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Autore: _Bri_    25/02/2019    12 recensioni
[Storia Interattiva - Iscrizioni Chiuse]
Mentre ad Hogwarts si sta svolgendo il Torneo Tre Maghi, da qualche parte, in Inghilterra, esiste un "Giardino Segreto" apparentemente bellissimo ed unico, ma che nasconde ben più degli incanti che lo immergono nel costante clima primaverile. Dodici celle, occupate da dodici creature che il dottor Steiner ha rinchiuso lì. Il motivo è sconosciuto, ma chi vi è rinchiuso dovrà lottare con tutto se stesso, per ottenere la libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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CAPITOLO VII
L’Anarchico e il Blasfemo
 
 

Bonnie Reed era una strega dalla bellezza fragile ed il fascino di una veela. Cresciuta con un solo obiettivo nella mente, ella aveva fatto di tutto per portare avanti la sua causa: entrare nell’alta borghesia, di cui solo la genia delle Sacre Ventotto faceva parte. Ambizioso, per una mezzosangue dalle origini materne Travers. Sua madre si era felicemente fatta abbindolare da un nato babbano molto sfrontato che ci mise uno schiocco di dita a circuirla ed ingravidarla. Da quell’unione benedetta dalla passione, nacque Bonnie. Ma la giovane strega si attaccò tenacemente alle sue origini dal sangue puro ed arrivò ad odiare suo padre grazie al quale, certo, era nata, ma che l’aveva condannata ad una vita insozzata dal marchio mezzosangue. A Bonnie in realtà non fregava nulla dalla purezza di sangue in sé; non aveva mai dato retta alle chiacchiere di quello che si faceva chiamare Lord Voldemort: la strega erano gloria, ricchezza e notorietà, che desiderava fin dalla più tenera età. Fu questo il motivo per cui l’affascinante ragazza si aggrappò con tutta se stessa ad Igor Rosier, ai tempi di Hogwarts. Se da una parte il mago era di certo affascinato da Bonnie, dall’altro la pressione sociale non gli permetteva di sbandierare in giro quell’amore che sentiva di provare nei confronti dell’accattivante strega. Per questo Igor cedette presto ad un matrimonio di facciata con una strega dal sangue illibato, relegando Bonnie al ruolo di amante. Un’amante da cui, in giovanissima età, aveva avuto un figlio a cui Igor Rosier non avrebbe mai e poi mai dato il proprio cognome.
Adrian crebbe in un villino di lusso con la madre, che passava la maggior parte del proprio tempo a disperarsi per il suo ruolo scomodo, che neanche la nascita di quel figlio illegittimo aveva riscattato. Occuparsi di quel piccolo terremoto era per Bonnie una tortura, che con il passare degli anni vedeva sfiorire la propria bellezza, unico passaporto, secondo la strega, per avere qualche possibilità di entrare in quei salotti opulenti ed esclusivi. Inoltre da ragazza madre quale si era ritrovata ad essere, occhiate sempre più diffidenti erano indirizzate a lei.
Igor si recava quando poteva nella villa: il piccolo Adrian lo vedeva come un generoso amico della mamma, che si presentava con regali costosi per lui e per Bonnie; quest’ultima invece crollava appena vedeva il mago varcare la soglia. Se durante i giorni di sua assenza non faceva che imprecare contro quell’infame che la trattava come una bambola, appena Igor sfoderava il suo accattivante sorriso ogni rimostranza andava a farsi benedire e Bonnie tornava ad essere la mansueta gattina di Igor.
Adrian realizzò intorno ai dieci anni, che quel Rosier fosse suo padre. Qualcosa aveva intuito, ma la certezza la ebbe ascoltando di nascosto una conversazione fra i due; il giovane mago sentì il risentimento e la rabbia montare in lui, perché quell’uomo che faceva loro visita da quando ne avesse ricordo aveva ridotto sua madre uno straccio e lo aveva lasciato senza una figura paterna di riferimento. La bella Bonnie passava le serate a bere, trascurandolo molto; non che fosse mai stata munita di istinto materno, questo era chiaro, ma ultimamente la situazione sembrava essere molto vicina al collasso.
Fortunatamente le cose cambiarono quando Bonnie decise di ospitare un cugino straniero, giovane promettente medimago. Adrian aveva accolto quell’ospite con scontrosità, non accettando che quel tipo frequentasse casa sua come fosse la propria.
Ma Robert Steiner a soli vent’anni aveva già sviluppato ottime capacità persuasive, portando il piccolo Adrian a mostrare per lui venerazione e devozione. Non c’era passo che Robert muovesse senza che il bambino gli stesse alle calcagna e questo compiaceva l’ambizioso mago, che rivide in quel piccoletto dai capelli di rame una leva da crescere e modellare a suo piacimento, anche se il caratteraccio iracondo del bambino era già delineato. Adrian Reed era come una cane sciolto, impossibile da tenere al guinzaglio; d’altro canto era lo stesso bambino che bisognava di una figura paterna e l’affascinante Robert, questo, lo aveva bene intuito.
Ci volle poco ad incanalare la rabbia nei confronti di Igor Rosier in altro; Robert aveva vissuto fino a quel momento a Monaco, ma le idee di Lord Voldemort erano arrivate con chiarezza anche a lui, essendo sua madre una Travers. Robert fu immediatamente affascinato da quel potente ed oscuro mago e la decisione di avvicinarsi ai suoi adepti fu impellente. Quindi, perché non cogliere l’occasione di coltivare quel giovanissimo mago in favore dei propri ideali?
Sarebbe stato un lavoro lungo, certo. Ma Robert aveva molto tempo a disposizione.
 
Adrian guardava con cipiglio Jules Airgood che, con le braccia conserte, teneva lo sguardo di Robert Steiner senza battere ciglio. Come ne fosse in grado, per lui era un mistero; Adrian non era mai stato davvero capace di ribellarsi a quell’uomo, che faceva parte della sua vita da quasi trent’anni. Volente o nolente, Robert era il mago su cui aveva sempre fatto affidamento: il dottore lo aveva tirato fuori dai guai in più di un’occasione, lo aveva calmato nei picchi d’ira più difficili da gestire e, specialmente, aveva provato a capirlo davvero. Sicuramente quella ragazzina non aveva con il dottore lo stesso rapporto, eppure anche lei aveva a che fare con lui da ormai molti anni. Ma allora come diavolo faceva a mantenere il punto in quel modo?
 
-Non mi pento di niente, lo ripeto.-
 
-Piccola Jules…-
 
-E non mi chiami piccola.-
 
Per un momento il sorriso del dottore divenne una rigida crepa; si riprese con iniziale difficoltà, tornando ai suoi modi concilianti:
 
-Sono preoccupato per te, lo capisci? Lo hai visto da te, che non riesci a gestire i tuoi poteri; sei ancora troppo giovane Jules, hai bisogno di essere seguita…-
 
-E per farlo era necessario rinchiudermi qui, dico bene? Mi dica: cosa ne pensano i miei genitori, dottore? Non lo sanno, vero?-
 
-Tu e queste altre persone che sono qui, in questo giardino…avete bisogno di contenere le vostre capacità…- tentò Robert, ma la piccola tassorosso attaccò di nuovo –E per farlo serve torturarci? Perché Roxanne Borgin ha scagliato una maledizione senza perdono ad un mio amico!-
 
-Le ribellioni vanno sedate, Jules.-
 
-Ma Alon non si stava ribellando!-
 
-Ora basta!-
 
Robert Steiner strinse i pugni, non perdonandosi quel moto d’ira; Adrian serrò le labbra e detestò il provare compassione per quella ragazzina, che aveva sgranato gli occhi ed aveva steso la schiena di ossa fragili sulla parete della cella. D’altronde Robert aveva ragione e questo, Adrian, lo ripeteva nella testa come un mantra.
 
-Falla uscire fra due giorni, come da accordi.-
 
Il dottore dette le spalle ai due, aprì la cella sferzando la bacchetta con furia e si affrettò ad uscire, lasciando che Adrian Reed gestisse il tempo di Jules, come avevano stabilito.
 
*
 
Gli occhi scuri di Yann si dedicavano ai pugni stretti sulle ginocchia. Le sue mani, grandi e ruvide, erano serrate in quella posizione da molto tempo. Percepiva il sangue tentare di defluire, interrotto dalla rigidità dei muscoli; si era risvegliato nella propria cella e non aveva ricordo di cosa fosse successo nel Giardino dopo che la Mangiamorte lo aveva schiantato. Era passato un giorno, poi un altro, ma nessuno aveva più aperto la sua grata. Magicamente appariva il cibo in tempi prestabiliti e lui tentò anche di rifiutare un pasto, per poi accorgersi che il piatto con le vivande scomparisse dopo trenta minuti, senza essere intaccato. La seconda volta non fu così sciocco e si affrettò a consumare ciò che gli venne “offerto”. D’altronde fare lo sciopero della fame sarebbe stato inutile, ne era ben consapevole; era gente senza scrupoli quella con cui aveva a che fare ed Yann conosceva bene le persone senza scrupoli e dalla morale corrotta. Purtroppo il mago non riusciva a mandare giù quanto successo; sapeva che si sarebbero beccati una punizione per la reazione che avevano avuto, ma non si trovavano mica fra i banchi di scuola, loro: erano rinchiusi senza conoscere il reale motivo e venivano trattati come bestiame, non avrebbero potuto sottostare ancora a certe vessazioni.
Il conosciuto cigolio della cella indicò che era giunto il momento che Yann uscisse di lì; lo stupore lo investì quando, alzando gli occhi dai pugni ancora serrati, vide fare il proprio ingresso nella cella Roxanne Borgin, sorridente come nulla fosse successo. Fu in quel momento che Yann sciolse i pugni, alzandosi con uno scatto felino dal suo letto. Roxanne passò una mano sull’acconciatura con distrazione, prima di piegare le labbra in un sorriso morbido.
 
-Calmo…Yann, giusto? Sono venuta in pace.- cinguettò lei, con un tono eccessivamente melenso, che allarmò Yann. La Mangiamorte fece qualche passo nella sua direzione senza mostrare cautela: -Purtroppo abbiamo perso tutti le staffe, non trovi?-
 
Il mago incrociò le braccia, mettendo in mostra i muscoli che Roxanne adocchiò senza tentare di mascherarlo.
 
-Perché sei qui?-
 
-Per fare la pace, sciocchino, te l’ho già detto.-
 
-Non venire a raccontare cazzate a me, Borgin: so come funziona il mondo purtroppo e so bene che quelli come te non fanno mai nulla per nulla.-
 
Una piacevole risata scivolò dalle labbra dipinte di lei. Yann la osservò con circospezione, a lungo; ricordava quella donna ai tempi di Hogwarts, quando non era che un ragazzino ancora molto insicuro: la giovane strega veleggiava per i corridoi circondata da un’aura ricca di fascino, sempre in compagnia di qualcuno. Di lei si diceva di tutto: una serpeverde dal sangue puro, figlia di uno dei soci del più losco negozio di Magia Oscura di Knockturn Alley, spesso al fianco del minore degli eredi Black. Bellissima, perfida, inarrivabile. Ecco chi era Roxanne Borgin ad Hogwarts ed Yann, fiero Grifondoro, l’aveva sempre guardata con sospetto, seppur certe volte gli ormoni adolescenziali avessero la meglio su di lui, portandolo ad indugiare lo sguardo sulla strega un po’ più a lungo di quanto sarebbe convenuto. Ma erano cresciuti, arrivando a coprire lo scomodo ruolo di detenuto e carceriere. Per quanto bella fosse, non esercitava di certo lo stesso fascino di quindici anni prima.
 
-Penso che ti convenga accettare il mio patto di non belligeranza, Reinhardt; non sono venuta qui per ribadire i nostri ruoli, non credo ce ne sia bisogno, giusto?-
 
Roxanne giocherellava con la bacchetta, mentre i penetranti occhi chiari erano puntati nei suoi. Yann valutò fosse un buon momento per agire, anche se non sapeva esattamente come. Ma al solito non rimase troppo tempo a riflettere, preferendo l’azione alla pianificazione: con uno scatto s’allungo verso di lei, tentando di afferrare la bacchetta fra le sue mani. Roxanne sgranò gli occhi e tirò indietro la mano, ma ciò che accadde la mandò su tutte le furie: la mano perse la presa della bacchetta, che compì una traiettoria ad arco passando, con tragica ironia, fra le sbarre della cella.
 
-Ma che cazzo!- Si fece sfuggire Roxanne; piroettò verso la cella, e seguì con incredulità la sua bacchetta rotolare via sulla soffice erba del giardino.
 
-Oh no…no…no!- Gridò, aggrappandosi con le mani alle sbarre. Yann incrociò le braccia e sorrise soddisfatto. Non era esattamente ciò che aveva sperato, ma aveva comunque ottenuto un ottimo risultato. Quando la donna si voltò, furiosa, verso di lui, si scontrò col sorriso malandrino di Yann:
 
-Temo che per un po’ di tempo non ci saranno più ruoli in questa cella…giusto?-
 
-Idiota! Verranno a recuperarmi quando non mi vedranno tornare!-
 
-Certo, ma fino a quel momento sarò io ad avere la meglio.- Yann allargò il sorriso; Roxanne guardò inorridita il palmo dell’uomo aprirsi ed una fiamma di medie dimensioni liberarsi da esso. Non andava affatto bene.
 
*

 
A Cora Dagenhart era stata concessa una spazzola, con la quale con accortezza aveva preso a strecciare i lunghi capelli castani, con gli occhi socchiusi e la mente altrove. Con ogni colpo di spazzola tornava qualcosa che William Lewis le aveva confidato, senza mostrare particolare ritrosia. Cora era stata totalmente rapita dai racconti di quel mago, che aveva mostrato l’insolita capacità di metterla a proprio agio, tanto che aveva smesso di muoversi come un ciocco di legno, in sua presenza. Le setole morbide scivolavano lungo la chioma. Il respiro si regolarizzava sempre più. I ricordi di due giorni prima sempre più nitidi; ricordi di quell’uomo, seduto scomposto sulla sedia che in quel momento era lei ad occupare, mentre raccontava di sé come stesse cantando di una favola antica.
 
“Dottor Faustus era il mio nome, quando presi ad offrire una melodia al ‘vuoto’. Versi e spartiti, sono sempre stato questo e poco altro, mentre il mio spirito irrequieto spingeva la parte più apatica del mio essere in città dai colori e i profumi vividi e pieni: Istanbul, Mosca, Berlino, la regale Vienna. Ho sempre rifuggito i legami soffocanti, probabilmente perché non sono che un vigliacco…”
 
Lo sguardo vivido di Cora seguiva le labbra di William, come se quelle stessero confessando degli arcani segreti.
“Io, a pane e dolore, ci sono cresciuto. Divoro l’oblio degli altri da quando ne ho memoria. Da piccolo ingoiavo solo pezzetti quasi insignificanti; magari catturavo il male generato da un ginocchio sbucciato, o da una caduta dall’altalena. Neanche me ne accorgevo, sai…succedeva e basta; i miei coetanei stavano bene e a me veniva un forte mal di pancia, come avessi mangiato troppe caramelle. Col tempo mi resi conto che potevo mangiare di più, tanto di più. E ad ogni mio pasto liberavo qualcuno da qualcosa di grande; ripulivo loro per avvelenare me.” Will accennò una risata stanca “Sono uno ‘spazzino di anime’, Cora. Se non mi facesse tanta paura, probabilmente sarei morto; credo che la mia codardia sia semplice spirito di auto conservazione.”
 
“Quindi tu…trattieni il male degli altri? Quello che ricordo di aver visto dopo il tuo intervento su Victor Selwyn…”
 
William negò, scuotendo la chioma disordinata “Crescendo ho imparato un metodo per…rigettarlo, ma è molto complicato e c’è il rischio che qualcosa rimanga incastrato dentro di me. Ho dovuto imparare per forza a disfarmi di tutto questo male.”
 
“Non potevi semplicemente smettere di farlo? Di prenderti il dolore degli altri?”
 
Il mago accennò una risata: “Avrei voluto, e come se avrei voluto…purtroppo non ho avuto una famiglia molto altruista. Mangiamorte che hanno fatto di tutto per sfruttarmi per la loro causa. Fieri purosangue che hanno sempre anteposto i loro benefici alla mia stessa vita. Mio padre avrebbe fatto di tutto, pur di conquistarsi un posto d’onore al fianco di Tu-sai-chi.”
 
Cora rabbrividì senza volerlo. Le parole di William la colpirono con incredibile violenza, mettendola davanti ad una realtà che aveva sempre voluto non osservare; lei, del resto, non si sentiva poi così diversa da quelle brutte persone di cui andava parlando William. Tentò di mascherare i suoi sentimenti; così chiese con tono delicato:
 
“Posso sapere il nome di tuo padre? So per certo che il tuo cognome non è portato da famiglie di purosangue…”
 
William la fissò a lungo. Cora sentì quello sguardo, apparentemente apatico, bruciarle la pelle. Si rese conto di aver trattenuto a lungo il respiro solo quando William rispose alla sua domanda.
 
“Roman Dolohov, questo il nome di mio padre. Ho rifiutato il suo cognome quando sono scappato da lui. Sei troppo giovane per sapere chi sia, ma forse nei salotti che frequenti, avrai incontrato il mio ‘caro’ fratellastro maggiore: Antonín.”
 
Seppur abilmente celato, Cora aveva riconosciuto il risentimento intrecciato alle parole di William, che avevano fatto accelerare il battito del suo cuore. Dunque William era…
 
“Per fugare ogni tuo dubbio e per aiutarti a sciogliere la paresi del tuo bel viso: si, sono il bastardo dei Dolohov. Mia madre era un’abile pozionista, ma aveva un difetto molto grande: era innamorata di mio padre che, pensa un po’, era già sposato. Curiosa la vita, non trovi? Per anni quella povera donna ha cresciuto un figlio illegittimo con amore e dedizione, cercando di tenermi lontano dal mago per cui aveva perso la testa, ma reputava spaventosa la sua devozione per Tu-sai-chi. Peccato che proprio il Mago Oscuro le abbia portato via la vita, dando una grande sterzata al mio destino; a otto anni mi sono ritrovato a vivere con un uomo che non conoscevo affatto e con un fratello che non sapevo di avere.”
 
“William…”
 
“No, Cora, non è stato piacevole. Quel mostro di Roman Dolohov aveva capito che quel bambino possedesse qualcosa di raro, molto raro ed ha pensato di sfruttarlo al meglio: ha offerto i miei poteri alla causa del Signore Oscuro e poco gli importava che io uscissi dilaniato da ogni mio pasto…”
 
Cora non seppe spiegarsi il motivo, eppure sentì le lacrime bruciare gli occhi. Probabilmente qualcuno l’avrebbe chiamata empatia; poco le importava dare una spiegazione alla sua reazione; la strega sapeva solamente che avrebbe voluto prendersi un po’ di quel dolore, pur di alleviare William Lewis dalle sue pene, almeno un po’.
 
*
 
-Quindi mi stai dicendo che vi hanno rinchiusi nella stessa cella?-
 
Seduta a gambe incrociate sulla morbida erba, Martha fissava Victor con speculare postura, sito davanti a lei. Con Evangeline ed Alon avevano creato un piccolo cerchio.
 
-Esatto, per un’intera giornata. Ed io che volevo solo leggere, invece ho dovuto fare da balia a questa ragazzina qui.- concluse il magigiornalista indicando Evie con un pollice e scatenando in lei totale disappunto.
 
-Non avevamo raggiunto un accordo?!- Evie, indispettita, smollò una manata sulla spalla sporgente di Victor.
 
-Comunque…- Martha riportò il gruppetto sulla giusta conversazione, -Alistair, il ragazzo babbano per intenderci, ha dato la giusta scossa al mio intuito e mi ha fatta ragionare su una cosa molto sensata: alla luce di quanto mi avete detto e grazie al suggerimento di Alistair…ci deve essere un motivo che li sta portando a suddividerci in gruppi ben prestabiliti, qualcosa che non stiamo prendendo in considerazione.-
 
-Dobbiamo continuare a rifletterci su; cosa ci accomuna se non i nostri- Alon virgolettò la parola con le dita –poteri extra?-
 
-Che siamo tutti dei reietti?-
 
In sincrono, i quattro si voltarono a gettare un’occhiata a Maze, stesa al sole come nulla fosse, a godere della tintarella.
 
-Parla per te denti aguzzi, io sono un mago brillante e di successo.- Victor tirò indietro i capelli con una mano.
 
-E anche molto modesto.- Aggiunse Evie, facendo ridacchiare Martha ed Alon.
 
-Comunque non vi sembra che ci sia troppa calma? Dove sono finiti i cani da guardia secondo voi? Non che io abbia troppa voglia di averci a che fare dopo quello che è successo un paio di giorni fa…- Alon si incupì di botto, ma l’esclamazione di Victor lo fece riprendere subito.
 
-Eccola, la più splendente strega di tutto il Regno Unito!-
 
Con passo leggero, Jules si affrettò a raggiungere il gruppo che si mostrò felice di vederla, tranne Maze che non aveva ancora mai incontrato la Tassorosso. Il vampiro osservò Victor ed Alon litigarsi la presenza di quella piccola, incantevole strega, mentre Evangeline la osservava con stupore.
 
-Sarai mica Jules Airgood?!- chiese la giovane, mentre Jules si beava della stretta delle braccia di Alon.
 
-E tu la prefetto dei Serpeverde, giusto?-
 
Evangeline annuì, sfoderando un amaro sorriso: -Sarei stata Caposcuola…avevo ricevuto la spilla.-
 
-Sarebbe stato un grande disonore per noi ex studenti di Salazar il magnifico.-
 
Evie rimbrottò Victor: -Fammi capire, sei mai stato prefetto o caposcuola, tu?!-
 
-Ma figuriamoci, era troppo occupato a mandare avanti il giornalino scolastico infarcendolo di bufale.- Martha offrì un sorriso acido all’amico che, di tutta risposta, le mostrò il dito medio.
 
Mentre i tre bisticciavano e si punzecchiavano, Mazelyn tornò alla sua tintarella, trovandola un’attività più gratificante dell’ascoltare quelle baggianate. Invece Alon si lasciava intrecciare i capelli da Jules dopo essersi fatto raccontare da lei cosa fosse successo in presenza di Robert Steiner e, specialmente, accertandosi che stesse bene. Con un lieve rossore in viso, intanto che si dilettava a costruire una lunga trecciolina, Jules si rivolse al mago:
 
-Senti Alon…ma tu ce l’hai la ragazza?-
 
Alon ridacchiò: -E tu ce l’hai il fidanzatino? Ahi!-
 
La streghetta aveva appena strattonato l’incompleta treccina -Ehi! Guarda che sono seria…non prendermi in giro!-
 
-Va bene, scusami…- Alon tentò di non scoppiare a ridere –Comunque no, attualmente direi di no. Che c’è, sei gelosa? Ahi! Ok, questa me la sono meritata!-
 
Jules, ormai diventata di un intenso color pomodoro, assottigliò lo sguardo e riprese la costruzione della treccia. –Beh, allora ce l’avrai, se la cosa può interessarti.-
 
-Dici? Grazie per la fiducia.-
 
-Guarda che l’ho vista!-
 
Quell’affermazione  fece zittire di botto tutti che puntarono l’attenzione su Jules (persino quella di Mazelyn che si accostò al gruppo), la quale batté un paio di volte le palpebre prima di parlare: -Che c’è?-
 
-In che senso l’hai vista, Jules?- Chiese Alon, tastandosi distrattamente la testa su cui spuntavano treccine sparse ed un paio di margheritine.
 
-Beh…quando ho perso il controllo l’altro giorno…presente quando sono svenuta?-
 
Alon annuì, incitandola a continuare, così Jules lanciò uno sguardo agli altri, prima di arrossire di nuovo ed abbassare lo sguardo: -Non sono proprio svenuta, credo…mi era già successo un’altra volta sai…c’eri sempre tu! Solo che eri più…vecchio!-
 
Victor prese la parola: -Hai incontrato Alon ma era come fosse cresciuto…ci hai parlato?-
 
Jules si affrettò a scuotere il capo: -In entrambi i casi ci ho provato, ma era come non fossi lì, cioè c’ero, ma lui non mi ha vista né sentita…e poi è arrivata una ragazza e si sono abbracciati…- Ancora più imbarazzata, la ragazzina accostò la bocca all’orecchio di Alon e si coprì con una mano –Forse vi siete anche baciati…-
 
-Ti sarai sognata tutto, piccola…magari hai preso una botta in testa.- Mazelyn si intromise percependo nuovamente il tedio fare capolino; probabilmente era meglio tornare a godere di quei raggi solari che erano una sorta di benedizione per lei, piuttosto che star dietro alle chiacchiere di una ragazzina. Fu la voce di Evie a sovrastare la sua:
 
-Mi è successa una cosa simile, una volta…cioè non con Alon e la sua presunta fidanzata, però…-
 
Martha e Victor si lanciarono subito uno sguardo d’intesa, comprendendo al volo che anche loro avevano avuto una simile esperienza.
Forse stavano arrivando a scoprire qualcosa di davvero importante?
 
-Nessuno di voi ha fame? Io sto morendo di fame.-
 
L’affermazione di Mazelyn che, in piedi, si passava le mani sulla pancia e mostrava un sorriso smagliante, raggelò tutti quanti: forse il fatto che si trovassero senza custodia in presenza di un vampiro che si diceva “affamato”, non era una buona cosa.
Dove erano finiti i loro secondini?
 
*

 
Adrian procedeva con passo pesante, una sigaretta consumata in bocca e la bacchetta in mano, verso un sentiero a lui ben conosciuto. Man mano che si avvicinava alla sua cella percepiva la condizione d’ansia aumentare esponenzialmente. In realtà erano ormai molti anni che Elyon Yaxley gli faceva quell’effetto, anche se non aveva mai voluto accettarlo del tutto. Il fatto poi che la strega fosse rientrata nei piani di Robert e che si trovasse alla mercé del dottore, rinchiusa dentro una delle celle del Giardino, non migliorava la sua condizione d’angoscia. In realtà, Adrian, non avrebbe mai voluto tutto questo; aveva assecondato i piani di Robert Steiner per più di un motivo: trovava difatti che la sua causa fosse giusta. Decise di credere a ciò che continuavano a ripetergli, ovvero che la rinascita dell’Oscuro Signore fosse vicina, molto vicina e che era meglio ritrovarsi dalla parte giusta della barricata, quando sarebbe successo davvero. Inoltre il cugino di sua madre era stato l’unica persona vagamente simile ad un padre per lui e sentiva di dovergli i suoi servigi. In un mondo in cui sarebbe stato considerato poco più di un reietto, Robert aveva spianato la strada al suo posto e gli aveva permesso, inoltre, di non mettere mai del tutto la testa a posto, cosa che risaltava il suo spirito individualista e, perché no, anticonformista. Di fatto Adrian era sempre stato un blasfemo. Era chiaro il motivo per cui fosse finito in grifondoro, dato che aveva sempre ammesso con coraggio ciò che pensava: che la maggior parte di quei coglioni dei suoi coetanei, che si vantavano del sangue puro che scorreva nelle loro vene, avevano ben poco di cui elogiare le loro famiglie, che nell’intimità delle mura da cui erano circondate passavano il proprio tempo a scrostare via le macchie delle loro colpe. Insomma: il mondo di cui faceva parte Adrian Reed era il medesimo su cui sputava sopra, senza porsi alcun problema. Un posto in cui lui per primo si prendeva i suoi spazi e le proprie rivincite a suon di colpi di testa, letterali e non. Adrian si prendeva ciò che reputava giusto accaparrarsi, scansava ciò che non desiderava e camminava, perennemente, sul filo di un rasoio; in tutto questo Robert si mostrava comprensivo e continuava a ripetergli che in quella testa non proprio comune, si nascondevano grandi potenzialità e che se fosse stato furbo, avrebbe ottenuto un posto d’onore al seguito di Lord Voldemort.
In questo panorama atipico, fatto di alti e bassi, corse forsennate all’insegna del riscatto personale e duro lavoro per mettere a tacere gli invidiosi, una persona era sempre stata in qualche modo al suo fianco. Quella stessa persona che in quel momento si ritrovava al di là delle sbarre, con quei lunghi capelli rossi profumati di buono e quegli occhi, che si scontrarono con i suoi, più incerti, ma pronti ad accoglierli.
 
 
“Rob! Dove sei stato?! Mi sono rotto le palle tutto il giorno!”
 
“Linguaggio, Adrian! Sono stato dalla mia supervisora, come sempre. Sua figlia passerà il resto della giornata qui da noi. Trattala bene, mi raccomando.”
 
Un caschetto di capelli di fuoco si muoveva, con rapidità, nel giardino di casa sua. Adrian guardò quella ragazzina con cipiglio, perché non era affatto abituato ad avere a che fare con individui più piccoli di lui. Le gambette secche correvano da un lato all’altro, esaltandosi per ogni forma di vita che scorgeva fra l’erba alta. Come si fosse accorta in quel momento della sua presenza, Elyon si arrestò e puntò lo sguardo vispo su Adrian che, arrabbiato per quell’intrusione, aveva allacciato le braccia e aveva messo il broncio. Ma lei non s’arrese a quel muro ed a lui si avvicinò allegra, presentandosi e invitandolo a giocare con lei. Adrian non accettò, ma rimase a spiarla per tutto il pomeriggio, scoprendo con stupore che ogni cosa che della flora toccasse, si gonfiasse di vita.
 
 
-Che ci fai qui?-
 
Adrian aprì la cella con un fluido colpo del legno e dopo essersi lanciato un fugace sguardo intorno, entrò al suo interno. Elyon s’era ritratta, spingendosi lontana da lui e lo guardava con sospetto e rabbia. Era sempre così arrabbiata, Ellie.
 
-Dobbiamo parlare.-
 
 
Aveva deciso di accoglierla nel proprio vagone, visto che Elyon Yaxley sembrava già in difficoltà anche se quello non era che il suo primo giorno di scuola. Quell’idiota di Rosier l’aveva maltrattata, a quanto aveva capito. Ad Adrian non interessò affatto, il motivo per cui quella pulce gli avesse chiesto asilo; si limitò ad assecondarla e a farsi beffa di lei, che dal basso dei suoi undici anni, aveva tentato di darsi un tono distaccato, chiudendosi in un angolino con un libro tenuto al contrario.
 
“Guarda che possiamo chiacchierare se hai voglia, non mordo mica!”
 
La gaffe fece arrossire la bambina, ma le dette anche il pretesto per avvicinarsi a lui e spalancare la bocca ad un tripudio di parole, che accompagnarono tutto il loro viaggio, fin quando Adrian non s’addormento. Al suo risveglio si ritrovò solo, in compagnia di una bellissima dalia bianca, infilata di sbieco in una delle tasche del suo mantello sgualcito.
 
 
-Quanto è passato? Un mese? Di più? Non ti sembra un po’ tardi per farsi una chiacchierata, eh?!-
 
Tutto, di Elyon, lasciava intendere fosse furibonda, disperata, una donna a pezzi. Adrian poteva dire di conoscerla molto bene e per questo aveva velocemente richiuso la cella: se doveva succedere qualcosa di grosso, se la sarebbero vista loro due, in quella cella. Con un sospiro allungò il passo verso di lei, che lo fissava con incredulità; se era vero che in quella cella non avrebbe potuto richiamare i poteri della terra, era altrettanto vero che ad Elyon Yaxley non serviva affatto. Lo avrebbe spezzato in ogni modo, aveva le armi per farlo.
 
-Ellie…sediamoci.- tentò di mascherare il suo solito tono burbero per mostrarsi conciliante, ma ella lo provocò ancora:
 
-Perché dovrei darti retta, Adrian? Mi hai tradita…lo sai che riponevo fiducia in te e tu hai preso questa fiducia e l’hai calpestata senza alcun riguardo!-
 
Adrian non era uno che sapeva portare pazienza; se ci aveva provato, con lei, sentiva di aver fallito ancora una volta. Con rapidità afferrò il suo polso, gracilissimo sotto la sua mano pesante ,che lo stritolava incurante del male che potesse provocarle:
 
-Io ho tradito te? Ti devi essere fottuta totalmente il cervello, se hai il coraggio di dire una cosa così!-
 
Gli occhi di lei vibrarono impauriti, davanti allo sguardo glaciale di Adrian Reed, attraverso il quale poteva leggerne i ricordi con nitidezza.
 
Perché provasse quello spiccato spirito di protezione nei confronti della strega, Adrian non sapeva dirlo. Ma non riuscì a rimanere fermo a guardare, sapendo che Elyon vivesse con un simile mostro.
 
“Ellie, senti…perché non…perché non vieni via con me?” le dita tirarono indietro i capelli con gesto nervoso e imbarazzato, “Non ho molto spazio a casa, ma tanto per ora rimarrai ad Hogwarts e quando avrai finito, con i tuoi voti…non avrai difficoltà a trovare un buon lavoro.”
 
Ma a quell’appuntamento, Elyon non si presentò mai. Adrian si era esposto, aveva messo da parte il lato peggiore di sé, per offrire una mano a quella ragazzina che ancora frequentava la scuola, rischiando di tirarsi dietro le ire di molti, in primis di sua madre Camilla. Non era stato che uno sciocco, un idiota come tanti, fregato da una strega che si era presa gioco di lui, accettando il suo invito per poi lasciarlo, da imbecille quale era, ad aspettarla invano. Fu a quel punto che Adrian decise di riporre in un cassetto i suoi buoni sentimenti, quelli che lo avevano fatto titubare nell’accettare di prendere il marchio, che il Signore Oscuro gli aveva offerto e di cui doveva sentirsi onorato. E proprio mentre quello veniva posto sul suo braccio macchiato d’efelidi, i suoi pensieri assunsero un gusto amaro, perché nonostante tutto quella lunga chioma fulva e quei grandi e nervosi occhi chiari non volevano prendere le distanze dalla sua mente.
 
 
-Ne abbiamo già parlato…- sibilò Elyon, tirando via il polso, ancora trattenuto da Adrian –Non l’hai ancora capito che l’ho fatto per te? Non volevo coinvolgerti nella mia vita di merda…non dovevi essere tu a rimetterci! Ma guarda cosa ho guadagnato in cambio,- dalla bocca di Elyon sfuggì un accenno di risata isterica –una cella cupa, le torture di quella puttana e l’obbligo di scegliere fra la nostra sopravvivenza e quella di tutti quei poveracci rinchiusi come me! Dimmelo tu, se pensi che mi meriti tutto questo!-
 
Adrian sentiva il cuore battere nella gabbia toracica con velocità eccessiva; ancora una volta si ritrovò a non capire se fossero maggiori le colpe o le virtù di Elyon. D’altro canto lei aveva tentato di tradire sia lui che Robert e su questo non poteva soprassedere. Inoltre ci furono altri elementi, che lo portarono a stringere ancor più la presa intorno al polso e piegarsi per far si che i loro volti si sfiorassero.
 
-Che mi dici allora della tua immonda relazione con quella feccia?-
 
Lo stupore nello sguardo di Elyon lo portò a sorridere: -Credevi davvero non lo sapessi? Credevi che Robert non mi avrebbe detto che il tuo rapporto con quel mostro andava ben oltre il tuo contagio? Mi hai sempre detto di riporre fiducia in me, ma hai dimostrato il contrario.-
 
-Ad…-
 
-Ora ho capito perché mi hai umiliato con il tuo rifiuto…pensavo di non piacerti, o che semplicemente fossi pazza. Invece era per Fenrir Greyback, che allargavi le gambe! Che scemo che sono stato, vero? Dovevo capirlo che non potevo andare bene per una come te.-
 
 La furia montò nel gracile corpo di Elyon, esposto in sussulti nervosi mentre il volto veniva piegato da urla sfinite:
 
-Ero una ragazzina! Tu sai quello che ho passato…lo sai! Ma quando noi...quando ci siamo avvicinati, avevo chiuso da tempo con Fenrir!-
 
-Quindi non andavo bene nemmeno come scarto di Greyback, giusto?- Elyon afferrò la sua camicia con foga.
 
-Quel bastardo di Robert! È stato lui a inculcarti queste stronzate in testa, non è vero?! Non ti è venuto in mente che ti ho allontanato perché avevo paura di infettarti?!-
 
Bugie, solo altre bugie. Adrian non ne poteva più di sentire Elyon accampare scuse. Nonostante questo continuava ad essere attratto da lei, come fosse una falena in cerca di luce notturna. Quella luce che lo avrebbe condotto alla morte, ma di cui non riusciva a fare a meno.
E se quello era amore, Adrian Reed avrebbe voluto farne volentieri a meno.
Elyon era aggrappata con disperazione alla sua camicia e continuava ad urlare, mentre lui non riuscì a fare altro, se non afferrarle il volto con una mano e stringere le sue guance scavate, costringendola a fissarlo.
 
-Infettarmi? Sono anni, che sono infetto di te…mi logori Elyon. Continui a farlo…e io sono stanco.-
 
Con un movimento indelicato la spinse lontana da sé; voleva rimanere, ma voleva anche fuggire via da lei.
Quella dicotomia emozionale, Adrian non la sopportava più.
 
*
 
Odette osservava Joshua con curiosità. A quanto aveva capito, quel metamorfo ed il suo amico Lucas erano stati rinchiusi nella stessa cella per un’intera giornata, ma per quanto si sforzasse ancora non ne aveva capito il motivo. Inoltre riflettere le risultò abbastanza complicato in quel momento, visto che il grande e grosso auror non faceva che stuzzicarla, sballottarla di qua e di là, tentare di farle il solletico e via discorrendo. Odette era ben consapevole che il suo amico stesse approcciando a lei in questo modo solo per attirare l’attenzione di quel Joshua che, dal canto suo, manteneva un’espressione neutra, seppur tradisse di tanto in tanto un lieve sorriso.
 
-Luke basta…basta! Sia benedetta la prosperità di Tosca…che diavolo ti è preso oggi?!-
 
-Rilassati Dettie! Sto solo tentando di sfogare un po’ di tensione accumulata in questi giorni…e tu sei così piccola e graziosa: sei perfetta da strapazzare!-
 
Odette si limitò ad incrociare le braccia e sorridere dolcemente: -Non so se te lo ricordi, tesoro, ma sei un pessimo occlumante; sai quanto ci metterei a leggere i tuoi pensieri e sbandierarli al tuo amico lì? Beh te lo dico io: niente. Perciò vedi di darti una calmata e torniamo a tentare di fare qualcosa di utile.-
 
Alistair lanciava sguardi interdetti alla strana coppia di amici che confabulava poco distante, mentre Joshua continuava a ricoprirlo di domande su chi avesse incontrato, cosa avessero scoperto, quale secondo lui sarebbe stata la cosa giusta da fare nei prossimi giorni. Di tanto in tanto il metamorfo faceva fluttuare lo sguardo su Lucas, per poi tornare su Alistair come nulla fosse, ma Al si rese conto che Joshua dava l’idea di essere molto più rilassato, rispetto al loro ultimo incontro. Certo, era vero che l’ultima volta si erano visti in un occasione non proprio felice, con lui che resuscitava cani a caso, mentre altri perivano, però era abbastanza sicuro di aver intuito un avvicinamento tra quei due e, di conseguenza, un maggiore rilassamento da parte di Joshua.
 
Odette ed Alistair si guardarono e capirono che era giunto il momento di avvicinarsi e cominciare a parlare fra di loro, perché né da Joshua, tantomeno da Lucas, avrebbero ottenuto troppa attenzione. Se non che, Lucas, si spazientì dopo poco, dando mostra di uno dei suoi repentini cambi d’umore.
 
-Non è una buona cosa quella a cui stai pensando, Luke.-
 
-Dato che non ti risparmi di leggermi la mente, quantomeno dammi una mano!-
 
-Di c-che cosa s-s-state parlando?-
 
Odette passò le mani sui lunghi capelli scuri, tirandoli indietro: -Lucas vuole tentare di scavallare una siepe, visto che pare non ci sia nessuno a controllarci.-
 
-È la cosa più stupida a cui avresti potuto pensare. Robert Steiner avrà pensato a tutto, figuriamoci se ci permetterebbe di fare una cosa simile.- Joshua ci mise poco a mostrarsi di nuovo ritroso e velatamente acido.
 
-Ho capito, nessuno di voi è d’accordo…ma almeno io tento di fare qualcosa di produttivo, al contrario vostro.-
 
Mentre Lucas parlava con fare concitato, la terra dietro di lui cominciò a scuotersi e da quella, d’improvviso, sbucò una spessa liana di un cupo verde che, agitata, impattava sul terreno soffice. I tre guardarono Lucas sconvolti, dato che quello non dava l’idea di rendersi conto cosa stesse combinando.
 
*

 
In quel momento, mentre si avviava con il solito passo pesante ed annoiato verso il luogo a lui destinato, William sentiva una voglia impellente di fumare una sigaretta. Non gli capitava spesso, ma negli ultimi giorni aveva tirato fuori più di una questione che, annidata nel profondo del suo animo, dormiva profondamente. Quella reclusione forzata con l’erede Dagenhart aveva risvegliato ricordi belli e brutti e William si era ritrovato a spiattellarli alla giovane e bella Cora senza porsi domande. Ovviamente quello non aveva che contribuito a turbarlo molto, da qui l’impellente bisogno di nicotina che il suo corpo reclamava con impazienza. Non erano tanto le questioni legate alla sua infanzia a bruciargli, né a come quell’uomo che non riusciva davvero a definire come padre avesse sfruttato il suo potere: mentre lo sguardo acquoso si perdeva nel verde di quel giardino incantevole e al contempo terribile, William soffrì ancora, nel ricordare quelle persone che si erano prese cura di lui come facesse parte della famiglia.
 
 
Cuore e anima di William, non erano che ridotti ad un sminuzzato cumulo di brandelli. Ancora non riusciva a concretizzare il tragico accaduto, incapace di accettarlo davvero. Perché Fabian e Gideon Prewett, che lo avevano accolto come fosse un fratellino da accudire, erano stati uccisi da qualcuno a lui molto vicino. Se il loro omicidio avvenuto per mano di un noto mangiamorte potesse apparire casuale e scontato, per i membri dell’Ordine della Fenice, William sapeva di esserne almeno in parte colpevole.
Sua madre aveva sempre avuto un forte legame con la famiglia Prewett ed il suo ascendente su Fabian era ben noto a tutti, nonostante i dieci anni che passavano fra i due; questo il motivo per cui la donna, che temeva per la propria incolumità in quanto sapeva che Lord Voldemort avesse messo gli occhi sulle sue incredibili capacità di pozionista, aveva deciso di confidarsi con il mago e chiedergli di occuparsi di suo figlio, nel caso a lei fosse successo qualcosa di brutto. Fabian aveva tentato di convincere Evelyn a farsi proteggere dall’Ordine, ma la strega si era rifiutata, visti i suoi complicati rapporti con il padre di William. Di fatto si sarebbe limitata a declinare l’invito dei Mangiamorte di produrre per il Signore Oscuro le sue potenti pozioni, come il distillato di morte vivente, sperando di non andare incontro a fatali conseguenze. Purtroppo così non era stato, motivo per cui William era prima andato a vivere con Roman e, una volta compiuti i diciassette anni, scappò per trovare rifugio dai fratelli di Molly Weasley. Questi si erano occupati di lui, facendogli capire cosa volesse dire essere amato, di un amore sincero che nulla aveva a che fare con scopi altri; mai e poi mai Gideon e Fabian, né nessun altro membro dell’Ordine, avevano tentato di sfruttare il potere di William.
Ma Antonín Dolohov, il suo fratellastro, mai aveva mandato giù né che suo padre avesse accolto quel ragazzino in casa sua, né che William sebbene più piccolo di lui, dimostrasse di avere un potere magico decisamente più elevato di Antonín. Quest’ultimo si era nutrito di gelosia, che era riuscito a sedare solo quando aveva capito che il padre volesse sfruttare William e che non nutrisse per quest’ultimo reale affetto.
William era sicuro che Antonín non aspettasse altro e che avesse goduto, nel farsi affidare l’omicidio dei due fratelli Prewett; la sua bacchetta sarebbe stata l’arma con cui avrebbe colpito il fratello tanto odiato, ma in maniera più subdola, ovvero strappandogli le uniche persone che avevano mostrato attaccamento per lui.
 
Ai funerali per i due valorosi compagni dell’Ordine, William si sentiva di troppo. Sapeva che il suo senso di colpa non avesse radici concrete, eppure non riusciva a trovare un senso alla sua presenza a quella funzione.
 
Se non lo avessero accolto.
Se non lo avessero accettato.
Se non lo avessero voluto con loro.
 
Se Gideon e Fabian gli avessero voltato le spalle, probabilmente sarebbero stati ancora vivi. Forse per questo motivo, senza rifletterci davvero e non curandosi delle conseguenze, William si avvicinò a Molly Weasley, spezzata dal pianto, con la volontà di assorbire almeno un po’ del suo dolore.
Se ne andò subito dopo, con quel grande peso sullo stomaco e con la consapevolezza che non avrebbe potuto fare più di così.
William era di nuovo solo.
 
 
Deglutì, William Lewis, con la volontà di ricacciare indietro le lacrime, insieme ai terribili ricordi. In realtà parlarne con Cora era stato liberatorio e la cosa apparve a tratti esilarante: gli era servita una reclusione forzata per aprire il suo cuore ad una sconosciuta. Non avrebbe di certo ringraziato nessuno per quello che era accaduto, ma avrebbe almeno tratto quel poco che di buono emergeva da quella situazione.
William arrestò il passo solo quando il suo sguardo impattò sul gruppo composto da Odette, Alistair, Lucas e Joshua, ma sussultò nel vedere delle liane agitarsi alle spalle di Lucas. Di quel gruppo conosceva solo Alistair, ma aveva dato per scontato che anche gli altri fossero nella loro stessa condizione.
 
-Lucas, fermati ti prego!- Odette tentò di avvicinarsi al mago che, bianco in volto, non stava capendo cosa stesse succedendo. Joshua la seguì nel gesto, mentre Alistair prese a camminare all’indietro terrorizzato, fino ad impattare sul fisico asciutto di William.
 
-Da dove vengono quelle?- Chiese con urgenza.
 
-N-non lo so…credo…c-credo d-da lui!-
 
Alistair indicò Lucas; il mago si era voltato in direzione delle liane, davanti alle quali rimase pietrificato. I tralci continuavano ad agitarsi, tentando di attaccare Odette e Joshua che schivavano i colpi, mentre cercavano di calmare Lucas a modo loro.
Perché diavolo quei Mangiamorte che gli stavano sempre con il fiato sul collo, sembravano dissolti nel nulla?
 
 


 
Buongiorno care! Un’influenza durata quasi una settimana mi ha stroncata e riprendere il ritmo della scrittura è stato davvero difficile, sia per la concentrazione che per il poco tempo a disposizione. Ma ora ci siamo e spero che il capitolo vi sia piaciuto. I vostri voti sono andati a William, come avrete capito.
Ora devo dirvi un paio di cose:
 
Prima di tutto vi chiedo di votare per il prossimo capitolo. Con Adrian il pazzerello ho concluso l’analisi dei miei oc, quindi dal prossimo capitolo in poi mi concentrerò su 2 vostri oc. Ergo: votatemi due nomi e uno spareggio tra:
 
Alistair
Alon
Cora
Evangeline
Lucas
Joshua
Mazelyn
Odette
 
Dovete sapere inoltre che la mia altra interattiva è in stallo per una serie di motivi, fra i quali il fatto che recensioni, ma specialmente i voti, hanno cominciato a rallentare drasticamente negli ultimi capitoli (di voti in quel caso me ne sono proprio arrivati pochissimi). Questa cosa purtroppo porta l’autore a trovarsi in difficoltà, perché ribadisco ancora una volta, l’interattiva è fatta di interazione e se questa viene a mancare se ne perde il senso. La partecipazione è fondamentale. Vi chiedo per piacere di votare ad ogni capitolo; a voi non costa nulla e tra l’altro dovrebbe anche essere di vostro interesse farlo. Dimostratevi interessati, perché io mi impegno ed impiego molto tempo a scrivere dei vostri personaggi, non voglio rischiare di demotivarmi.
 
Detto questo, al prossimo capitolo.
 
Bri
   
 
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