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Autore: Nereisi    02/03/2019    1 recensioni
A Punk Hazard gli Strawhats si scontrano con le abominevoli realtà del Nuovo Mondo: innocenti vittime della crudeltà di persone potenti, traffici di Frutti del Diavolo, esperimenti umani. Nonostante la loro vittoria, vengono a conoscenza di una terribile verità: non sono riusciti a salvare tutti i bambini. Decisi a porre fine ai rapimenti, gli Strawhats si imbarcano in un viaggio che li porterà alla ricerca di un nemico nascosto in piena vista.
La chiave per la soluzione di questo mistero sembra essere una ragazza che avrebbe preferito di gran lunga rimanere nell'ombra, capitata nel posto giusto al momento sbagliato.
Tra nuove isole, combattimenti contro il più insospettabile degli avversari, aiuti inaspettati e fin troppi Coup De Burst la ciurma di Cappello di Paglia verrà coinvolta in un viaggio che potrebbe scuotere - e forse distruggere - le fondamenta del mondo e dell'ordine che lo governa.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Mugiwara, Nami, Nuovo personaggio, Sorpresa | Coppie: Franky/Nico Robin, Sanji/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Footprints'
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Note autrice: Ciao a tutti, è da un po’ che non ci si vede. Scusate l’assenza ma, come immagino saprete, ero impegnata tra esami, lavoro e traduzioni varie. Avrei voluto tenermi questo capitolo ancora per un po’ ma ho un potenziale dente del giudizio in arrivo e sto malissimo, ho davvero bisogno di un po’ di positività.
Questo capitolo è stato in gestazione per un bel po’, è stato difficile calibrare gli indizi per evitare di spoilerare troppo. Tengo davvero molto anche alla caratterizzazione dei personaggi, voglio farli evolvere ma voglio che nel loro percorso rimangano IC e non è semplicissimo… Spero quindi che questo capitolo vi piaccia!
Per rimanere aggiornati su tutte le mie traduzioni e lavori e sapere a che punto sono potete seguirmi su Tumblr !
 
Barefoot
- Faltering -
 
I'm faltering, faltering

But still trying to stand my ground

It's altering, altering

Changing who I am
 


 
Usopp lasciò la presa sulla fionda, sparando in rapida sequenza i suoi colpi per poi ripararsi immediatamente dietro quel che rimaneva del parapetto di poppa.

“Franky, come va da te?” Berciò dal suo nascondiglio.

Il cyborg non gli rispose, troppo impegnato a fare fuoco su qualsiasi oggetto nel suo campo visivo. Non aveva preso bene il danno causato alla Sunny, e lo stava rendendo al nemico con gli interessi decuplicati. Ormai la nave avversaria non aveva più nemmeno un lembo di vela utilizzabile, sarebbe stato impossibile per loro seguirli quando – e Usopp sapeva che era solo una questione di tempo – sarebbero riusciti a liberarsi da quel dannato arpione.

Usopp arrischiò un’occhiata, sporgendo cautamente la testa. Aveva reso inutilizzabili tutti i cannoni nemici che era riuscito a vedere, ma la prudenza non era mai troppa. Non ci teneva a diventare un groviera al piombo. Come aveva sperato, grosse liane avvolgevano in una morsa strettissima le armi sul ponte della nave militare. Alcuni soldati stavano cercando di slegarle, ma senza successo. Usopp sentì un moto d’orgoglio mentre guardava le sue bambine ribellarsi ai coltelli dei marines avviluppando anche loro. Per buona misura fece germogliare un paio di Rafflesia vicino all’arpione gigante. Meglio dissuadere più marines possibili dall’attraversare la catena.

A proposito della catena, a che punto è Zoro? Prima ce ne andiamo e meglio è.

Non aveva nemmeno finito di formulare quel pensiero che la voce di Chopper si levò, acuta e urgente.

“Nami!”

Gli occhi da cecchino trovarono facilmente la navigatrice in mezzo al caos che era diventata il ponte della loro nave. Il tempo che ci mise a registrare la situazione in cui versava la sua compagna fu il tempo che ci volle per perdere suppergiù dieci anni di vita.

Usopp osservò quasi a rallentatore quel gigantesco mazzafrusto che calava su di lei, il sangue che gli rombava nelle orecchie; un secondo allungato fino all’inverosimile. Poi, dal nulla, un lampo rosso; e Luffy fu sul nemico, il corpo avvolto in volute di vapore e i piedi ben piantati di fronte alla navigatrice.

Usopp chiuse gli occhi e tirò un sospiro di sollievo. Allentò la presa su Kabuto e asciugò la mano sudata sul fianco della salopette. C’era mancato davvero poco, ma ora che il loro capitano era lì potevano concentrarsi sul liberarsi da quelle maledette catene e squagliarsela più in fretta che potevano.

Si voltò verso Franky, che aveva appena placato la sua furia distruttiva.

“Ehi, tutto be-“

Un altro grido giunse alle sue orecchie, distorto da alcuni spari. Usopp e Franky si girarono di scatto, scansionando la folla per capire cosa stesse succedendo; e, esattamente di fronte ai loro nasi, videro Luffy scaraventato in mare. Usopp quasi inghiottì la propria lingua per la sorpresa, emettendo un verso strozzato.

Franky sfogò la frustrazione per i danni alla sua creatura e al suo capitano marciando contro il nemico. “Oi! Dannato, prenditela con uno della tua taglia!” Ululò, andando incontro all’energumeno a grandi falcate. Sapeva benissimo di non potersi tuffare: non aveva mangiato un Frutto del Diavolo, ma il suo corpo di pesante metallo gli rendeva ugualmente difficoltoso nuotare.

Usopp si guardò freneticamente intorno per vedere se qualcuno stava prendendo l’iniziativa di tuffarsi. Non era certo la prima volta che lo faceva, anzi; solo che avere pallottole che fischiavano da ogni direzione non era propriamente un incentivo per un atto eroico, ecco. Purtroppo per lui, sembravano tutti impegnati.

“Tocca per forza a me, eh?” Disse tra sé e sé con voce tremante. Si stampò in faccia un cipiglio di finta determinazione, agganciandosi nuovamente Kabuto sulla schiena e avvicinandosi al parapetto, cercando di impedirsi di rallentare il passo. Dopotutto, c’era di mezzo la vita di Luffy; nemmeno lui avrebbe messo a rischio l’incolumità del suo capitano per salvarsi la pelle. Non più di tanto, almeno.

“Ed ecco il grande capitano Usopp, che con grande coraggio e sprezzo del pericolo si accinge a sottrarre alla morte il proprio compagno cadut- aCK!” Ci mancò poco che si strozzasse con la sua stessa saliva.

Mana, le ali strette vicino a sé e il corpo dritto come un chiodo, si stava lanciando come una freccia verso il punto dove Luffy era scomparso tra le onde appena pochi secondi prima. Aveva un’espressione folle in viso, come se avesse tutta l’intenzione di buttarsi in mare per salvarlo.

“Che diavolo stai facendo?!” Urlò, arrampicandosi freneticamente sul parapetto. “Non farlo! Guarda che non ripesco pure te!”

Grazie a chissà quale entità la ragazza dalle palesi tendenze suicide lo sentì, aprendo le ali con un rumoroso grugnito per poi elevarsi di nuovo, guadagnando velocemente altezza. Girò la testa, guardandolo con gli occhi sgranati per la sorpresa.

“Ma cosa pensavi di fare?!” Berciò il cecchino in un moto di rabbia improvvisa. Poteva giurare di essere andato fin troppo vicino a un aneurisma per lo spavento. “Pensavo che avessi un minimo di sale in zucca invece sei più idiota di Luffy!”

La ragazza distolse lo sguardo, rimanendo in silenzio. Ansimava, l’adrenalina che le scorreva ancora nelle vene.

Il cecchino espirò pesantemente, scavalcando il parapetto e buttandosi di sotto. “Vammi a prendere una corda!” Le urlò mentre cadeva. Doveva pensare a tutto lui su quella nave!

Mana si riscosse, sbattendo velocemente le ali per prendere ulteriormente quota e soddisfare la sua richiesta.

Mentre Usopp si preparava all’impatto con l’acqua posizionandosi nel suo personalissimo tuffo a cavatappi, realizzò di non aver più prestato attenzione al pericolo dei proiettili vaganti.

Oh, beh. Troppo tardi.

E sparì in mezzo alle onde.

 
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La Sunny tremò fragorosamente e Mana perse l’appiglio sulla balaustra, rovinando sul ponte della nave. Cadde sbattendo la schiena; fortunatamente non aveva le ali in quel momento, ma l’impatto con la dura superficie fu abbastanza forte da mozzarle il respiro.

Nessuno la aiutò a rialzarsi, quindi dovette aspettare di riprendersi un attimo prima di rimettersi a sedere, leggermente disorientata.

Tutta la ciurma si era riunita intorno ai suoi feriti, in primis il loro capitano. A giudicare dai lamenti strascicati che provenivano da dietro la muraglia di persone era già sveglio, anche se non ancora in grado di tirarsi su. Mana si alzò in piedi, avvicinandosi al gruppo. Non appena notarono la sua presenza le fecero spazio, permettendole di avvicinarsi a Luffy.

“Come ti senti?” chiese Sanji offrendole il braccio, sin troppo premuroso. Dal momento che le girava ancora la testa accettò l’offerta senza dire niente.

Dopo che Zoro era riuscito a tagliare l’ultima catena la ciurma si era velocemente sbarazzata dei nemici a bordo per poi attivare immediatamente il Coup de Burst, l’asso nella manica della Thousand Sunny. Mana non aveva mai subito uno strattone così forte in vita sua. Se non l’avessero avvertita pochi secondi pima dello scatto probabilmente sarebbero stati divisi o perlomeno in quel momento starebbe contando le proprie ossa rotte.

Aggrottò la fronte, notando qualcun altro steso per terra. “Robin? Che è successo?”

La donna le sorrise debolmente, mentre Chopper la tastava in vari punti del corpo con apprensione. “È stata colpa mia, non mi sono nascosta abbastanza bene.” Disse l’archeologa. “Qualche marine è riuscito a trovarmi e ad attaccarmi. Non ti preoccupare, sono riuscita a difendermi.” Si affrettò ad aggiungere quando vide gli occhi di Mana sgranarsi alla notizia.

“Non avresti dovuto farlo.” Borbottò tra sé e sé Franky quasi impercettibilmente. Mana lo sentì solo perché gli stava di fianco, ma prima che potesse chiedergli cosa intendesse Chopper parlò.

“Era già molto indebolita quando è arrivata sulla Sunny. Lo sforzo di utilizzare nuovamente i poteri del suo Frutto in quello stato ha costretto il suo corpo a sopportare una quantità eccessiva di stress a causa del dispendio di energie che erano già bassissime. Non basta a metterla in pericolo di vita, per fortuna, ma è sufficiente per renderla del tutto inerme. Se qualcun altro l’avesse attaccata in questo stato... non sarebbe stata in grado di alzare nemmeno un dito. Proprio come ora.” Dimostròsollevando delicatamente il polso fine della donna e lasciandolo ricadere sul suo stomaco. “Ordino riposo assoluto. Assoluto, intesi?” Sventolò uno zoccolo autoritario direzione di Robin.

“Agli ordini, dottore.” Sorrise la donna. Mana sentì qualcosa di pesante e disagevole premerle sullo stomaco alla vista di quella bellissima donna stesa per terra, svuotata di ogni forza eppure che si ostinava ancora a sorridere come se non ci fosse nulla che non andasse. Arricciò la punta dei piedi, sentendo le articolazioni schioccare.

“E tu, invece!” Saltò su Nami, facendo saettare il proprio indice accusatore verso il capitano. “Cosa ti salta in mente di pararti davanti a me con una quantità così misera di haki a proteggere te stesso, eh?”

Luffy si imbronciò. “Uh… non ci ho pensato più di tanto, sono venuto a salvarti e basta.”

“Oh, che caro!” Fece Nami con tono sognante, portandosi le mani al petto. “Pensi che sarebbe stata questa la mia reazione?” Strepitò immediatamente dopo. “Pensavo che avessi sviluppato un minimo di buon senso in questi due anni, Luffy. Ti sei dimenticato cos’è successo a Sabaody? Credevo che avessi smesso di buttarti nella mischia senza un piano in mente.” Fece una pausa, ripensandoci. “O meglio, quello so che non smetterai mai di farlo. Non saresti più tu, altrimenti. La stupidità è parte di te. Ma… Pensavo che avessi smesso con i rischi inutili. Anche noi abbiamo bisogno di te. Non dimenticartelo.”

Nami terminò il suo sfogo quasi sgonfiandosi, piegandosi su se stessa e crollando in ginocchio di fianco al suo capitano, che era diventato improvvisamente serio. Quasi contrito.

Zoro incrociò le braccia al petto. “Mi ha tolto le parole di bocca.”

“Se non fosse stato per me saresti affogato, pezzo di scemo.” Borbottò Usopp, chiaramente combattuto tra il desiderio di decantare le proprie eroiche gesta e l’urgenza di rimproverare il proprio capitano.

“Non solo tu!” Berciò Sanji. Mana capì immediatamente dove voleva andare a parare e cercò di staccare la mano dal suo braccio, ma non fece in tempo. “Hai fatto preoccupare la dolce Mana così tanto che si stava gettando in acqua per salvarti!” Mana fu certa di sentire un bastardo fortunello masticato sottovoce, ma non ci prestò molta attenzione. Ora che si erano girati tutti a guardarla si sentiva come se avesse un riflettore puntato addosso, e la cosa non le piaceva per niente.

Luffy la scrutò con una strana luce negli occhi.

“Effettivamente l’ho visto anch’io.” Si intromise Brook. “Sono rimasto molto colpito dal tuo coraggio, ma è stata una mossa scellerata. Anche tu soffri dei nostri stessi impedimenti. Saresti potuta affogare.”

“Esatto! Era un’idea suicida, cosa ti è saltato in mente? Avrei dovuto ripescare due idioti invece di uno se non ti avessi fermata in tempo!” Esclamò Usopp, evitando per un pelo il tacco di Sanji destinato alla sua nuca.

Tutti la stavano fissando. “Io- Non… non ti avevo visto.” Rispose infine, lo sguardo puntato a terra.

Zoro schioccò la lingua con sdegno.

“Si può sapere perché hai questa tendenza a sacrificarti quando non è necessario? Anche sull’isola lo hai fatto. Sono anni che navighiamo, sappiamo come gestire situazioni come queste e la follia del nostro capitano. Non siamo civili indifesi bisognosi di qualcuno che ci salvi.” La rimproverò Nami, squadrandola come se si aspettasse di trovare un segno palpabile della sua stupidità.

Luffy ridacchiò, incrociando le braccia e usandole come cuscino. “Beh, alla fine non ha fatto niente di male. Voleva solo salvarmi!” Mana alzò lo sguardo di scatto, incrociandolo con il suo. Ancora quella strana luce negli occhi. Non le piaceva per niente. “Non credevo fossi disposta a tanto. Allora ci vuoi bene!” Scherzò.

A Mana si ghiacciò il sangue nelle vene.

Luffy continuò. “Visto che le cose stanno così non fare più la bisbetica ok? Sembri Dadan. Ormai sappiamo che tieni a noi quindi non devi più nasconderlo.”

Ma Mana non lo sentì. Quella frase continuava a rimbombarle nella testa.

Non credevo fossi disposta a tanto.

Robin levò un improvviso gemito di dolore. Tutti quanti spostarono l’attenzione su di lei e Mana approfittò dell’occasione per dileguarsi sottocoperta, rifugiandosi nello stomaco della Sunny per ripararsi da occhi indiscreti.

Non si accorse che Zoro l’aveva seguita con lo sguardo, il cipiglio torvo e pensieroso.
 
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Brook scese con cautela le scale che portavano al laboratorio di Franky, facendo scorrere le falangi sul corrimano di legno. Il carpentiere stava seduto su uno sgabello comicamente minuscolo per la sua stazza, piegato a saldare una lamiera. Gli dava le spalle per tre quarti e aveva una maschera protettiva sul viso.

Pazientò qualche minuto, aspettando che Franky si accorgesse di lui. Quando ciò non accadde, si schiarì la gola – o quello che ne era rimasto. Più volte. Senza successo.

Brook si innervosì. Per quando fosse rumorosa la saldatrice era impossibile che non lo avesse sentito. Lo stava ignorando. Ritentò un’ultima volta, schiarendosi la gola un’eccessiva e innaturale violenza, tanto che se ne fosse stato provvisto probabilmente avrebbe sputato una tonsilla.

Strinse la presa sul suo bastone da passeggio, decisamente irritato. Era quasi tentato di darglielo su quella testaccia dura.

“Franky.” Lo chiamò seccamente Nami avvicinandosi. Brook sussultò per lo spavento, non avendola sentita arrivare.

Il carpentiere sospirò pesantemente, rassegnato. “Aw!” Fece, il tono fintamente allegro. Si girò verso di loro, levandosi la maschera. “Hai bisogno di qualcosa?”

Nami incrociò le braccia. “Sì, che tu la smetta di fare il depresso.”

Brook fece saettare lo sguardo tra i due, insicuro su come intromettersi nel discorso.

“… Non sto facendo il depresso.”

“Ah, no? Allora perché stai tutto solo in un angolino come se fossi in castigo?”

“Questo è il mio laboratorio. Sono sempre da solo nel mio laboratorio.” Fece, ostinato.

Ci fu un attimo di silenzio.

“Non so quale pazienza abbia impedito a Brook di darti sulla testa quella canna da passeggio.” Brook tossì elegantemente dietro la mano.

Franky scelse di fare lo gnorri, dandogli di nuovo la schiena e mettendosi a studiare il pezzo di lamiera, pestandolo con un martello.

Martellata. “Franky.”

“Mh?” Martellata.

“Franky, dobbiamo parlar-“ Martellata.

“Ti ascolto.” Il cyborg si portò il pezzo di lamiera davanti al viso, occhieggiandolo con interesse. Brook era pronto a scommettere che fosse un pezzo di ferro qualsiasi e di nessuna importanza.

La pazienza di Nami si esaurì. Si avvicinò al suo recalcitrante interlocutore a grandi falcate, strappandogli il martello dalle dita e sventolandoglielo minacciosamente a pochi centimetri dalla faccia. “Vuoi vedere come ti faccio tornare la sensibilità anche sul davanti? Eh, razza di ferraglia ambulante?!”

Brook corse a fermarla, afferrandole le braccia. “Calmati, Nami-san!” Franky continuò imperterrito il suo lavoro, facendo comparire un martelletto minuscolo da una delle sue dita.

Brook aggrottò la fronte, risentendosi del comportamento del proprio compagno. “Lo sai che nessuno te ne fa una colpa, vero?”

Il martelletto si abbatté sulla lamiera con violenza, producendo un suono acuto e stonato. Franky si fermò. Aveva le spalle tese e incurvate.
Brook lasciò andare i polsi della navigatrice. Nami sospirò pesantemente, stringendosi un braccio con una mano, improvvisamente insicura su come approcciarlo. “Brook ha ragione. Nessuno ce l’ha con te.”

“Sapevo che me lo avreste detto.” Disse Franky, lasciando cadere in maniera disinteressata quello che aveva in mano.

“Avevo immaginato che ti saresti crucciato per le condizioni in cui versa Robin-san. Ho notato il tuo disagio, poco fa sul ponte.”

“Sì, beh, volevo stare un po’ per i cavoli miei se permettete.”

“Non se questo significa lasciarti da solo con i tuoi sensi di colpa ingiustificati che ti mangiucchiano quel poco di materia grigia che ti è rimasta tra le orecchie.”

“Ingiustificati?” Franky girò la testa verso di loro, i denti stretti. “Se mi fossi accorto che era in pericolo avrei potuto aiutarla, anche con tutta la distanza che c’era.” Si picchiettò le tempie. “Non mi sono installato dei mirini per nulla.” La mano si strinse a pugno. “Invece ero troppo preso dalla distruzione della nave nemica.”

Nami gli si avvicinò, un’espressione totalmente differente sul viso. “Franky, c’era il caos sul ponte, tantissimi marines. È normale che tu non ci abbia fatto caso.”

Il carpentiere appoggiò i gomiti sulle ginocchia. “Invece no. Io so che avrei potuto. Non ho gli occhi di Usopp, ma la mia vista è comunque molto più acuta della vostra.”

“Non dire così Franky. Se vogliamo per forza metterla in questo modo allora la colpa è anche mia, se non fossi così debole e non avessi costantemente bisogno di aiuto Luffy sarebbe potuto andare da Robin invece che da me.”

“Se è per questo non sono riuscito ad aiutare nemmeno lui.” Nami fece un verso frustrato.

Brook si intromise, accorato. “Nemmeno io mi sono potuto tuffare. Ero anche più vicino di te. Credi che non mi sia tormentato, quando l’ho visto cadere a pochi metri da me? Ho potuto solamente continuare a correre.” Strinse fra di loro le mani ossute – letteralmente – e abbassò lo sguardo. “Se Usopp non si fosse buttato avrei perso il mio capitano, senza poter fare nulla per evitarlo. Di nuovo.” Lo scheletro poteva sentire gli occhi di entrambi i suoi amici su di lui e si affrettò ad alzare nuovamente la testa. “Quello che voglio dire è... È inutile affliggersi su quello che è stato. Rimarresti bloccato. Credimi, io lo so.”

“Aw fratè…” Fece Franky, un sorriso tirato sulle labbra. “Grazie. Ma io sono bloccato nel passato. Credevo di essere cambiato. Invece ero troppo preso dal distruggere tutto quello che mi capitava sotto tiro, dallo scaricargli le mie armi addosso. Sono rimasto quello di un tempo, dopotutto.”

“Non dire cavolate. Eri arrabbiato, è normale che ti sia andato il sangue alla testa. Questo non significa che tu sia una macchina da guerra.” Fece una pausa. “Anche se hai armi anche nel cu-“

“Nami-san!” Esclamò Brook, sconvolto.

“Che c’è?! Solo tu puoi essere sboccato?” Nami fece saettare lo sguardo. “Guarda che ti ho visto! Dai, hai sorriso. Ora piantala con questo melodramma, la poppa della Sunny è ridotta a un colabrodo. E poi” disse, con un sorrisetto d’intesa “penso che a Robin farebbe piacere una tua visita in infermeria. Come minimo le farebbe bene ridere un po’!”

Franky abbassò le spalle, sconfitto. “Non c’è un attimo di pace in questa ciurma, eh?” Sospirò con un sorriso sulle labbra. “Però non credo che mi scrollerò di dosso questo peso tanto presto.”

La navigatrice si prese il mento fra le mani, pensierosa. Dopo qualche minuto di silenzio contemplativo alzò di scatto la testa. “Ci sono!” Esclamò. “Perché tu e Brook non seguite il suo consiglio?”

Franky inclinò la testa e guardò Brook con fare interrogativo. Per tutta risposta l’altro alzò le mani e scosse la testa, completamente smarrito.

“Non dovete rimanere bloccati nel passato. Quindi la soluzione è semplice: andate avanti. Tutti e due.” Si portò le mani sui fianchi, un’espressione determinata in viso. “Solo perché abbiamo passato due anni ad allenarci non significa che abbiamo finito di crescere. Ci sono ancora moltissime cose che possiamo migliorare di noi stessi.” Brook abbassò la mandibola per chiedere spiegazioni, ma Nami lo batté sul tempo. “Tu,” Esclamò, facendo scattare un dito in sua direzione “potresti cercare di evolvere la tua abilità di camminare sull’acqua.” Spiegò. “Chi lo sa, potresti persino trovare il modo di dare una mano quando quell’idiota di Luffy cadrà di nuovo in mare. Perché sappiamo tutti che è solo una questione di tempo.”

Brook non aveva bulbi oculari, non più; ma anche senza poteva vedere. E in quel momento tutto quello che riusciva a vedere era Nami in tutta la sua rifulgente bellezza e astuzia; Nami, che gli aveva appena servito la possibile soluzione a uno dei suoi più grandi tormenti su un vassoio d’argento. Usò la manica della sua giacca per asciugarsi velocemente il bordo delle orbite. “Sì, lo farò. Grazie Nami-san.”

La navigatrice ghignò, prima di girarsi e puntare il dito verso Franky. “Invece, tu…” esitò. “Beh, non posso certo dirti di lavorare ulteriormente sul tuo corpo. Non so se sia rimasto anche solo un centimetro libero! Ma… Se è la tua tendenza distruttiva che ti preoccupa, prova a lavorare in direzione opposta. Prova a lavorare sul creare qualcosa, forse?” Spostò il peso sulla gamba sinistra. “Non sono sicurissima su cosa consigliarti, se devo essere sincera. Dopotutto l’amore per le armi fa parte di te. Però, se hai paura che solo questo tuo lato di te stia traspirando, e non dico che sia così, eh, sto solo parlando per ipotesi, ma, come dicevo, se vuoi qualcosa da incorporare alle tue scuse per mostrare concretamente che vuoi cambiare… Beh, un regalo fatto a mano potrebbe fare al caso tuo.” Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e il suo braccialetto tintinnò contro il vetro del log pose. “Ovviamente non posso dirti cosa, su quello ti devi arrangiare! Dopotutto è il pensiero che conta, in questo tipo di cose.”

Un breve silenzio pervase il laboratorio mentre Franky la fissava con occhi sgranati.

“…Te l’ho mai detto che dai consigli fantastici?”

“No, ma sentiti libero di adularmi quando vuoi.” Disse lei, lanciandosi teatralmente i capelli oltre la spalla.

Il cyborg ghignò. “Grazie Nami, sei la migliore.”

“Ottimo, vedo che sei partito con il piede giusto!”

“Però…” Fraky esitò. “Non me la sento di andare da lei. Non ancora. Non penso di meritarmelo, al momento. Mi sento ancora in colpa per quello che è successo.” Strinse i pugni. “Lei è… importante, per me. E stavo per perderla.” Inghiottì a forza il groppo che gli si era formato in gola.

L’espressione scherzosa svanì dal viso di Nami. “Oh, Franky…” Disse, uno sguardo preoccupato negli occhi. Posò gentilmente una mano sul suo avanbraccio in un gesto di conforto.

“Non riesco a smettere di pensare a cosa sarebbe successo se non fosse riuscita a difendersi, o se qualcuno l’avesse attaccata quando non poteva più farlo.” Alzò la testa e guardò Nami, riconoscente. “Ma farò del mio meglio per superare questa cosa. Lo farò anche per lei.”

Lei lo abbracciò. Quando si staccò, gli rivolse un sorriso incoraggiante. “Bene. Allora fallo in fretta. Lei aspetta solo che tu ti decida.”

“Aw!” Esclamò, arrossendo di botto. Nami rise.

 “Franky… Mi chiedevo…” Disse tentativamente Brook, tormentandosi l’orlo della giacca.

“Mh?”

“Questo significa forse che non posso più chiederle di mostrarmi le sue mutandine?”
 
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Mana non aveva pensava davvero di poter sfuggire alle attenzioni dei Mugiwara in eterno. Sarebbe stato da stupidi. Per quanto conoscesse a memoria il dedalo che componeva il ventre della Sunny, la ciurma conosceva quella nave come il palmo delle loro mani; inoltre, appunto, era una nave. Non poteva scappare da nessuna parte, solamente prorogare l’inevitabile. Con Robin fuori gioco e senza i suoi poteri a seguire ogni suo movimento aveva addirittura pensato di poter evitare il confronto per almeno un paio di giorni.

Ma quando Sanji le si parò davanti in uno dei corridoi stretti dove si era rifugiata era appena il giorno dopo la battaglia, più precisamente mezzogiorno.

Mana si aspettò il solito atteggiamento sopra le righe, ma quando le parlò, nonostante traspirasse l’evidente contentezza di vederla, era sorprendentemente serio. “Vieni, per favore. È da ieri pomeriggio che non mangi.”

Mana lo occhieggiò, guardinga. Quel tono inaspettato l’aveva presa contropiede. Non rispose.

“Capisco che vedere tutti quei soldati ieri ti abbia scossa, ma non devi trascurare i tuoi bisogni nutrizionali. È dannoso.” Ritentò.

Mana sbatté le palpebre in sua direzione. Era questo che pensava? Che pensavano? Che fosse traumatizzata da tutti quei marines?

Lui la fissò di rimando, confuso. Inclinò la testa. “… Preferisci che ti porti qui il pranzo?”

Rilassò le spalle e un po’ della tensione abbandonò il suo corpo. Scosse la testa. Il viso di Sanji si aprì in un sorriso, offrendole la mano per alzarsi. Mana la accettò, abbozzando un sorriso a sua volta.

Se non poteva evitarlo tanto valeva levarsi subito il pensiero.
 
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Fu strano ritrovarsi a mangiare insieme a loro dopo quello che era successo il giorno prima. Molto strano. Non riusciva a decidere come comportarsi.

Non voleva tornare a fare la stronza apatica. Non sarebbe stato giusto nei loro confronti e sarebbe sentita a disagio lei stessa se si fosse forzata a farlo. D’altra parte, non poteva nemmeno fare finta che non fosse successo niente. O meglio, poteva farlo; nessuno glielo impediva. Ma sapeva che il giorno prima tutti avevano notato il suo comportamento e le sue azioni e qualcosa stava bollendo in pentola di sicuro. Guardò Nami con la coda dell’occhio. Scommetteva che si stava trattenendo a fatica dal sommergerla di domande.

Si sistemò meglio dov’era seduta, raddrizzando la schiena. Aveva deciso di affrontare qualsiasi cosa avessero deciso di lanciarle addosso; ciò non significava che fosse pronta a farlo.

Su qualcosa gli Straw Hats avevano colto nel segno: era sconvolta. Solo, non per quello che credevano loro.

Le parole che le aveva rivolto Luffy quando era steso per terra continuavano a rimbalzarle nel cervello. Ogni volta che si sorprendeva a pensarci poteva fisicamente sentire lo stomaco attorcigliarsi come uno straccio. Ecco, proprio come in quel momento. No stomaco, fermo, fai il bravo.

“Tutto bene? Stai fissando il tuo piatto da un po’. Stai male?”

Mana si riscosse dalla sua trance, cercando chi le aveva parlato. Chopper la stava guardando con grandi occhi carichi di preoccupazione dall’altro capo del tavolo.

Scosse la testa. “Mh-mh.” Mormorò a bocca chiusa. Abbassò lo sguardo, ispezionando il proprio piatto. Non aveva nemmeno fatto caso al cibo. Scoprì che come portata principale c’erano dei semplici ma succulenti involtini. Ne prese uno fra le dita e se lo portò alla bocca, prendendone un morso. Era ripieno con prosciutto e formaggio, caldo, ma non abbastanza da scottarle la lingua. Un filamento rimase collegato all’involtino. Allontanò il braccio da sé per spezzarlo, ma non fece altro che allungarlo. Ripeté l’azione, stavolta tirando indietro la testa per creare ancora più distanza; ma il filamento di formaggio la sbeffeggiò, allungandosi ancora di più. Aggrottò la fonte, contrariata. Decise di mangiucchiarlo centimetro per centimetro, aiutandosi con le labbra.

Chopper la stava guardando, incuriosito. Un improvviso senso di colpa per il proprio atteggiamento si impossessò di Mana. Aveva fatto preoccupare il piccolo dottore più del dovuto. Cercò di abbozzare un sorriso a bocca piena, ma proprio in quel momento esaurì la distanza fra le sue labbra e l’involtino senza accorgersene, finendo con il naso dentro il ripieno cremoso.

Senza ritegno alcuno, Luffy non perse un attimo ed esplose in una fragorosa risata, puntando il dito nella sua direzione. Mana realizzò all’improvviso che c’era una calma surreale, atipica per quel gruppo di persone, che pesava sul tavolo come una cappa. Tutti quanti la stavano fissando, l’aria carica di anticipazione.

Tirò indietro la testa, inclinandola, una richiesta di spiegazioni sulla punta della lingua. Luffy incrociò il suo sguardo e una risata gli uscì di traverso, nasale e pronunciata come il verso di un maiale.

Si era sporcata il naso di formaggio.

La risata le scappò senza permesso, scoppiettante come una bolla di sapone, involontaria come un singhiozzo. Si stupì lei stessa della sua reazione. Dopo un istante di esitazione, il suo viso di aprì con un sorriso genuino.

Come se si fosse spezzato un incantesimo, la cucina della Sunny tornò a essere rumorosa come al solito. Luffy continuava a ghignarle da dove era seduto a capotavola, la bocca e le guance completamente sporche nonostante la semplicità del cibo. Ogni ombra di preoccupazione era finalmente svanita dagli occhi di Chopper, che ora sorseggiava allegramente il proprio succo.

Nami, seduta di fianco a lei, prese un tovagliolo e le pulì velocemente la punta del naso, sorridendole con uno sguardo d’intesa. “Ventuno, eh?”

Mana la guardò di sbieco, ma si rilassò poco a poco. Sembrava che nessuno la stesse più fissando come prima, ognuno concentrato sul proprio pasto o impegnato in una conversazione con i propri compagni. Forse avevano deciso di non farle altre domande riguardo agli avvenimenti del giorno precedente e lasciar correre.

Riportò la propria attenzione sull’involtino. Le era tornato l’appetito.

 
-
 

A ripensarci, era stata ingenua a crederlo.

“Ne sei assolutamente certa?” la incalzò Chopper.

L’erba fine del ponte della Sunny le solleticava leggermente le piante dei piedi. “Sì.”

“Perché non ci sarebbe niente di male ad ammettere di aver bisogno di aiuto. Lo sai questo, vero?”

Strinse i pugni. “Lo so.”

“E sai che se hai bisogno di parlare tutti noi siamo disponibili, vero?”

Inspirò. Stai calma. “Sì.”

Chopper incrociò le braccia, palesemente insoddisfatto. “Okay…” disse, per niente convinto.

Ci fu un momento di silenzio e Mana pensò, ancora una volta ingenuamente, che l’interrogatorio fosse finito.

Usopp si intromise. “Insomma, sei proprio sicura di non avere delle tendenze suicide?”

“Usopp!”

“Che c’è?! È quello che stiamo pensando tutti.”

“Un conto è pensarlo, un conto è dirlo! In quel modo, poi. Non voglio metterla ancora più a disagio.”

Mana cercò con tutte le sue forze di non reagire. Aveva un inspiegabile e urgente bisogno di gettarsi nuovamente in mare.

Nami la squadrò. “Stavo cercando di non parlarne, ma Usopp un po’ di ragione ce l’ha. È preoccupante questa tendenza che hai a fregartene della tua incolumità.”

Mana non disse nulla, sudando freddo.

Nami le si avvicinò, posandole le mani sulle braccia. Mana non poté impedirsi di guardarla negli occhi, il cuore che le batteva a mille. “Mi vuoi dire perché ti metti sempre in pericolo quando non ce n’è bisogno?” le chiese con sguardo serio. “Mh? Perché ti sei gettata in mare per salvare Luffy? Voglio dire, il motivo è abbastanza chiaro, e ti siamo tutti grati per il pensiero.” Rise nervosamente. Mana deglutì. “Molto nobile da parte tua. Quello che voglio sapere è… perché ti sei gettata sapendo benissimo che non puoi nuotare? Saresti morta. Saresti affogata insieme a lui se Usopp non si fosse tuffato. Lo capisci questo?” Si fermò, un palese groppo in gola che le opprimeva la voce nonostante gli sforzi di rimanere calma.

“Tsk.” Entrambe si girarono. Zoro era appoggiato all’albero maestro, il viso primo di emozioni. “A me pare abbastanza ovvio. E credo che lo sappia benissimo anche lei. Quindi,” strascicò, inclinando la testa. I suoi orecchini luccicarono sotto la luce calda del sole. “rimane solo un’opzione. Non vuole togliersi la vita. Semplicemente non le dà alcun valore.”

Tutti i presenti aggrottarono la fronte.

“I-io…” Mana balbettò, presa in contropiede, prima di riprendere controllo di sé e chiudere di scatto la bocca.

 “Aspetta un attimo, Zoro. Che significa non dà valore alla vita?” Chiese Usopp.

“Forse è meglio dire alla sua vita. Non ho forse ragione?” chiese con voce atona. La Guardò come se le avesse letto dentro, e Mana non riuscì più a nascondere l’antipatia che in quel momento stava provando nei suoi confronti. Non rispose, lanciandogli un’occhiata velenosa.

“Oi, Marimo.” Lo ammonì Sanji.

“Vuol dire” continuò, imperterrito “Che sa benissimo di non poter fare altro che mettere in gioco la sua vita per rendersi utile.” Si alzò in piedi, torreggiando su di lei. “Perché l’unica cosa che sa fare è svolazzare in giro.”

Una cacofonia di esclamazioni esplose mentre loro due si fissavano negli occhi. Una con rabbia e vergogna, l’altro con la tranquillità di chi sa di aver ragione.

“Bada a come parli.” Ringhiò Sanji.

“Indignatevi quanto vi pare ma è la pura e semplice verità.” Sentenziò lo spadaccino, incrociando pigramente le braccia. “Non addolcisco la pillola a chicchessia. Abbiamo deciso di portarcela dietro, ma io non intendo avere un peso morto sulla nave. È debole e inutile sul campo di battaglia. L’unica cosa che sa fare è gettare via la propria vita e sperare che tutto vada per il meglio.”

“Brutto scimmione!” Saltò su Nami, frapponendosi tra lui e Mana. “Come ti salta in mente di dire una cosa del genere? Anche io sono debole, forse sono addirittura la più debole di tutti noi.” Si morse il labbro.

Franky tentò di intervenire. “Oi Nami-”

“È stata colpa mia.” Lo interruppe. “Luffy è finito in mare perché sono troppo debole per fronteggiare avversari troppo forti.” Guardò Zoro con occhi di fuoco. “Immagino di essere inutile anche io allora.” Sputò con tono sarcastico.

“Non dire stupidaggini. Tu sei la navigatrice, la tua presenza è vitale per tutti noi. Lei invece cosa sta facendo a parte fare la fredda a ogni piè sospinto? Non sta nemmeno dando una mano a risolvere questo dannato caso; che era la ragione per cui è rimasta con noi, tra l’altro. Ed era anche l’unico motivo per cui mi sono fatto andare bene la sua improvvisa presenza sulla nave. Invece ha la bocca costantemente cucita e si rifiuta di dirci niente di utile.” Sia Nami che Mana si irrigidirono, entrambe punte sul vivo ma per motivi diversi. “E ora oltre a questo dovrei tenerla costantemente sotto controllo ad ogni battaglia con il pensiero che potrebbe mettere sé stessa o i miei compagni in pericolo? Mi dispiace ma non esiste proprio.”

Mana non ce la fece più. “Non sono un pericolo per me stessa! Mi dispiace avervi causato disturbo ma non era mia intenzione-“

“Perché ti sei buttata?”

Chiuse la bocca di scatto. Zoro la stava fissando con uno sguardo ferreo. “Credevo che nessuno potesse farlo. Non avevo visto Usopp. Non potevo lasciarlo morire. Dovevo fare qualcosa-”

“E quel qualcosa comprende andare allegramente a fondo con Luffy per tenergli compagnia?” Inarcò il labbro, scoprendo i denti in un sorriso amaro. “Per questo dico che sei un pericolo anche per i miei compagni. Ci sarà sempre qualcuno che ti vorrà parare il culo su questa nave, a discapito della propria incolumità. Si affezionano troppo facilmente.”

Mana digrignò i denti.

“Oi testa di muschio, non è che sei solamente geloso?” Lo provocò Sanji con una smorfia improponibile.

Zoro si riscosse dalla sua gara di sguardi con Mana per guardare il compagno come se gli avesse detto di essere un Imperatore. “Ah?!”

“La dolce Mana si è buttata in mare rischiando la sua vita per il nostro capitano e tu intanto che facevi? Fissavi male una catena. Non è che sei solamente imbarazzato perché una donna si è resa più utile di te?”

Mana aggrottò la fronte. “Donna?”

“Fissavo male-?!” Boccheggiò Zoro. “Hai una minima idea di quanto fosse dura quella catena? Era rinforzata con agalmatolite e chissà cos’altro! Mi sono dovuto concentrare molto per tagliarla!” Sbottò.

“Sì, come no. Una scusa perfetta per non esserti tuffato.”

Zoro gli tirò una testata, ma il biondo non indietreggiò, resistendogli. “Sta un po’ a sentire brutto damerino impomatato-“

Luffy si mise a ridacchiare, chiaramente divertito dalle consuete buffonate dei due.

La pazienza di Mana, invece, era definitivamente giunta al limite. Oltrepassò Nami, portandosi davanti ai due uomini per avere la loro attenzione. “Con tutto il rispetto, Black Leg, non me ne faccio nulla del tuo riguardo. Solo perché solo una donna” calcò la parola, quasi scimmiottandola “non significa non sappia badare a me stessa.” Si girò verso Zoro. “Non ho mai chiesto l’aiuto di nessuno, so benissimo cosa posso e non posso permettermi di fare.”

Lo spadaccino si staccò dal compagno, squadrandola da capo a piedi con evidente diffidenza. “Non mi sembra che tu abbia fatto molto, in realtà.”

Sospirò, irritata. “Non sono abituata a combattere in mezzo a tutto quel casino. In un luogo aperto, poi! Sono sempre stata da sola, per questo non so come combattere assieme ad altra gente. Ma in quanto a difendermi ne sono assolutamente in grado. Certo, contro un gruppo è ovviamente più difficile, ma in uno scontro uno contro uno non ho nessun problema.”

Zoro rimase in silenzio per un po’, un’espressione neutra in volto. “… Nessun problema, eh?” Mormorò infine. Mana lo studiò, guardinga. L’uomo si allontanò dal gruppo e, sotto gli occhi di tutti, si sfilò due spade dalla cintola, poggiandole a terra vicino all’albero maestro.
“Cosa stai facendo?”

Si girò di nuovo verso di lei. “Ti sto dando l’opportunità di smentirmi.” Si incamminò verso un punto del ponte meno sfollato. “Avanti.” Le fece cenno di seguirlo. “Uno contro uno, come piace a te.”

Nami si mise in mezzo. “Zoro che stai-“

“Luffy, hai obiezioni?”

Il capitano e il suo braccio destro si fissarono negli occhi per pochi secondi, ma sembrarono ore. Entrambi erano estremamente seri. Vedere Luffy con un’espressione del genere aveva un che di disagevole.

“No.”

Nami ansimò pesantemente, incredula. “Luffy!” Esclamò, indignata. “Che stai dicendo?!”

Mana fece un passo avanti. Nami le prese il polso. “Non farlo. Non c’è niente di male nell’aver bisogno di aiuto. Non devi dimostrare nulla.”

Curvò le labbra. “Apprezzo la tua preoccupazione.” Disse. Sperò che Nami non si accorse di quanto forse forzato il suo sorriso.

Si divincolò gentilmente dalla sua presa, avanzando verso Zoro. Il resto della ciurma si scambiò degli sguardi insicuri prima di seguire l’esempio del loro capitano e fare un passo indietro, creando spazio intorno ai due contendenti.

Zoro si sfilò la spada rimasta dalla cintola, afferrandola per il fodero e tenendosela vicino alla gamba senza sguainarla. Piegò il collo da un lato con un gesto seccoo, facendo scrocchiare le vertebre. Non si mosse ulteriormente, ma era palese che fosse già in guardia. Era tacitamente concordato: nel loro scontro non ci sarebbe stato un contro alla rovescia.

Mana continuò a fronteggiarlo, ma si mise di sbieco, offrendo meno punti scoperti. A poco a poco, con una cura e una lentezza quasi reverenziale, il suo corpo si sistemò in una posizione che non utilizzava da molto tempo. Piegò leggermente le ginocchia. Abbassò il mento. Si portò un braccio piegato stretto contro il suo fianco, lasciando il suo gemello mollemente teso davanti a sé. Prese fiato e aprì la bocca, per poi richiuderla subito dopo. Meglio non dirgli che sono parecchio fuori allenamento. La prenderebbe come una scusa. La sua mente corse a pomeriggi sotto un sole brillante, a voli segreti immersi nella calda luce di un tramonto e a una voce burbera ma gentile.
Scosse la testa e si schiarì la gola, focalizzandosi di nuovo sul presente. Quei tempi ormai sono passati.

Un luccichio sinistro brillò nell’unico occhio del suo avversario. Mana deglutì.

Prima che se ne rendesse contro lo spadaccino fu su di lei. Non ebbe problemi con l’attacco a sorpresa, ma non si aspettava che fosse così veloce. Lo parò a malapena con entrambe le braccia, e la situazione risultò in un momentaneo stallo.

“Arti marziali militari, eh? Scelta peculiare.” Mormorò lui.

Esitò un momento di troppo prima di rispondere “Sono stata costretta a impararle quando ero prigioniera.” Zoro ghignò. Mana sentì l’irritazione montare.

Cercò di indietreggiare, ma Zoro lasciò andare la spada con una mano per piantare un pugno ricoperto di haki nel suo fianco. L’impatto la spedì a terra qualche metro più avanti. Registrò a malapena le esclamazioni dei presenti. Non si era aspettata un trattamento di riguardo. Anche se, a conti fatti, il fatto che la stesse attaccando solamente con una katana invece di tutte e tre forse era di per sé un occhio di riguardo. Mana digrignò i denti. Sapeva benissimo che lo spadaccino era infinitamente più forte e che, nonostante quello fosse uno scontro uno contro uno, ogni fattore di quella lotta giocava a suo sfavore; ma la consapevolezza di essere sottovalutata senza che avesse fatto vedere nemmeno un terzo di quello che era in grado di fare le bruciava troppo.

Si rialzò appena in tempo per abbassarsi di colpo ed evitare un affondo di Zoro. Atterrò a quattro zampe, ruotando il peso del corpo sul tallone sinistro per sferrargli un velocissimo calcio alla testa con la gamba destra. Zoro tirò indietro la testa, evitandolo. Mana si concesse un breve sorriso, prima di piegare il ginocchio e avvinghiare la gamba intorno alla spada. Come aveva previso, Zoro non ebbe problemi a sollevarla di peso cercando di farla staccare dall’arma. Se pensa che conosca solo le arti marziali si sbaglia di grosso. Non seguito gli insegnamenti alla lettera.

I bracciali riflessero fiocamente la luce del sole sul legno dove li aveva frettolosamente abbandonati.

Accadde tutto in pochi istanti. Mana sfruttò lo slancio e flesse gli addominali, sollevando la parte superiore del corpo oltre l’altezza della spada facendo leva sulla gamba che ci aveva avvolto attorno. Mentre lo faceva, ruotò il bacino e richiamò il potere del suo frutto. Le sue gambe si tramutarono in grandi artigli di rapace e la sinistra impattò violentemente contro la testa del suo avversario.

Zoro perse la presa e venne sbalzato via, separato dalla sua arma. Mana usò le proprie ali per rimettersi in equilibrio, lasciando che la spada cadesse a terra sul ponte della Sunny, dimenticata, la lama che faceva capolino dal fodero solo di pochi centimetri.

Mana riprese fiato, portandosi una mano al fianco dolorante, un po’ ingobbita. Si girò per vedere che fine avesse fatto Zoro, ma lo trovò fin troppo vicino per i suoi gusti, un’espressione demoniaca in volto.

Sgranando gli occhi, Mana cercò di alzarsi in volo, ma decollare da terra era molto più difficile e lento. Zoro le afferrò un piede – o meglio, una zampa – e la sbatté malamente a terra di faccia. Mana boccheggiò, stordita per l’impatto.

Prima che potesse cercare di reagire in alcun modo, venne tirata su di peso, tenuta per un’ala. I colpi che aveva incassato erano pochi, ma forti abbastanza da farle girare la testa. Trovandosi improvvisamente faccia a faccia con Zoro cercò disperatamente di reagire, sferrando un gancio alla cieca in direzione della sua testa. Lui lo parò con un avambraccio ricoperto di haki, senza nemmeno distogliere lo sguardo dal suo. Quello stesso braccio scattò verso il suo viso. Mana non fece in tempo a evitarlo del tutto; ma invece dell’impatto che si aspettava sentì un bruciore sulla guancia, e un taglio si aprì al passaggio della mano di Zoro. Un’intera ciocca dei suoi capelli svolazzò in aria. Mana sgranò gli occhi, lo stomaco che le si attorcigliava.

Fissò l’unico occhio di Zoro, tremando. Quell’uomo era un demone.

Zoro ritirò il braccio, spostando lo sguardo leggermente a destra. Realizzando cosa avesse intenzione di fare, Mana masticò un’imprecazione e richiamò il suo frutto. Zoro sferrò il suo attacco dove fino ad un istante prima si trovava un’ala, un colpo così deciso che le schiaffò i capelli in faccia per lo spostamento d’aria.

Con un grugnito Mana raccolse le forze e calciò con tutta la sua forza il petto dello spadaccino, separandosi da lui e rovinando a terra per l’ennesima volta in quel combattimento. Ansimò pesantemente, distrutta. Considerò brevemente l’idea di gettare la spugna. Poi, una voce le disse perentoria di non dare mai le spalle al nemico, dannazione! A un respiro di distanza, nella sua mente si susseguirono ricordi di fughe a rotta di collo, inseguimenti in vicoli stretti, corse con il cuore in gola e l’inferno alle calcagna. Strinse i pugni, risoluta. No, non poteva finire così. Arrendersi significava catene, significava una cella fredda e umida, significava acciaio che le mordeva la carne e ghigni malevoli dietro delle sbarre.

Rotolò sulla schiena, risoluta a rialzarsi e lottare anche tirandogli l’erba negli occhi, se necessario.

La punta del fodero di Wado Ichimonji a un soffio dal naso accolse il suo tentativo di mettersi a sedere. Le si bloccò il respiro, paralizzata. Quanto era rimasta a terra? Gli aveva dato abbastanza tempo per recuperare la spada?

Zoro la guardava dall’alto, un’espressione indecifrabile in viso. “Ammetto che sai pensare velocemente, e sei creativa nei tuoi attacchi. Non sono riuscito a prevederti. Ma quelle ali sono solo un ingombro se non conosci l’haki dell’armatura.” Disse. “Il tuo frutto non è adatto al combattimento, ma alla fuga.” Mana si morse il labbro, cercando con tutta se stessa di ricordarsi che non c’era nulla di sbagliato nello scegliere la fuga quando si andava incontro a sconfitta sicura. Ma le sue parole la bruciarono lo stesso.

La studiò, inclinando la testa. “Le tue arti marziali sono abbozzate e mancano di forza.” Continuò, picchiettandole rudemente il braccio con la punta del fodero. “Sono adatte più a uomo che a una gracilina come te.” Cercò di non dare a vedere il fastidio che le aveva procurato quell’ultimo commento, ma a giudicare dal sorrisetto ironico sulla bocca dello spadaccino non c’era riuscita.

La loro battaglia di sguardi continuò, ininterrotta. Dopo un po’, il Cacciatore di Pirati allontanò la spada dal suo viso, infilandosela di nuovo nella fascia che portava in vita. Mana espirò pesantemente dal naso.

Zoro le diede le spalle, lasciandola per terra sotto lo sguardo di tutti. “Hai un grande margine di miglioramento. Ma ora come ora sei debole.” Sentenziò, allontanandosi.

Nessuno fiatò. Anche quando Nami e Chopper si avvicinarono per aiutarla, non aprirono bocca.

Mana fissò i fili d’erba che ondeggiavano pigramente sul ponte della Sunny, e un’onda di mortificazione e impotenza la assalì.

Non aveva nemmeno sguainato la spada.
 

 


 
Lo stile senza spada con le braccia ricoperte di haki l’ho preso dal film One Piece Gold e si chiama Mutoryuu.
  
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