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Autore: Miryel    02/03/2019    24 recensioni
In una vita alla costante ricerca di un vuoto da colmare, Peter Parker e Tony Stark si trovano, in un momento della loro esistenza in cui si sentono divisi a metà, a condividere parti della loro anima e della loro mente, con la sola scusa di un tempo che giustificano come speso per forza insieme. Il loro rapporto cresce, di giorno in giorno, fino a creare inaspettatamente un legame e, inesorabilmente, una rottura.
Una rottura che per Tony significa mettere da parte l'orgoglio per affrontarla e per Peter mandandare giù bocconi amari, tentando di non soffocare con la sua stessa saliva.
[ Young!Tony x Peter - Angst/Introspettivo/Romantico - College!AU ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Young!Tony x Peter | Angst - Romantico | word count: 4136 ]


You Say Goodbye,
I Say Hello





•  •  •
«I don't know why you say goodbye,
I say hello»
•  •  •



 

Capitolo IV. Let It Be
 

 

Parker doveva aver preso fin troppo seriamente le parole di Tony sul mantenere un certo contegno, dato che era rimasto silenzioso e attento da quando si erano messi a lavoro, ormai da un paio d'ore. Non se lo era aspettato, a dirla tutta. Vedeva quel ragazzino logorroico del Queens come una specie di mina vagante, pronta ad esplodere da un momento all’altro; e invece ora era lì, con gli occhialini di protezione addosso, a guardarlo saldare alcune parti elettriche con del piombo fuso, in un solenne e quantomai inaspettato mutismo.

Continuava a non andargli esattamente a genio, ma doveva ammettere che il suo fare accondiscendente non faceva di lui un pappamolla sottone, come invece gli aveva dato modo di pensare. Piuttosto, nel corso di quel tempo passato insieme, aveva compreso che se da una parte il suo carattere risultava estramemente brioso, dall'altro ne era così consapevole da saperlo contenere all'occorrenza. L’iperattività era una bestia difficile da ammaestrare e Tony doveva ammettere che, dopotutto, Parker ce la stava mettendo davvero tutta per entrare un minimo nelle sue grazie, trattenendo in gabbia il suo entusiasmo.

Un po’ ammirava quel fatto.

«Guarda che puoi parlare, se hai qualcosa da dire», gli disse, continuando a tenere la mano ferma tra due componenti con la penna saldatrice e facendo cadere una goccia di piombo fuso per unirli.

«Oh, no. Non voglio deconcentrarti e, soprattutto… non ho mai visto nessuno usare una saldatrice con una tale precisione come fai tu. È una figata!» rispose Parker.

Tony sbuffò una mezza risata. «Sì, lo è. Se fai il bravo, magari te la faccio pure usare», lo canzonò.

«Ci proverò!» ridacchiò l’altro, «A proposito… se non sono indiscreto: da quanto fai parte di questa cosa degli Avengers? Da come sei ambientato sembra una vita», gli chiese. Come se all’improvviso quel silenzio spezzato gli avesse dato il permesso di fare certe domande senza pentirsene. A Tony poi non piaceva particolarmente raccontare gli affari suoi — o meglio, amava raccontare i fatti suoi solo ciò che gli faceva comodo, ma dopotutto avrebbero passato le successive ore in quel laboratorio a lavorare insieme. Anche se non gli andava a genio, potevano pure scambiarle, due parole.

«Da sempre. Da che ricordi. Mio padre mi portava con sé, quando ero piccolo e mi scaricava da una parte all’altra dell’edificio. Passavo più tempo qui che a casa.»

«Figo! Quindi è così che hai imparato a fare tutte queste cose? Tipo saldare o costruire parti meccaniche da zero.»

«Passami quella pinza con la punta stretta», gli ordinò e Parker obbedì subito, tornando poi a chinarsi insieme a lui sul pezzo di tuta che cominciava ad abbellirsi di un'ordinata ragnatela fatta di piombo e fili di rame; ironia della sorte, che avesse assunto proprio quella ragnesca forma. Tony sorrise tra sé e sé, mentre ricordi frammentati gli riempivano la testa. «Mi intrufolavo nei laboratori. Sfinivo la gente, finché non mi dedicavano del tempo per insegnarmi qualcosa. Sono sempre stato svelto ad imparare, questo ha reso le cose decisamente più semplici. Anzi,» si bloccò. Gli porse la saldatrice spostandosi lateralmente per fargli spazio, «dopo due ore che non fai nulla e mi guardi, vediamo se hai imparato qualcosa, Parker», lo sfidò e quello alzò le sopracciglia, mentre i grandi occhi castani si spalancavano dietro a gli occhiali protettivi. Era buffo. Un sacco buffo.

Si indicò. «Io? Guarda che potrei incendiare il laboratorio!»

«Avanti, Spider-man! Come accidenti ci sei entrato alla Midtown, se sei il disastro che dici di essere?» sbottò Tony.

Peter alzò le spalle e iniziò a innervosirsi. «Beh, di certo non costruendo una tuta nel laboratorio dello S.H.I.E.L.D.», ammise, mordendosi un labbro; la vocetta tremante che tentò di camuffare con un colpetto di tosse. «Ho fatto il test d’ammissione, e sono entrato. Qui le cose sono leggermente diverse e tuo padre… non penso la prenderebbe bene se combinassi qualche guaio!»

«Mio padre?!» ripeté Tony, ridendo amaramente, poi lo incitò a prendere in mano la saldatrice che l'altro guardò con un certo terrore negli occhi. «Non esiste mio padre. In questo laboratorio non esiste nessun altro che non sia io. Mio il castello, mie le regole¹! E se ti dico di provare, tu provi!» ordinò, e l’altro deglutì aria e obbedì. Sembrava solo tanto propenso alle lamentele, ma forse non era quella la verità. In realtà c’era solo tanta insicurezza, in quei gesti. Peter Parker era uno che ti risolveva un’equazione complessa in un minuto, senza dover usare né una calcolatrice né un foglio di carte. A mente. Come se stesse ricordando la lista della spesa. O almeno così Steve aveva detto a Tony. Gli aveva anche detto che era uno che alle interrogazioni ci andava con le gambe che gli tremavano, e poi ne usciva vittorioso col massimo dei voti, sorprendendosi ogni volta di se stesso, come se fosse la prima volta. Invece era così, sempre.

Forse era così anche quando diventava Spider-man. Insicurezza e paura di fallire non erano per forza un difetto, in quel campo. Ne facevano, di sicuro, un eroe consapevole che, alla fine, metteva davanti ogni tipo di possibilità, prima di agire. Statisticamente, questo rendeva la vittoria sul campo decisamente più concreta. Il suo modo di fare ricordava un po’ il metodo scientifico e questo… questo dopotutto era positivo. Cominciava a pensare che Peter non fosse poi così male come invece aveva creduto. Di sicuro era intelligente, e di questo doveva rendergliene atto. Un pregio non indifferente.

«Così?» chiese Parker, risvegliandolo dai suoi pensieri e Tony si rese conto di averlo fissato per troppo tempo, mentre elaborava quei fatti. Gli lanciò un’ultima occhiata, poi si chinò a guardare cosa aveva combinato. Sorrise. Non riuscì a trattenersi dal farlo.

«Sì, così. Lo vedi che anche tu impari in fretta, allora?» gli chiese, retorico e l'altro si girò leggermente a guardarlo, con un sorrisetto che rendeva il suo viso – fino a poco tempo prima nervoso, molto più disteso. «Dai, continua. Io mi organizzo con il resto. Tra poco ce ne andiamo. Non vorrei che i tuoi pensassero che lo S.H.I.E.L.D. ti ha sequestrato», bofonchiò, prendendo in mano il disegno che, insieme a Spider-Man, aveva rifatto al computer con un programma professionale. Ora era indiscutibilmente più ordinato e realizzabile.

«Oh, beh… mia zia è una di quelle persone che pensa allo S.H.I.E.L.D. come una sorta di setta satanica che vende le persone al mercato nero. Dato che si occupa di me ed è molto apprensiva, sto cercando di rassicurarla che non è così, per ora con scarso successo. Pensa che un giorno o l’altro mi asporteranno un rene o cose simili, e io non me ne accorgerò nemmeno», rise Peter, senza mai distogliere gli occhi dal suo operato e già fin troppo abile in quella pratica che aveva osservato solo per un’oretta, se non meno.

«Zia? Genitori lontani?» chiese Tony, giusto per fare conversazione.

«No, è… è complicato. Io non ho i genitori. Sono morti quando ero davvero, davvero piccolo», gli spiegò, e quell’aver puntualizzato quanto fosse stato piccolo quando era successo, spiazzò Tony. Non l’aveva detto con alcuna tristezza nella voce, e forse sottolineando quel fatto voleva semplicemente dimostrargli sin da subito che la cosa non lo toccava poi così tanto. Forse non più. Magari per evitare che potesse riservargli una frase fatta, solo perché gli faceva pena, pensò Tony. Non era così. Era spiazzato per davvero, e non sapeva nemmeno definire da cosa.

«Mi dispiace», lo disse lo stesso, perché non era bravo in quelle cose ma sapeva di dover dire qualcosa.

«È passato un sacco di tempo. Me li ricordo a malapena ma… zia May è come una madre, per me. Perciò non mi è mancata una figura importante come quella. Sono felice così.»

Sono felice così.

Tony sentì qualcosa di freddo spaccargli in due il cuore. Serrò la mascella e continuò a guardarlo. Strinse tra le dita quel foglietto da stampa come se vi si potesse aggrappare e salvarsi da chissà cosa. Gli dispiaceva davvero, certe cose lo colpivano malgrado non volesse mai darlo a vedere; e mentre Parker lavorava ancora come se non gli avesse appena detto di essere orfano di entrambi i genitori, Tony si sentì ingiustificatamente come se gli fossero morti i suoi. Suo padre era quello che era. Non andavano per nulla d'accordo, si scontravano in continuazione, ma non si era mai soffermato a pensare al dopo… a quando un giorno sarebbe morto e gli avrebbe lasciato in mano le redini di un impero costruito con tanta fatica. Lo avevano adottato, questo era vero, ma per quanto Tony si sentisse sempre in guerra con la sua famiglia, doveva ammettere che dimenticava spesso di non essere veramente figlio loro.

Era più fortunato di quanto potesse pensare.

«Va’ a casa, Parker. Finisco due cose e vado via anch'io. Mio padre ci ha scombussolato la giornata con quella telefonata. Continuiamo domani», gli disse, perché quell’improvvisa presa di coscienza non lo stava facendo sentire affatto bene con se stesso.

«Posso rimanere finché non vai tu. Un altro paio di saldature non mi scocciano. E poi… sono diventato quasi bravo!» esclamò Peter, fermandosi un attimo ad ammirare quella che ormai era diventata quasi un’opera d’arte da concludere. Tony alzò un sopracciglio e poi rise. Per la seconda volta, non riuscì a trattenersi.

Si avvicinò. «Sì, niente male, devo ammetterlo», annuì e l’altro gli riservò un altro sorriso smagliante, che significava troppi grazie che Tony sapeva di non meritare affatto, specie dopo tutte quelle gelosie che avevano sfilacciato la sua mente e lo avevano reso meno razionale di quanto avrebbe dovuto.

 

 

Lasciarono lo S.H.I.E.L.D. dopo un’altra oretta. Fuori dal quartier generale c’era un cielo vanigliato, fuso ad un buio in procinto di coprire il giorno. Tony alzò il polso per vedere che accidenti d’ora fosse, scoprendo che erano già le sei del pomeriggio e che l’aria si era leggermente fatta più umida e fredda. Si strinse nel bomber blu e scese le scale insieme a Parker. Così sorridente da sembrare un bambino che aveva appena scartato il suo regalo di compleanno più bello.

«Vai verso la metropolitana?» chiese Tony.

«No, prenderò un autobus. Casa mia è a due passi», rispose Peter, poi serrò le dita intorno alle spalline dello zaino e scese un momento di silenzio, che spesero guardandosi con un leggero imbarazzo dato dalla poca confidenza. Tony si sentì in dovere di romperlo, sebbene sarebbe bastato salutarlo e precipitarsi verso l’auto di Happy Hogan, il suo autista, che lo aspettava appena sotto la scalinata per portarlo a casa. «Mi dai il tuo numero? Domani non so quando mi libererò. Nel caso posso mandarti un mess-»

«Sì, certo! Subito!» esclamò Peter, e Tony non poté fare a meno di notare che lo aveva appena interrotto, senza alcuna arroganza. Con una celerità che lo spiazzò. Di nuovo. Per la terza volta, gli scappò un sorriso che nascose subito dietro ad uno sguardo impassibile, quando Parker lo guardò in attesa che gli dettasse il suo numero, cellulare alla mano.

«Bene», esordì Tony, «Spider-Man. Ti segno con quel nome. Tanto nessuno crederà mai che sei quello vero. Con quella faccia, Peter…» L’altro ridacchiò continuando a pigiare i tasti sul suo telefono per memorizzare il suo. Si rese conto di averlo appena chiamato per nome… stupido idiota.

«Per quello la mia copertura è credibile!» ironizzò Parker, e alzò gli occhi sui suoi, cercando di reprimere un sorriso che non riuscì a nascondere. Era genuino per davvero. Non era come lui, costretto spesso a nascondersi dietro troppe facciate, per sembrare quello che non era davvero. I tentativi di Peter di celare qualcosa, finivano sempre per accentuarla di più. In un solo pomeriggio aveva capito così tante cose, di quel ragazzo… si sentì quasi stronzo per come si era comportato con lui.

«Allora a domani», gli disse, quando Happy suonò il clacson per attirare la sua attenzione, sventolando una mano fuori dal finestrino, spazientito.

«Sì, a domani, sempre che il tuo autista non ti uccida», rispose Peter, alzando ironicamente gli occhi al cielo, poi si voltò e se ne andò, infilandosi le cuffie attaccate al cellulare e sparendo poi fuori dal cancello d’entrata. Tornò a casa con un peso nel cuore e uno nel cervello. Eppure, paradossalmente, si sentiva più leggero.

 

 

Tony si rese conto sin da subito che le cose erano drasticamente cambiate e ciò che lo spaventava di più non era tanto il fatto che Peter non gli stesse poi così sul groppone, ma il non sapere come comportarsi con lui, di fronte alla gente e gli altri Avengers. Ma soprattutto, di fronte a Steve. Dopotutto Parker frequentava la stessa classe del suo amico di sempre, e per forza di cose Tony non poteva rinunciare ad andarlo a trovare, perché interrompere quell'abitudine avrebbe potuto destare sospetti. Sospetti? Ma di cosa, poi? Scosse la testa, e tirò un calcio ad un sasso, decisamente di malumore mentre percorreva la viuzza sterrata che divideva l'edificio del suo corso di studio da quello di Rogers. Una distanza minima, che sembrò un'eternità, siccome aveva rallentato il passo e si era fermato più volte, chiedendosi se non dovesse tornare indietro e fingere di aver avuto troppo da fare. Rivedere Peter e il cambiamento del suo comportamento nei suoi confronti, avrebbero mostrato al mondo intero che non ce l'aveva più con lui e che era volubile. Dimostrazioni di un cambio di mente troppo repentino, che non gli si addicevano affatto.

Maledetto orgoglio di merda.

Si arrese, infine. Dovette. Raggiunse la classe comunque, dicendo a se stesso che avrebbe trovato la soluzione una volta messo sotto pressione. Come sempre. Era convinto che in quel modo la mente lavorasse con maggior logica. Una sorta di spirito di sopravvivenza un poco spicciolo, dovette ammettere.

Steve lo salutò alzando una mano, tornando subito ad abbassare gli occhi sul suo cellulare, sicuramente impegnato a scrivere al suo ragazzo che era partito per la Romania da qualche giorno. Approfittò di quel fatto per rivolgere un fugace sguardo verso Peter, che non fu affatto fugace. Il ragazzino odioso del Queens era lì, tutto intento a ridere come un pazzo insieme a quel suo amico: quello col cappelletto da pescatore, ridicolo come poche cose. Poi Spider-Man si voltò, forse sentendo i suoi occhi addosso. Smise di ridere, abbassò gli occhi per un interminabile secondo e gli rivolse un cenno. Un insulso saluto con la mano, che sembrava aver cancellato tutto il tempo quasi piacevole che avevano trascorso insieme nemmeno ventiquattro ore prima. Tony ricambiò quel gesto, sicuro di aver messo su una delle sue espressioni neutrali migliori di sempre. Peter sembrò spiazzato e gli rivolse un’occhiata interrogativa, prima di tornare a guardare l'amico che lo aveva chiamato e scoppiare di nuovo a ridere, chissà per quale accidenti di stupido motivo di merda!

«Tony?»

Steve lo stava guardando. Le sopracciglia bionde aggrottate gli piegavano la pelle in tante piccole rughe d'espressione.

«Cosa?»

«Sei venuto qui per me o per fissare Parker in quel modo inquietante?» gli chiese l'amico, retorico, dondolandosi distrattamente sulla sedia, mentre bloccava il telefono e lo riponeva nella tasca dei jeans spaccati sulle ginocchia.

Tony sbuffò divertito. «Io non stavo fissando nessuno. Men che meno Parker!»

«Se lo dici tu…», borbottò l’altro, poi gli piazzò gli occhi addosso, giudiziosi come sempre e Tony represse l’impulso di alzare i suoi al cielo. «Senti, non ho voglia di discutere con te, ma io e Bruce pensiamo che tu sia un tantino ossessionato con questa storia di Parker. Sei insopportabile, anche. Più del solito.»

«Oh, da che pulpito la predica…» sbottò, cercando di mantenere la calma perché sì, doveva ammetterlo… Peter era diventato una specie di chiodo fisso. Il suo acerrimo nemico, la sua nemesi, pronto a rubargli il posto di Avenger più giovane e bla bla bla, ma sorprendentemente era diventato una compagnia quasi piacevole, complice il forzato tempo passato insieme. Faceva rabbia ammetterlo, ma era la verità.  «Piuttosto, a parte parlarmi alle spalle, tu e Banner oggi fate qualcosa di utile?»

«Suoniamo. Vuoi venire?»

«No. Non mi va», sbuffò, e si appoggiò al banco, le braccia incrociate. Le spalle rivolte verso Peter. Non sentì mai i suoi occhi puntati addosso. Nemmeno una volta. «Fate troppo baccano», cercò di ironizzare, ma sapeva che erano piuttosto bravi quando si cimentavano a suonare qualche canzone. Si guadagnò una finta occhiata sbieca. «Questo weekend, in caso,» continuò, e Steve gli puntò gli occhi addosso, incuriosito, «potremmo fare qualcosa. Tipo andare in un pub e prenderci una birra».

L'amico alzò un sopracciglio. «Sembri una persona che ha davvero tanto bisogno di parlare, lo sai?»

Tony lo sapeva. Sapeva che dopotutto era un libro aperto, quando lo si conosceva bene. Sapeva che i suoi migliori amici erano capaci di leggere tra le righe, proprio come suo padre riusciva a fare quando gli faceva comodo ma, la verità… la verità era che Tony non sapeva nemmeno di cosa avesse bisogno di parlare. Si sentiva schiacciato da tutta quella situazione. Era passato dall'odiare a morte un povero ragazzo indifeso, al tollerarlo improvvisamente facendosi un sacco di complessi.

No, la verità era un'altra. La verità era che Tony avrebbe tanto voluto che Peter gli si fosse avvicinato, quel giorno, così da lasciare a lui l'indecoroso e sporco compito di decretare quale sarebbe dovuto essere il loro rapporto di confidenzialità a scuola. Con quel mezzo saluto e un sorriso forzato lo aveva messo spalle al muro. Spiazzato. Di nuovo, per l'ennesima volta.

«Io sto bene. Come sempre», rispose a Steve, che finse che fosse davvero così. Tony lo sapeva. E apprezzava. Per quel motivo gli era amico, e lo stesso valeva per Banner. Si preoccupavano, ma sapevano sempre quando fermarsi. E quello, di fatto, era il momento per farlo.

Uscito da scuola evitò tutti e tutto. Non che vantasse chissà quante conoscenze, visto che per lo più la gente lo odiava per il suo carattere o lo snobbava perché veniva da una famiglia agiata. Una cosa che non avrebbe mai capito delle persone, ma che era sicuramente un repellente per tenerle lontane. Vide pure Parker, con la coda dell'occhio. Se ne stava ancora con quel suo amico; quello col cappello ridicolo. Ridacchiavano ancora e, malgrado le aspettative che si era segretamente fatto su tutta quella situazione, non riuscì ad avercela con lui. Magari si vergognava. Magari non voleva far vedere agli altri che lui e Tony Stark avevano confidenza. Insomma, non gli avrebbe dato torto. Steve e Banner solo Dio sapeva come facevano ancora a sopportarlo e fregarsene dei giudizi delle persone riguardo la loro amicizia.

Scosse leggermente la testa, poi si avviò verso la fermata dell'autobus, finché non si ripropose una scena troppo simile a quella di qualche giorno prima, con la differenza che stavolta si voltò subito.

«Parker. Ti sei ricordato che stiamo costruendo una tuta assieme?» gli disse, sardonico. Non riuscì a trattenere quel piccolo demone interiore che, dannazione, cercava di uscirgli fuori ogni volta che tentava di risultare il meno ostico e sottile possibile.

Peter gli lanciò un'occhiata preoccupata. Si morse le labbra e fece qualche passo verso di lui. «Non l'ho scordato. Solo… mi dispiace molto per come mi sono comportato. Mi stai dando una grossa mano e come minimo avrei dovuto alzarmi e salutarti.»

«Sì, tipo. Avresti dovuto. Già.»

«Solo che… non volevo metterti in una situazione scomoda, quindi ho preferito mantenere le distanze.»

Tony alzò un sopracciglio.  Eh? Che situazione scomoda? «Non ti seguo, Parker.»

«Non voglio che la gente ti associ a me; non a scuola. Non… non sarebbe giusto.»

Tony rise senza alcun entusiasmo, dopo aver taciuto e assimilato quelle parole ancora non del tutto chiare, poi lo indicò con l’indice. «Oh! Capisco! Ti vergogni di farti vedere in giro con me, ci ho preso?»

Parker non parve colpito da quell’accusa. Anzi. Sembrò tutt'altro che quello. In cuor suo, forse sapeva che Tony avrebbe travisato il vero significato di quella frase. «No… no, io… io,» esordì e, guardandosi intorno, abbassò la voce e continuò: «mi vergogno di me».

«Continuo a non seguirti. Di che accidenti parli? Vergognarti di te?» farfugliò Tony, e si passò una mano tra i capelli, confuso. Quell'accidenti di gelatina di stava seccando, ma ora come ora era l'ultimo dei suoi problemi. Parker parlava e sembravano solo un mucchio di stronzate colossali. Una marea di problemi fondati sul niente, che parevano ingigantiti da una inesistente sicurezza in se stessi.

«Tu sei… tipo super popolare a scuola, a me è già tanto se non infilano più la testa nel water e tirano lo sciacquone, m-»

Tony alzò un sopracciglio e una mano, per zittirlo un secondo. «Lo hanno fatto?»

«S-sì, un paio di volte. Tempo fa. Non in questa scuola, ma… non è questo il punto! Stark, io… non penso che ci faresti una bella figura, a farti vedere accanto a me. Magari limitiamoci a parlare quando siamo al quartier generale, okay? Ne va della tua reputazione, dopotutto», continuò Parker e la cosa che fece rabbrividire Tony fu quel sorriso che gli riservò. Dolcissimo ma immensamente malinconico. Scrollando le spalle, come se non gli avesse appena detto di evitarlo per non fare figuracce. Si sentì inerme, di nuovo spiazzato, e tutto ciò che riuscì a fare fu guardarlo e basta, senza sapere cosa accidenti dire. Quel Parker era una continua sorpresa, e Tony non riusciva a capire se lo fosse in positivo o meno. Lo confondeva, lo lasciava senza parole. Forse era la prima persona a riuscirci. Assurdo.

«Non me ne frega un cazzo del giudizio della gente. E se gli altri sono davvero capaci di pensare una cosa del genere, che si fottano. Ti sembra un comportamento da assecondare?»

«No, assolutamente, però…»

«Parker, senti. Falla finita, e lascia stare le persone. Se dovessi stare a dare retta a tutte le cose che mi dicono dietro, avrei l'esaurimento nervoso da un pezzo. E tu… insomma, sei Spider-Man! Tira fuori un po’ di quel caratterino che ti esce fuori quando diventi quel coso che si arrampica sui muri, no?»

«Io e Spider-Man non siamo esattamente la stessa cosa, ma questo è un concetto un po’ complesso che magari un giorno ti spiegherò, nel frattempo non voglio annoiarti ulteriormente con le mie paturnie e il mio era solo un tentativo di evitarti delle spiacevoli situazioni che con l’andare avanti del tempo potrebbero arrecarti qualche circostanza antipatica e io non voglio in alcun modo che questo succeda, perché già mi stai dedicando il tuo tempo e io non vo-»

«Dio, Parker! Ma tu non sputi mai?» disse Tony, prendendosi la pelle in mezzo alle sopracciglia tra pollice e indice, poi sospirò e gli concesse un sorriso, quando l’altro si ammutolì, mortificato. Una valanga. Parker era una vera e propria bufera di insicurezza e emozioni; incapace di tenersele dentro quando era troppo nervoso anche solo per provarci. «È okay. Rilassati. Nessuno avrà nulla da dire e se succederà, chissenefrega

«E per te....?» esordì Peter, poi si morse il labbro inferiore, facendo un passo avanti verso di lui e Tony alzò le sopracciglia, di riflesso. «Se ti saluto, se mi avvicino, se dovessimo scambiare due chiacchiere qui a scuola, anche solo per caso… ti metterebbe a disagio?»

Tony represse una risata che infine lo tradì e, passandosi un dito sotto al naso, inclinò la testa di lato. «No, nel modo più assoluto.»

Parker rilassò le spalle, finalmente. L’aveva apostrofato nei modi più disparati, eppure Tony si rese conto che quel ragazzo dall’enorme potenziale, un vero e proprio genio, era insicuro e impacciato ma estremamente coraggioso. Lui era rimasto male per quel suo tentativo di ignorarlo, ma non si era fatto avanti per dirglielo. Troppo orgoglio. Peter invece aveva fatto quel passo per entrambi. Aveva esposto il problema, si era preso le sue responsabilità e gli aveva palesato i suoi dubbi e le sue incertezze nei riguardi del loro rapporto di confidenza. Qualunque piega esso stesse prendendo.

«Bene!» esclamò Peter, raggiante. «Allora ci vediamo dopo al quartier generale!»

«Sì, a dopo», rispose Tony, e lo guardò andare via con un certo peso nel cuore e uno sullo stomaco. Spiazzato, ancora una volta, da quella che pensava fosse la persona più irritante della terra, ma a quanto pareva non la peggiore. Peter Parker era meglio di molte altre persone, forse della maggior parte di quelle che Tony conosceva e, dovette ammettere a se stesso, le sue famose prime impressioni non erano più infallibili come un tempo. Il vento stava cambiando e quanto odiava dover cambiare con lui...



 Fine Capitolo IV

  


«
And when the broken hearted people living in the world agree. There will be an answer, let it be 
For though they may be parted, there is still a chance that they will see
There will be an answer, let it be
»  
Let It Be – The Beatles

_______________________________________

¹ Costy, t'ho rubato la battuta e ti devo citare per forza XD non mi odiare! Era perfetta!


Angolo Angoloso Miryelloso di Miryel:
Salve!
Insomma, insomma, sotto ar piede c'ho na gomma! Eccoci infine giunti al... QUARTO CAPITOLO? Di già...? Ma signore benedetto, sembra ieri che stavo cor cappelletto a festeggia' capodanno e 'sta storia sta già aR capitolo QUARTO? Smettetela di far passare il tempo velocemente, che quest'anno entro negli enta!
Anyway, bullshit a parte, ringrazio tutti voi per il supporto che mi state dando; ringrazio chi ha recensito la storia, chi continuerà a farlo, chi l'ha messa tra le seguite, preferite, ricordate, chi legge silenzioso e tutti, soprattutto mia mamma, che spesso cito ringraziandola per l'emotività genetica che mi ha donato! Continuando ad avventurarci nel flashback che ci porterà pian piano esattamente dove il primo capitolo ci ha lasciati, vi do appuntamento a venerdì/sabato prossimo col quinto capitolo che vi giuro non sarà il sesto! Sennò che ce capimo? Non abbiatemene, sono le tre del mattino, e sto per spegnere il cervello XDDD
Insomma, grazie a tutti davvero, e a presto!
Vi si lovva,
Miry


 

 

   
 
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