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Autore: Miryel    23/02/2019    26 recensioni
In una vita alla costante ricerca di un vuoto da colmare, Peter Parker e Tony Stark si trovano, in un momento della loro esistenza in cui si sentono divisi a metà, a condividere parti della loro anima e della loro mente, con la sola scusa di un tempo che giustificano come speso per forza insieme. Il loro rapporto cresce, di giorno in giorno, fino a creare inaspettatamente un legame e, inesorabilmente, una rottura.
Una rottura che per Tony significa mettere da parte l'orgoglio per affrontarla e per Peter mandandare giù bocconi amari, tentando di non soffocare con la sua stessa saliva.
[ Young!Tony x Peter - Angst/Introspettivo/Romantico - College!AU ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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[ Young!Tony x Peter | Angst - Romantico | word count: 3086 ]


You Say Goodbye,
I Say Hello





•  •  •
«I don't know why you say goodbye,
I say hello»
•  •  •



 

Capitolo III. Nowhere Man
 



 

 

 

 «Insomma, che altro dire? Benvenuto nel Team, Spider-Man

Nick Fury sembrò averlo detto quasi con una punta troppo evidente di entusiasmo, che a Tony era parsa più una frecciata rivolta a lui, che altro. Ne ebbe la conferma quando l’uomo gli lanciò un’occhiata, alzando le sopracciglia, con un sorrisino soddisfatto, perché quello che Tony aveva temuto, infine, era accaduto contro la sua volontà. Peter Parker era diventato parte del team e lui non aveva avuto alcuna voce in capitolo nei riguardi di quella decisione. Non l’avevano nemmeno lasciato parlare. Non gli avevano nemmeno dato modo di dire la sua ed era certo che Parker – sì, lui e quel suo sorriso odioso e impacciato, avevano trafitto e conquistato i cuori  di quegli adulti mollaccioni e sentimentali. Come se servisse davvero, un altro membro degli Avengers, poi.

Tutti i presenti e suo padre si alzarono in piedi per congratularsi e stringere la mano di Parker, che ovviamente ricambiò con un sorriso dall’entusiasmo quasi esageratamente carico, su quella sua faccetta che meritava solo schiaffi e percosse. Tony non si alzò. Si limitò a tamburellare una penna contro il tavolo di vetro, aspettando che quel siparietto del cazzo si chiudesse e che, finalmente, potesse alzare le chiappe per andarsene a casa sua e chiudersi in camera per non uscirvi fino all’ora di cena. Sperò non ci fosse in programma anche una cerimonia o un buffet, perché in quel caso la faccenda avrebbe assunto dei toni patetici e ridicoli e, rimanere un minuto di più in quella sala, poteva mettere seriamente in crisi il suo autocontrollo.

«Tony, non vieni a congratularti con il nostro Peter?» gli chiese suo padre, riservandogli un’occhiataccia bieca che l’uomo aveva tentato di nascondere dietro un sorriso paterno. Una mano poggiata sulla spalla di Spider-Man, tremante dall’emozione.

Tony sorrise falsamente per un impercettibile secondo. «Complimenti, Parker», gli disse, semplicemente e quando Peter gli puntò gli occhi addosso, velati di delusione, Tony abbassò i suoi su alcuni fogli, che tra l'altro aveva scarabocchiato durante la riunione, senza sapere se fossero importanti o no. Probabilmente lo erano.

Suo padre sospirò impercettibilmente, poi gli si avvicinò e batté le mani per attirare l'attenzione di tutti.

«Dichiaro chiusa la riunione. Riceverai i dettagli per la registrazione in questi giorni, Parker. Nel frattempo ti auguro buon lavoro. Lo auguro a tutti voi», disse, e l’antifona fu chiara. Tutti lasciarono la stanza, e quando fu di nuovo silenziosa, Howard Stark si poggiò al tavolo con le braccia incrociate e lo guardò con le labbra ridotte a una finissima linea di disappunto.

«Che succede?» gli chiese e Tony sbuffò, immediatamente. Nemmeno gli lasciò finire la domanda. Sapeva già dove stava andando a parare.

«Hai intenzione di riprendermi perché non mi sono alzato a congratularmi col tuo nuovo acquisto?»

«No, sto cercando di capire che accidenti ti prende. Non hai interagito in un solo discorso. Ti sei messo qui, in disparte, a far finta di ascoltare, lanciando occhiatacce, sbuffando ogni volta che ne avevi la possibilità. Tony, questo atteggiamento ostile mi sta proprio stancando», gli disse suo padre e quando Tony alzò gli occhi per guardarlo, lo vide prendersi la radice del naso tra due dita, stancamente.

«Allora non invitarmi più alle tue stupide riunioni. Tanto, per quel che conta la mia opinione, è lo stesso se ne prendo parte, oppure no!», rispose.

«La tua opinione vale tanto quanto quella degli altri, se solo non ti esprimessi sempre come se non te ne fregasse un accidente. Hai quasi diciotto anni, e anche se dovresti, non mi  stai ancora dimostrando un briciolo di maturità!», lo riprese e per quanto Tony sapesse che quella era la verità, scosse la testa indignato, perché la realtà dei fatti sbattuta in faccia a quel modo proprio non la sopportava. Che senso aveva dimostrargli di essere un adulto? Non avrebbe mai avuto la sua approvazione nemmeno diventando il figlio migliore della terra. «Senti, quel Parker mi piace. Piace a tutti. Ha in mano un potere incredibile, oltre che un potenziale smisurato. Non puoi negarlo, ma se hai qualcosa da dire contro la decisione presa, fallo ora. Ti ascolto.»

«Ora?» domandò Tony, corrugando la fronte. Scoppiò a ridere senza alcun entusiasmo; distolse lo sguardo, ferito. «Che senso ha, farlo ora? mi interpelli quando ormai la decisione è presa?»

«Non ho detto che non prenderò in considerazione le tue ragioni, ma voglio che tu me le esponga ora, lontano da orecchie che possano travisare. Io ti conosco abbastanza da poter leggere fra le righe, gli altri no.»

Tony tacque. Sapeva di essere antipatico, anzi… sapeva di risultare tale, solo perché era quello che voleva dimostrare. Gli volevano tutti un gran bene, questo era vero, ma c’erano momenti in cui – persino in quel posto che lui aveva sempre chiamato casa – si era sentito emarginato e messo da parte, per colpa di cose dette in un determinato modo, ma che avevano tutt’altre intenzioni. Sapeva di essere intelligente e non faceva nulla per nasconderlo, ma forse era colpa di quell’arroganza se le persone spesso non lo prendevano nemmeno sul serio. Era sorprendentemente fraintendibile, e odiava sentirsi così.

Sospirò. «Non ho nulla da dire. Parker non mi piace, punto. Vuoi un’argomentazione? Bene: penso che non sia pronto a far parte degli Avengers. Non lo vedo in grado di gestire situazioni pericolose come quelle che siamo abituati a combattere, in talune occasioni. In più è contro la violenza drastica, ha detto; lo siamo anche noi, ma per i nemici più spietati occorre fermarli utilizzando qualunque mezzo. Anche ucciderli, se necessario. Lui non ne sarebbe in grado e questo è un grosso, gigantesco rischio. A mio parere dovrebbe limitarsi a difendere il proprio quartiere. Da quanto ne so, in quello se la cava egregiamente.»

«Ha dimostrato più volte di sapere esattamente quel che fa. Oltretutto ha superato tutti i test col massimo dei voti, anche quelli psicologici.»

Tony rise di nuovo, reclinando la testa all’indietro. Poi tornò serio e sbuffò, stanco morto. Voleva chiudere lì quella discussione, perché sapeva già che sarebbe stata come sempre un grosso buco nell’acqua, che non avrebbe portato ad alcuna conclusione.

Inclinò la testa di lato, scettico. «Come se superare i test col massimo dei voti facesse di lui un buon partito. Senti, è inutile discuterne. Hai preso la tua decisione, e pure gli altri. Tenetevi il vostro adoratissimo Spider-Man. Sono in minoranza, me ne farò una ragione.»

«Tony, se tu mi avessi argomentato delle motivazioni valide, le avrei prese di certo in considerazione. Il tuo verdetto è dato da qualcosa che ti brucia dentro. Qualcosa di personale, che non ha nulla a che vedere con Parker e il suo adempiere ai compiti che dovrà svolgere. Risolvi i tuoi problemi con te stesso e ne riparleremo. Nel frattempo, Spider-Man rimane uno di noi. Che ti piaccia o no», disse suo padre, e Tony seppe che la discussione era chiusa lì. Non avrebbero mai dovuto nemmeno iniziarla, dannazione. Sapeva che parlarne avrebbe solo alimentato ulteriormente il suo fastidio, perché ora aveva chiara la verità: il problema era lui, e di certo non Parker, ma quella novità continuava a bruciargli e a dargli un fastidio indecente.

Si alzò in piedi, serrando la mascella. Per nulla intenzionato a dire alcunché. Recuperò lo zaino da sotto al tavolino e si accinse a lasciare la sala riunioni. Suo padre lo aveva seguito con lo sguardo, chiaramente in attesa di sentirgli dire qualcosa. I suoi occhi addosso erano sempre motivo di grande fastidio.

«Tony, mi aspetto da te la massima collaborazione.»

«Ci vediamo a casa», lo ignorò, atono e, senza voltarsi, lasciò la stanza e si defilò.

 

 

Tony avrebbe fatto di tutto per vivere quella situazione con una certa tranquillità, ma il mal di stomaco e le fitte intercostali non potevano nascondere il suo reale stato d’animo. Era infastidito, era arrabbiato, era geloso. Si, lo era, e per quanto non riuscisse ad accettarlo, perché si rendeva conto da solo che non dovesse averne alcun motivo, sapeva che era così.

«Ti devi dare una calmata», gli aveva detto Banner, quando si era mostrato ancora una volta ostile nei suoi confronti, solo perché era innervosito da quella situazione e non perché quel poverino del suo amico gli avesse fatto davvero qualcosa.

Suo padre poi, che gli aveva detto quella cosa a proposito della massima collaborazione che pretendeva da lui,  non aveva per nulla scosso la sua curiosità, sebbene ebbe comunque presto una risposta, mandandogli un messaggio – visto che aveva praticamente ignorato le sue telefonate per tutto il pomeriggio. Un po’ perché aveva da studiare, un po’ perché parlare col suo vecchio significava rimetterci il fegato, il più delle volte. Ai messaggi, però, non poteva proprio sfuggire. Lo aprì sospirando, mentre chiudeva il tomo di macro tecnologia, ormai convinto di aver perso la concentrazione.

«Hai intenzione di ignorare le mie chiamate ancora per molto?»

Tony sbuffò e iniziò a scrivere, pigiando velocemente i pollici sulla tastiera. «Sto studiando. Che vuoi?»

«Parlarti di una cosa.»

Enigmatico. Come sempre. Ci fosse stata una cazzo di volte che gli avesse detto qualcosa subito, senza renderla così operistica. Sbuffò ancora e premette sulla cornetta accanto al numero per chiamarlo. Ricevette risposta dopo un paio di squilli.

«Tony, la devi smettere di ignorarmi. Sai che se ti cerco c’è sempre un più che valente motivo», lo redarguì subito, senza nemmeno salutarlo.

«Se devi farmi la paternale, possiamo chiuderla già qui. Hai detto che devi chiedermi qualcosa, no? Ti ascolto», rispose lui, brusco. Poggiò il cellulare sulla spalla e piegò la testa per tenerlo senza mani, in modo da poter incrociare le braccia al petto e sedersi comodamente sulla sedia.

Sentì suo padre sospirare stancamente, poi l'uomo parlò. «Ce la fai a venire qui, tra un paio d'ore? Dobbiamo progettare una cosa, e ci servirebbe una mano».

«Sei troppo vago.»

«Si tratta di un lavoro retribuito dignitosamente, se è quel che ti interessa. Comunque perché non vieni semplicemente qui, così da poterne parlare faccia a faccia, senza che tu ti metta a fare il melodrammatico?»

«Perché sono certo che tu mi stia mettendo in mezzo a qualcosa che non voglio fare, e se verrò lì dovrò accettare per forza solo perché tu mi imporrai di farlo!» gracchio, duro, dando di nuovo prova della sua inesistente collaborazione. Il discorso avuto con suo padre, subito dopo la riunione, aveva messo in luce troppe cose tra cui il fatto che avesse torto marcio nei riguardi di qualcuno che piaceva a tutti e, ne era certo, in quel progetto che lo attendeva ne era coinvolto pure Spider-Man. Era così sicuro di quel fatto, perché conosceva troppo bene suo padre.  

«Tony, c’è bisogno di te perché sei l’unico che può farlo. Metti da parte l’orgoglio e l’insofferenza, per una sola, accidenti di volta, e dammi una mano! Nessun altro può farlo a parte te», ammise infine suo padre, dopo aver passato troppi secondi in silenzio e Tony sapeva esattamente a cosa gli erano serviti. Non era bravo ad esternare i propri sentimenti, figurarsi ammettere che suo figlio era l’unico in grado di realizzare qualcosa che, a quanto pareva, era di vitale importanza. Erano uguali, sotto quel punto di vista, ma per Tony era leggermente diverso. Quando suo padre dava segni di provare anche solo una punta di orgoglio, e lo palesava in modo sincero, lui non era in grado di negargli il suo aiuto. Stava passando la vita, alla costante ricerca della sua approvazione, e sebbene sapesse che non l’avrebbe mai ricevuta totalmente, certe cose lo spiazzavano. Era meno determinato di quanto credesse.

«Arrivo», tagliò corto e chiuse la chiamata, senza nemmeno salutarlo. Come sempre. Una brutta abitudine che non faceva altro che sottolineare il rapporto orribilmente sbilanciato che avevano. E Tony si sentiva intrappolato in un loop infinito di infelicità, quando nel mezzo c’era suo padre.

Con quello stato d’animo raggiunse il laboratorio scientifico dello S.H.I.E.L.D.; uno zainetto in  spalla e addosso la maglietta di Ritorno al Futuro III¹ ormai vecchia di qualche anno, ma da cui non riusciva a separarsi. La porta scorrevole si aprì immediatamente e, sebbene non fosse stupito più di tanto, quando vide Peter Parker alzare una manina per salutarlo, non riuscì a reprimere l’istinto di alzare gli occhi al cielo. A quel gesto, il sorriso sul volto del giovane di fronte a lui si spense, come probabilmente anche le sue speranze di instaurare un minimo di confidenza con lui.

«Non so perché, ma me lo immaginavo di trovarti qui, Parker», gli disse, sfilandosi dalle spalle lo zaino e appoggiandolo su una scrivania, mentre suo padre controllava dei fogli con un certo interesse misto a confusione.

«Mi dispiace molto. In mia difesa posso assicurarti che non è stata una mia idea e ch-»

«Lo so, è okay», tagliò corto, quando si rese conto che Parker si prendeva sempre le colpe di tutto. Anche quelle che non aveva. Tipo quella di trovarsi lì, inaspettatamente, e di sapere perfettamente che Tony non gradiva la sua presenza. Dopotutto non aveva fatto un granché per tenerglielo nascosto. Una fitta allo stomaco lo fece sentire leggermente in difetto.

«Hai visto la tuta che indossa Peter?» gli chiese suo padre, ad un tratto, cedendogli una fotografia scattata da una telecamera di sicurezza poco lontano dalla Midtown. Era Spider-Man, appeso ad un ragnatela penzolante, ridicolo come poche cose Tony avesse mai visto in vita sua. E non c’entrava niente il fatto di non sopportarlo. Quel costume era brutto. Punto.

«Un pigiama raccattato nei secchioni della spazzatura?» chiese, retorico, poi si voltò verso il suo collega, e aggiunse: «senza offesa, Parker».

«Figurati, io… ne sono consapevole», ridacchiò Spider-Man e fece un passo verso di loro. Le spalle chiuse in quella immotivata paura di essere di troppo, pur parlando della sua roba. Tony gli lanciò un'ultima occhiata, prima di tornare a guardare la foto e infine suo padre.

«Non me lo stai chiedendo davvero… o è così? È così?»

Howard Stark gli piazzò i suoi occhi castani addosso; le labbra serrate e la mascella contratta. Una risposta infilata nelle vene sporgenti sulla sua fronte, che infine dovette palesare.

«Non può andare in giro in questo stato, Tony», rispose infine, laconico.

«Scherzi? Sai che significa progettare una tuta da zero, visto che non abbiamo uno straccio di elemento a cui aggrapparci? Dobbiamo idearla, disegnare un modello, creare dei prototipi, testarla finché non sarà praticante perfetta», si lamentò, indicando un punto indefinito della stanza con un gesto teatrale. Peter Parker fece un passo indietro, silenzioso. «Ci vorranno mesi prima di tirar fuori un progetto che abbia un minimo di riscontro.»

«Non abbiamo fretta di creare e perfezionare una tuta per Parker. Ci prenderemo il tempo che servirà. Ne ha bisogno, perché fa parte del team, ora. Converrai con me che con quell’improvvisato costume non può operare!»

Tony si esibì in un lamentoso e rumoroso sospiro gracchiante, prima di chiudere gli occhi e tentare di tutto per non uscire di testa. Quel fatto gli avrebbe tolto così tanto tempo, che il solo pensiero lo metteva già di cattivo umore. Si voltò verso Parker, esasperato, quando questi tossì leggermente, cercando palesemente di attirare la sua attenzione.

«I-io… ho un progetto che da tempo cerco di realizzare, sulla mia tuta. Non ho abbastanza soldi per comprare le attrezzature ideali per renderlo possibile, così infine ho semplicemente deciso di accantonare la cosa ma… insomma, se vuoi te lo posso mostrare e magari puoi dirmi se può esserti d’aiuto o magari se è da cestinare completamente o se c’è del salvabile. In quel caso avremmo qualcosa su cui lavorare», sorrise Peter, e Tony gli lanciò solo una lunghissima occhiata scettica, prima di rubargli dalle mani un foglietto di quaderno sulla quale c’era la bozza di una tuta rossa e blu e alcuni appunti presi a penna, con un sacco di cancellature col bianchetto. «Mi sono un po’ lasciato andare con la fantasia e… se pensi che sia stupido, lo capirò, non devi assolutamente preocc-»

«No,» lo interruppe Tony, senza smettere di far scorrere gli occhi su quel disegno. Il suo cervello si era già messo in moto, «va bene, è qualcosa».

Peter Parker si rizzò sulla schiena, e quando alzò la testa per osservarlo, Tony lo vide sorridere entusiasta dalla cosa. Non c’era alcuna arroganza in quel gesto, solo la felicità di aver fatto qualcosa di utile. Un comportamento che lo spiazzò.

«Aiutarlo a realizzarla significa aiutare anche noi, di conseguenza. Ora sta a te, Tony. Che vuoi fare?»

Le domande di suo padre – quelle che furbamente cercavano di modellare le risposte a seconda delle proprie necessità, lo mandavano raramente in crisi e Tony, di questo, ne andava particolarmente fiero. In quell’occasione però, le cose erano decisamente diverse.

Era infilato letteralmente tra due persone che mal sopportava, ma con cui era costretto a condividere per forza di cose, uno spazio vitale e parte del suo tempo. A chiudere il tutto, c’era il fascino sconfinato della scienza e quello inaspettato di quel progetto che teneva ancora tra le dita, disegnato su un foglio a quadretti, probabilmente durante una pallosissima lezione di diritto civile.

Ignorò suo padre e si rivolse a Parker. Il ragazzo del Queen arricciò le labbra, in attesa. Il terrore negli occhi sbarrati, speranzosi di ricevere una risposta positiva.

«D’accordo, d’accordo, senti… ti aiuterò a realizzare questa cosa, ma ad una condizione.»

Parker annuì. «Certo, dimmi.»    

Tony rimase silenzioso per qualche secondo, cercando di soppesare le parole, perché nella sua testa aveva già elaborato un discorso troppo estremista, che se esposto a voce, avrebbe potuto generare un’infelicità collettiva, e non era con quell’umore che voleva iniziare quel progetto. Era già difficile dover accettare il fatto che avrebbe dovuto lavorare con Parker, figuriamoci farlo iniziando col piede sbagliato.

«Non intralciarmi, non contraddirmi e non prendere iniziative senza prima chiedere il mio consenso.»

Suo padre sbuffò. «Tony…»

«No, fammi finire, è di vitale importanza! Lo sai come lavoro. Mi hai voluto qui, e sai – e lo sai, che sono l’unico in grado di realizzare la sua tuta», lo interruppe, lapidario, indicando Parker con un gesto drammatico, «Si sta alle mie regole».

Howard Stark serrò la mascella e inarcò le sopracciglia, già pronto a dar sfogo ad una durissima strigliata, che però troncò sul nascere quando Spider-Man parlò.

«D’accordo! Messaggio recepito. Quando si comincia?»

Tony ghignò e, cedendogli il foglio, iniziò ad arrotolarsi le maniche del maglione.

«Subito, ovviamente.»

 Fine Capitolo III

 

«He's a real nowhere man
Sitting in his nowhere land
Making all his nowhere plans for nobody»  
Nowhere Man – The Beatles

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¹ Così, un tributo velatissimo a “Born to Be Yours” (anche se forse ce lo vedo solo io XD)


Angolo Angoloso costruito sull'ipotenusa di Miryel (non la mia ipotenusa ma quella del triangolo rettangolo...???):
Salve!
Preseguiamo insieme il nostro
excursus nel passato, dove i nostro adorati (???) beniamini, grazie a Cupido Stark Senior, hanno trovato un buon motivo per passare dei bei momenti assieme. Che succederà? Si ammazzeranno?
No, perché altrimenti il primo capitolo che l'ho scritto a fa'? Ennamo!
Anyway, cazzate a parte, grazie a tutti per essere arrivati fin qui! Apprezzo la vostra pazienza nei miei riguardi!
Un abbraccio al cocomero (?)
Miry





 

 

   
 
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