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Autore: VenoM_S    19/02/2019    1 recensioni
Zoe stava dormendo, non avrebbe nemmeno saputo dire cosa stesse sognando di preciso, fin quando non aprì gli occhi nel buio. E, paralizzata e spaventata, scoprì che l'oscurità la stava guardando, avvicinandosi a lei.
[WARNING!: nella storia è presente la descrizione dettagliata di un ragno. Nel caso questo potesse turbarvi, ovviamente non ne consiglio la lettura]
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom
Settimana: Seconda
Missione: M2
Prompt: Oscurità
N° parole: 1548

[Non avevo mai provato a scrivere qualcosa di questo tipo, in sostanza si tratta del riarrangianento (con un paio di dettagli aggiunti mentre scrivevo) di un mio, fortunatamente unico, episodio di paralisi del sonno. Non ho idea se sia riuscita a rendere l'idea di quanto sia stato angosciante, ma spero comunque che la storia venga apprezzata! Per chi non ha letto l'intro rinnovo il WARNING: c'è la descrizione piuttosto dettagliata di un grosso ragno, se questo può turbarvi non vi consiglio di leggerla!]

Ad occhi aperti, nell'oscurità

 
Non era stata una serata diversa dalle altre, quella, e nemmeno una giornata troppo diversa. Certo, lo stress per la sessione d’esami non risparmiava mai nessuno, ma di certo Zoe non poteva dire di non esserci abituata. Il quarto anno di università si stava rivelando più ostico di quanto si aspettasse, nonostante il suo interesse per le materie di quel semestre. I corsi iniziavano alle 8.30 in punto la mattina, costringendola ad alzarsi non dopo le 7.15 se voleva davvero fare tutto quel che le serviva per essere considerata attiva e presente a sé stessa, ovvero una bella doccia calda e una colazione almeno decente prima di volare, perennemente in ritardo, a prendere l’ultimo treno utile per la facoltà, così da potersi aggiudicare il suo solito posto in terzultima fila, all’esterno, vicino alle prese della corrente per poter aiutare il suo vecchio ma fedele portatile a non morire nel bel mezzo della lezione, e soprattutto per potersi concedere un bel cappuccino al ginseng, che la nuova macchinetta in atrio consegnava in grandi bicchieri con coperchio ottimi per mantenere le bevande calde tra un appunto e l’altro.

A casa l’aveva aspettata come sempre lo studio arretrato, i libri messi uno sopra l’altro e i fogli di appunti sparsi inondavano la sua scrivania davvero troppo grande per quella stanza, un lungo e pesante tavolo scuro che occupava tutta la parete destra togliendo una gran quantità di spazio calpestabile, a suo dire. Aveva sempre trovato troppo piena quella camera, che oltre alla scrivania abnorme contava una pesante cassettiera sul lato opposto, accanto alla finestra, su cui aveva posizionato la televisione, un enorme armadio a sei ante che anche volendo non sarebbe mai riuscita a riempire di vestiti, ragion per cui un’intera sezione era stata dedicata alle cianfrusaglie: giochi da tavolo, il suo ferro da stiro per cui si dimenticava costantemente di comprare l’acqua, la vecchia lampada da comodino rotta che non aveva voglia di buttare, dato che se la portava dietro ormai da anni, da prima che anche solo le venisse in mente di andare all’università, la scatola con i costumi da bagno per quelle rare volte che decideva di andare in piscina e tutti i suoi cosplay impilati in grosse scatole di plastica identificate ognuna da una targhetta che recitava personaggi, materiali, oggetti presenti. Ed infine, sul lato opposto all’armadio, un letto matrimoniale che davvero non serviva in una stanza singola, con accanto una libreria di legno chiaro che stonava immensamente con il resto della stanza. Lo studio l’aveva accompagnata durante quel noioso pomeriggio, e la cena in compagnia delle sue coinquiline l’aveva come al solito risollevata un po’.
Insomma, quel giorno davvero non avrebbe saputo dire se qualcosa l’avesse turbata più del solito, qualcosa che poi avrebbe potuto spiegare quello strano fenomeno notturno.

Nella stanza buia, Zoe faticava a prendere sonno ad orari decenti. Non che soffrisse d’insonnia, ma una volta distesa sotto le coperte calde e confortevoli non riusciva mai ad impedire alla sua mente di vagare incontrollata, ripercorrendo i fatti del giorno, le conversazioni per cui immaginava finali alternativi se solo avesse risposto in un modo un po’ diverso, andando poi a finire in luoghi lontanissimi nel futuro o nel passato o nella totale fantasia. Guardò l’orario sul suo telefono appoggiato malamente sul comodino, e rabbrividì scoprendo che era già passata l’una di notte da qualche minuto.
«Maledizione, devo davvero dormire» si disse sottovoce, imponendosi poi di chiudere gli occhi, rilassarsi, e non pensare più a niente favorendo il sonno.

Non seppe nemmeno dire con certezza se aveva davvero dormito, fino a quel momento. Spalancò gli occhi nella totale oscurità, non riusciva a distinguere nessuna forma intorno a lei, nonostante le tapparelle alle finestre non fossero del tutto abbassate. Dovevano di nuovo essersi spenti i lampioni fuori, era incredibile come potesse essere messa male quella zona della città. I suoi occhi vagavano nel buio da un paio di secondi quando iniziò a sentirsi parecchio strana. Un formicolio vagamente inquietante le percorse il corpo partendo dalla schiena, su verso il collo e poi alla testa. Pensò che fosse per via della posizione, e che sarebbe stato meglio magari mettersi di lato invece che stare distesa a pancia in su.
Niente.
Non riusciva a muovere niente, né le mani, né le braccia, né le gambe. Era bloccata, paralizzata nell’oscurità che le sembrava si facesse sempre più opprimente sopra ed intorno a lei. La prima cosa che le venne in mente di fare fu di chiamare una delle sue coinquiline, le cui stanze si trovavano a pochi metri dalla sua, ma dalla bocca le uscì appena un sussurro invece di un nome ben scandito e chiaro. Cominciava davvero ad avere paura, così cercò di gridare, ma anche stavolta alle sue orecchie arrivò un suono ovattato, gracchiante come se ci fosse qualcuno che le comprimeva le corde vocali impedendone il giusto funzionamento. Cosa le stava succedendo? Era chiaramente sveglia e presente a sé stessa, ma il resto del suo corpo sembrava imprigionato in un sonno paralizzante, sentiva di non averne il controllo.

«Zoe... Zoe!»

Qualcuno l’aveva chiamata, anche se forse era solo nella sua testa. Sentì un leggero soffio sulla sua spalla destra, come se ci fosse qualcuno accanto a lei che le parlava sommessamente, insistentemente, sussurrando. Non poteva essere reale, davvero, non poteva esserci nessuno di fianco a lei. La paura si trasformò in panico per quella situazione surreale, immersa nel buio più totale senza poter vedere intorno a sé, senza potersi muovere.
Ma, inconsciamente, aveva cominciato a voltare il collo verso la direzione di quei sussurri. Almeno, qualche muscolo sembrava iniziare a riprendere un barlume di funzionamento. Solo dopo si ritrovò a pensare che forse sarebbe stato meglio rimanere immobile sperando solo che tutto finisse. Sul grande letto matrimoniale, alla sua destra, proprio sopra il cuscino che le stava di fianco, si allungavano verso di lei delle sottili zampe acuminate. Non sapeva esattamente come facesse a vederlo, forse lo stava solo percependo immerso in quel mare oscuro che si espandeva sempre di più nella sua mente. Un ragno, uno veramente grosso, stava lì di fianco a lei, i numerosi piccoli occhi luccicanti la fissavano senza mai cambiare direzione, il poderoso corpo arrotondato fremeva d’impazienza, ricoperto da un sottile strato di peli scuri, corti e duri. Zoe spalancò gli occhi, il cuore sembrava volerle uscire dal petto da quanto fosse accelerato, il respiro le si fece affannoso come se non riuscisse davvero ad incamerare abbastanza aria per respirare, e sostenere quel ritmo impazzito nel suo petto. Quell’orribile figura si stava avvicinando sempre di più, lentamente, centimetro dopo centimetro, come se sapesse che non serviva fretta, che lei non aveva modo di scappare, che era bloccata, paralizzata. Poteva vedere chiaramente i suoi cheliceri a forma di forbici muoversi avanti e indietro, anelando il momento perfetto per premersi sulla sua pelle ed iniettare il loro veleno.

«Mi devo muovere, per favore muoviti, muoviti!» non faceva che ripetersi, fissando quella cosa ancora più nera del buio che la circondava avvicinarsi. Era a pochi centimetri da lei, quando sentì le dita stringersi in un pugno. Ecco, c’era di nuovo! Il formicolio era sparito, ed in una frazione di secondo fu in piedi, ancora nel panico, e come se ne andasse davvero della sua vita corse dall’altro lato della stanza premendo con tutta la forza che aveva sull’interruttore, tenendo gli occhi chiusi. Sotto le palpebre, percepì la luce calda e aranciata della lampadina che scendeva direttamente al centro della stanza, e piano piano decise di aprire gli occhi.

Niente.

Non c’era niente sul suo letto, niente ragni, niente zampette, niente zanne acuminate pronte a conficcarsi dentro di lei. Poteva davvero averlo sognato, nonostante fosse sveglia? Se esisteva un fenomeno così spaventoso di certo l’ultimo dei suoi desideri era riviverlo di nuovo. Con il cuore in gola, si prodigò per almeno cinque minuti a guardare dietro ogni angolo, sotto il letto, dentro i cassetti e le ante del suo armadio. Si accertò che le finestre fossero ben chiuse, e che niente sarebbe potuto entrare.
Un po’ più rilassata dopo quella ricerca fortunatamente infruttuosa, allungò una mano per accendere la piccola lampada nera a campana sul suo comodino, poi tornò all’ingresso della stanza per spegnere la luce più grande. Si rimise a letto, prese il telefono e premette il tasto di sblocco per controllare l’ora. Le cinque e trenta. Era presto, probabilmente troppo anche per lei, ma non era sicura di voler provare di nuovo a dormire fino al suono della sua prima sveglia.
Non a luce spenta, per lo meno.

Il dottor Google sentenziò che Zoe era appena stata testimone di un fenomeno chiamato paralisi del sonno. Era inquietante persino il nome, ma sapere che poteva essere catalogata in qualcosa di comprensibile e scientificamente spiegabile la sollevò non poco. Tornò a rilassarsi, in quel piccolo limbo pre-sonno caratterizzato da pensieri veloci e sconnessi, senza rendersi conto che il tempo era trascorso più in fretta del previsto. La prima sveglia la sorprese impreparata, facendole fare un balzo che le fece quasi cadere il telefono dalle mani. Erano le sette meno un quarto, e ormai non aveva più molto senso rimanere ferma nel letto.
Mise fuori i piedi, li infilò nelle ciabatte, e si avviò in bagno pensando che, almeno stavolta, non avrebbe fatto sicuramente tardi a lezione.
  
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