CAPITOLO QUARANTA
Affittammo infine due pedalò, per suddividerci, siccome
sorsero dei problemi quando provammo a richiederne solo uno. Eravamo in troppi.
Ne scegliemmo di conseguenza due di quelli dotati di scivolo,
così potevamo divertirci di più.
Da parte mia, mi limitai a seguire Riccardo; era stato lui a
volermi con loro, quindi era diventato un mio principale punto di riferimento,
fintanto che non conoscevo tanto bene gli altri ragazzi.
Con noi salì Ilaria, che però si spaparanzò sulla seggiolina
di plastica abbozzata a fianco dello scivolo blu.
Fummo quindi obbligati, per forza di cose, a prendere i posti
di comando.
Gli altri tre ragazzi, nel frattempo, avevano già liberato il
loro mezzo dall’ormeggio, e grazie alle possenti spinte di Federico e Mirco,
stavano prendendo subito il largo. Riccardo finì di sciogliere il possente nodo
che teneva ferma la nostra imbarcazione, e si posizionò subito al mio fianco
sinistro, appoggiando immediatamente i piedi sui pedali.
Mi rivolse poi un veloce sguardo complice.
“Non vorrai che quei tre pezzi di merda ci tengano al largo,
vero?”, mi fece l’occhiolino, scherzoso, mentre Marta ci provocava facendoci un
simpatico terzo dito. Il loro pedalò sembrava che stesse planando sull’acqua,
dal tanto che era partito a razzo.
“Direi proprio di no”, sancii, senza ombra di indugio. Non
avrei mai voluto mettermi ai pedali, ma siccome non avevo il coraggio di
lamentarmi con Ilaria, che continuava a starsene in silenzio e semidistesa a
prendere il sole, alle nostre spalle, preferii tacere e investire tutta la mia
forza.
“Guido io”, disse il ragazzo a mio fianco, impugnando
saldamente il ferretto che fuoriusciva dallo scafo e che permetteva al natante
di cambiare direzione, “tu pensa a pedalare…”.
Non me lo feci ripetere due volte. Pedalai con vigore, e
Riccardo assieme a me, mentre tratteneva sempre in pugno quello che era
diventato per noi come un timone.
Ci gettammo sulla scia dell’altro pedalò, ormai nostro
rivale, quasi fosse un antico inseguimento navale.
“Non continueranno a lungo; presto Mirco si stancherà, e
allora resterà solo Federico a mettercela tutta”, sancì con sicurezza il mio
nuovo amico, tutto preso da quella sorta di sfida.
Presto i nostri amici giunsero alla boa che sanciva il limite
da non superare con il natante, e quindi cominciarono a fiancheggiare
l’ipotetica linea. Noi tagliammo e ci dirigemmo immediatamente verso di loro.
In lontananza, il molo sembrava stagliarsi sempre più
minaccioso verso di noi, con quella marea di vele multicolori che ondeggiavano
a ogni minimo spostamento d’aria.
Come previsto, presto Mirco abbandonò la sua postazione e
andò nel retro, parlottando e poi gridando contro Marta, che non aveva affatto
intenzione di prendere il suo posto. Quindi, il giovane si gettò a capofitto
nell’acqua, con un tuffo quasi acrobatico, e si mosse a grandi bracciate verso
di noi, nuotando in modo fluido e costante.
“Ma… cosa…”, borbottò Riccardo, notando quella sua mossa, ma
non ci fu tempo per provare a pensare ad altro, poiché il ragazzaccio tatuato
ben presto fu di fronte al nostro pedalò e ci costrinse a fermare la piccola
imbarcazione, prima di finirgli addosso.
Allentammo quindi il ritmo, poi, con il fiatone, provammo a
deviarlo. Il giovane in acqua però rise forte, e con un gesto che mi spaventò
un po’, si aggrappò con entrambe le mani alle basse sponde di acciaio che erano
posizionate ai fianchi del nostro mezzo, e si issò immediatamente su di esso.
“All’arrembaggio!”, gridò con fare animalesco, mentre ancora
tutto fradicio di acqua salmastra si ergeva in piedi sul nostro pedalò e si
avventava a raccogliere acqua con le mani unite a coppa. Il primo lancio colpì
un’impreparata Ilaria, che urlò non appena l’acqua fresca del mare venne a
contatto con la sua pelle calda ed appositamente esposta al sole.
La ragazza si rigirò su sé stessa ed inveì contro l’amico,
prima di raggomitolarsi contro di me.
“E spostati, ti do il cambio”, borbottò, un po’ nervosa.
Non ci feci caso e mi spostai, trovandomi quindi nel retro a
fronteggiare Mirco, che pareva anche un po’ spiritato e pazzo, con quei suoi
occhi grandi spalancati e dalla parvenza irosa. Sapevo che stavamo scherzando e
giocando, eppure un brivido mi percosse dalla testa ai piedi.
“Uh, la nostra nuova amica vuole bagnarsi, eh!”, tornò a
gridare, e si mosse di nuovo verso l’acqua, raccogliendone una buona manciata
nelle mani a coppa.
Interdetta, pensai di agire alla sua stessa maniera, ma ero
consapevole che non ce l’avrei mai fatta, poiché era in netto anticipo su di me
e mi avrebbe bagnata nel momento in cui sarei stata chinata. Di tornare al mio
posto neanche a discuterne; una lagnosa Ilaria l’aveva occupato, e pedalava con
noia, tanto che il nostro mezzo sembrava immobile.
All’improvviso, quello che doveva essere un gioco e un
divertimento divenne tutt’altro per me, siccome non riuscivo neanche a pensare
al trauma che mi avrebbe provocato l’acqua gelida al contatto con la pelle
calda.
Proprio quando rimasi interdetta sul da fare, consapevole
comunque di avere solo una manciata di secondi a disposizione per poter
elaborare una possibile strategia, la fortuna mi venne in soccorso, anche
perché ormai non potevo neanche più compiere alcuna scelta, giacché il tempo
scorreva via, inesorabilmente.
A materializzarsi fu infatti Riccardo, che, rapidissimo, era
salito sullo scivolo e si era lanciato giù, verso l’acqua, agguantando con
forza Mirco e trascinandolo con sé. I due lanciarono un grido belluino, quando
riemersero. Io ancora non ci credevo, ed ero rimasta alquanto pietrificata di
fronte al veloce susseguirsi degli eventi.
“Cazzo!”, urlò Mirco, sputacchiando acqua salata e
continuando a gridacchiare.
“Siete pazzi…”, riuscii a dire, da parte mia.
Sul mio viso, doveva aleggiare un qualcosa di indefinito,
poiché Riccardo, che mi stava osservando, rise forte. Lui si era preparato a
quella rapida azione, quindi non aveva subìto lo stesso effetto che invece si
stava ripercuotendo sull’amico che aveva scaraventato in mare assieme a lui.
“Cazzo ridi? A momenti mi ammazzi!”, tornò a urlare Mirco, su
tutte le furie. Se la prese con Riccardo in una maniera spaventosa, e quando
notai che cominciò a nuotare verso di lui, ebbi di nuovo paura.
Il giovane tatuato aveva un modo di fare che mi inquietava, e
se a primo impatto sembrava qualcosa di destinato a svanire, più continuavo ad
averlo attorno e più mi sentivo davvero incapace di giudicarlo. Mi sembrava che
avesse modi di fare piuttosto tendenti alla violenza e all’aggressività, che
andavano abbastanza oltre al limite imposto dal più semplice degli scherzi.
I due giovani palestrati si diedero quindi a un folle
inseguimento in acqua; Riccardo se la cavava egregiamente con il nuoto, molto
meglio dell’avversario, e presto lo seminò.
“Non allontanatevi troppo dal pedalò”, li riprese Ilaria ad
alta voce e con un po’ di noia. Lei aveva già smesso di pedalare, rimettendosi
i suoi occhialini da sole e ricominciando a stare in posa per abbronzarsi. Non
che ne avesse bisogno, era già quasi del colore di un carboncino.
Anche quel suo modo di fare mi diede piuttosto fastidio,
trovandomi quindi ben presto a dover fare i conti con un vago senso di
smarrimento. Non ero fatta per stare in mezzo a tali ragazzi, ed ero certa che
alla maggior parte di loro non stavo simpatica, ma il pensiero era ricambiato.
“Isabella, vieni a salvarmi”, gridò in lontananza Riccardo,
distogliendomi dai miei non proprio positivi sentori. Lo osservai e vidi che
stava alzando le mani, come a voler segnalare con chiarezza la sua presenza.
“In questa situazione ci sono finito per salvarti, ora tocca
a te ricambiare il favore”, proseguì, la voce divertita che mi giunse soffusa.
Sorrisi, accettando la sfida. Il giovane era riuscito a
sdrammatizzare un po’ la situazione, con Mirco che ancora annaspava in acqua
con grande nervoso, l’amico sfuggevole che sembrava imprendibile per lui, e con
Ilaria totalmente disinteressata a tutto quanto.
Piuttosto distante da noi, il pedalò degli altri due ragazzi
ancora rollava senza che nessuno se ne curasse, poiché Federico e Marta erano
sì ancora ai pedali, ma stavano ridendo, guardando gli schermi dei loro
cellulari, per i quali si sforzavano di produrre un po’ d’ombra.
Notando che ancora Mirco non si era sfogato, decisi di fare
una piccola mossa in favore di Riccardo; giustamente, dovevo in qualche modo
sdebitarmi, se così si poteva dire. Ci pensai un attimo su, e capendo che non
ero al suo livello e alle sue capacità di nuoto, probabilmente feci la scelta
più stupida che avessi mai potuto tramutare in realtà, ma purtroppo anche
l’unica di cui mi sentivo alla portata.
Sganciai infatti uno dei due salvagenti a bordo, e lo lanciai
con tutta la forza che avevo verso il ragazzo, che nel frattempo si era
avvicinato al natante. Afferrò con prontezza l’oggetto che gli avevo lanciato,
e tornò a ridere fortissimo.
“Oddio! Con questo non hai risolto nulla!”, esclamò.
“Eh, e cosa dovrei fare?”, alzai le spalle, sconsolata.
“Pedala, Isa. Posso chiamarti Isa, vero? Così abbrevio…”. Le
sue parole non le percepii più, poiché mi avventai subito sulla postazione dei
pedali e cominciai a muovere le gambe. Avevo capito quel che voleva Riccardo da
me.
Il natante riprese a muoversi con abbastanza velocità, e
immediatamente Ilaria lasciò un gridolino.
“Ma che fai? Non vedi che stanno scherzando? Non c’è bisogno
di pedalare così”, mi riprese, con il suo solito piglio annoiato e pigro.
“Ho voglia di fare un po’ di movimento. Dai, aiutami”, le
suggerii, in maniera cortese.
“Non ci penso nemmeno”, affermò, seccamente, passandosi una
mano tra i capelli e sforzandosi di tornare in posa per prendere il sole,
giacché aveva interrotto il suo immobilismo quando avevo cominciato a pedalare
con foga. Non mi aspettavo un suo diniego così scorbutico.
“Non eri tu l’amante del movimento continuo?”, mi venne da
domandarle, ma col senno di poi parve fosse una domanda volta a pungolarla in
maniera poco simpatica. Infatti volse il viso verso di me, e percepii il suo
sguardo attento.
“Adesso però preferisco prendere il sole”, sancì, infine,
abbandonando la sua postazione e tornando del limitrofo retro. Non badai al suo
comportamento scocciato; era come se fossi tornata bambina all’improvviso. Mi
stavo divertendo troppo, anche se forse ero avventata in quel che facevo.
Tornai a cercare Riccardo con lo sguardo, e notai che era
ancorato nel suo salvagente, che si stava muovendo sulla scia del pedalò in
fuga. Ben presto però ebbi il fiatone, e la fortuna volle che fosse lo stesso
Mirco ad invocare la resa.
“Eh, basta così”, urlò, “avete vinto”.
Udendo la sua rinuncia a continuare, mi fermai anch’io e
andai nel retro, senza fiato e arrossata in viso, ma decisa a non mostrarmi
troppo spossata ai miei conoscenti. Loro erano così palestrati, con dei fisici
perfetti! Io ero una nullità, in confronto a tali portenti della natura. Non
volevo però mostrarmi troppo da meno.
Riccardo ancora rideva, divertito, e avvicinò il salvagente
al natante, sempre con il sorriso sulle labbra e molto rilassato.
“Grande”, disse, rivolgendosi a me e alzando una mano
affinché potessi sferrargli un bel cinque.
“Mi sono divertita un casino”, gli dissi, felice a mia volta.
“Io no”, mugugnò Mirco, che si stava avvicinando lentamente
al pedalò, stanchissimo, quasi come se fosse un cadavere galleggiante.
“Guarda che te la sei cercata”, gli fece notare Riccardo.
Poi, l’imprevisto; non appena Mirco gli fu più vicino, gli
sferrò un pugno nell’avambraccio, producendo un rumore sinistro. Io rimasi un
attimo folgorata da quell’ennesimo gesto del tatuato, tuttavia mi sentii
decisamente meglio quando il ragazzo salì a bordo, e senza degnarmi di uno
sguardo e con il viso dominato da un’espressione davvero molto cupa, si recò ai
pedali senza dire una parola.
A quel punto, tornai a guardare Riccardo, e senza che gli
chiedessi nulla, mi sorrise di nuovo e mi fece cenno di avvicinarmi a lui.
“Ti ha…”. Mi interruppe con un semplice gesto delle mani.
“No, no, ci sono abituato”, disse, tagliando corto. “Ehm, mi
stavo chiedendo se anche a te andasse di venire un po’ a mollo”. Feci cenno di
diniego con la testa.
“Non mi va di immergermi”.
Di bagni ne avevo già fatto uno in mattinata, non ne avevo
voglia di tornare a bagnarmi.
“Dai, Isa! Sei troppo seria, sciogliti un po’ e rinfrescati”,
tornò però ad insistere, e per la prima volta mi parve di scorgere delusione
nei suoi occhi. Occhi che non erano espressivi come quelli di George, anzi, che
mi lasciavano anche piuttosto indifferente, però non mi andava di deluderlo.
Per quello allora scelsi di fare uno sforzo e di andargli
incontro; d’altronde, lui fino a quel momento si era a sua volta sforzato per
farmi svagare e per farmi sentire maggiormente a mio agio. Quindi mi chinai,
senza pensarci troppo, e immersi le mani nell’acqua fredda, ma limpida e
trasparente.
Mi bagnai le gambe, poi il ventre e le spalle, in fretta e
rabbrividendo, poi accorgendomi che non avrei mai avuto il coraggio di
lasciarmi andare, afferrai l’ultimo salvagente rimasto e mi lasciai scivolare
con esso in acqua. Nonostante fosse pieno pomeriggio, essa era ancora molto,
molto fresca.
“Brr…”, mugugnai, una volta immersa.
Mi abbracciai al salvagente, con forza, poiché eravamo
abbastanza al largo e non me la sentivo di darmi al nuoto dove non c’era
speranza di sfiorare il fondale con i piedi, e mi spinsi verso Riccardo, che mi
stava osservando con un ritrovato sorriso ben impresso sulle labbra sottili.
“Si sta bene, vero?”, disse, felice.
“Oh”, borbottai di nuovo, “non è neanche così male come
sembrava a primo impatto…”.
In effetti, non si stava male a mollo.
“Ehi, laggiù!”, tornò ad alzare la voce il mio nuovo amico,
richiamando l’attenzione dei due ragazzi sul pedalò. “Mettete in movimento
questo catorcio! Se no fatevi un bel tuffo, è inutile che restiamo qui fermi!”,
li spronò poi con vigore.
“Vaffanculo!”, gridò di risposta Mirco, ma non si fece
problemi a mettersi in azione. Anche Ilaria, nonostante fosse ancora in posa
per prendere il sole, mise i suoi delicati piedini sui pedali e cominciò a
imprimere un po’ di forza anche lei, al fine di muoverci.
Noi due restammo fermi, fintanto che il natante cominciò a spingerci
esso stesso, siccome i salvagenti erano entrambi legati alla leggera
imbarcazione.
“Ah!”, espresse la sua soddisfazione Riccardo, a quel punto,
mettendosi comodo all’interno del suo galleggiante e lasciandosi trasportare in
modo molto placido. A mia volta lo imitai, e anche quella scelta si rivelò
appropriata e piacevole.
Mentre gli altri due pedalavano, e il nostro mezzo si muoveva
placidamente, trainandoci nelle acque fresche, piatte e limpide dell’Adriatico,
avevamo di nuovo occasione per riuscire ad avere qualche minuto per noi due.
Infatti, i nostri sguardi non tardarono molto a tornare ad incontrarsi, e i
nostri sorrisi sbocciarono nuovamente sulle nostre labbra salmastre.
“Non è bello, così?”, m’interpello. I nostri due salvagenti
si avvicinarono ancora di più.
“Lo è”, gli assicurai.
“Sai”, tornò a dire, dopo aver incassato la mia lapidaria
risposta, “non ti avevo mai visto qui in spiaggia. E pensare che noi veniamo
molto spesso, quasi tutti i giorni durante i mesi estivi”.
“Come fai a dire che non mi hai mai visto? La spiaggia è
affollatissima, potrei benissimo essermi mimetizzata tra tutte quelle persone…”,
provai a dire, lasciando poi che la frase decadesse. Ero stata un pochino
ironica, dovevo ammetterlo; ma, in fondo, avevo appreso dal mio George che ogni
tanto era giusto anche punzecchiare, sempre con educazione, s’intende.
“Una ragazza così carina sono certo che l’avrei notata
subito”, ribatté, cogliendomi un po’ impreparata con tale frase. Comunque,
scelsi di prenderla sul ridere e di non darle peso eccessivo.
“No, dai, a parte gli scherzi questa è la prima volta che
vengo qui”, mi spiegai, infine.
“Vieni da lontano?”.
“Oh, no, sono di Rimini. Sono qui solo per passare questo
sabato, poi chissà”.
“Penso che ti innamorerai di Cervia. È una bellissima città,
ha il suo fascino, e la sua spiaggia è così…”, s’interruppe un attimo, alzando
gli occhi verso il cielo, come ad attendere la giusta ispirazione, prima di
proseguire, “…affascinante. Per me, tornerai presto”.
Mi venne spontaneo ridacchiare.
“Ti piace chiacchierare, vero?”, gli feci poi notare, constatando
come stesse amabilmente imbastendo e gestendo una conversazione con me. Il
bello era che mi sentivo a mio agio, ed era una cosa strana, perché in fondo
non lo ero mai con chi non conoscevo, per via della mia timidezza che, di tanto
in tanto, tornava a far capolino.
“Direi”, ammiccò con simpatia, “ma sono anche molto timido,
mi dispiace”, concluse.
Mi fece di nuovo ridere. Aveva una grande espressività, poi
era carino e gentile nell’esprimersi, totalmente diverso dagli altri ragazzi,
sempre più simili a degli zoticoni che a dei dongiovanni, come invece poteva
apparire il mio nuovo muscoloso amico.
“Non sei timido”, replicai, comunque.
“Lo sono. Con te no, non so il perché… va beh, poi siamo
anche pari età, immagino, e quindi è tutto più facile”.
“Quanti anni hai?”, gli chiesi, allora, con curiosità e
prendendo la palla al balzo.
“Venticinque”.
“Io ventisei. Vado verso i ventisette, però”.
“L’hai detta da sola, eh! Non mi sarei mai permesso di
chiedere l’età a una ragazza”, sogghignò Riccardo.
“Ma non ho nulla da nascondere su di questo, eh!”, gli
risposi.
Eravamo così presi dalla nostra chiacchierata che non ci
eravamo neppure accorti che il natante si stava rapidamente fermando, e ben
presto ci ritrovammo investiti dagli spruzzi prodotti da Mirco, che si era
lasciato scivolare dall’apposito scivolo.
“Che forza!”, gridò, non appena riemerse. Io e Riccardo, alle
prese con lo sputacchiare l’acqua che ci aveva investito solo mezzo minuto
prima, ci scambiammo uno sguardo dal retrogusto d’indefinito.
Tornai a concentrarmi su Mirco, che sorrideva al suo amico
infilato nella sua ciambella galleggiante, come se tra loro non ci fosse mai
stato neppure un istante di tensione.
“Avanti, provalo anche te”, gli suggerì, infine.
“E va bene”, acconsentì Riccardo, che in realtà sembrava non
avere intenzione di farselo ripetere un’altra volta.
Fino a quel momento, nessuno di noi si era concentrato sullo
scivolo, però a quel punto pareva aver conquistato la comitiva. Poco distante,
anche gli altri due ragazzi si stavano divertendo a quel modo, sfruttando il
loro pedalò e abbandonando al sole e all’asciutto i loro cellulari. Solo Ilaria
era ancora immobile a prendere il sole, dopo aver abbandonato di nuovo i pedali
ed essere tornata a sembrare come pietrificata.
Da parte mia, non avevo molta intenzione di affrontare lo
scivolo; lì non toccavo, non me la sentivo di tuffarmi in quella maniera,
seppur la discesa non fosse affatto ripida. Anche il mio amico ben presto si
lasciò scivolare in acqua, gridando di divertimento.
“Isa! Prova anche tu!”, esclamò, euforico come un ragazzino
al primo tuffo, quando riemerse a sua volta. I capelli corti gli si erano
appiccicati di nuovo alla fronte, ma il sorriso no, non era mai cambiato e
restava quello sincero e spontaneo di quando l’avevo conosciuto. Forse, ho
sempre avuto una particolare propensione per osservare i sorrisi della gente.
Eppure, le parole che mi aveva appena rivolto erano anche quelle che meno avrei
desiderato sentirmi indirizzare.
Feci cenno di diniego con la testa, senza azzardarmi a dire
no ad alta voce, con Mirco che si stava preparando a rituffarsi e che avrebbe
potuto sbeffeggiarmi, poi, magari, dato che mi ero ormai resa conto che cercava
di non rivolgermi mai la parola e neppure di guardarmi. Dovevo stargli
decisamente antipatica.
“Dai, non avere paura…”, m’invitò di nuovo, e con gentilezza
mi afferrò piano il braccio destro.
Mi lasciai accompagnare docilmente fino al natante, salendo a
bordo assieme a lui, e fintanto che non mi ritrovai sullo scivolo, pronta a
lasciarmi andare, non mi resi conto che alla fine mi ero lasciata andare a
quello che poteva benissimo rivelarsi come un’esperienza tutta da dimenticare.
Ma ormai ero decisa a non voler sfigurare di fronte ai miei nuovi amici.
All’ultimo, mi abbracciò da dietro, e stretta a lui scivolai
in acqua, gridando d’euforia. Quel nostro primo contatto passò del tutto
inosservato, immersa com’ero nel piccolo brivido appena affrontato.
“Allora, è stato così spaventoso?”, mi chiese con fare
saccente Riccardo, riemergendo assieme a me.
“No”, gli assicurai. Era stato carino.
Andammo avanti a lungo, per un’altra oretta, in quel modo. Ci
divertimmo tutti quanti. Il momento di ritornare in spiaggia parve giungere
troppo presto.
Quando rientrammo, lasciammo il nostro pedalò nelle mani dei
gestori e ci dividemmo la spesa, tutto sommato molto esigua.
“Sei qui da sola?”, mi chiese Riccardo, dopo aver concluso il
pagamento. Gli altri ragazzi si distaccarono da noi, lasciandoci per ultimi,
mentre si muovevano spediti verso la spiaggia libera e battibeccavano tra loro
con enfasi.
“No…”.
“Ah, quindi sei qui con qualcuno… dovevo immaginarlo”, disse,
sorridendomi. Ma non era più un sorriso particolarmente solare e sentito.
Io risposi al suo sorriso, ma non dissi altro.
“Senti, noi siamo sempre qui, nella spiaggia libera. Ci siamo
tutti i giorni. Però, nel tardo pomeriggio dobbiamo tornare a casa, sai, alcuni
di noi hanno lavori notturni e devono anche riposarsi un po’. Se… se ti
interessasse rivederci… sai dove trovarci, va bene?”, proseguì, affrontando con
leggera incertezza il mio silenzio.
Mi stava lasciando aperte molte porte, nonostante paresse
senza voglia di provare a forzarmi in qualche modo. Gradii il fatto che non
tentò neppure di curiosare ancora di più nelle mie faccende personali.
“Va bene, intanto ti ringrazio per tutto. Immagino che voi
dobbiate andare, allora?”.
“Sì, tra poco andiamo a casa”. Il suo tono era stanco.
Continuammo a camminare sulla scia degli altri, senza mai
guardarci.
“Allora, dobbiamo salutarci per oggi”, asserii, dopo qualche
altro passo.
“Sì”.
“Grazie per i bei momenti che abbiamo passato assieme. E…
grazie di tutto, ragazzi! Spero ci rivedremo presto!”, alzai infine la voce,
per farmi udire anche dagli altri giovani. Essi ricambiarono il mio saluto, ma
erano ormai tutti concentrati sull’imminente ritorno a casa, e non furono
festosi come Riccardo, che mi trattò di nuovo con grande riguardo.
Ci lasciammo così, senza neppure sapere se un giorno saremmo
ritornati a incontrarci e a trascorrere altro tempo assieme.
Con un pizzico di amarezza nel cuore, mi diressi verso
l’ombrellone, e notai che era ancora vuoto; ma il mio animo era in subbuglio,
non sapevo neanche io bene il perché di ciò, ma capivo che non volevo restare
sola. Allora, mi decisi ad andare a cercare George.
Andai al bagno, con risolutezza, e lo scorsi immediatamente,
poiché il mio innamorato era là, seduto a un tavolino all’esterno, che giocava
a carte e si divertiva con altri cinque o sei suoi coetanei. Mi avvicinai un
po’ di soppiatto, decisa a non voler disturbare o interrompere nulla, ma quando
Piergiorgio mi notò si illuminò ancor di più in viso, e mi si avvicinò,
abbracciandomi forte.
“Amore”, mi disse, “mi dispiace se non sono tornato all’ombrellone,
spero che tu non ti sia annoiata, tutta sola…”.
“No, no. Per fortuna c’era un gruppo di ragazzi, che ho
conosciuto per caso, e sono andata con loro in pedalò e a fare una partita di
pallavolo”, gli spiegai, senza nascondergli niente. Non volevo proprio che ci
fossero cose non dette tra noi, poi ritenevo di non aver fatto nulla di male,
d’altronde anche lui aveva trascorso molto tempo con i suoi conoscenti e amici.
Infatti, mi sorrise e non parve per nulla contrito.
“Hai fatto benissimo”, disse, infatti.
Mi prese le mani, poi mi baciò piano. Le nostre effusioni
pubbliche furono interrotte dai fischi e dal vociare emessi dagli amici di
George, che di fronte al nostro bacio non seppero trattenere una sorta di
ovazione di massa, che mi fece arrossire all’istante.
“Non far caso ai ragazzi”, mi fece l’occhiolino il mio
amante, “anzi, vieni che te li presento”.
Mi presentò infatti a quegli uomini, la cui maggior parte era
più anziana del mio George, e fui accolta con molta cortesia.
“Sapevamo che il nostro Piergiorgio aveva buoni gusti in
fatto di donne”, mi disse uno di essi, facendo ridere anche gli altri, ancora
prima che mi fosse presentato. Io me ne restai sulle mie, limitandomi a
presentarmi e a salutare con rispetto.
Poi, giunse anche per noi l’ora di accomiatarsi. Infatti, il
mio George era intenzionato a tornare anch’egli a casa presto, quindi dopo le
presentazioni e i saluti ci allontanammo, e andammo a recuperare le nostre cose
dall’ombrellone.
Non parlammo più, se non quando, prima di infilare il casco,
mi domandò se quella giornata era stata di mio gradimento. Io espressi la mia
gratitudine con un profondo cenno di assenso con il capo, e un successivo ed
ennesimo bacio, che fu molto gradito.
Così, tornammo felicemente a casa.
Quello fu il primo di una cospicua serie di giornate che
trascorremmo assieme, io e il mio unico e infinito amore.
NOTA DELL’AUTORE
La giornata al mare è finita, per i nostri amici, ma restano
le mie giornate impegnative. Quindi spero di riuscire a scrivere il prossimo
capitolo in tempo, per lunedì prossimo, poiché ho già concluso i capitoli che
avevo da parte. Chiedo scusa se ci sarà il ritardo di qualche giorno, ma ci
tengo a impegnarmi… spero di continuare al meglio il racconto.
Grazie di tutto, e a presto ^^