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Autore: Miryel    09/03/2019    23 recensioni
In una vita alla costante ricerca di un vuoto da colmare, Peter Parker e Tony Stark si trovano, in un momento della loro esistenza in cui si sentono divisi a metà, a condividere parti della loro anima e della loro mente, con la sola scusa di un tempo che giustificano come speso per forza insieme. Il loro rapporto cresce, di giorno in giorno, fino a creare inaspettatamente un legame e, inesorabilmente, una rottura.
Una rottura che per Tony significa mettere da parte l'orgoglio per affrontarla e per Peter mandandare giù bocconi amari, tentando di non soffocare con la sua stessa saliva.
[ Young!Tony x Peter - Angst/Introspettivo/Romantico - College!AU ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Young!Tony x Peter | Angst - Romantico | word count: 3707 ]


You Say Goodbye,
I Say Hello





•  •  •
«I don't know why you say goodbye,
I say hello»
•  •  •



 

Capitolo V. Twist and Shout
 

 

Tony Stark non lo avrebbe mai ammesso, eppure a volte le prime impressioni potevano risultare infinitamente errate. Era difficile accettare quel cambio di testa, tanto quanto era difficile sostenere un comportamento ostile e distaccato, con chi non gli trasmetteva più il desiderio di comportarsi come tale. Peter Parker era una compagnia piacevole, non poteva più nasconderlo e, sebbene all’inizio fu dannatamente difficile abituarsi all’idea che potessero andare d’accordo, dopo quasi un mese di lavoro Tony aveva accantonato l’idea di fingersi l’antieroe della situazione, accettando il fatto che sì, erano diventati amici e che, dopotutto, poteva vivere quella cosa con serenità, perché nessuno lo avrebbe mai redarguito per quel fatto. Era vero che Steve e Bruce lo avevano canzonato più volte, specie in quelle occasioni dove Tony li aveva snobbati e ignorati per passare del tempo con Parker anche al di fuori dello S.H.I.E.L.D. piuttosto che con loro, ma non ce l’avevano davvero con lui. Lo sapeva.

«Quello stupido progetto! Ci toglie un sacco di tempo che potrei dedicare ad altro! Ovvio che finito il lavoro, cerchiamo di rilassarci come possiamo, bevendo qualcosa insieme», si era giustificato, qualche giorno prima, quando la sua assenza stava diventando, a detta di Banner, sospetta. Sospetta, poi? E anche fosse stato che lui e Peter avevano instaurato un rapporto d’amicizia? Certo, non gli faceva piacere ammettere che dal non volerci avere niente a che fare, era passato a quasi non poter fare a meno della sua compagnia, ma questo non significava di certo che li stava tradendo, a lui e Steve. In più Bruce aveva pure iniziato uno stage nel laboratorio di ricerca dello S.H.I.E.L.D. – Tony non aveva ancora capito in che ambito, e sinceramente nemmeno gli interessava – e era capitato spesso di passare del tempo anche con lui, sebbene preferisse di gran lunga spendere quegli attimi al quartier generale, da solo con Peter e nessun altro. C’era qualcosa, nella compagnia di Parker, che lo metteva paradossalmente sempre a suo agio.

«Ci siamo su da tre settimane, ormai. Possibile che non riusciamo a finire quest’accidenti di cosa? Non puoi continuare ad andare in giro in pigiama!» Lo indicò, con un gesto teatrale, sbuffando.

«Non è colpa mia! Tu hai voluto rincarare la dose con gadget e altre cose tipo… tipo quel coso che asciuga la tuta o l’AI a riconoscimento vocale! Sei sicuro che siano davvero essenziali, Tony?» gli domandò Peter, quando gli aveva mostrato un piccolo dispositivo – una specie di centralina elettrica in miniatura – da posizionare da qualche parte nella ragnatela di chip e rame che l'interno della tuta presentava ordinatamente nel suo tessuto.

Tony sbuffò. «Beh, l’asciugatore è vitale. Metti che cadi in mare, o piove? Vuoi rischiare tipo la morte per ipotermia? E l’AI è un buon modo per gestire il tutto a voce, evitando di inserire stupidi tasti inutili che ingombrerebbero solamente. Le cose se si fanno, vanno fatte bene!» lo redarguì, con quel tono polemico che ormai Peter sembrava aver imparato a conoscere e a non temere più, per quello forse gli riservò un sorriso divertito.

Alzò le mani in segno di resa. «Sei tu l’ingegnere, Tony. E sei tu che ti lamentavi del tempo che ci stiamo mettendo…»

«Ah, beh. Ora è colpa mia, no? Non ti sopporto, Spider-Man», sbuffò e come di consueto, Peter abbassò gli occhi, e si zittì.

C’era questa cosa, ridondante. Una specie di vizio orribile che gli era preso di ripetere, senza trovare alcun modo di smettere – forse perché nemmeno voleva – quella frase. Non ti sopporto, glielo diceva in continuazione. E Peter, come sempre, si zittiva e fingeva di non esserci rimasto male, quando invece era così. Tony lo sapeva, quanto era capace di ferire le persone, ma sperava sempre che gli altri potessero abituarsi ai suoi modi di fare e infine lasciarsi scivolare addosso tutte quelle cattiverie che la sua stupida bocca tirava fuori senza un minimo di decoro. Tutto perché affidava agli altri l’arduo compito di accettarlo così com’era, piuttosto che sforzarsi di cambiare un lato di lui che personalmente odiava a morte. Funzionava sempre, tutti si abituavano, tranne Peter.

Mi dispiace, avrebbe voluto dirgli con una mano sul cuore, e invece tutto ciò che riuscì a fare  fu sospirare e riprendere in mano la mappatura della tuta, indicandogli dove andavano messi quegli accidenti di aggeggi. E Peter, come sempre, tornò ad essere il solito Peter che lo perdonava per le cattiverie che gli rivolgeva.

Sottomesso, debole, cacasotto. Ne aveva dette così tante su di lui, quando l’unico aggettivo che avrebbe dovuto attribuirgli era gentile. E, ancora, paziente. Come nessuno lo era mai stato con lui.

«Che fai dopo?» chiese, all’improvviso. Alzò gli occhi su di lui. Peter non ricambiò.

«Nulla. Torno a casa», rispose, laconico. Una vena di distacco nella voce, che lo colpì in piena faccia.

«Io e gli altri andiamo a bere qualcosa in un pub vicino scuola. Vieni con noi.»

Non era una domanda. Non era impostata in tal senso, quella proposta ma Tony sapeva che era l’unico modo per riuscire a dirgli che sì, aveva piacere che si unisse a loro, in quella tranquilla serata che Banner aveva organizzato. Era venerdì sera, il giorno dopo c’era la pausa del weekend, avrebbero potuto fare anche tardi. Soprattutto, poi, i suoi amici gli chiedevano sempre per quale accidenti di motivo, invece di dar loro buca, non portava anche Parker con lui.

«Hai paura che te lo portiamo via, Tony?» aveva ridacchiato Bruce, e Tony lo aveva liquidato con un dito medio maturissimo.

«Gli altri?» domandò Peter, alzando un sopracciglio, ma non lo sguardo sul suo, troppo impegnato in quelle saldature con cui ormai era diventato bravissimo, per quanto ora, evitare il suo sguardo, sembrasse il suo unico obiettivo.

«Sì, beh… sono solo Banner e Rogers a dire il vero. Non so se anche Barnes verrà con noi, però non abbiamo chissà che piani. Una birra, un paio di stuzzichini, due chiacchiere e poi a casa.»

Peter finalmente lo guardò. Si morse un labbro, pensieroso. Nervoso. A disagio. «Non lo so… pensi che a loro farebbe piacere avermi tra i piedi?»

Tony rise senza alcun entusiasmo. «Perché non dovrebbero? Sono amici miei!»

Appunto, stava sicuramente pensando Peter, e non doveva dargli tutti i torti, ad essere sinceri. Per fortuna, però, i suoi amici non erano come lui, anzi. E questo, di certo, avrebbe reso la serata piacevole e spensierata; quasi sicuramente, il tipo di uscita che Spider-Man preferiva. Non ci voleva poi molto a capirlo.

«Se ti fa piacere, vengo volentieri.»  

«Deve far piacere prima di tutto a te, Parker!» borbottò Tony, e fu felice di vederlo ridere, decisamente alleggerito dal peso dell’insicurezza, che a volte l’arroganza che gli riservava era capace di annullare. Forse per l’incapacità di ammettere repliche e dunque stupide paranoie.

«D’accordo, allora! Sono dei vostri!»

 

 

Tony Stark non amava i ritardi, e nemmeno i ritardatari. Tony Stark era pure un ritardatario, ma solo quando gli faceva comodo esserlo… e non con tutti. Non era quello il caso, e per quanto stesse cercando di convincersi che non era così, quel largo anticipo che ci aveva messo per raggiungere il pub, lo doveva in parte a Peter. Lo trovò difatti di fronte alla porta d’entrata, in sua attesa. Gli altri erano già dentro, ma era evidente che non volesse stare da solo con loro, visto che non vi era poi così tanta confidenza.

«Sei sempre in anticipo», lo salutò Tony.

«Per non arrivare in ritardo», sorrise Peter, «Non è una buona abitudine, se è quello che pensi. Si chiama ansia!» concluse, guadagnandosi uno scherzoso e leggero pugno sul braccio.

Tony aprì la porta e una cover di Barbara Ann li accolse ad un discreto volume, insieme al chiacchiericcio indistinto tra i tavolini. Fece cenno a Peter di seguirlo, quando individuò Steve, Banner e Barnes. O, come soleva chiamarlo Rogers, Bucky. Un ragazzetto un po’ sulle sue che a Tony non andava proprio a genio e con cui spesso si scontrava per le cavolate più disparate, ma alla fine era innocuo. Si accomodarono al tavolino, non appena conclusero i saluti e Tony sospirò, guardandosi intorno per individuare una cameriera e chiamarla per ordinare, voltandosi però di scatto quando sentì Banner rivolgersi a Parker con un tono che non gli piacque affatto.

«Finalmente quel rincitrullito di Tony ti ha permesso di passare una serata con noi! È un sacco di tempo che gli chiediamo di invitarti!»

Steve rise, e l’istinto fu subito quello di fulminarlo con lo sguardo, quando Tony capì che piega stava già prendendo quella serata.

«A volte sembra che voglia l'esclusiva su di te, Parker!»

«O, magari, volevo semplicemente evitargli una serata in compagnia di voi, teste di cazzo…?» commentò Tony, indignato, «Non è passato nemmeno un minuto, e mi sono già pentito di avervi raggiunti», concluse.

«Come ci scaldiamo facili», ribatté Banner.

«Falla finita», lo redarguì, e gli puntò un dito contro, sperando che solo quel gesto potesse servire da raccomandazione. Una minaccia velata che, lo sapeva bene, con i suoi amici non funzionava mai. Lo conoscevano troppo bene. Si voltò a guardare Peter, che non aveva ancora spiccicato mezza parola. E come poteva? Nessuno di loro glielo aveva permesso! Se ne stava tutto curvo sulla sua sedia, con il suo maglioncino blu e le mani infilate tra le cosce strette, a disagio. Un sorriso di circostanza palese come poche cose lo erano, e gli occhi abbassati, che esprimevano tutto il suo pentimento per avergli detto di sì. Tony si sentì in colpa. Profondamente.

«Non dar loro ascolto! Non vedi che sono un branco di disagiati? Rogers si è pure trovato il fidanzato, con lo stesso disturbo mentale», sbottò, indicando Barnes con un gesto teatrale e questi rispose con un indignato «Ehi!» che strappò una risata al suo ragazzo. Peter alzò gli occhi sui suoi, e Tony sentì il cuore spezzarsi in un milione di piccoli pezzettini, quando lesse in quello sguardo il desiderio di andare via di lì.

«Parker, siamo un branco di deficienti, ma non siamo sempre così. Ti chiedo scusa per averti reso partecipe di una delle nostre crisi esistenziali. Prometto che ci impegneremo a sembrare normali, almeno per un po’», commentò Steve, che tra tutti – Tony escluso, era quello con cui Peter aveva un minimo di confidenza.

«I-io… nessun problema, davvero! Solo che ci metto un po’ ad ambientarmi e chiedo scusa se sto facendo la figura della bella statuina. Mi serve giusto qualche minuto per ingranare.»

«Figurati! Siamo molesti e ne siamo consapevoli! Piuttosto, come sta andando lo stage allo S.H.I.E.L.D.? Io ho appena iniziato e non è male, ma se a te hanno affiancato Stark, posso solo immaginare che razza di incubo stai vivendo, Parker», disse Banner, lanciando a Tony un’occhiata divertita, che quest’ultimo accolse senza replicare come avrebbe invece fatto normalmente; solo perché, in quelle parole, ci aveva visto un modo carino di integrare Peter nei loro discorsi. Gliene fu grato.

Spider-Man esitò qualche istante prima di rispondere, poi il suo sorriso di circostanza assunse una nota più sincera. «Tony è un buon mentore. Mi bacchetta, spesso e volentieri, però mi sta insegnando un sacco di cose. Quindi sì, in linea di massima sta andando bene. Almeno per me… insomma, non so se per lui è lo stesso!» esclamò, agitandosi e rivolgendosi a Tony, aggiungendo: «È lo stesso per te?»

«Ovvio che no, Parker! Andiamo, hai rischiato di incendiare il laboratorio due volte, la scorsa settimana!» sbuffò, ironico quando Peter si ritrasse colpito e arrossì improvvisamente. «Cos’è questo immotivato desiderio di diventare un piromane?»

«Beh… non eri tu quello che ha distrutto un intero server, bruciando il cavo di alimentazione? La strigliata di tuo padre l’hanno sentita pure in Messico», gli ricordò Steve, e fu un colpo al cuore triplice, quando gli rivolse tutto l’odio possibile dagli occhi e Peter scoppiò a ridere.

«Lo hai fatto?»

«Fosse solo quello! Se dovessi elencarti tutti i casini che ha fatto Tony nell’arco degli anni passati allo S.H.I.E.L.D., non ci basterebbe quest’unica serata», aggiunse Banner, e Steve lo invitò a brindare con il suo boccale, forse per la bella battuta appena fatta, ma Tony non ci aveva fatto poi così caso. Peter era passato dal voler andare via, all’accantonare totalmente quell’idea. Lo guardò ridere a quella battuta, mentre la cameriera si fermava a chiedere loro le ordinazioni aggiuntive, e ordinava una birra rossa fruttata. Prese lo stesso, solo perché non aveva abbastanza testa da poter anche solo pensare a cosa volesse bere. Era sorprendentemente sollevato, eppure la confusione mentale di quella giornata lo stava agitando. Quei sentimenti contrastanti erano peggio di qualsiasi altra cosa. Gli sembrava che tanti piccoli sassolini si stessero muovendo turbinosi nel suo colon. Non aveva mai provato nulla del genere in vita sua.

«Insomma, per capirci: Parker sta in classe con Steve, Stark con Banner. Come accidenti siete finiti tutti allo S.H.I.E.L.D.?» domandò Bucky, improvvisamente, prima di dare una lunga sorsata alla sua birra scura.

«Grazie al solo ed inimitabile protagonista del nostro sistema nervoso centrale: il cervello. Un organo che non tutti possiedono, a quanto pare...», rispose Tony, al posto degli altri, tirandogli quella frecciatina e indirizzando lo sguardo altrove quando Steve gli riservò un’occhiataccia che, silenziosamente, voleva dire: «Ti ammazzo».

«Esami di ammissione, test psicologici… roba che ho provato a fare totalmente a caso, sinceramente», spiegò Peter, la solita modestia che cercava di sminuire, chissà per quale motivo, i risultati eccellenti che riusciva sempre ad ottenere, «Sono stato molto fortunato a superare la selezione».

«Dubito che entrare in un posto come quello sia tutta questione di fortuna», continuò Barnes e per la prima volta in vita sua, Tony dovette dargli ragione.

«Sicuramente no, ma in parte aiuta.»  

«Peter è modesto. In realtà è un secchione. Per quello lavoriamo bene insieme», borbottò, in risposta, bevendo poi la sua birra, che sapeva troppo di frutta ed era troppo dolce. Un sapore che sì, si addiceva ad uno come Peter. Quest'ultimo gli riservò un'occhiata imbarazzata, che lui non ricambiò e, quando Banner cambiò argomento e iniziarono a parlare di musica, siccome era partita una canzone dei Pantera, fu sollevato di non dover giustificare affatto quell'uscita che aveva avuto.

«Io, Steve e Barnes abbiamo un gruppo», spiegò Bruce, siccome Peter aveva alzato un sopracciglio quando avevano iniziato a parlare di cover da suonare, «Anche Stark ne faceva parte, poi ci ha piantati in asso».

Spider-Man si esibì in un adorabile suono deluso, e guardò Tony: «Come mai? Tu suoni?»

«Nah, io canto¹. Strimpello la chitarra, ma sono leggermente meno bravo di Steve.»  Sorrise in direzione dell’amico, che alzò scherzosamente gli occhi al cielo, di fronte a quell’ironica sfida, «Ho smesso perché non ho più il tempo che avevo una volta», mentì.

«Hai smesso perché non ti va», sbottò Rogers e fu Tony, di alzare gli occhi al cielo, stavolta. Non gli andava, ed era vero in parte. Aveva perso un po’ quella voglia di divertirsi con quel progetto assieme ai suoi amici, solo perché suo padre gli aveva detto che, certe stupidaggini, lo distraevano dal suo obiettivo. Il peso di quelle parole, di giorno in giorno, gli aveva cancellato via la spensieratezza con cui si dedicava a quel divertimento che non richiedeva nessuna pretesa. Suo padre era in grado di rovinare qualsiasi cosa, persino la più bella.

Sospirò e affogà quel dispiacere in una lunga sorsata di birra, sperando di poter presto cambiare argomento.

 

 

«È un vero peccato. Mi sarebbe piaciuto, sentirti cantare.» Peter lo ammise con tutta la sincerità che il suo corpo era in grado di mostrare. La sua inesistente paura di sembrare un dannatissimo sentimentale era ammirevole. Tony si voltò a guardarlo, ma non disse nulla. Alzò solo le spalle, noncurante. Tanto, ormai… voleva dire quel gesto.

Era stato una bella serata, malgrado le prime difficoltà che Peter aveva incontrato nell'integrarsi ma era andata meglio di quanto Tony avesse sperato. Non era certo che il ragazzino del Queens avrebbe ripetuto quell'esperienza, in futuro, ma sapeva che, una speranza di rivederlo seduto al tavolo con loro, ci poteva stare. Per quel motivo a fine serata gli aveva proposto di accompagnarlo fino alla fermata dell'autobus –gesto che aveva scatenato subito occhiate d'intesa tra Steve e Banner. Voleva solo parlare con lui, capire se era stato bene per davvero o se si era sforzato di far passare la serata in modo piacevole, sperando potesse finire presto e quando gli rispose, lo spiazzò ancora. Di nuovo.

«Forse non sono fatto per stare con troppe persone. Specie se si conoscono così bene e da tanto tempo.»

Tony gli riservò un'occhiata scettica, e Peter si agitò. «Non fraintendermi, sono stato bene. Sarò felice di ripetere l’esperienza, se agli altri va bene ma… sono un disastro con le relazioni umani. Sono goffo, logorroico e a volte fuoriluogo. Ho talmente paura di mettere a disagio le persone, che finisco per farlo, infine.»

«Sono sicuro che gli altri siano stati bene. Avanti, Peter… sopportano me! Hanno superato la prova più dura. Figurati se non sei loro simpatico», cercò di rassicurarlo e l’altro sbuffò divertito, tirando un calcio ad un sassolino con fare malinconico. Le mani infilate nelle tasche dei jeans leggermente troppo lunghi, arrotolati sopra le scarpe.

«Mi fido di te. Per quello, malgrado provi un’immensa paura di non andar loro a genio, verrò ogni volta che vorrete.»

«Perché dopotutto non hai poi così paura.»

«No, è che mi hai convinto. Tu… ci riesci sempre. Non so come fai, ma lo fai», gli rispose, e lo spiazzò. Tony aveva perso il conto delle volte in cui lo aveva fatto. L’unico essere umano al mondo a riuscirci con una facilità quasi disarmante. Si fermò per istinto e Peter poco dopo lo imitò, girandosi a guardarlo, siccome era rimasto qualche passo dietro al suo.

«Ho detto qualcosa che non va?» gli chiese, inclinando leggermente la testa.

«No,» ammise Tony, con un diniego, «hai detto qualcosa che non mi aveva mai detto nessuno». Lo affiancò di nuovo, e sentì il cuore avvampare. Gli fece un male tremendo.

Peter alzò un sopracciglio. Sembrava lui, ora, quello spiazzato. «E ti va bene?»

«Finché sono complimenti…» gli rispose e gli diede una gomitata, con un sorrisetto scaltro ad accentuare quell’ironia. Peter ricambiò con lo stesso gesto, poi sospirò e guardò il cielo sgombro di nuvole, ma ricco di stelle splendenti. Uno spettacolo raro, nel cielo inquinato di New York.

Tony si perse dietro al suo sorriso dolce, riservato chissà a cosa, mentre ammirava il manto di costellazioni che faceva da tetto ad una città quasi del tutto dormiente. Peter era questo: un insieme di affascinanti e inaspettati comportamenti, che lo rendevano l’essere più genuino e, paradossalmente, quello più enigmatico della terra. Il naso rivolto all’insù gli scoprì il collo lungo e lattescente, che Tony percorse con gli occhi fino ad arrivare ai lineamenti così particolari del suo viso, delle sue rughe d’espressione date da quel sorriso leggero che diceva troppe cose e ne celava altre. Gli occhi frizzanti, velati di una malinconia che però non lo vinceva mai e che rimaneva solo una piccola e trasparente pellicola, oscurata da quella splendente voglia immensa che aveva, di vivere la vita. Gli zigomi sporcati di rosso dal freddo e da chissà quale emozione e poi i capelli castani e morbidi che profumavano di latte al cocco.  

Peter guardava le stelle e Tony guardava Peter; non poteva più nasconderlo, sebbene non riuscisse ad accettarlo perché ne andava di troppe cose, ma in cuor suo sapeva che quel ragazzino non gli era indifferente. Forse non lo era mai stato. Nemmeno in quei momenti, quando lo aveva quasi odiato per quello stupido primato che gli aveva inconsapevolmente rubato. Peter gli piaceva, e non come gli poteva piacere un amico... e negarlo sarebbe stata solo una grossa bugia. Eppure, nei meandri più oscuri della sua mente, Tony avrebbe voluto che le cose fossero andate diversamente, con lui. Distolse lo sguardo, e si morse le labbra. C’erano tante cose, che riusciva a gestire. Persino, a volte, il suo brutto carattere, ma i sentimenti...

«Fine della corsa», mormorò Peter, e lo risvegliò da un mosaico di pensiero che stava inutilmente cercando di riordinare. Erano arrivati alla sua fermata del notturno e Tony si chiese come fosse possibile che il tempo l'avesse gabbato a quel modo.

«Ti faccio compagnia mentre aspetti l'autobus», asserì, annuendo per essere più convincente.

«No, va’ a casa, Tony. È tardi.»

«È pericoloso stare qua da solo! E se ti rapiscono?» cercò di ironizzare, solo perché non sapeva come giustificare quell’impellente desiderio di rimanere lì.

Peter alzò un sopracciglio, poi scoppiò a ridere. «Lo so che non sembra, ma so cavarmela da solo! Sono Spider-Man, l'hai forse dimenticato?»

«Beh… tendo a dimenticarlo a volte. Però okay… come preferisci, dunque», rispose. Distolse lo sguardo e si passò una mano tra i capelli.  «Ci vediamo domani, allora.»

«Domani è sabato», gli fece notare l’altro. Quando si voltò a guardarlo lo trovo con la testa incassata nelle spalle e un sorrisetto timido.

«E la tuta? Non la vuoi proprio finire, eh!» lo rimbeccò scherzosamente e Spider-Man si finse indignato, piazzandosi le mani sui fianchi e reprimendo un sorriso dietro ad un finto broncio.

«Sì che voglio!»

«Allora a domani», ripeté Tony e Peter sorrise, alzando una mano per salutarlo. Un gesto tanto semplice quanto letale che, in fondo all’anima, bruciava così tanto da mozzargli il fiato. Fu per quel motivo che Tony si voltò e se ne andò, farfugliando un augurio di buonanotte tra le labbra.

Consapevole che da quel giorno le cose non sarebbero state più le stesse, capì che persino il controllo che pensava di possedere, sulla propria vita, se n’era appena andato insieme ad un paio di battiti del cuore. Non avrebbe mai pensato che, provare un reale interesse per qualcuno, potesse fare tanto male.

E lui, che aveva sempre dormito a discapito di tutto, quella notte non riuscì a chiudere occhio.


 



 Fine Capitolo V

  

«Come on, come on, come, come on baby now
Come on and work it on out. Well, work it on out, honey
You know you look so good, You know you got me goin' now
Just like I know you would
»  
Twist and Shout – The Beatles

_______________________________________

¹ Robert Downey Jr. è un meraviglioso cantante. Non potevo non inserire un elemento simile, in una college!AU

 

Angolo riflessivo di Miryel, scritto in un bar della Filippinia del Nord (??), Marzo 2019:

Salve!
Come ve la cavate? Qui ridendo e scherzando siamo già al capitolo 5 e vorrei ringraziare tutti per il vostro supporto morale e per l’affetto dimostrato alla storia. Davvero, grazie mille!
Vi do appuntamento alla prossima settimana e, augurandomi che anche questo capitolo vi sia piaciuto, vi invito a farmi sapere la vostra opinione, se vi va ♥ ve ne sarò riconoscente a vita.
A prestissimo,
Miry

 
   
 
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