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Autore: alessandroago_94    25/02/2019    5 recensioni
Isabella è una ragazza come tante altre, senza alcuna pretesa di troppo dalla vita.
Tuttavia, da quando la relazione con il suo ragazzo è entrata in crisi, la felicità ha lasciato spazio alla più profonda tristezza.
Quello che non sa è che, a volte, la vita sa donarci piacevoli sorprese. E l’amore può annidarsi dove neppure lei avrebbe mai creduto di poterlo trovare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo quaranta

CAPITOLO QUARANTA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Affittammo infine due pedalò, per suddividerci, siccome sorsero dei problemi quando provammo a richiederne solo uno. Eravamo in troppi.

Ne scegliemmo di conseguenza due di quelli dotati di scivolo, così potevamo divertirci di più.

Da parte mia, mi limitai a seguire Riccardo; era stato lui a volermi con loro, quindi era diventato un mio principale punto di riferimento, fintanto che non conoscevo tanto bene gli altri ragazzi.

Con noi salì Ilaria, che però si spaparanzò sulla seggiolina di plastica abbozzata a fianco dello scivolo blu.

Fummo quindi obbligati, per forza di cose, a prendere i posti di comando.

Gli altri tre ragazzi, nel frattempo, avevano già liberato il loro mezzo dall’ormeggio, e grazie alle possenti spinte di Federico e Mirco, stavano prendendo subito il largo. Riccardo finì di sciogliere il possente nodo che teneva ferma la nostra imbarcazione, e si posizionò subito al mio fianco sinistro, appoggiando immediatamente i piedi sui pedali.

Mi rivolse poi un veloce sguardo complice.

“Non vorrai che quei tre pezzi di merda ci tengano al largo, vero?”, mi fece l’occhiolino, scherzoso, mentre Marta ci provocava facendoci un simpatico terzo dito. Il loro pedalò sembrava che stesse planando sull’acqua, dal tanto che era partito a razzo.

“Direi proprio di no”, sancii, senza ombra di indugio. Non avrei mai voluto mettermi ai pedali, ma siccome non avevo il coraggio di lamentarmi con Ilaria, che continuava a starsene in silenzio e semidistesa a prendere il sole, alle nostre spalle, preferii tacere e investire tutta la mia forza.

“Guido io”, disse il ragazzo a mio fianco, impugnando saldamente il ferretto che fuoriusciva dallo scafo e che permetteva al natante di cambiare direzione, “tu pensa a pedalare…”.

Non me lo feci ripetere due volte. Pedalai con vigore, e Riccardo assieme a me, mentre tratteneva sempre in pugno quello che era diventato per noi come un timone.

Ci gettammo sulla scia dell’altro pedalò, ormai nostro rivale, quasi fosse un antico inseguimento navale.

“Non continueranno a lungo; presto Mirco si stancherà, e allora resterà solo Federico a mettercela tutta”, sancì con sicurezza il mio nuovo amico, tutto preso da quella sorta di sfida.

Presto i nostri amici giunsero alla boa che sanciva il limite da non superare con il natante, e quindi cominciarono a fiancheggiare l’ipotetica linea. Noi tagliammo e ci dirigemmo immediatamente verso di loro.

In lontananza, il molo sembrava stagliarsi sempre più minaccioso verso di noi, con quella marea di vele multicolori che ondeggiavano a ogni minimo spostamento d’aria.

Come previsto, presto Mirco abbandonò la sua postazione e andò nel retro, parlottando e poi gridando contro Marta, che non aveva affatto intenzione di prendere il suo posto. Quindi, il giovane si gettò a capofitto nell’acqua, con un tuffo quasi acrobatico, e si mosse a grandi bracciate verso di noi, nuotando in modo fluido e costante.

“Ma… cosa…”, borbottò Riccardo, notando quella sua mossa, ma non ci fu tempo per provare a pensare ad altro, poiché il ragazzaccio tatuato ben presto fu di fronte al nostro pedalò e ci costrinse a fermare la piccola imbarcazione, prima di finirgli addosso.

Allentammo quindi il ritmo, poi, con il fiatone, provammo a deviarlo. Il giovane in acqua però rise forte, e con un gesto che mi spaventò un po’, si aggrappò con entrambe le mani alle basse sponde di acciaio che erano posizionate ai fianchi del nostro mezzo, e si issò immediatamente su di esso.

“All’arrembaggio!”, gridò con fare animalesco, mentre ancora tutto fradicio di acqua salmastra si ergeva in piedi sul nostro pedalò e si avventava a raccogliere acqua con le mani unite a coppa. Il primo lancio colpì un’impreparata Ilaria, che urlò non appena l’acqua fresca del mare venne a contatto con la sua pelle calda ed appositamente esposta al sole.

La ragazza si rigirò su sé stessa ed inveì contro l’amico, prima di raggomitolarsi contro di me.

“E spostati, ti do il cambio”, borbottò, un po’ nervosa.

Non ci feci caso e mi spostai, trovandomi quindi nel retro a fronteggiare Mirco, che pareva anche un po’ spiritato e pazzo, con quei suoi occhi grandi spalancati e dalla parvenza irosa. Sapevo che stavamo scherzando e giocando, eppure un brivido mi percosse dalla testa ai piedi.

“Uh, la nostra nuova amica vuole bagnarsi, eh!”, tornò a gridare, e si mosse di nuovo verso l’acqua, raccogliendone una buona manciata nelle mani a coppa.

Interdetta, pensai di agire alla sua stessa maniera, ma ero consapevole che non ce l’avrei mai fatta, poiché era in netto anticipo su di me e mi avrebbe bagnata nel momento in cui sarei stata chinata. Di tornare al mio posto neanche a discuterne; una lagnosa Ilaria l’aveva occupato, e pedalava con noia, tanto che il nostro mezzo sembrava immobile.

All’improvviso, quello che doveva essere un gioco e un divertimento divenne tutt’altro per me, siccome non riuscivo neanche a pensare al trauma che mi avrebbe provocato l’acqua gelida al contatto con la pelle calda.

Proprio quando rimasi interdetta sul da fare, consapevole comunque di avere solo una manciata di secondi a disposizione per poter elaborare una possibile strategia, la fortuna mi venne in soccorso, anche perché ormai non potevo neanche più compiere alcuna scelta, giacché il tempo scorreva via, inesorabilmente.

A materializzarsi fu infatti Riccardo, che, rapidissimo, era salito sullo scivolo e si era lanciato giù, verso l’acqua, agguantando con forza Mirco e trascinandolo con sé. I due lanciarono un grido belluino, quando riemersero. Io ancora non ci credevo, ed ero rimasta alquanto pietrificata di fronte al veloce susseguirsi degli eventi.

“Cazzo!”, urlò Mirco, sputacchiando acqua salata e continuando a gridacchiare.

“Siete pazzi…”, riuscii a dire, da parte mia.

Sul mio viso, doveva aleggiare un qualcosa di indefinito, poiché Riccardo, che mi stava osservando, rise forte. Lui si era preparato a quella rapida azione, quindi non aveva subìto lo stesso effetto che invece si stava ripercuotendo sull’amico che aveva scaraventato in mare assieme a lui.

“Cazzo ridi? A momenti mi ammazzi!”, tornò a urlare Mirco, su tutte le furie. Se la prese con Riccardo in una maniera spaventosa, e quando notai che cominciò a nuotare verso di lui, ebbi di nuovo paura.

Il giovane tatuato aveva un modo di fare che mi inquietava, e se a primo impatto sembrava qualcosa di destinato a svanire, più continuavo ad averlo attorno e più mi sentivo davvero incapace di giudicarlo. Mi sembrava che avesse modi di fare piuttosto tendenti alla violenza e all’aggressività, che andavano abbastanza oltre al limite imposto dal più semplice degli scherzi.

I due giovani palestrati si diedero quindi a un folle inseguimento in acqua; Riccardo se la cavava egregiamente con il nuoto, molto meglio dell’avversario, e presto lo seminò.

“Non allontanatevi troppo dal pedalò”, li riprese Ilaria ad alta voce e con un po’ di noia. Lei aveva già smesso di pedalare, rimettendosi i suoi occhialini da sole e ricominciando a stare in posa per abbronzarsi. Non che ne avesse bisogno, era già quasi del colore di un carboncino.

Anche quel suo modo di fare mi diede piuttosto fastidio, trovandomi quindi ben presto a dover fare i conti con un vago senso di smarrimento. Non ero fatta per stare in mezzo a tali ragazzi, ed ero certa che alla maggior parte di loro non stavo simpatica, ma il pensiero era ricambiato.

“Isabella, vieni a salvarmi”, gridò in lontananza Riccardo, distogliendomi dai miei non proprio positivi sentori. Lo osservai e vidi che stava alzando le mani, come a voler segnalare con chiarezza la sua presenza.

“In questa situazione ci sono finito per salvarti, ora tocca a te ricambiare il favore”, proseguì, la voce divertita che mi giunse soffusa.

Sorrisi, accettando la sfida. Il giovane era riuscito a sdrammatizzare un po’ la situazione, con Mirco che ancora annaspava in acqua con grande nervoso, l’amico sfuggevole che sembrava imprendibile per lui, e con Ilaria totalmente disinteressata a tutto quanto.

Piuttosto distante da noi, il pedalò degli altri due ragazzi ancora rollava senza che nessuno se ne curasse, poiché Federico e Marta erano sì ancora ai pedali, ma stavano ridendo, guardando gli schermi dei loro cellulari, per i quali si sforzavano di produrre un po’ d’ombra.

Notando che ancora Mirco non si era sfogato, decisi di fare una piccola mossa in favore di Riccardo; giustamente, dovevo in qualche modo sdebitarmi, se così si poteva dire. Ci pensai un attimo su, e capendo che non ero al suo livello e alle sue capacità di nuoto, probabilmente feci la scelta più stupida che avessi mai potuto tramutare in realtà, ma purtroppo anche l’unica di cui mi sentivo alla portata.

Sganciai infatti uno dei due salvagenti a bordo, e lo lanciai con tutta la forza che avevo verso il ragazzo, che nel frattempo si era avvicinato al natante. Afferrò con prontezza l’oggetto che gli avevo lanciato, e tornò a ridere fortissimo.

“Oddio! Con questo non hai risolto nulla!”, esclamò.

“Eh, e cosa dovrei fare?”, alzai le spalle, sconsolata.

“Pedala, Isa. Posso chiamarti Isa, vero? Così abbrevio…”. Le sue parole non le percepii più, poiché mi avventai subito sulla postazione dei pedali e cominciai a muovere le gambe. Avevo capito quel che voleva Riccardo da me.

Il natante riprese a muoversi con abbastanza velocità, e immediatamente Ilaria lasciò un gridolino.

“Ma che fai? Non vedi che stanno scherzando? Non c’è bisogno di pedalare così”, mi riprese, con il suo solito piglio annoiato e pigro.

“Ho voglia di fare un po’ di movimento. Dai, aiutami”, le suggerii, in maniera cortese.

“Non ci penso nemmeno”, affermò, seccamente, passandosi una mano tra i capelli e sforzandosi di tornare in posa per prendere il sole, giacché aveva interrotto il suo immobilismo quando avevo cominciato a pedalare con foga. Non mi aspettavo un suo diniego così scorbutico.

“Non eri tu l’amante del movimento continuo?”, mi venne da domandarle, ma col senno di poi parve fosse una domanda volta a pungolarla in maniera poco simpatica. Infatti volse il viso verso di me, e percepii il suo sguardo attento.

“Adesso però preferisco prendere il sole”, sancì, infine, abbandonando la sua postazione e tornando del limitrofo retro. Non badai al suo comportamento scocciato; era come se fossi tornata bambina all’improvviso. Mi stavo divertendo troppo, anche se forse ero avventata in quel che facevo.

Tornai a cercare Riccardo con lo sguardo, e notai che era ancorato nel suo salvagente, che si stava muovendo sulla scia del pedalò in fuga. Ben presto però ebbi il fiatone, e la fortuna volle che fosse lo stesso Mirco ad invocare la resa.

“Eh, basta così”, urlò, “avete vinto”. 

Udendo la sua rinuncia a continuare, mi fermai anch’io e andai nel retro, senza fiato e arrossata in viso, ma decisa a non mostrarmi troppo spossata ai miei conoscenti. Loro erano così palestrati, con dei fisici perfetti! Io ero una nullità, in confronto a tali portenti della natura. Non volevo però mostrarmi troppo da meno.

Riccardo ancora rideva, divertito, e avvicinò il salvagente al natante, sempre con il sorriso sulle labbra e molto rilassato.

“Grande”, disse, rivolgendosi a me e alzando una mano affinché potessi sferrargli un bel cinque.

“Mi sono divertita un casino”, gli dissi, felice a mia volta.

“Io no”, mugugnò Mirco, che si stava avvicinando lentamente al pedalò, stanchissimo, quasi come se fosse un cadavere galleggiante.

“Guarda che te la sei cercata”, gli fece notare Riccardo.

Poi, l’imprevisto; non appena Mirco gli fu più vicino, gli sferrò un pugno nell’avambraccio, producendo un rumore sinistro. Io rimasi un attimo folgorata da quell’ennesimo gesto del tatuato, tuttavia mi sentii decisamente meglio quando il ragazzo salì a bordo, e senza degnarmi di uno sguardo e con il viso dominato da un’espressione davvero molto cupa, si recò ai pedali senza dire una parola.

A quel punto, tornai a guardare Riccardo, e senza che gli chiedessi nulla, mi sorrise di nuovo e mi fece cenno di avvicinarmi a lui.

“Ti ha…”. Mi interruppe con un semplice gesto delle mani.

“No, no, ci sono abituato”, disse, tagliando corto. “Ehm, mi stavo chiedendo se anche a te andasse di venire un po’ a mollo”. Feci cenno di diniego con la testa.

“Non mi va di immergermi”.

Di bagni ne avevo già fatto uno in mattinata, non ne avevo voglia di tornare a bagnarmi.

“Dai, Isa! Sei troppo seria, sciogliti un po’ e rinfrescati”, tornò però ad insistere, e per la prima volta mi parve di scorgere delusione nei suoi occhi. Occhi che non erano espressivi come quelli di George, anzi, che mi lasciavano anche piuttosto indifferente, però non mi andava di deluderlo.

Per quello allora scelsi di fare uno sforzo e di andargli incontro; d’altronde, lui fino a quel momento si era a sua volta sforzato per farmi svagare e per farmi sentire maggiormente a mio agio. Quindi mi chinai, senza pensarci troppo, e immersi le mani nell’acqua fredda, ma limpida e trasparente.

Mi bagnai le gambe, poi il ventre e le spalle, in fretta e rabbrividendo, poi accorgendomi che non avrei mai avuto il coraggio di lasciarmi andare, afferrai l’ultimo salvagente rimasto e mi lasciai scivolare con esso in acqua. Nonostante fosse pieno pomeriggio, essa era ancora molto, molto fresca.

“Brr…”, mugugnai, una volta immersa.

Mi abbracciai al salvagente, con forza, poiché eravamo abbastanza al largo e non me la sentivo di darmi al nuoto dove non c’era speranza di sfiorare il fondale con i piedi, e mi spinsi verso Riccardo, che mi stava osservando con un ritrovato sorriso ben impresso sulle labbra sottili.

“Si sta bene, vero?”, disse, felice.

“Oh”, borbottai di nuovo, “non è neanche così male come sembrava a primo impatto…”.

In effetti, non si stava male a mollo.

“Ehi, laggiù!”, tornò ad alzare la voce il mio nuovo amico, richiamando l’attenzione dei due ragazzi sul pedalò. “Mettete in movimento questo catorcio! Se no fatevi un bel tuffo, è inutile che restiamo qui fermi!”, li spronò poi con vigore.

“Vaffanculo!”, gridò di risposta Mirco, ma non si fece problemi a mettersi in azione. Anche Ilaria, nonostante fosse ancora in posa per prendere il sole, mise i suoi delicati piedini sui pedali e cominciò a imprimere un po’ di forza anche lei, al fine di muoverci.

Noi due restammo fermi, fintanto che il natante cominciò a spingerci esso stesso, siccome i salvagenti erano entrambi legati alla leggera imbarcazione.

“Ah!”, espresse la sua soddisfazione Riccardo, a quel punto, mettendosi comodo all’interno del suo galleggiante e lasciandosi trasportare in modo molto placido. A mia volta lo imitai, e anche quella scelta si rivelò appropriata e piacevole.

Mentre gli altri due pedalavano, e il nostro mezzo si muoveva placidamente, trainandoci nelle acque fresche, piatte e limpide dell’Adriatico, avevamo di nuovo occasione per riuscire ad avere qualche minuto per noi due. Infatti, i nostri sguardi non tardarono molto a tornare ad incontrarsi, e i nostri sorrisi sbocciarono nuovamente sulle nostre labbra salmastre.

“Non è bello, così?”, m’interpello. I nostri due salvagenti si avvicinarono ancora di più.

“Lo è”, gli assicurai.

“Sai”, tornò a dire, dopo aver incassato la mia lapidaria risposta, “non ti avevo mai visto qui in spiaggia. E pensare che noi veniamo molto spesso, quasi tutti i giorni durante i mesi estivi”.

“Come fai a dire che non mi hai mai visto? La spiaggia è affollatissima, potrei benissimo essermi mimetizzata tra tutte quelle persone…”, provai a dire, lasciando poi che la frase decadesse. Ero stata un pochino ironica, dovevo ammetterlo; ma, in fondo, avevo appreso dal mio George che ogni tanto era giusto anche punzecchiare, sempre con educazione, s’intende.

“Una ragazza così carina sono certo che l’avrei notata subito”, ribatté, cogliendomi un po’ impreparata con tale frase. Comunque, scelsi di prenderla sul ridere e di non darle peso eccessivo.

“No, dai, a parte gli scherzi questa è la prima volta che vengo qui”, mi spiegai, infine.

“Vieni da lontano?”.

“Oh, no, sono di Rimini. Sono qui solo per passare questo sabato, poi chissà”.

“Penso che ti innamorerai di Cervia. È una bellissima città, ha il suo fascino, e la sua spiaggia è così…”, s’interruppe un attimo, alzando gli occhi verso il cielo, come ad attendere la giusta ispirazione, prima di proseguire, “…affascinante. Per me, tornerai presto”.

Mi venne spontaneo ridacchiare.

“Ti piace chiacchierare, vero?”, gli feci poi notare, constatando come stesse amabilmente imbastendo e gestendo una conversazione con me. Il bello era che mi sentivo a mio agio, ed era una cosa strana, perché in fondo non lo ero mai con chi non conoscevo, per via della mia timidezza che, di tanto in tanto, tornava a far capolino.

“Direi”, ammiccò con simpatia, “ma sono anche molto timido, mi dispiace”, concluse.

Mi fece di nuovo ridere. Aveva una grande espressività, poi era carino e gentile nell’esprimersi, totalmente diverso dagli altri ragazzi, sempre più simili a degli zoticoni che a dei dongiovanni, come invece poteva apparire il mio nuovo muscoloso amico.

“Non sei timido”, replicai, comunque.

“Lo sono. Con te no, non so il perché… va beh, poi siamo anche pari età, immagino, e quindi è tutto più facile”.

“Quanti anni hai?”, gli chiesi, allora, con curiosità e prendendo la palla al balzo.

“Venticinque”.

“Io ventisei. Vado verso i ventisette, però”.

“L’hai detta da sola, eh! Non mi sarei mai permesso di chiedere l’età a una ragazza”, sogghignò Riccardo.

“Ma non ho nulla da nascondere su di questo, eh!”, gli risposi.

Eravamo così presi dalla nostra chiacchierata che non ci eravamo neppure accorti che il natante si stava rapidamente fermando, e ben presto ci ritrovammo investiti dagli spruzzi prodotti da Mirco, che si era lasciato scivolare dall’apposito scivolo.

“Che forza!”, gridò, non appena riemerse. Io e Riccardo, alle prese con lo sputacchiare l’acqua che ci aveva investito solo mezzo minuto prima, ci scambiammo uno sguardo dal retrogusto d’indefinito.

Tornai a concentrarmi su Mirco, che sorrideva al suo amico infilato nella sua ciambella galleggiante, come se tra loro non ci fosse mai stato neppure un istante di tensione.

“Avanti, provalo anche te”, gli suggerì, infine.

“E va bene”, acconsentì Riccardo, che in realtà sembrava non avere intenzione di farselo ripetere un’altra volta.

Fino a quel momento, nessuno di noi si era concentrato sullo scivolo, però a quel punto pareva aver conquistato la comitiva. Poco distante, anche gli altri due ragazzi si stavano divertendo a quel modo, sfruttando il loro pedalò e abbandonando al sole e all’asciutto i loro cellulari. Solo Ilaria era ancora immobile a prendere il sole, dopo aver abbandonato di nuovo i pedali ed essere tornata a sembrare come pietrificata.

Da parte mia, non avevo molta intenzione di affrontare lo scivolo; lì non toccavo, non me la sentivo di tuffarmi in quella maniera, seppur la discesa non fosse affatto ripida. Anche il mio amico ben presto si lasciò scivolare in acqua, gridando di divertimento.

“Isa! Prova anche tu!”, esclamò, euforico come un ragazzino al primo tuffo, quando riemerse a sua volta. I capelli corti gli si erano appiccicati di nuovo alla fronte, ma il sorriso no, non era mai cambiato e restava quello sincero e spontaneo di quando l’avevo conosciuto. Forse, ho sempre avuto una particolare propensione per osservare i sorrisi della gente. Eppure, le parole che mi aveva appena rivolto erano anche quelle che meno avrei desiderato sentirmi indirizzare.

Feci cenno di diniego con la testa, senza azzardarmi a dire no ad alta voce, con Mirco che si stava preparando a rituffarsi e che avrebbe potuto sbeffeggiarmi, poi, magari, dato che mi ero ormai resa conto che cercava di non rivolgermi mai la parola e neppure di guardarmi. Dovevo stargli decisamente antipatica.

“Dai, non avere paura…”, m’invitò di nuovo, e con gentilezza mi afferrò piano il braccio destro.

Mi lasciai accompagnare docilmente fino al natante, salendo a bordo assieme a lui, e fintanto che non mi ritrovai sullo scivolo, pronta a lasciarmi andare, non mi resi conto che alla fine mi ero lasciata andare a quello che poteva benissimo rivelarsi come un’esperienza tutta da dimenticare. Ma ormai ero decisa a non voler sfigurare di fronte ai miei nuovi amici.

All’ultimo, mi abbracciò da dietro, e stretta a lui scivolai in acqua, gridando d’euforia. Quel nostro primo contatto passò del tutto inosservato, immersa com’ero nel piccolo brivido appena affrontato.

“Allora, è stato così spaventoso?”, mi chiese con fare saccente Riccardo, riemergendo assieme a me.

“No”, gli assicurai. Era stato carino.

Andammo avanti a lungo, per un’altra oretta, in quel modo. Ci divertimmo tutti quanti. Il momento di ritornare in spiaggia parve giungere troppo presto.

 

Quando rientrammo, lasciammo il nostro pedalò nelle mani dei gestori e ci dividemmo la spesa, tutto sommato molto esigua.

“Sei qui da sola?”, mi chiese Riccardo, dopo aver concluso il pagamento. Gli altri ragazzi si distaccarono da noi, lasciandoci per ultimi, mentre si muovevano spediti verso la spiaggia libera e battibeccavano tra loro con enfasi.

“No…”.

“Ah, quindi sei qui con qualcuno… dovevo immaginarlo”, disse, sorridendomi. Ma non era più un sorriso particolarmente solare e sentito.

Io risposi al suo sorriso, ma non dissi altro.

“Senti, noi siamo sempre qui, nella spiaggia libera. Ci siamo tutti i giorni. Però, nel tardo pomeriggio dobbiamo tornare a casa, sai, alcuni di noi hanno lavori notturni e devono anche riposarsi un po’. Se… se ti interessasse rivederci… sai dove trovarci, va bene?”, proseguì, affrontando con leggera incertezza il mio silenzio.

Mi stava lasciando aperte molte porte, nonostante paresse senza voglia di provare a forzarmi in qualche modo. Gradii il fatto che non tentò neppure di curiosare ancora di più nelle mie faccende personali.

“Va bene, intanto ti ringrazio per tutto. Immagino che voi dobbiate andare, allora?”.

“Sì, tra poco andiamo a casa”. Il suo tono era stanco.

Continuammo a camminare sulla scia degli altri, senza mai guardarci.

“Allora, dobbiamo salutarci per oggi”, asserii, dopo qualche altro passo.

 “Sì”.

“Grazie per i bei momenti che abbiamo passato assieme. E… grazie di tutto, ragazzi! Spero ci rivedremo presto!”, alzai infine la voce, per farmi udire anche dagli altri giovani. Essi ricambiarono il mio saluto, ma erano ormai tutti concentrati sull’imminente ritorno a casa, e non furono festosi come Riccardo, che mi trattò di nuovo con grande riguardo.

Ci lasciammo così, senza neppure sapere se un giorno saremmo ritornati a incontrarci e a trascorrere altro tempo assieme.

Con un pizzico di amarezza nel cuore, mi diressi verso l’ombrellone, e notai che era ancora vuoto; ma il mio animo era in subbuglio, non sapevo neanche io bene il perché di ciò, ma capivo che non volevo restare sola. Allora, mi decisi ad andare a cercare George.

Andai al bagno, con risolutezza, e lo scorsi immediatamente, poiché il mio innamorato era là, seduto a un tavolino all’esterno, che giocava a carte e si divertiva con altri cinque o sei suoi coetanei. Mi avvicinai un po’ di soppiatto, decisa a non voler disturbare o interrompere nulla, ma quando Piergiorgio mi notò si illuminò ancor di più in viso, e mi si avvicinò, abbracciandomi forte.

“Amore”, mi disse, “mi dispiace se non sono tornato all’ombrellone, spero che tu non ti sia annoiata, tutta sola…”.

“No, no. Per fortuna c’era un gruppo di ragazzi, che ho conosciuto per caso, e sono andata con loro in pedalò e a fare una partita di pallavolo”, gli spiegai, senza nascondergli niente. Non volevo proprio che ci fossero cose non dette tra noi, poi ritenevo di non aver fatto nulla di male, d’altronde anche lui aveva trascorso molto tempo con i suoi conoscenti e amici. Infatti, mi sorrise e non parve per nulla contrito.

“Hai fatto benissimo”, disse, infatti.

Mi prese le mani, poi mi baciò piano. Le nostre effusioni pubbliche furono interrotte dai fischi e dal vociare emessi dagli amici di George, che di fronte al nostro bacio non seppero trattenere una sorta di ovazione di massa, che mi fece arrossire all’istante.

“Non far caso ai ragazzi”, mi fece l’occhiolino il mio amante, “anzi, vieni che te li presento”.

Mi presentò infatti a quegli uomini, la cui maggior parte era più anziana del mio George, e fui accolta con molta cortesia.

“Sapevamo che il nostro Piergiorgio aveva buoni gusti in fatto di donne”, mi disse uno di essi, facendo ridere anche gli altri, ancora prima che mi fosse presentato. Io me ne restai sulle mie, limitandomi a presentarmi e a salutare con rispetto.

Poi, giunse anche per noi l’ora di accomiatarsi. Infatti, il mio George era intenzionato a tornare anch’egli a casa presto, quindi dopo le presentazioni e i saluti ci allontanammo, e andammo a recuperare le nostre cose dall’ombrellone.

Non parlammo più, se non quando, prima di infilare il casco, mi domandò se quella giornata era stata di mio gradimento. Io espressi la mia gratitudine con un profondo cenno di assenso con il capo, e un successivo ed ennesimo bacio, che fu molto gradito.

Così, tornammo felicemente a casa.

Quello fu il primo di una cospicua serie di giornate che trascorremmo assieme, io e il mio unico e infinito amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

La giornata al mare è finita, per i nostri amici, ma restano le mie giornate impegnative. Quindi spero di riuscire a scrivere il prossimo capitolo in tempo, per lunedì prossimo, poiché ho già concluso i capitoli che avevo da parte. Chiedo scusa se ci sarà il ritardo di qualche giorno, ma ci tengo a impegnarmi… spero di continuare al meglio il racconto.

Grazie di tutto, e a presto ^^

   
 
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