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Autore: AthenaKira83    10/03/2019    6 recensioni
La vita di Magnus cambia improvvisamente quando un avvocato si presenta da lui rivendicando, sul figlio Max, il diritto del padre naturale.
Per amore del bambino, l'uomo è disposto a ritornare a casa ed ad incontrare il famigerato individuo che minaccia di frantumare la sua felicità.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L'odore del fieno e dei cavalli usciva dalle porte aperte delle scuderie, mescolandosi all'aria fresca del mattino. Max inspirò profondamente, gustandosi il profumo oramai familiare di quel posto che gli penetrava le narici e gli si attaccava alla pelle. Adorava tutto ciò.
Da quando, dopo pochi giorni dal suo arrivo nella tenuta, il signor Fell gli aveva chiesto di aiutarlo ad accudire i cavalli, ogni giorno, prima di recarsi al capanno nel bosco, Max correva nelle scuderie per salutarli e dargli da mangiare.
Qualche giorno prima, inoltre, era arrivato un pony destinato a lui e Max aveva seriamente pensato che, da un momento all'altro, sarebbe scoppiato dalla felicità per quel dono inatteso. Il signor Fell gli aveva detto che avrebbe dovuto attendere un po' prima di cavalcarlo, ma a Max non importava perché, nel frattempo, avrebbe imparato a spazzolarlo senza fargli male, a controllare che gli zoccoli fossero a posto, a sistemare la sella sulla schiena e ad agganciare correttamente le cinghie. Era elettrizzante tutto questo.
Diversi, invece, erano i sentimenti che provava nei confronti dell'autore di tutta quella felicità. Prima il tiro con l'arco, poi il pony e le lezioni di equitazione. L'avvocato, con tutti quei regali inaspettati, lo stava confondendo non poco e Max non sapeva più cosa provare nei suoi confronti.
Aveva il vago sospetto che ci fosse lo zampino di suo padre, dietro a tutto ciò, ma non ne aveva le prove. Era pur vero che Magnus Ti Tolgo L'Anima Bane era piuttosto convincente (per non dire esasperante) quando voleva qualcosa e difficilmente mollava l'osso prima di veder realizzato un suo desiderio. Non si sarebbe affatto stupito, quindi, di scoprire che, proprio come lui, anche l'avvocato era stato leggermente costretto a praticare quelle attività.
La cosa che lo turbava maggiormente, però, era che l'avvocato sembrava comunque interessarsi davvero a lui e, anche se si erano completamente ignorati fino a pochi giorni prima, Max, per qualche strana ragione, ci teneva a fare bella figura ai suoi occhi. Se all'inizio sentiva una profonda irritazione nei suoi confronti, ora non era più così tanto sicuro di quel sentimento. Forse si stava facendo influenzare troppo da suo padre! L'uomo, infatti, aveva iniziato ad elogiarlo e a parlarne bene sempre più spesso e se piaceva al suo papà, significava che, tutto sommato, l'avvocato non era così malaccio come aveva sempre pensato.
Il problema era che non sapeva da dove iniziare, come fare il primo passo per farsi accettare da lui, cosa dire per piacergli o quale atteggiamento tenere per non sembrare un bambinetto sciocco o addirittura fastidioso.
Con le idee confuse salutò il signor Fell, che stava preparando il cavallo del signor Lightwood, e si diresse poi verso il suo pony.
"Oggi è il grande giorno." gli sussurrò, baciandogli il muso ed accarezzandogli il collo.
Quella mattina l'avvocato gli avrebbe dato finalmente la sua prima lezione di equitazione e Max non stava più nella pelle.
Con un sorriso, preparò l'animale per la cavalcata, mettendogli le redini e la sella, proprio come gli aveva insegnato il signor Fell. Una volta terminata l'operazione, chiese all'uomo se aveva eseguito tutto correttamente. Al cenno affermativo del signor Fell, Max fece schioccare la lingua ed il pony lo seguì docilmente verso l'esterno.
"Lui ed i suoi orari del cazzo!" sibilò una voce stizzita, non appena varcò il grande portone della scuderia. "Giuro che questa me la pag.. Oh! Sei qui, Mirtillo." esclamò Magnus, quando lo vide.
Max tossicchiò, nascondendo un sorriso dietro il pugno, mentre osservava il padre che, con aria stralunata, reggeva precariamente, tra le mani, una tazza ricolma di caffè. In pigiama e con i capelli sparati in tutte le direzioni e gli occhi spiritati ed iniettati di sangue, Magnus Bane, alle sei e cinquantasette del mattino, sembrava l'ombra di se stesso.
Max sapeva di essere leggermente ingiusto nei suoi confronti, ma non poteva fare a meno di trovare la cosa estremamente divertente. Era raro, infatti, vederlo conciato in quella maniera.
Max non aveva mai avuto problemi a svegliarsi presto, anzi le prime ore del mattino erano la parte della giornata che preferiva di più. Suo padre, invece, era l'esatto opposto. Era più un animale notturno che, quando spuntava l'alba, si rintanava nel bozzolo caldo del suo letto per uscirne solo verso mezzogiorno, bene che andava. Da quando erano arrivati a New York, forse perché non usciva più la sera per andare per locali, era migliorato parecchio e riusciva a svegliarsi ad orari accettabili, ma quella mattina.. quella mattina era diversa da qualunque altra! Primo perché, effettivamente, era davvero presto e, secondo, perché l'avvocato, con una certa dose di sadismo, aveva tirato giù dal letto suo padre solo mezz'ora prima di quella cavalcata, quindi lui non aveva avuto il tempo né di prepararsi psicologicamente a quella levataccia né di mettere in moto completamente il cervello. Il risultato era quell'essere davanti a lui, che borbottava parole incomprensibili e che sembrava uno zombie appena emerso dal sottosuolo.
"Hai tutto, scimmietta?" gli chiese suo padre, spalancando poi la bocca in un enorme sbadiglio che gli fece lacrimare gli occhi semichiusi.
Max annuì energicamente. "Il caschetto ce l'ho." disse, picchiettando il cap sulla sua testa. "I guanti ce li ho, la tenuta da equitazione pure ed anche gli stivali." concluse alzando un piede per mostrargli la calzatura. "Sono a posto, papino."
Magnus annuì con un altro enorme sbadiglio. "Promettimi che starai attento e.."
"Vedo con piacere che siamo mattinieri." lo interruppe una voce ironica alle loro spalle.
I due si girarono di scatto e videro Alec dirigersi verso di loro, con passo cadenzato ed in tenuta da cavallerizzo.
L'abitudine impedì a Max di parlare, ma lo salutò con un cenno della testa, mentre suo padre, invece, socchiuse gli occhi e gli lanciò un'occhiata che il bambino reputò esageratamente omicida.
"Alec." ringhiò Magnus, a bassa voce, portandosi la tazza alla bocca e continuando a fissarlo torvo.
"Ci si rivede, Magnus. Ciao Max." li salutò Alec, con un cenno della testa ed un angolo della bocca che si piegava all'insù.
Max fissò quella specie di sorriso a bocca aperta. Da quando l'aveva incontrato, non aveva mai visto l'avvocato sorridere. Mai.
Alec incrociò il suo sguardo e Max notò l'espressione curiosa sul suo viso. Proprio come quando gli insegnava il tiro con l'arco, pareva quasi che l'avvocato lo stesse guardando davvero e non con finto interesse. Era una sensazione stranissima.
Max si chiese, non per la prima volta in quei giorni trascorsi insieme in reciproca compagnia, cosa gli fosse capitato, ma il pensiero passò in secondo piano perché, in quel momento, lo impensieriva molto di più il fatto che suo padre sembrasse sul punto di saltargli alla gola per sbranarlo. Non gli aveva mai visto quello sguardo assassino negli occhi! Ma la cosa ancora più bizzarra era che l'avvocato sembrava non dare alcun peso alle occhiatacce di suo padre, anzi pareva quasi che trovasse il tutto addirittura divertente! Robe da matti!
Alec osservò il pony e poi di nuovo Max. "Il signor Fell mi ha detto che è un pony piuttosto focoso. Ci vuole una certa dose di coraggio per salire in groppa ad un animale così vivace, se non hai ancora imparato a cavalcare."
Max non lo guardò, ma avvertì uno strano senso di orgoglio scaldargli le vene. Pensò addirittura se fosse il caso di ringraziarlo o meno per il complimento, ma gli sembrò strano dire qualcosa e più a lungo si rifiutava di parlare con lui, più difficile diventava iniziare a farlo.
"Bene." esclamò Alec, dopo un momento, battendo le mani. "Vogliamo andare?" gli chiese poi.
Max annuì, mentre suo padre borbottò una parolaccia. Il bambino lo fissò, sbalordito: il suo papà non diceva mai le parolacce! Mai! Beh.. quasi mai. Solo quando era molto molto arrabbiato, ma non lo faceva mai in sua presenza e gli scappavano solo quando pensava che Max non fosse nei paraggi.
Anche in questo caso l'avvocato ignorò il suo papà ed il suo sorriso si fece perfino più ampio. Ok, seriamente, cosa era capitato all'uomo serio e taciturno con cui aveva sempre avuto a che fare?
Il signor Fell uscì dalla scuderia per porgere ad Alec le redini del suo bellissimo cavallo nero e l'uomo lo ringraziò, per poi girarsi nuovamente verso Max. "Sei capace di salire in sella? Hai bisogno di aiuto?"
Max scosse la testa e con un gesto impacciato, ma determinato, salì in groppa al suo pony. Si era preparato anche per quello, facendo decine e decine di prove con il suo orsacchiotto gigante, che si trovava in camera sua. Riuscire al primo colpo lo inorgoglì ancora di più.
Alec annuì, non prima di aver rivolto un sorriso compiaciuto verso l'uomo con la cresta. "Davvero bravo." si complimentò. "Ci vediamo più tardi." disse poi, in direzione di Magnus, che continuava a guardarlo in cagnesco.
Magnus si avvicinò a Max, gli accarezzò i capelli e gli strinse piano una mano. "Stai attento, caramellina." si raccomandò nuovamente, per poi rivolgersi al cavallo, afferrandogli dolcemente il muso. "Muffin, per favore, sii gentile con lui, ok?"
"Muffin?" chiese Alec, mordendosi l'interno di una guancia, mentre il pony sbuffava, quasi avesse capito le parole dell'uomo.
Magnus gli lanciò l'ennesima occhiata truce. "L'abbiamo chiamato così. Perché? Qualcosa in contrario?" abbaiò, stizzito.
Alec scrollò le spalle e mascherò la risata con un colpo di tosse. Si girò, pronto a montare in sella, quando Magnus si avvicinò a lui per sussurrargli qualcosa.
Una volta salito agilmente in groppa al suo cavallo, Max notò che il sorriso dell'avvocato gli inghiottiva l'intero volto. Cosa diavolo gli aveva detto suo padre per scatenare una tale reazione?
Alec tirò le redini e fece voltare l'animale verso l'uscita dal recinto. "Andiamo Max?" chiese al bambino, che annuì. "Oh.. eeee Magnus?" esclamò d'un tratto, bloccandosi. "Non hai un bell'aspetto. Forse dovresti riposare un po' di più." lo stuzzicò, scuotendo la testa con fare paternalistico.
Max lanciò un'occhiata perplessa ad entrambi, poi spalancò gli occhi, sbalordito, quando suo padre urlò una sequela di insulti coloriti e fantasiosi in direzione dell'avvocato, che scoppiò a ridere di gusto.
Il pensiero che Max aveva degli adulti si rafforzò ulteriormente. Erano strani, c'era poco da fare. Davvero davvero strani.

Alec non riusciva a smettere di sorridere. Se avesse continuato così gli sarebbe venuta una paresi facciale, ne era consapevole, ma c'era poco che poteva fare. Il suo viso non ne voleva proprio sapere di tornare ad un'espressione neutra, specie se ripensava a quanto successo quella mattina.
In un colpo solo aveva avuto la sua vendetta, per l'incresciosa faccenda della principessa, ed era anche riuscito a riscuotere la vincita della sua scommessa. Era davvero valsa la pena aspettare pazientemente per tutti quei giorni, prima di mettere in atto il suo piano, poiché lo sguardo criminale che Magnus gli aveva lanciato, quando aveva realizzato cosa stava succedendo, sarebbe rimasto impresso nella sua memoria per sempre.
Alle sei e mezza del mattino, si era presentato in camera dell'uomo con la cresta per comunicargli che aveva mezz'ora di tempo per svegliare ed avvertire Max che quella mattina, alle sette in punto, doveva recarsi alle scuderie per la sua prima lezione di equitazione. Magnus aveva sbattuto le sue lunghe ciglia più e più volte, guardandolo confuso, poi, quando il suo cervello assonnato aveva recepito appieno le sue parole, aveva fatto partire una sfilza di insulti, che avrebbero fatto impallidire uno scaricatore di porto, ed aveva cacciato la testa sotto al cuscino. Alec aveva sorriso ancora di più e gli aveva fatto presente che, avendo perso una scommessa pochi giorni prima, era venuto il momento di pagare pegno. Non poteva proprio sottrarsi alla sua richiesta. Eh già. Doveva alzare il suo bel sedere, senza fare tante storie, ed andare a preparare Max.
"Sono arrabbiato." aveva sibilato Magnus, quando lui ed il ragazzino stavano per partire. "Ne pagherai le conseguenze." aveva concluso con voce roca, agguantandogli con forza una natica. Alec non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, cielo quasi faticava ad ammetterlo tra sé e sé, ma era davvero impaziente di scoprire cosa si sarebbe inventato per avere la sua rivincita.
Uno sbuffo del suo cavallo lo fece ritornare al presente. Battè gli occhi, mettendo a fuoco il paesaggio davanti a sé, e si morse il labbro inferiore, tentando di contenere il più possibile l'eccitazione che sentiva crescergli dentro.
Lanciò un'occhiata furtiva al bambino di fianco a lui, quasi temesse che potesse leggere i suoi pensieri, ma notò che era troppo assorto in un mondo tutto suo per prestare attenzione a lui. Alec si concesse di osservarlo meglio. Era la terza volta che rimanevano da soli e, come al solito, Max non aveva aperto bocca. Era confortante che, almeno, non sembrasse ostile come le altre volte. Non sapeva se fosse merito di Magnus o meno, ma era già qualcosa.
"Pensavo di andare verso il vecchio capanno." buttò lì, per rompere il silenzio, mentre i cavalli camminavano tranquilli lungo il viale che portava oltre il laghetto. "Non vado spesso da quelle parti, ma l'ultima volta che sono venuto a cercarti mi è sembrato il tuo nascondiglio preferito."
Max annuì, distratto. L'uomo non poteva saperlo, ma lui stava tentando strenuamente di rimanere concentratissimo per ricordare alla perfezione quanto gli aveva detto il signor Fell su come governare il cavallo. L'ultima cosa che voleva fare era esibirsi in una figuraccia davanti all'avvocato e ritrovarsi con le gambe all'aria, dopo un'imbarazzante caduta da cavallo.
"Devi tenerlo con mano leggera." lo avvisò Alec, osservandolo. "Sii deciso, quando vuoi che risponda, e non tollerare capricci. Ecco, così." annuì, con un cenno della testa. "Hai un talento naturale, Max."
Max sorrise con timidezza ed arrossì. Grazie al cielo, l'avvocato aveva ripreso ad osservare davanti a sé e non lo stava guardando!
Dopo un po' il sentiero iniziò a snodarsi attraverso gli alberi ed il bambino riconobbe l'ormai familiare strada che li avrebbe condotti al capanno.
"E' sorprendente che tu abbia trovato il cottage poco dopo il tuo arrivo nella tenuta." si complimentò Alec. "Sai, quel capanno in rovina era anche il mio nascondiglio quando avevo la tua età."
Max alzò le sopracciglia, sorpreso, poi lo guardò di sottecchi. Doveva nascondersi anche lui? Da chi? E perché?
"Ho notato che, quando sono venuto a prenderti la volta scorsa, qualcuno ha fatto dei lavori al capanno."
Max serrò le labbra, preoccupato. Non voleva che l'avvocato scoprisse il suo segreto e se la prendesse con lui o con Rafe.
"Ne sono felice." continuò Alec, come se gli avesse letto la mente. "Se conosci la persona che l'ha fatto, o se ti capita di incontrarla, per favore, puoi ringraziarla da parte mia?"
"Va bene." rispose Max, sollevato.
Quando sentì l'avvocato trattenere il fiato, girandosi poi sorpreso verso di lui, si rese conto di aver formulato la risposta ad alta voce. Max arrossì di botto, mentre l'uomo tornava a guardare il sentiero, schiarendosi la gola. Erano le prime parole che gli rivolgeva, se si escludeva quell'imbarazzantissima volta che gli aveva portato Presidente e si era lasciato andare all'esclamazione ovvia ed infantile "Un micio!". Ancora adesso, quando ci ripensava, si tirava una manata in fronte.
Cavalcarono in silenzio per un po' e Max cercò di pensare al modo migliore per tornare a parlare del capanno, indirizzando poi, indirettamente, l'argomento su Rafe. C'erano un sacco di domande, infatti, che avrebbe voluto fargli, visto che era un avvocato. Suo padre gli aveva detto che Alec era uno dei più bravi, nel suo lavoro, e che mandava sempre la gente cattiva in galera, quindi Max voleva tanto chiedergli perché l'uomo biondo e cattivo, che si trovava all'orfanotrofio, non veniva punito per la sua crudeltà. O perché il suo amico Rafe veniva continuamente maltrattato senza che nessun adulto intervenisse e lo aiutasse.
Quando uscirono dal bosco, vide in lontananza il tetto del capanno e pensò che, forse, una volta arrivati a destinazione, avrebbe potuto fargli vedere le migliorie che lui e Rafe avevano apportato a quel posto e parlargli, in qualche modo, del suo amico e della sua situazione.
"Sai.." disse Alec, dopo un po'. "..visto quanto sei bravo a cavalcare, magari potremmo chiedere a tuo padre di unirsi a noi la prossima volta e.."
Un grido acuto trafisse l'aria del mattino, ammutolendo Alec e gelando il cuore di Max.
"Rafe." sussurrò atterrito il bambino, affondando, senza pensarci, i talloni sui fianchi del pony e galoppando verso il capanno, mentre risuonava un altro grido. "RAFE!!" urlò allora, a pieni polmoni, mentre si teneva spasmodicamente alle redini dell'animale.
Il cavallo dell'avvocato lo superò, tuonando, diretto verso la vecchia costruzione e, quando Max riuscì finalmente a raggiungerlo, l'uomo era già smontato per perlustrare il capanno.
"Non c'è nessuno qui." ansimò Alec, andandogli incontro, mentre scandagliava attentamente, con lo sguardo, il panorama attorno a loro.
Quando sentirono il terzo grido, Alec scattò e si inoltrò tra gli alberi. Max scese malamente da cavallo e corse dietro all'avvocato, bloccandosi quando lo vide tirare un pugno poderoso ad un uomo che non riuscì subito ad identificare. Quando lo sconosciuto spinse, con violenza, l'avvocato lontano da sè, gettandoglisi poi addosso, Max finalmente lo riconobbe. Era l'uomo biondo e cattivo dell'orfanotrofio! Cosa ci faceva lì?
Alec schivò un pugno, spostandosi di lato, per poi spingere, con una mossa strana, l'uomo contro un grosso albero. Max non aveva mai assistito ad una rissa vera e propria, ma sperò ardentemente che l'avvocato desse una lezione con i fiocchi a quel mostro. Raccolse da terra un grosso bastone e lo alzò, sopra la testa, pronto ad usarlo nel caso l'uomo avesse bisogno di aiuto. Fu allora che vide Rafe.
Il suo amico era steso a faccia in giù. La maglietta era strappata e si intravedeva la pelle lacerata e sanguinante. Il cuore di Max si fermò, poi iniziò a battere talmente forte da rimbombargli anche nelle orecchie ed una vampata di calore gli percorse l'intero corpo. Gridò disperato e corse da lui, accovacciandoglisi accanto. Lo scosse piano e le lacrime iniziarono a rigargli le guance quando l'amico non solo non rispose, ma sembrava addirittura che non respirasse.
"NO!!" urlò, disperato.
La sua furia esplose e raccolse il bastone, che aveva lasciato cadere quando aveva raggiunto Rafe, girandosi poi verso i due uomini. L'uomo biondo era in ginocchio, sopraffatto dalla forza dell'avvocato.
"L'hai ucciso! L'hai ucciso!" gridò Max, straziato dal dolore e con le lacrime che gli offuscavano la vista.
Si alzò e corse verso l'uomo biondo, abbattendo, con forza, il bastone sulla sua spalla. Mentre sollevava il bastone per colpirlo di nuovo sentì che le braccia forti dell'avvocato lo cingevano, sollevandolo da terra. L'uomo biondo colse al volo quell'opportunità di fuga, si alzò velocemente e scappò, barcollando, nel bosco.
"Lasciami! Lasciami andare!" gridò Max, tentando di divincolarsi dalla morsa d'acciaio dell'avvocato, che gli tolse anche il bastone dalle mani. "L'ha ucciso! Ha ucciso Rafe!"
Le lacrime scorrevano a fiumi sul suo viso e la rabbia e la tristezza gli ribollivano nel petto a tal punto che faticava addirittura a respirare.
"Non la passerà liscia." disse Alec, con voce determinata, ma calma. "Te lo prometto." Lo strinse un po' di più a sé, nel tentativo di calmarlo. "Per favore, ora rimani qui e lasciami guardare il ragazzino." gli sussurrò all'orecchio, posandolo dolcemente a terra.
"No!" rispose Max, scuotendo con forza la testa ed asciugandosi con stizza le lacrime. "Rafe è mio amico! Ha bisogno di me!"
Alec lo guardò, con un'espressione preoccupata. Forse temeva una crisi isterica, ma a Max non importava.
"Va bene." acconsentì l'uomo, girandosi poi verso il corpo inerme di Rafe.
Insieme si diressero verso di lui e Max gli si accoccolò vicino, prendendogli la mano, mentre l'avvocato premeva le dita sul suo collo.
"E' ancora vivo." mormorò Alec, scrutando attentamente il viso ed il corpo del bambino. "Credo che sia svenuto a causa di un colpo alla testa e potrebbe avere anche qualche osso rotto." dichiarò, tastando delicatamente il corpicino di Rafe.
"N-non è la prima volta che lo picchia!" lo informò Max, con voce tremante. "Anche la scorsa settimana aveva dei lividi e.."
"Lo sai da tempo e non l'hai detto a nessuno?" lo interruppe Alec, severo.
Lo sguardo di ghiaccio dell'avvocato fece salire un nuovo groppo in gola a Max. "Io.. io.. m-mi d-dispiace tanto.." balbettò, piangendo. "Rafe mi ha fatto promettere di non dire nulla e p-pensavo che raccontarlo a qua-qualcuno avrebbe peggiorato le cose per tutti e.. M-mi dispiace! Ho detto a papà che R-Rafe era in pe-pericolo e.. mi dispiace." gemette, disperato. "Non sapevo cosa fare.. come aiutarlo.. non potevo dirlo.. non sapevo come.. io.. m-mi dispiace!"
Alec se lo strinse contro il petto, cullandolo. "Va tutto bene, Max." sussurrò, accarezzandogli i capelli ed abbracciandolo stretto. "Non è colpa tua." concluse, baciandogli la testa. "Ma ora devi fare una cosa per me, ma soprattutto per Rafe. Ci riesci?" gli chiese, asciugandogli il viso con un fazzoletto.
Max annuì, tirando su con il naso.
"Corri a casa ed avvisa papà che deve chiamare subito l'ambulanza." disse Alec, prendendolo dolcemente per le spalle. "Corri più veloce che puoi!"
Max guardò prima Rafe, poi di nuovo l'uomo, mordendosi il labbro inferiore. Voleva aiutare il suo migliore amico, ma, al tempo stesso, non voleva lasciarlo.
"Ti prometto che mi prenderò cura di lui finchè non arriverà l'ambulanza." lo rassicurò Alec, guardandolo intensamente negli occhi. "Va bene?"
Max diede un'ultima occhiata a Rafe, poi posò di nuovo lo sguardo sull'uomo ed annuì, deciso.
"Ok, vai!" disse Alec, dandogli un bacio sulla fronte.
Max gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte. "Ti prego, fa che non muoia!"
Alec ricambiò l'abbraccio. "Te lo prometto."
Max si staccò da lui e poi corse via, lasciandolo da solo con il ragazzino. Alec decise di toccarlo il meno possibile, per non recargli ulteriori danni, e gli strinse delicatamente una mano, pregando che Max raggiungesse casa il prima possibile e che i soccorsi arrivassero presto.
Un lieve fruscio alle sue spalle destò la sua attenzione. Girò di scatto la testa, pronto a lottare con le unghie e con i denti pur di difendere il bambino inerme accanto a lui. Giurò che, se fosse stato ancora Verlac, gli avrebbe spezzato gambe e braccia.
Spalancò gli occhi, sorpreso, quando vide la persona che, sporca e tremante, strisciò fuori da dietro un enorme tronco d'albero.
"S-signora Fray?" domandò Alec, attonito.

Magnus si destò, per l'ennesima volta, dal suo sonno agitato ed aprì gli occhi, battendo le palpebre e fissando la semi-oscurità della stanza. Non aveva idea di che ora fosse, ma un tenue raggio di sole illuminava debolmente il fondo del letto ed il silenzio era rotto solo dal leggero respiro di Max, che dormiva profondamente tra le sue braccia. Era arrivata mattina finalmente.
Gli avvenimenti della giornata precedente non erano stati facili per nessuno, anzi erano stati piuttosto sfiancanti, soprattutto per suo figlio, e Magnus fu felice di vedere che, nonostante questo, stesse ancora dormendo sereno. Lui, invece, aveva riposato malissimo e gli sembrava di non aver dormito affatto.
Baciò la testa del bambino, protendendosi poi verso il comodino per cercare, a tentoni, il cellulare appoggiato sopra di esso. Diede un'occhiata all'ora e fece una smorfia. Lei sei del mattino. Per Lilith, doveva assolutamente tornare a dormire! Non poteva alzarsi così presto per due mattine di seguito. Ne andava della sua salute!
Chiuse di nuovo gli occhi ed impose alla sua mente di riaddormentarsi, ma il sonno non ne voleva proprio sapere di tornare. La tentazione di girarsi e rigirarsi e rigirarsi ancora, tra le lenzuola, era forte, ma con Max al suo fianco se ne stette immobile a fissare il soffitto, completamente lucido e sveglio.
Dopo un paio di minuti, imprecò tra sé e sé e, con uno sbuffo spazientito, alzò delicatamente il braccio del figlio, che gli cingeva la vita, e si liberò dal suo abbraccio. Max si mosse appena quando lui gli rimboccò meglio il lenzuolo.
Si fece una doccia veloce e poi uscì, silenziosamente, dalla sua camera. Visto che non riusciva a prendere sonno, tanto valeva andare a fare una passeggiata per tentare di sgombrare la mente dai pensieri che continuavano ad assillarlo dal giorno prima.
Si chiuse dolcemente la porta alle sue spalle e buttò inconsciamente, quasi fosse diventata un'abitudine, un'occhiata alla porta di Alec che trovò leggermente aperta. Aggrottò la fronte e si diresse verso quella direzione. Che anche lui non riuscisse a dormire? Comprensibile, visto che, quel giorno, ci sarebbe stata la sentenza definitiva.
"Alec?" chiamò piano, bussando appena e scostando un po' di più la porta, giusto per riuscire ad infilare la testa e sbirciare all'interno della stanza. Fu davvero per un soffio che non gridò, quando si trovò, inaspettatamente, il viso dell'altro davanti al naso.
"Che ci fai qui?" bisbigliò Alec, aggrottando la fronte.
Magnus si portò una mano al petto, inspirando ed espirando profondamente, e poi tossì, cercando di ricomporsi. Non gli stava affatto per venire un infarto. Assolutamente no.
"N-niente!" borbottò, col fiato corto. "Avevo.. ho visto la tua porta aperta e volevo vedere se stavi bene."
Alec sorrise. "Sto bene, grazie."
"Come mai sei già sveglio? Anche tu hai difficoltà a dormire?"
Il sorriso di Alec si fece più ampio. "Magnus, mi sveglio sempre presto. Piuttosto dovrei essere io a chiederti se stai bene, visto che sono le sei."
Magnus fece spallucce. "Non riuscivo a dormire."
"Com'è che ieri mattina non eri così pimpante?" domandò Alec, ridacchiando.
Magnus lo fulminò con lo sguardo. "Non sfidare la sorte, pasticcino. Sono ancora arrabbiato con te!"
Alec rise, scostandosi dalla porta della sua camera, per chiudersela alle spalle.
"Uhm..." biascicò Magnus, dondolando sui talloni, mentre pensava velocemente a qualcosa da dire per restare un altro po' in sua compagnia. "Eccooo.. io.. che ne dici di scendere in cucina con me? Potremmo fare colazione insieme."
Alec scosse piano la testa. "Grazie, ma devo fare una cosa."
"Cosa?" chiese Magnus, curioso.
Alec scrollò le spalle. "Niente di importante."
"Ha a che fare con quella chiave?" continuò Magnus, piegando la testa, quando notò l'oggetto che l'altro teneva in mano.
"No." rispose velocemente Alec, nascondendo la mano dietro la schiena.
"Perché non vuoi dirmelo?" gli chiese Magnus, assottigliando lo sguardo.
"Perché non sono affari tuoi." rispose Alec, calmo.
"Antipatico." borbottò Magnus, offeso. "Ok, allora ci vediamo più tardi." lo salutò, girandosi per andarsene.
Alec sospirò, alzando gli occhi al cielo. "E va bene. Puoi venire con me, ma non fare rumore." concesse.
"No, grazie. Non vorrei disturbarti con la mia presenza." rifiutò Magnus, altezzoso, sventolando una mano.
"Ok, allora ci vediamo più tardi." lo scimmiottò Alec, divertito, scrollando le spalle e sorpassandolo per incamminarsi lungo il corridoio.
Magnus lo fissò, a bocca aperta. Per Lilith, quell'uomo era davvero impossibile quando ci si metteva. Poteva anche insistere un po' di più eh, anziché accettare, senza battere ciglio, il suo palese finto rifiuto di seguirlo.
"Aspettamiiii." grugnì, stizzito, mentre lo raggiungeva.
Alec sorrise e rallentò il passo, fino a quando l'altro non gli si affiancò.
"Dove andiamo?" chiese Magnus, seguendolo in un'ala della casa che non aveva mai visitato prima.
"Ti ho detto di non fare rumore, ricordi?"
"Ma non sto facendo rumore." ribattè Magnus, indispettito.
"Parlare è fare rumore."
"Va a quel paese." sibilò Magnus, acido. Incrociò le braccia, mise il broncio e non fiatò più.
Dopo un paio di minuti si fermarono davanti ad una grande porta chiusa. Magnus si girò, per interrogare silenziosamente l'altro su dove si trovassero, e notò l'espressione cupa e glaciale sul volto di Alec. Avrebbe tanto voluto chiedergli se stesse bene, dove erano, cosa ci facevano lì, ma tenne le labbra sigillate, quasi temesse di irritare maggiormente l'altro con le sue parole.
Alec inspirò profondamente, poi aprì la porta ed entrò nella stanza, dirigendosi verso la finestra per spalancare le tende ed aprire la finestra.
Magnus lo seguì, guardandosi attorno: era una camera da letto enorme, con un letto a baldacchino che era circondato da cortine che sembravano pesanti. La stanza era pulita e sui mobili lucidi non c'era traccia di polvere, ma sembrava inoccupata da tempo.
Alec guardò Magnus, con un sopracciglio alzato, in attesa di una sua reazione, poi sorrise. "Avanti. Puoi chiedere. So che muori dalla voglia di farlo."
Magnus rafforzò la presa delle braccia sul suo petto e negò energicamente con la testa, imbronciando le labbra.
Alec ridacchiò. "Sei proprio un bambino." lo punzecchiò.
Magnus, per tutta risposta, lo guardò malissimo e gli mostrò il dito medio.
"Siamo nella stanza di mio padre." disse Alec, l'espressione che mutò radicalmente, mentre dava un'occhiata a tutta la stanza. "Solitamente è Hodge che viene qui per aprire la finestra e dare una rinfrescata alla stanza, ma oggi.. oggi ho voluto farlo io."
Magnus spalancò gli occhi, sorpreso, tornando a guardare meglio la camera in cui si trovavano. Effettivamente, ora che glielo aveva fatto notare, colse l'austerità dell'arredamento e intravide anche l'enorme quadro di Robert Lightwood appeso sopra al letto a baldacchino.
"Questa è stata la sua prigione per quasi cinque anni." spiegò Alec, con voce piatta. "Prima di morire, cadde da cavallo, perdendo l'uso delle gambe. Da allora giacque tra le lenzuola di questo letto, rifiutandosi di lasciare la stanza. Allontanò tutto e tutti, figli compresi. Solo Hodge aveva il permesso di entrare qui dentro."
Magnus sentì il cuore stringersi ed avvertì l'impellente bisogno di abbracciarlo stretto, per tentare di alleviare la pena che gli leggeva in volto, ma si impose di non farlo. Proprio come quando gli aveva confidato del fratellino, sentì che Alec aveva bisogno di sputare fuori il veleno che provava per suo padre e che continuava ad avvilupparlo come un serpente velenoso.
"Per cinque anni è rimasto qui, crogiolandosi nella commiserazione e nei sensi di colpa. Poi, un bel giorno, mi ha convocato e mi ha rivelato i suoi peccati." ringhiò, aprendo, con un gesto brusco, le tende del letto.
Magnus si avvicinò, notando come lo sguardo dell'altro si fosse fatto tempestoso.
"Max.. non so se Max è davvero mio figlio." sussurrò colpevole, girandosi verso Magnus. "Non.. io.. ecco.. io e Lydia ci siamo sposati giovanissimi e.. Una volta. E' successo solo una volta, ma.. non lo so." Alec scosse la testa, incapace di formulare una frase coerente. Degluttì, stringendo nervosamente i pugni lungo i fianchi e continuò. "Il nostro è stato un matrimonio combinato, io non l'amavo e.. Dio, come avrei potuto?" chiese, con una risata aspra. "Ero uno stupido, succube, ragazzino gay che non aveva la più pallida idea di cosa fare, cosa pensare, come agire. Quando mio padre ha saputo del mio orientamento sessuale, ha iniziato a tormentarmi, a picchiarmi, ad instillare in me dubbi e rimorsi. Poi, un bel giorno, mi ha presentato Lydia. Credevo.. pensavo che se avessi esaudito il suo desiderio di sposarla, forse.. non lo so.. forse la mia vita sarebbe potuta migliorare, forse mi avrebbe lasciato in pace, forse avrei potuto non dico essere felice, ma almeno vivere un'esistenza decente." gli confidò, con un sorriso triste. "Effettivamente mio padre smise di perseguitarmi. Per l'angelo, ero così cieco, così.... Non avevo capito niente." si biasimò, alzando lo sguardo al soffitto e chiudendo gli occhi. "Allora non lo sapevo, ma ho sposato l'amante di mio padre, così che lui potesse averla sempre accanto a sé, senza destare sospetti di alcun tipo." espiò, tutto d'un fiato.
Magnus spalancò gli occhi, incredulo. Quella parte della storia gli era del tutto sconosciuta e rimase scioccato quando sentì quelle parole.
"Max potrebbe essere mio figlio.. o mio fratello. Non lo so. Dovrei fare il test del DNA per esserne certo." continuò Alec, scuotendo le spalle. "Mio padre era convinto che fosse suo. Mi parlò delle lunghe ore che lui e Lydia avevano passato insieme, di come si fossero innamorati, di come avevano sognato di fuggire e lasciarsi alle spalle tutto e tutti. La gravidanza di Lydia, però, arrivò come un fulmine a ciel sereno e sconvolse entrambi. Mio padre non aveva mai preso in considerazione un'eventualità del genere e credo che andò ancora più nel panico quando Lydia gli confidò di non sapere di chi fosse, quindi, per evitare lo scandalo, decise di passare all'azione. Per mesi si assicurò che Lydia facesse vita ritirata, col pretesto di una salute cagionevole, e tagliò tutti i suoi contatti. Poi, una notte, lei sparì. Solo ora so che fu mio padre ad inscenare una finta fuga, per nasconderla al mondo, per celare la gravidanza." Alec si passò le mani tra i capelli, spettinandoli ancora di più di quanto già non fossero. "La portò al castello di Oheka, a Long Island, dove la nostra famiglia ha una suite da generazioni, e la confinò in quella stanza fin quasi la fine della gravidanza. Era così sicuro del suo piano, così certo che le sue bugie non sarebbero mai venute a galla, che non si preoccupò minimamente di aver gettato nel panico un sacco di persone, primi fra tutti i familiari di Lydia. Non gliene importava, capisci? L'importante erano le apparenze."
Magnus si strinse una mano al petto, sempre più sconcertato. Nemmeno nelle sue fantasie più sfrenate, avrebbe mai potuto immaginare una cosa simile. Che razza di persona era Robert Lightwood? Fin'ora nessuno gli aveva mai parlato bene di lui, questo era vero, ma non avrebbe mai pensato che fosse un essere così spregevole.
E Lydia? Che ruolo ebbe, in tutto ciò? Gli salì un groppo in gola ripensando a lei. Era d'accordo con quel piano assurdo o fu costretta ad assecondare i desideri di quell'uomo malvagio? Magnus non lo sapeva, ma provò un'enorme pena per lei.
"La cosa buffa è che pensavo mi avesse raccontato tutto, che avesse confessato tutta la sua colpa. Invece ho dovuto scoprire da Aline questa parte della storia. Non solo, infatti, non mi ha mai detto che era stato lui a farla sparire, ma ha pure messo in piedi una sceneggiata degna di un film, coinvolgendo persino la polizia, per ritrovarla!" disse Alec, girandosi poi verso di lui con un'espressione grave. "Sai perchè Lydia stava fuggendo, il giorno in cui vi siete incontrati?" gli chiese, a bruciapelo.
Magnus scosse la testa. Qualcosa, nel tono di voce dell'altro, gli fece venire la pelle d'oca.
"Perché mio padre voleva uccidere Max." svelò Alec, tetro. "Le aveva chiesto di abortire, ma Lydia non lo fece e, temendo che un giorno il bambino potesse diventare un problema, per evitare un possibile futuro scandalo, decise che doveva essere eliminato, cancellando così, per sempre, la prova vivente del suo comportamento riprovevole."
Magnus sentì le gambe diventare improvvisamente molli e dovette appoggiarsi, sconvolto, ad una delle colonne del letto per non cadere.
"Ho.. ho trovato una busta, ieri sera, mentre ero nel mio studio. Stavo cercando un vecchio libro di mio padre, che potrebbe tornarmi utile nell'arringa finale di oggi, e quando l'ho trovato e l'ho aperto.. lei era lì. Nascosta tra le pagine di quel vecchio tomo, con il mio nome inciso a caratteri cubitali sopra di essa. Ho trovato strano che ci fosse della corrispondenza proprio lì dentro, ma poi, quando l'ho aperta, e ho letto la lettera al suo interno, ho capito perché. Non so per quale motivo mio padre l'abbia conservata o perché non mi abbia mai detto tutto questo. Lui e la sua mezza confessione del cazzo." disse Alec, ridendo amaramente.
"Cosa.. cosa c'era scritto?" chiese Magnus, in un sussurro.
"Una confessione." rispose Alec, guardandolo. "L'ennesima." mormorò, ironico. "Fu Lydia a scriverla. Ci crederesti?" domandò, sarcastico. "Ha scritto tutto quello che era successo tra lei e mio padre. Tutto. Anche quello che voleva fare al bambino. Non so perché l'avesse indirizzata proprio a me. Forse voleva alleggerirsi, anche lei, la coscienza, proprio come ha tentato di fare lui quando ha confessato i suoi peccati, o forse sperava che, in qualche modo, l'aiutassi. Non lo so. Comunque, quel famoso giorno di otto anni fa, mio padre andò da lei e le disse che, una volta partorito, si sarebbe sbarazzato del bambino. Forse l'istinto materno di Lydia prevalse sull'amore che provava per lui, forse quello che le disse le fece finalmente aprire gli occhi su che genere di persona fosse, forse.. non lo so.. forse semplicemente si rese conto che non poteva permettere tutto ciò. Fatto sta che fuggì, nel tentativo di salvarlo. Credo fu la prima volta, in tutta la sua vita, che quella ragazza dimostrò un briciolo di coraggio." scosse la testa, con un sospiro. "Mio padre intercetto la lettera e la nascose prima che arrivasse a me."
"E'.. è terribile." sussurrò Magnus, con un filo di voce.
Alec chiuse gli occhi, sospirando profondamente. "Qualche giorno fa mi hai confessato che, se non avessi mandato Jace a recuperare Max, tu non saresti mai tornato né l'avresti mai riportato qui." mormorò, aprendo poi gli occhi e guardandolo. "Io avrei fatto lo stesso. Non avrei mai cercato Max o Lydia se mio padre, sul letto di morte, non mi avesse implorato di perdonarlo, facendomi inoltre promettere di cercarli e di riportarli a casa."
"Perché?" chiese Magnus, aggrottando la fronte ed allargando le braccia. "Perché rivoleva indietro Max, se voleva sbarazzarsene?"
Alec scrollò le spalle. "Negli ultimi anni era diventato un fervente timorato di Dio e forse, rendendosi conto di che mostro era stato, ha fatto un ultimo tentativo, nella speranza di guadagnarsi un biglietto per il paradiso."
"Spero che ovunque sia, se la passi da schifo." ringhiò Magnus, pestando un piede.
Quanto dolore aveva provocato quell'uomo? Quanto ancora ne causava, nonostante fosse morto? Guardò Alec ed, ancora una volta, fu colpito dal suo senso dell'onore. Un altro, al posto suo, avrebbe mandato al diavolo il padre moribondo e sarebbe andato avanti con la propria vita. Alec no. Quel ragazzo aveva anteposto, ancora una volta, il bene della sua famiglia a se stesso, riportando a casa quel bambino che gli ricordava, ogni giorno, il tradimento del padre e della moglie e continuando a vivere in quella dimora piena di fantasmi e ricordi dolorosi. Non poteva cambiare il suo passato, ma, forse, poteva fare qualcosa per lui adesso.
"Ti voglio fare una promessa." disse Magnus, deciso, afferrandogli dolcemente il viso tra le mani.
"Quale?" chiese Alec, curioso, aggrottando la fronte.
"Quando tutto questo sarà finito, prometto che ti porterò via da qui." sussurrò Magnus, posando le labbra sulle sue e stringendolo a sé.
   
 
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