il rossore, divenuto ormai liquido caldo che colava, anche se non eccessivo, si premurò di andare in bagno, aprendo lo stanzino e scrutandone l’interno, alla ricerca del disinfettante, con le pupille che vibravano, tremavano incessantemente per i nervi tesi, con il fiato sempre meno opprimente e il cuore a battere nelle orecchie senza sosta.
Quel bastardo!, ringhiò, spalmandosi quella crema protettiva e antibatterica sul collo troppo rovinato e bruciante mentre spirò a fondo, svuotando i polmoni e tentennando con le dita, che scattavano leggermente, con fare agitato quanto il sangue che scorreva, sempre meno, intanto che lasciò le ferite a respirare nuovamente, richiudendo così l’armadietto dopo aver riposto il tutto, stando ben attento a farlo con solo due dita, come sempre. Ma l’arrabbiatura non era passata, tanto che desiderava tornare a premere con le unghie, a scavare, quella pelle fin troppo screpolata e danneggiata, ma non poteva andare avanti così. Continuando a imprecare contro quel moccioso maleducato, nella mente, si scrutò allo specchio, risentito di non poter avere la mano che gli copriva, di solito, il volto; mentre la sua immagine riflessa nello specchio mostrava le sue cicatrici in modo fin troppo aperto e assottigliò gli occhi, cosparsi da rughe e una fine cicatrice sulla palpebra destra, infastidito ancora al pensiero di quel ragazzo intanto che, nel compensare l’ansia, avesse iniziato a mordicchiarsi le labbra screpolate e decorate, sul lato sinistro, da uno sfregio di poco conto mentre a destra un neo sotto le labbra colorava il suo tono spento.
Gracchiando infastidito, si voltò, recandosi verso il letto come migliore opzione che gli venne in mente, anche se rimpiangeva di non avere con sé neanche una piccola console portatile. Si distese, sfilandosi il cappuccio; fregandosene di avere le scarpe addosso e preferendo immergere le pupille verniciate come il sangue sul soffitto, troppo candido. Si sarebbe annoiato… A rimanere lì ancora per altri giorni, sarebbe finito con l’impazzire, ed era già uno sforzo abnorme non aver ucciso completamente tutte le persone di quell’istituto… Doveva resistere altri due giorni, e poi sarebbe andato via, con o senza il consenso di Kurogiri!
-Ah, eccoti finalmente.- sbuffò dopo aver aperto la porta ed essersi adagiato allo stipite con la spalla, roteando poi gli occhi al cielo, e non per il fatto che il pallido inquietante fosse scattato seduto, pronto a saltargli addosso. -Ammetto che, per una volta, è stato difficile ritrovarti: dovevo prima allontanarmi da quegli idioti di dottori.- spiegò, quasi con finto rammarico, ma evidenziando il suo modo evidente di spiegargli come già sapesse dove si trovasse la sua camera.
-Ma che cazzo! Cosa diamine vuoi?- in un attimo si ritrovò davanti a lui, con la mano pronta, ma che rallentò, lasciandola rigida e fremente verso di lui, all'altezza della propria spalla, con il gomito piegato e gli occhi tremendamente vicini a quelli dell’altro, nonostante la statura differente; fermandosi solo per ottenere una risposta, oltre che l’altro sembrasse pronto a compiere lo stesso gesto; lo si capiva anche se continuava a rimanere calmo, a braccia conserte davanti al petto, e con il ghigno che iniziava a trovare fosse fin troppo demente anche se, l’impressione non era quella.
-Chissà.-
Insopportabile! Non lo sopportava! Attaccarlo sarebbe stato inutile, da quella vicinanza, se anche quello avrebbe fatto lo stesso; sempre se non sarebbe stato più veloce lui; ma sapeva benissimo che, ucciderlo in quel momento, sarebbe stato un godimento senza pari: se lo sarebbe tolto da davanti, per sempre. Ma avrebbe attirato gente, e anche eroi professionisti; cosa che prima aveva tralasciato dalla rabbia che lo avvolgeva, e avrebbe rischiato grosso a quel punto. Ora, invece, a mente lucida, concepiva fin troppi fattori per cui, fare ciò che più gli piaceva, distruggere ciò che più non gli piaceva, lo avrebbe condotto in pericolo. Non poteva lasciarsi prendere dall’ira, nonostante essa stesse tornando a infastidire la sua mente, punzecchiando i suoi nervi che desideravano essere appagati con una semplice grattata al collo, che impedì solo perché doveva rimanere in guardia: solo perché lui aveva deciso di non colpire, non significava che fosse nei piani anche dell’altro. E questo lo mandava ancor più in bestia: quel moccioso stava forse giocando con lui? Non poteva sopportarlo, e, alla fine, l’agitazione ebbe la meglio, e così tornò a sfregarsi, a distruggere la propria pelle che non aveva fatto nemmeno in tempo a cicatrizzarsi, che subito si ruppe di nuovo al solo contatto lieve dell’unghia, talmente fragile dopo tutti quegli anni di agonie da parte di quelle mani.
-Puoi chiamarmi Dabi, comunque.- sogghignò, chinandosi leggermente con il volto e costringendo Shigaraki a corrugare perplesso le sopracciglia, indietreggiando pronto alla difesa prima di ideare che, forse, l’unica cosa plausibile, fosse davvero quella di ucciderlo.
-Non ti dirò il mio nome, bastardo. Levati.- esclamò poi, allungando leggermente l’arto da far arretrare, questa volta, il moro, e ghignò appieno, lui questa volta, nell’aver finalmente un po’ di controllo della situazione.
-Beh, finalmente ho “l’onore” della tua parola, però, neh, strampalato?-
-Ti uccido.- decretò, pronto anche a farlo se non che quella maledetta consapevolezza di non poterlo fare per evitare danni lo colpì, innervosendolo, bloccandolo dall’agire; ma di più, a fermarlo, fu quel stramaledetto bastardo, e quelle labbra, tra il soffice e il duro; che si erano attaccate alle proprie, screpolate e scarne. Non poté che sgranare gli occhi, scandalizzato mentre l’altro continuò ad approfittarne ancora un po’.
… Quel… Quello lo stava baciando!, sembrò riprendersi, riconnettere solo in quel momento intanto che lo colpì, con le nocche ben chiuse della mano, contro il petto, facendolo indietreggiare bruscamente, senza neanche usare troppa forza; forse perché il moro aveva creduto che lo stesse per disintegrare e aveva preferito scattare a quel gesto, distaccandosi così dalla sua bocca e ricevendo, dal grigio, solo uno sguardo più truce del solito. Cosa invece insolita fu lo sguardo che aveva Dabi, sembrava non aspettarsi quella reazione, e non capiva se era per l’occhiataccia, per il non averlo ucciso o altro ancora che non identificava.
-Uh, sei arrossito, eh?- ridacchiò, fin troppo su di giri per i gusti di Shigaraki ma che mostrò la sua incertezza a tale azzardo di parole: stava scherzando? Era ovvio, lo stava prendendo in giro… Diamine, eppure sentiva da sé che ci fosse qualcosa che non andasse nel suo volto!
Ruggendo tra sé e sé, contro di lui e con ancora il pugno chiuso contro quella maglietta intima bianca, si diresse in fretta verso l’uscita, andando per i corridoi e mandandolo a quel paese con un tono abbastanza forte da far saltare dalla paura un piccolo bambino, malaticcio che rimase attaccato al muro, voltando in fretta il viso contro di esso per non essere guardato, tanto meno ferito; tremando e singhiozzando come un codardo.
Maledizione, non bastava proprio niente! L’unica via era ucciderlo! Perché era lì, cavolo! Era lì, lo stava seguendo! Era dietro di lui, a fare una camminata da figo, pacato, quando in realtà era solo uno scemo! Ringhiò, fremendo e stringendo i pugni, sentendosi esplodere dai nervi mentre quelle falcate di passi non smettevano di echeggiare solo nelle sue orecchie, bussando nella sua testa con fastidio intanto che superò, girando un vicolo, un’inserviente che sistemava dei buffi quanto orripilanti palloncini rossi e a forma di cuore, per le pareti, attaccandoli un po’ ovunque insieme a qualche striscia del medesimo colore. Che schifo, si limitò a pensare, sfregandosi ancora, forte, il collo con le unghie; capendo che non sarebbe riuscito comunque a seminarlo, davvero. Per farlo avrebbe dovuto ucciderlo. Diamine, lo odiava!
Lentamente, aggrottando confuso le sopracciglia, andò a portarsi l’altro arto a sfiorarsi una guancia, con un dito, riscontrando quando fosse calda, stranamente e, imbarazzato e schiarendosi la gola, preferì ignorare quella consapevolezza, procedendo però con più lentezza senza accorgersene, in quella seconda rampa di gradini. Va bene, ammetteva che quel Dabi lo aveva seguito di tanto in tanto, e che, quando lo faceva, riconosceva dove si appostava e quindi, qualche sguardo gli è lo aveva anche concesso, per fargli capire che non era uno che abbassava la guardia… Aveva anche capito che lo facesse apposta a mettersi nello stesso posto, o, in altri casi, se non era così, cercava di farsi notare in un modo fin troppo indiscreto e decente… Ma perché diamine adesso ci pensava! A lui non interessava!
Maledizione, maledizione! Perché non poteva ucciderlo?
Serrando i denti e scendendo le scale, portò le pupille indietro, recependo la sagoma di Dabi a danneggiare la sua mentalità instabile per come ferisse lentamente ogni scalino, nel procedere più lentamente di lui, ma continuando a seguirlo, con la solita sicurezza, con le mani nelle tasche dei jeans e… Quel fottuto ghigno!
Che crepasse! Cosa più insopportabile erano tutti quei stramaledetti cuori di palloncino, sparsi ovunque, persino a giacere per terra, e alcuni attaccati al soffitto… Non poteva nemmeno voltarsi che padroneggiava, su un podio, in ogni sala, una fottuta e alquanto gigantesca sagoma a cuore! Probabilmente per fare delle foto tra coppie… Cosa diamine era tutto quello? Era per caso il giorno per infastidire Shigaraki? Perché ci stavano riuscendo.
Smise di sfregarsi, sbuffando dalle narici come se l’aria pesasse più di lui, e si voltò lentamente, scrutandosi, muovendo le proprie pupille lentamente, alla ricerca di quel coglione… Era andato. Meglio. Magari non era tutto perduto ed era morto cadendo dalle scale, ma, a quel punto se ne sarebbe dovuto accorgere… Ma così sovrappensiero non aveva neanche fatto caso che non lo avesse più alle calcagna, e questo non sapeva se fosse un problema o meno: adesso non era a conoscenza dei suoi piani, se sarebbe tornato, o se si era solamente nascosto…
Lo odiava. Lo odiava troppo! Era insopportabile! Diamine!, si voltò in fretta, troppo da avere un capogiro fuggiasco, e subito tornò alla carica, e, dato che indietro, alla propria stanza, non poteva andare, si recò dalla parte opposta, voltando l’angolo con l’idea di fare un giro più lungo: se non lo avesse ritrovato, sarebbe tornato in camera a riposare. E nel decretarlo lasciò cadere, inerme, la mano che aveva tormentato la propria gola, rimettendosi poi il cappuccio, volendo coprirsi maggiormente, non volendo che qualche infermiera lo fermasse per quelle ferite appena fattesi; e per evitare sguardi indiscreti che lo avrebbero solo innervosito.
Indietreggiò di scatto nel ricevere una botta improvvisa contro il petto, troppo decisa quanto la sua nonostante la diversa statura di quel ragazzo; da farlo indietreggiare per la poca instabilità intanto che si resse, tirando in su una smorfia, quasi come disgustato dall’essere stato toccato mentre, a sguardo basso e nascosto, riprese, con un grugnito di astio, la camminata, andando a scontrarsi con quel mocciosetto dai capelli spettinati e verdi con una spallata volontaria, come penitenza; stesso colore di quegli occhi, così grandi e sconvolti dell’accaduto mentre abbracciava dei doni stupidi quanto la sua faccia, senza riuscire a dire solo una parola, ma, mugugnando, tornò per la sua strada come Shigaraki stava già facendo con la propria, ignorando completamente quegli sguardi investigativi, fin troppo, che li mandava: ma se avesse continuato avrebbe sempre potuto arretrare. Solo per lui. Solo per farlo crepare.
Ormai però lo aveva superato, e, inoltre, era svanito alla sua vista grazie alle mura di quel corridoio che lo circondavano. Sospirò, sentendosi la gola un po’ secca, meravigliandosi di ciò perché, nel farlo il suo pensiero cadde su quel bastardo, su quel gesto che aveva osato donargli, con coraggio e decisione per di più; cosa che non poteva accettare! Lui stesso non poteva accettare quel ragazzo e basta! Non lo sopportava, e il solo fatto di aver pensato a quel bacio lo innervosì solo di più, da corrugare le labbra in una nuova boccaccia, continuando a camminare solo nell’avere presente una macchinetta poco avanti. Perché continuava a pensare a lui, perché? Dabi, aveva detto! Dabi un cazzo!
Si rintanò al meglio dentro al suo cappuccio, con le ciocche grigie a sfiorare il suo naso, decorando il suo volto nel tenerlo ben nascosto, in quella capigliatura così scompigliata mentre, alla fine, raggiunse l’obbiettivo e, cacciando dalla tasca della felpa un paio di spicci, con due dita, gli inserì uno alla volta, frugando al contempo, con le pupille assopite e ferme, su quale bottiglia e con quale liquido contenente avrebbe dovuto prendere. Alla fine digitò un numero semplice, di pochi pulsanti, guardando così poi, scivolare giù quel contenitore di semplice acqua, che afferrò lentamente nel chinarsi sulle ginocchia, raccattandolo e affrettandosi a riaprirlo senza alzarsi, restando fermo a svitarla mentre il sole continuava a illuminare il suo volto, riscaldandolo lentamente intanto che, lui, si dissetasse, richiudendo il tutto successivamente per poi rialzarsi in piedi con poca voglia di procedere: francamente, voleva solo tornarsene in camera. E diamine, se ci pensava e gli tornava alla mente di chi fosse la colpa di tutto quello…! Per non parlare del bacio! Il bacio! Avrebbe voluto disintegrargliele quelle labbra schifose! Per di più pungenti per via di quelle stupide graffette sul mento e sulle guance, e che, nella vicinanza, forse avevano anche graffiato le sue di quelle stesse parti. Almeno, senza quella bocca schifosa avrebbe smesso anche di fare quei ghigni pungenti e odiosi; per una volta avrebbe commesso una buona azione: nessuno più avrebbe dovuto sopportare la voce di quel bastardo!
Sarebbe morto presto…, si ripromise, seguendo il corridoio con la bottiglia a penzolare tra le dita, tre che ne stringevano il capo, e più camminava più il suono dell’acqua, che oscillava, si faceva sentire. Solo lei in mezzo a tutto quel silenzio pacifico e che apprezzò. Sarebbe comunque andato nella sua stanza, ormai non gli interessava più nient’altro, e sperava che, ora quel bastardo, lo avrebbe lasciato in pace dato che, ipotizzò, magari voleva solo quel fottuto e disgustoso bacio… Diamine! Se solo se lo fosse ritrovato davanti lo avrebbe ammazzato, seduta stante! Cazzo!
Voleva riposare, basta. Desiderava dormire, e lo avrebbe fatto, ponendo fine a tutti coloro che gli è lo avrebbero impedito, ormai aveva deciso e non tornava indietro, non gli è ne sarebbe fregato se sarebbe finito nei guai con qualche Eroe professionista! Era nervoso e avrebbe posto fine a quel sentimento con il cessare di qualcun altro, soprattutto se quel qualcuno sarebbe stato un certo Dabi del cazzo!
Perché diamine continuava a pensare a quell’imbecille! Gli stavano salendo le crisi! Sentiva le dita tremare mentre si strinse nelle spalle, finendo solo con il disintegrare l’involucro di plastica, con i nervi saldi, bagnando così il pavimento, ma proseguendo con sempre più rabbia.
Non poteva credere che lo avesse baciato! Tanto meno che gli fosse piaciuto!
Si fermò di botto, irrigidendo tutto il suo corpo mentre scrutò il pavimento come se vi fosse riportato qualcosa di mostruoso, nemmeno stesse scrutando la testa di un fantasma; per quella consapevolezza, per quel pensiero che aveva materializzato dal nulla di mille idee ma che era stato tragicamente vero, da renderlo inerme dal fare qualsiasi altra cosa: non poteva nemmeno provare a negarlo, tentare di giustificarsi che fosse stato un errore di composizione della frase, o una bugia… perché era troppo vero quello che aveva ammesso a sé stesso, con troppa rabbia, ma pur sempre reale. Che cosa significava? Cosa provava? Lui non voleva questo sentimento! Non gli serviva, non ne aveva bisogno! Lo odiava! Diamine, lo odiava! E non solo perché era orribile, ma perché non se ne andava, e gli è lo aveva dato lui! Lui! Quel bastardo di Dabi!
Continuò a stritolare, in quelle tre dita, il pezzo della felpa, all’altezza del petto con fare ossessivo e convulsivo intanto che il respiro si era fatto fin troppo lento da non esistere più, e gli occhi tremolassero come in succinto di un terremoto: come il suo cuore, che palpitava come sotto una tempesta, infreddolito dalla pioggia di quei sentimenti che non voleva provare e autentificare.
-Eccoti, mio caro strampalato.-
Maledizione! Era una fottuta congiura contro di lui, ormai era chiaro! Lo odiava, lo odiava!, si strinse maggiormente quel lembo nero di tessuto, torturandolo e stropicciandolo con una smorfia, senza ancora guardare Dabi negli occhi, cosa che però non attese ad accadere; purtroppo però, invece di riservargli il solito sguardo acido, continuò a mantenere quello sorpreso, a tratti preoccupato e in difficoltà, come dimostravano le palpebre ben aperte e gli occhi fin troppo ansiosi; da quella notizia appena appresa da sé stesso. E vide l’altro corrugare perplesso le palpebre annullando, miracolosamente, quel ghigno schifoso, forse curioso dall’atteggiamento diverso, ma non si lasciò assopire e dominare da quelle emozioni, e senza fargli dire altro, staccando la mano dal proprio indumento, scattò con essa in direzione della sua bocca, senza dargli tempo di reagire, di scostarsi, ma non successe nulla… La mano si bloccò prima di raggiungere, con le dita, le labbra e il volto dell’altro, che, a occhi sgranati si era limitato a indietreggiare leggermente:preso così alla spovvista da essersi risvegliato solo all'ultimo.
-Cosa vuoi da me?- sibilò allora, Shigaraki, volendo una motivazione a tutto quello, a quelle strane… attenzioni, e a quel fottuto bacio da cui era cominciato tutto. Volendo capire, prima di poterlo uccidere. Cosa che, in quel momento sembrava essere tangibile come gli indumenti che indossavano.
Invece quel bastardo tornò a ghignare! Se l’era cercata, il coglione!; avanzò con le dita, ben aperte e ben protese verso quella sagoma che però, più sicura, gli afferrò il polso, fermandolo senza forzarsi di usare il suo di potere, e inclinando il capo, leggermente, su un lato, con le ciocche spigolose che fremettero verso la medesima sponda. Continuava a ghignare, quel disgraziato. Continuava a sbeffeggiarlo!
-Ehi, ehi. Voglio solo divertirmi un po’, eh.- rise, ammettendo solo a sé stesso di essersi preoccupato leggermente… Vederlo con quel cambio di umore, stringersi il petto convulsamente… Per un attimo si era ricordato che anche lui fosse in ospedale come paziente, e si era chiesto per quale motivo… Ma era passato tutto in secondo luogo con quell’attacco, ma doveva comunque premurarsi di investigare. Soprattutto, ancora non sapeva il suo nome. Anche se questa volta era andato troppo vicino dall'essere disintegrato, continuava a credere che fosse abbastanza divertente farlo arrabbiare; sogghignò.
-Divertirti…?- ripeté in un flebile sussurro, spaesato da quel termine, quasi, prima di accigliarsi e avanzare con le spalle, per farsi forza e puntarsi in modo da ribaltare la soluzione, cercando di attaccare anche con l’altro arto, con velocità. -Nessuno... Nessuno può usarmi come un sacco per i suoi sfoghi!- esordì, scattando indietro appena un fascio di luce blu invase i suoi occhi vermigli, evitando così la vampata di fuoco che si espanse un attimo per poi morire com’era iniziata. Ringhiando e mostrando le sue pupille, luccicanti di morte; tornò a sfregare le unghie contro il suo collo, spaccando una crosticina e lasciando così che una lieve striscia di sangue colasse giù.
Dabi per tanto, osservando l’altro attentamente, anche se capì che, continuando così i dottori o le infermiere avrebbero potuto individuarli, attratti dal baccano; tornò a ghignare con un sospiro sicuro, socchiudendo gli occhi, tra il divertito e il sicuro di sé prima di ridacchiare un attimo, precipitandosi successivamente, appena vide lo strambo pronto a reagire ancora contro di lui; con le mani a incatenare i polsi di quest’ultimo contro il muro alle sue spalle, tenendoli ben in alto e in modo attento da non fargli sfiorare la sua pelle così da usare il suo quirk. In questo modo poté esaminare più da vicino e con calma, il volto serrato e duro del pallido ragazzo che continuava a gorgogliare e bollire odio. Continuò a sorridere, senza sapere nemmeno lui il perché, ma si sentiva particolarmente bene a contatto con quegli occhi particolari e macabri. In un certo senso però, ammetteva che si fosse legato a quel ragazzo più di quando avesse voluto; pensò avvicinandosi al suo collo, fin troppo lentamente e, al contempo fece lo stesso con la lingua, che lasciò poi risalire di colpo dalla ferita che aveva appena aperto l’altro, catturando quel sangue caldo e rovente nonostante la pelle gelida.
-Non sei il mio sacco da box… Sei la mia droga personale, e non ti lascio andare.- ridacchiò convinto, ghignando nel staccarsi e riavvicinarsi a quelle labbra che non aveva sentito sulle sue per troppo tempo, mentre l’altro sembrò analizzare bene ogni particolare di quella frase con fare guardingo, diffidente e quasi inaspettato da essa prima di sibilare ferreo:
-Bastardo.-
E Dabi, sentendole, comprese di avere finalmente, una specie di permesso per poter continuare a dimostrare quei gesti, almeno fino a un certo punto, ipotizzò: era un tipo difficile, praticamente sociopatico, così fuori di testa che, forse, anche adesso poteva reagire male allo stesso bacio che aveva accolto. E forse era anche per questo suo particolare che gli piaceva. Sarebbe dovuto restare però, sempre particolarmente attento a quegli scatti, a tratti convulsivi, per non essere deteriorato da quelle mani, per il momento ancora inermi e senza nessuna reazione a riguardo.
 
 
 
Sospirò, sfregandosi, carezzando con i polpastrelli delle dita, lentamente, i propri rattoppi della pelle decadente; lasciandoli scivolare, in quel gesto spinto dalla noia; dalla guancia a oltre il mento e fino alla gola solo per poi accasciare l’arto sulla coscia; seduto tranquillamente al bordo del letto intanto che si voltò, indietro con il capo, notando il sole svanire lentamente oltre la finestra, illuminando il cielo di arancione, quasi rosso; colore molto usato nelle decorazioni dell’ospedale, quel giorno stesso. Era un po’ ironico il fatto che si fosse fatto avanti il giorno stesso di San Valentino… Forse. Sbuffò nuovamente, non sapendo davvero che fare, e ancora non riusciva a dare un significato al motivo del perché avesse “accompagnato” contro la sua volontà, il suo… Diciamo quella specie di fidanzato che si era ritrovato ad avere, alla sua stanza. Probabilmente per carpirne il nome, si era detto, sicuro, ma ora che era lì e che, dopo un paio di suoi lamenti, paranoie volti a sé stesso nell’avere la presenza fissa di, a suo dire, un moccioso bastardo; per non parlare del seguente e sempre più prorompente linguaggio scurrile che gli aveva mandato contro volendo cacciarlo via; si era alla fine convinto, per lo più, sul lasciarlo perdere e si era quindi disteso su un lato; dandogli ovviamente le spalle e accovacciandosi su sé stesso, stringendosi le ginocchia contro l’addome e le mani, a pugno, contro il petto. E ora, già da un po’ aveva gli occhi chiusi mentre lui era accanto ai suoi piedi, velati da quelle scarpe basse, rosse, che non si era premurato minimamente di sfilarsi.
Aveva quindi pensato di aspettare che si addormentasse per approfondire di più la sua identità dato che non sembrava voglioso di dirgliela di sua sana pianta, ma, alla fine, aveva compreso che, anche se si stesse riposando, non stava comunque abbassando la guardia, e quindi, dormendo… Era davvero diffidente, forse il più guardingo e pazzo di tutto il mondo… E lui invece era tremendamente curioso e testardo: con o contro la sua volontà, adesso si sarebbe scostato, sporgendo un braccio e avrebbe prelevato la cartellina medica attaccata alla fine del letto. E infatti fu quello che, passo passo, fece, e così cominciò a sfogliare il fascicolo grigio, dello stesso colore dei capelli del ragazzo che, immediatamente, sulla prima pagina, scoprì essere Shigaraki Tomura.
Il nome non gli diceva niente, non lo conosceva, e, d’altro canto, era abbastanza ovvio che non fosse conosciuto, visto il suo atteggiamento problematico e che avrebbe condotto tutti solo a detestarlo o ad averne timore… A lui invece interessava, e chissà per quale ragione era stato colpito a tal punto da lui. Alla fine, anche se continuava a chiederselo, non gli importava tanto sapere la risposta…
-Che cazzo stai facendo?-
Subito gli sorse spontaneo il ghigno sul volto, mostrando anche un sorriso sghembo e losco mentre richiuse quelle informazioni nella documentazione, tenendoli poi ben lontani da lui con l’altra mano, adagiandoli al suo fianco mentre si voltò, notando il ragazzo, seduto malcomposto ma con il busto alzato, a scrutarlo a sua volta.
-Nulla di che, Tomura.- rise, anche se avrebbe voluto approfondire di più le informazioni, come l’età, o ciò che lo costringeva a stare lì, ma, di certo era sempre per una salute carente, e lo si vedeva a occhio, ma poteva sbagliarsi.
-Volevi sapere il mio nome… Cosa vuoi davvero?- subito reagì, con le dita della mano destra a tremolare, a muoversi lentamente, uno alla volta, alla ricerca di una distrazione dell’altro per attaccare, ma che, già sentiva, non gli è l’avrebbe concessa tanto facilmente.
-Oh, e smettila di fare il paranoico. Volevo dare un nome alla persona che bacerò per i giorni a venire, anche se penso continuerò a chiamarti strambo. Perché lo sei, e parecchio.-
-Bastardo.- sbuffò, nervoso e corrucciato, mostrando una smorfia con quelle labbra rovinate. -E chi ti assicura che andrà come dici tu? Potresti finire molto male in questo preciso istante.- sentenziò con una voce tremendamente sicura. Ma, vedendo l’altro ignorare la sua minaccia; gemendo con forza, si voltò e scese giù dal letto in fretta, portando poi una mano nella tasca della felpa si diresse verso l’armadietto di metallo nella stanza, aprendolo e socchiudendo, con due dita, la parte superiore di una scatola, scoprendola e cercando degli spicci da essa, trascinandoseli a sé con un suono sordo e rigido prima di afferrarli e procedere fuori, ma poco prima della soglia commentò:
-Non ti voglio al mio ritorno.-
-Va bene.- rise, alzando le spalle e tornando a sfogliare, con menefreghismo, quelle notizie trascritte su quei pezzi di carta.
Dannato! Ma, decise di tralasciare comunque, e solo perché aveva una voglia tremenda di evitarlo, e la macchinetta era l’unica cosa che gli veniva alla mente al momento; e poi, in quei pezzi di carta c’era poco di più che il suo nome e alcune delucidazioni mediche che solo esperti o, almeno, qualcuno che poteva capire certe parole, avrebbero potuto assimilare. Era certo che, comunque, era abbastanza idiota. Ma, alla fine… Oh! Non voleva pensarci! Gli dava troppo sui nervi! Che nervi! Nervi!, strinse i pugni, digrignando i denti e cercando di resistere ma fu vano dato che le dita andarono, quasi in automatico, a sfregarsi contro il proprio collo mentre si aggirò tra i corridoi, evitando stupidi palloncini e qualche infermiera che, decise saggiamente di fare altrettanto aumentando il passo. A quel punto si ricordò anche di essersi tolto il cappuccio prima di distendersi nel letto, e allora ne afferrò l’estremità da dietro, con due dita della mano libera, rimettendoselo per coprirsi per bene il volto, aiutato sempre anche con le proprie ciocche che velavano gli occhi rossi e fin troppo tetri. Ringraziava almeno che la macchinetta fosse desolata anche quella volta…; si avvicinò a essa e buttò giù monete intere, digitando il numero e ascoltando quella tecnologia azionarsi e far girare, con dei tremiti, quella molla che incatenava la busta gialla di patatine, che scivolò lentamente fino a cadere con un tonfo più sentito, dato l’altezza elevata, essendo stata posta tra gli scaffali più in alto. La raccattò in fretta, osservandola con poco gusto e voglia; inspirando a fondo con neanche tutta quella fame in pancia, tremendamente vuota e piatta… Se era estremamente magro c’era un motivo, ed era che non mangiasse come si dovrebbe di consueto, ma non era un problema, almeno non per lui. Di conseguenza, guardare quella cibaria appena comprata non aveva un effetto inspirante e invitante, non ai suoi occhi freddi e spenti, in quel momento, più propensi a riflettere su altro, se fosse davvero quello, se volesse quel Dabi, i suoi baci… Perché lo voleva?
-Vuoi mangiare roba dal distributore, strambo? Che cazzata. Possiamo andare in mensa, almeno ci prendiamo cibo più consistente.-
Gli mandò un’occhiataccia abbastanza eloquente, solo per mandarlo a quel paese: non gli interessava passare del tempo con lui, in quel momento. E presto o tardi se ne sarebbe convinto maggiormente. E poi, non andava in posti affollati… Odiava la gente, e recarsi in quella stanza sarebbe stato come essere masochista; e, anche se non sembrava a vederlo, non lo era. Gli davano sui nervi, le persone…
-A quest’ora non ci sarà nessuno, figurati i cuochi.- e con una mano alzata all’altezza del volto per gesticolare, in modo abbastanza pacato e, a tratti menefreghista, continuò a mostrare il suo ghigno, che aumentò e sottolineò nel vedere un tono di sorpresa nell’altro, quasi a gradire la notizia, e questo compiacque anche sé stesso: aveva appena indovinato un qualcosa che avrebbe fatto piacere all’altro, e, oltre che non gli avrebbe fatto piacere a Tomura, lui si sarebbe divertito perché, ora, sfruttando quel particolare, di certo sarebbe venuto con lui, o almeno sperava mentre il sorriso dal volto non gli si levò per nulla. -Dai, muoviti, strambo.-
-Stai zitto, bastardo!-
Cosa cazzo gli è ne fregava se non c’era nessuno? Non aveva fame!, strinse le dita contro la pelle con maggiore forza, graffiando con fare sempre più profondo prima di dargli le spalle e avanzare dalla parte opposta. Che andasse a farsi fottere!, decretò, proseguendo verso il centro dell’ospedale, più per non ritrovarselo addosso in stanza, bensì, optando per il mescolarsi tra la folla: lo avrebbe perso facilmente, perché era ovvio che lo stesse seguendo, giustamente! Quel bastardo!
… Eppure… Non sentiva i suoi passi, ed era certo che non potesse essere talmente silenzioso… Le proprie scarpe stavano continuando a emettere un flebile suono, e dovevano farlo anche le sue, di scarpe, basse e nere… Non lo stava seguendo? Lo aveva finalmente lasciato in pace? Certo, aveva fame, e quindi aveva dato la precedenza a quello… Stritolò lentamente la busta gialla che scricchiolò nell’accartocciarsi e spezzare qualche patatina: gli dava fastidio anche ora che se ne era liberato! Era la sua maledizione!
C’era quel ragazzo…, si calmò un secondo, fermando persino le dita dall’infastidire il suo povero collo, che erano tornate a tormentare quest’ultimo senza che se ne rendesse conto; con gli occhi incuriositi nel vedere quella sagoma, quei ciuffi e quelle mani vuote… Se ne stava andando, ma ricordava di averlo visto tenere delle stronzate, quando gli era andato contro… A quel puntò analizzò il resto, deviando tutte quelle infermiere e dottori, tutte quelle voci, quei pazienti; scrutando così, dietro al ragazzo dai capelli verdi a cespuglio e ricci, uno leggermente più alto e dal colore della chioma divisa a metà, che sembrava osservare il primo con interesse. Quegli sguardi poi… che si mandavano entrambi… Sembravano famigliari… Quegli occhi trasmettevano un qualcosa di intenso, ma non capiva… Erano gli stessi di Dabi, però era certo di sbagliarsi…
Si voltò, fregandosene e dando le spalle a quello spettacolo di occhiate intense a cui non voleva essere partecipe, al contrario del resto della gente, ma si maledì perché aveva sottovalutato la situazione: Dabi era lì davanti, pronto a rompere con il suo ghigno…
Lo odiava, fin troppo. Eppure, poteva riconoscere, in quelle pupille azzurre, una scintilla fremente mentre lo osservava, e che, si rese conto quanto potesse piacergli indossata su di lui e solo per lui…
-Che palle che sei. Ti vuoi muovere e te ne vai?- ammise, Dabi, abbassando le spalle con un sospiro e con un roteamento degli occhi, quasi esasperato. Lo aveva anche aspettato, all’inizio, ma aveva capito che non era il caso di disperderlo per poi mettersi a cercarlo per chissà quanto: perché, anche lui aveva fame, eh. Si era ripetuto che non poteva andargli dietro come fosse una balia, ma alla fine lo aveva fatto: voleva la sua compagnia e ormai aveva deciso che così sarebbe stato.
-Vedi di non rompere, bastardo!- sbottò, stringendosi nelle spalle prima di ringhiare e avanzare con delle falcate decise, oltrepassandolo con uno sbuffo mentre abbassò leggermente il capo, con le ciocche che fremettero davanti ai suoi occhi. -Andiamo, stronzo.-
Non si voltò, ma lo sentì chiaramente che stava ghignando ancora, però almeno lo seguiva: era praticamente con il fiato sulle sue spalle, ed era caldo, come aveva ben percepito dalle fiammate che aveva usato contro di lui in quello stesso giorno. Alla fine, tutto quello poteva risultare interessante…
-Buon San Valentino, sgorbio.- ridacchiò potandosi accanto a lui; dopo aver adocchiato un palloncino che si scuoteva tra gli altri; oggetti che continuavano a ricordargli tale evento, e dato che non si era rivelato poi così male, perché non augurarlo a quella persona con cui aveva legato?, già percependo, nelle orecchie, la risposta scurrile che stava giungendo:
-Buon San Valentino un cazzo, stronzo!- sbottò, volgendogli il suo sguardo amaro prima di gorgogliare contro di lui tra sé e sé, maledicendolo per ciò che stava per fare, ovvero scattare con la mano in avanti, verso il colletto alto della sua giacca nera intanto che lui lo scrutava attentamente, sicuro e senza timore anche se si irrigidì comunque a quell’atto, tentendo a distaccarsi per salvarsi prima di capire che non fosse diretto a lui come minaccia, e che, inoltre, si servì di sole tre dita, che lo spinsero in fretta verso il basso per scontrarsi con le labbra del grigio che si impuntò di voler dare il suo meglio, e di gustarselo quasi per conto suo, quel bacio profondo e in cui interruppero, entrambi il fiato. Staccandosi poi, lasciò anche la presa su quel soffice e nero indumento prima di tornare a camminare, lanciando un attimo gli occhi in basso, verso le mani dell’altro che ancora stavano rigide lungo i fianchi, e non in tasca; e così ne approfittò per afferrarne una, sempre con le solite tre falangi principali, che circondarono completamente l’altra, quasi a imprigionarla intanto che si diressero verso la mensa, e con Shigaraki che non poté non pensare ancora che, quella festa avesse voluto giocargli un brutto tiro per farlo finire in quel modo.
 
Fine.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Io_amo_Freezer