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Autore: blackjessamine    14/03/2019    5 recensioni
Ufficio Misteri, 31 dicembre 1998: mentre l'anno della guerra e della pace vive i suo ultimi minuti, un gruppo di Indicibili scopre che una Soglia altro non è che un passaggio, e che dove si può andare avanti, si può tornare indietro.
Un grosso cane nero – apparentemente molto debole, ma innegabilmente vivo – viene estratto dalle macerie di un arco di pietra.
E mentre l'anno della morte e della rinascita volge al termine, i rimpianti si fanno leggeri, pronti ad essere spazzati via dalla speranza di una seconda possibilità.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Harry Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Capitolo 10
Come respirare




Sirius osservò Alhena spalmare con cura meticolosa un abbondante e omogeneo strato di confettura sul suo scone, prima di addentarlo.
Lo Swan Inn di Abbotsbury, quel pomeriggio, era particolarmente silenzioso. C'era solo un anziano avventore seduto al bancone e intento a chiacchierare con il giovane proprietario, così lui e Alhena avevano potuto accaparrarsi il tavolino accanto al camino di pietra: una benedizione, visto il vento gelido che si era insinuato sotto i loro vestiti durante la lunga camminata.
Era sorprendente come anche le più piccole abitudini riuscissero a mettere le radici in ogni situazione, acquistando forza e legittimità col passare dei giorni: Sirius e Alhena non avevano mai parlato esplicitamente di quel piccolo rituale, ma si erano limitati ad accoglierlo, come se non ne fossero loro i principali attori.
Era cominciato tutto dalla visita che avevano fatto insieme al San Mungo, quando Landmann aveva quasi gridato a Sirius di rispettare le dosi consigliate di Pozione Corroborante e di dedicarsi a lunghe passeggiate all'aria aperta. Quando qualche giorno dopo lui e Alhena erano rincasati dal pomeriggio passato con Teddy e Andromeda, la ragazza aveva scoperto con disappunto che Sirius, in verità, quelle direttive non le stava seguendo minimamente. Si era arrabbiata, gli aveva fatto una lunga ramanzina, e la mattina dopo si era presentata a casa sua armata di determinazione e scarpe comode.
Avevano così preso a passeggiare a lungo nella campagna attorno all'Uccello Vermiglio, una campagna che Sirius, nonostante avesse vissuto lì per quasi quattro anni, non conosceva minimamente. Qualche volta si spingevano lontani da casa, attraverso le colline della Jurassic Coast, ed era un continuo ascoltare i borbottii spaventati di Alhena quando Sirius si avvicinava troppo alle falesie per riempirsi gli occhi di cielo e mare, di quell'infinito che per tanto tempo aveva creduto non avrebbe più rivisto. Quando erano stanchi, si assicuravano di non essere osservati da babbani curiosi, e si Smaterializzavano di nuovo a casa.
Altre volte, invece, preferivano percorrere i sentieri più battuti che portavano verso il centro di Abbotsbury, e passavano le giornate passeggiando per il grazioso villaggio: quando i morsi della fame iniziavano a farsi sentire, si rifugiavano allo Swan Inn.
Erano passeggiate strane, le loro: cominciavano sempre nella freddezza e nell'imbarazzo più grandi, e la conversazione stagnava attorno a domande di circostanza e chiacchiere prive di sostanza. Poi qualcosa, lentamente, cedeva: e mentre continuavano a camminare uno a fianco dell'altra, senza quasi mai guardarsi, la freddezza si scioglieva, le parole tornavano ad affiorare, e prima di riuscire ad accorgersi di questo cambiamento si ritrovavano a parlare di tutto e di niente. Qualche volta questo avveniva quasi subito, altre volte invece solo poco prima che arrivasse il momento di separarsi, ma Sirius era sicuro che, ogni volta che Alhena prendeva un po' di Polvere Volante nella mano, quella strana malinconia era nel cuore di entrambi.

“Immagino che ormai la bambina sarà nata...”
Alhena, con gesto pratico, versò l'acqua che era rimasta nelle teiere nelle loro tazze, mentre il suo viso assumeva un'aria pensierosa. Aveva appena finito di raccontare di quando la sua babbana vicina di casa a Budapest aveva intercettato un gufo di Bill, e di quanto la ragazza avesse insistito per sapere come avesse fatto Alhena ad addomesticare un gufo nel bel mezzo di una grande città.
Alhena aveva sorriso, parlando della sua amica, aveva sorriso con un sorriso pieno di nostalgia.
E Sirius, che un po' di sentiva morire ogni volta che doveva avere a che fare con il suo senso di colpa – non voleva che Alhena buttasse via le sue giornate per obbligarlo a seguire le prescrizioni mediche, né poteva pensare di spingerla a ripartire – si ritrovò a chiedere:
“Che cosa stai facendo, ora?”
Alhena evitò il suo sguardo, concentrandosi sulla sua tazza di tè.
“Sto finendo la mia merenda.”
“Che cosa stai facendo qui, in Gran Bretagna”, sbuffò Sirius, ben sapendo che Alhena aveva capito fin troppo bene che cosa lui le stesse chiedendo.
“Voglio dire, ormai sei qui da un po', e a parte obbligarmi a scarpinare in giro, non mi sembra che...”
Sirius si interruppe: non mi sembra che tu stia facendo nulla non era esattamente il modo più educato con cui avrebbe potuto esprimersi.
“Sto facendo l'ereditiera, ok? Ho sempre lavorato come un mulo, ma ora sono quasi straricca. Posso permettermi un mese o due di vacanza, se ne ho voglia.”
Sirius osservò a lungo la freddezza con cui Alhena si era espressa, e solo in quel momento si rese conto che, nella concitazione dello scoprire che cosa fosse successo a Harry e alle persone che amava durante la battaglia, non aveva mai dedicato nemmeno un secondo a domandarsi che cosa ne fosse stato della famiglia di Alhena.
“Quindi ora la fortuna dei Macnair è tutta tua?”
Alhena bevve l'ultimo sorso di tè, prima di stringersi nelle spalle.
“Quasi.”
“Come quasi?”
“Quasi! Mio fratello è morto quest'estate, e di mio padre nessuno ha più notizie, anche se il suo corpo non è mai stato ritrovato... dunque sì, dovrei ereditare tutto io.”
Alhena sospirò, annoiata, prima di aggiungere:
“In realtà, dato che di mio padre non si sa nulla, dovrei aspettare che trascorra un anno dalla sua scomparsa, prima di ereditare davvero tutto. Ma se anche dovesse essere ancora vivo, sulla sua testa c'è un bell'ergastolo, quindi erediterei comunque. E intanto mi hanno accordato l'accesso ad un quinto del mio patrimonio... il che è più che sufficiente.”
Oh, be', Alhena si meritava davvero un po' di serenità economica. Eppure Sirius era convinto che quello non fosse comunque il modo migliore in cui Alhena avrebbe potuto trascorrere le sue giornate; non aveva ancora trent'anni, non aveva un lavoro e non sembrava intenzionata a trovarsene uno. Per quanto i soldi dei Macnair sarebbero certo stati sufficienti a garantirle una vita di agi anche se non avesse mai cercato un impiego, Sirius era convinto che restarsene a casa tutto il giorno senza uno scopo non le facesse bene.
E poi, c'era quel pensiero insinuante: nonostante le loro conversazioni non si fossero mai spinte oltre la soglia del davvero personale, nonostante entrambi si ostinassero a non accennare nemmeno per un attimo a ciò che li aveva uniti in passato, Sirius non poteva certo ignorare le circostanze che avevano riportato Alhena in Inghilterra. Alhena, che si stava ricostruendo una vita a Budapest, che viveva accanto a quella che era, nei fatti, la sua famiglia, era tornata in patria quando aveva saputo del ritorno di Sirius. Era tornata, e sembrava decisa a rimanere fino al momento del processo. Non aveva mai accennato a quello che avrebbe fatto dopo, ma anche Sirius, che pure aveva avuto molti dubbi sulla loro relazione, sapeva che questo significava che Alhena non era andata completamente avanti.
E Sirius aveva promesso a Emerenc Szeredàs di lasciare ad Alhena tutto il tempo che le sarebbe servito, ed era intenzionato a tener fede a quella promessa. Non tanto per onore o per chissà quale nobile motivazione, ma perché Sirius era consapevole che la vita, nonostante tutto, gli avesse già offerto fin troppe nuove possibilità: non era certo che, se avesse rovinato tutto, avrebbe ancora avuto l'opportunità di rimediare. E perché Alhena, nonostante la tenacia con cui si sforzava di vincere il suo dolore e la sua paura presentandosi all'Uccello Vermiglio ogni giorno, viveva ancora in equilibrio: quando accadeva che per sbaglio Sirius le sfiorasse una mano o un braccio, lei si ritraeva di scatto, quasi fosse stata punta da un'ape, e da quel momento si richiudeva in sé stessa, ricostruendo in tutta fretta ogni muro che aveva pazientemente cercato di abbattere.
Quella ritrosia e quella paura, quegli occhi grandi e chiari e pieni di rammarico con cui Alhena sembrava scusarsi e al tempo stesso implorarlo di lasciarla andare erano come morse gelate che stringevano le viscere di Sirius.
I momenti buoni con Alhena erano una delle poche cose che gli permettessero di dimenticare, almeno per un attimo, il dolore per tutte le persone che aveva perso e la paura per il futuro incerto che lo attendeva, ma quel ritrarsi, quel vederla allontanarsi gli mozzava il respiro.
E l'unico desiderio di cui Sirius avesse consapevolezza, in quel momento, era proprio il voler continuare a respirare.


 
***

Andromeda riemerse con sollievo dalla costrizione asfissiante della Smaterializzazione.
Fra le sue braccia, Teddy si agitò, il viso corrucciato, e per un attimo la donna temette che il bimbo avrebbe iniziato a piangere, ma per fortuna bastarono poche coccole e qualche parolina dolce per rasserenarlo. Ormai Teddy stava imparando a riconoscere i sintomi della Materializzazione, e nonostante avesse più volte manifestato il suo disappunto per un metodo di trasporto tanto fastidioso, erano finiti i giorni dei pianti disperati.
Sulla piana ricoperta di neve fresca soffiava un vento tagliente e aggressivo, e così Andromeda perse qualche minuto a controllare che Teddy fosse ancora avvolto per bene nella sua Copertina Tieniltempo: era un oggetto straordinariamente utile e piuttosto raro, che consentiva a chiunque vi si avvolgesse di trovarsi sempre ad una temperatura perfettamente confortevole, a prescindere da quelle che fossero le condizioni atmosferiche esterne. Quella copertina era stato il primo regalo che Harry Potter, saggiamente indirizzato da una consapevole Molly Weasley, avesse fatto al suo figlioccio. Originariamente era di leggera stoffa gialla vagamente iridescente, ma tempo prima, durante il pranzo di Natale alla Tana a cui Molly aveva tanto insistito per invitarli, George vi aveva applicato un complesso incantesimo che le permetteva di cambiare colore, abbinandosi ai capelli di Teddy.
Andromeda si guardò attorno: l'Uccello Vermiglio aveva già assunto il suo aspetto tipico di casetta circolare, e sembrava aspettarli a una decina di metri di distanza, con il suo basso steccato di legno sbeccato e il sentiero sporco di neve.
Facendo attenzione che il vento non strappasse via la coperta a Teddy, Andromeda prese ad avanzare lentamente verso la casa di suo cugino.
“Allora, proviamo a bussare, che ne dici?”
Teddy, per tutta risposta, si limitò a mordicchiare distrattamente l'orecchio del suo coniglietto. Bilanciando il peso ormai non esattamente indifferente del piccolo su un braccio solo, Andromeda bussò, pur avendo scarse speranze di ottenere risposta: sapeva che suo cugino, con ogni probabilità, non aveva smantellato gli incantesimi difensivi di zio Alphard, quindi, se fosse stato in casa, probabilmente si sarebbe accorto del loro arrivo già dal momento in cui loro si erano Materializzati lì.
Silenzio.
Evidentemente Sirius non era a casa.

“Siamo stati sfortunati, eh?” mormorò la donna, facendo sobbalzare il nipote, che rispose con un versetto sereno.
Andromeda fece lentamente il giro del cottage, camminando fra la neve alta e gli arbusti incolti, fino a incontrare una vecchia panchina in ferro battuto che, decisamente, avrebbe avuto bisogno di una riverniciata.
Con un colpo di bacchetta fece scomparire la neve dal pianale della panchina, e con gesto misurato ci si sedette sopra: Teddy poteva sopportare una Smaterializzazione senza scoppiare a piangere, ma affrontarne due in pochi minuti era tutto un altro discorso. E Andromeda non aveva la forza di affrontare le lacrime di nessuno, quel giorno.
La verità era che Andromeda non aveva la forza di tornare a casa: quella giornata era una di quelle sbagliate, quelle nate in mezzo ad un sogno dorato dove la risata di Dora riempiva la casa con una veridicità tale che aprire gli occhi era stato come gettarsi fra le fiamme di un Inferno sconosciuto. Era stata una giornata che l'aveva aggredita ad ogni respiro gettandole contro tutte le sue assenze, e respirare si era fatto così difficile che, in un impeto di sofferenza, aveva avvolto in fretta e furia Teddy nella sua copertina, ed era scappata da quella casa carica di troppi ricordi.
Aveva camminato a lungo in mezzo al vento, incurante dei passanti che urtavano lei e suo nipote, cercando di ritrovare un po' di serenità. Aveva pensato di andare da Molly Weasley, che sicuramente li avrebbe accolti con un sorriso e si sarebbe presa cura di Teddy, nel caso lei avesse avuto bisogno di passare del tempo da sola. Poi un pensiero improvviso le aveva fatto cambiare idea, e quasi senza rendersene conto, si era Materializzata vicino alla casa di Sirius.
Ma Sirius non c'era, e Teddy si sarebbe presto stancato di starsene seduto senza poter fare niente.
“Andiamo da Molly, che ne dici?”
Teddy le rivolse un sorriso capace di mostrare tutti e cinque i suoi dentini.
Andromeda si alzò in piedi, decisa a fare una passeggiata, prima di Smaterializzarsi di nuovo, e proprio in quel momento scorse due figure camminare lentamente nella sua direzione, calpestando con sicurezza la neve sul sentiero.
Senza nemmeno pensare, Andromeda strinse saldamente a sé Teddy, mentre una mano correva fra le pieghe del mantello a cercare la sua bacchetta.
La pace non era durata abbastanza perché le piccole nevrosi della guerra avessero il tempo di sciogliersi.
Quando le due figure furono abbastanza vicine al cottage, Andromeda riconobbe la figura alta e smagrita di Sirius, accanto a quella più esile della piccola Macnair.
“Ma guarda un po' chi sta tornando! Hai visto?”
Teddy, però, sembrava molto più interessato al bottone che chiudeva il mantello di sua nonna che alle due persone che si avvicinavano facendo ampi cenni di saluto.

Il cottage di zio Alphard non era cambiato per niente: Andromeda ricordava ancora i primi giorni in cui Sirius ci si era trasferito, un ragazzetto allampanato che si preoccupava più di fare spazio sui muri per i suoi poster che dello scarico del bagno che non funzionava bene. Andromeda e Ted erano andati a trovarlo dopo una settimana dal suo trasloco, e avevano trovato il cottage ancora pieno degli oggetti di zio Alphard, e i possedimenti di Sirius chiusi in scatoloni che aveva disseminato per tutta la casa senza darsi la pena di aprirli. Ted aveva aiutato Sirius con i lavori di manutenzione più urgenti – aveva la bacchetta d'oro, il suo Ted, e non c'era oggetto che non sapesse riparare – mentre Andromeda aveva cercato di aiutarlo a rendere la casa un posto più adatto ad un giovane che a un eccentrico e colto ottuagenario. Sirius aveva cercato inutilmente di gettare alcuni dei manufatti più brutti in un sacco della spazzatura, ma ogni volta che qualcuno di loro distoglieva lo sguardo dal cumulo di detriti, quelli magicamente tornavano al loro posto.
Sirius alla fine si era rassegnato a rinchiudere in uno sgabuzzino ciò che proprio non gli piaceva, lasciando il resto al suo posto.
A giudicare da come ogni centimetro di superficie fosse occupato da statuette, dipinti, manufatti antichi e vasi preziosi, la magia di zio Alphard doveva aver preso di nuovo il sopravvento quando Sirius aveva lasciato la casa.

Andromeda, sprofondata nella morbida poltrona accanto al fuoco, osservava la piccola Macnair muoversi con circospezione attorno a Teddy, come se avesse paura che il bimbo si spezzasse in due al suo primo movimento sbagliato. Si muoveva con la stessa incertezza di chi non era abituato ad avere a che fare con i bambini, con curiosità e timore insieme. Sirius invece, seduto sul pavimento accanto al bimbo, giocava con lui con una certa naturalezza: dalla punta della sua bacchetta produceva piccole sfere colorate che rimbalzavano morbide accanto al bambino, strappandogli esclamazioni entusiaste.
Con un po' di esitazione, anche la piccola Macnair si unì al gioco, e dopo pochi minuti Teddy le rivolse un ampio sorriso, mentre i suoi capelli si schiarivano fino a diventare quasi bianchi, a imitare quelli della ragazza.
Andromeda sorrise: Teddy era un bimbo sereno e socievole, gli bastava davvero poco perché qualcuno entrasse nelle sue simpatie.
“Na-na!” esclamò il piccolo, tutto soddisfatto: da qualche tempo, aveva iniziato ad apostrofare a quel modo chiunque avesse per lui un'aria familiare. Per un po', Andromeda si era voluta cullare nell'illusione che fossero i suoi primi tentativi di pronunciare la parola nonna, ma si era dovuta arrendere davanti all'evidenza.
“No, è Alhena. A-lhe-na. Prova!”
“Na-na!”
Sirius rise. Una risata roca e fuori luogo su quel viso sciupato e stanco, ma rise.
“Be', ma Alhena è facile, non vale. Prova a insegnargli a dire Sirius, e vediamo!”
Sirius scosse la testa, senza smettere di evocare sfere colorate.
“Potrebbe chiamarmi zio”.
Alhena fece una smorfia.
“Non sei suo zio, sei suo cugino”.
“Solo se stiamo a guardare gli alberi genealogici. Se parliamo di legami d'affetto, sono più un quasi–zio che un cugino”.
Con una fitta al cuore, Andromeda dovette ammettere che era vero: Sirius era stato lontano troppo a lungo, e il suo legame con Remus era, inevitabilmente, molto più stretto con quello che poteva avere con lei o con Dora.
Il viso della piccola Macnair rimase impassibile, ma nei suoi occhi chiari si accese una luce maliziosa, mentre si cacciava con malagrazia una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Se vuoi essere così pignolo, più che quasi–zio dovresti farti chiamare quasi–nonno”.
Sirius rivolse ad Alhena un'espressione così genuinamente scioccata che Andromeda trattenne a stento le risate.
Quasi–nonno? Io?”
“Sì, tu. Tu sei il padrino di Harry, e Teddy è il figlioccio di Harry. Questo ti rende più nonno che zio: si tratta di logica”.
Sirius era chiaramente indignato da una tale affermazione, ma la rispostaccia che già Andromeda vedeva formarglisi sulle labbra si sciolse davanti alla risata cristallina di Alhena.
“Ti sto prendendo in giro”.
“Non è divertente!”
“Guarda che non è poi così male essere nonni, eh”, si sentì in diritto di aggiungere Andromeda, unendo il suo sorriso stanco alla risata di quella strana ragazza accovacciata a terra.

Quando Andromeda riemerse dalla cucina dove aveva riposto le tazze sporche, si trovò davanti a quella che stava ormai diventando la consueta visone di Teddy abbarbicato in precario equilibrio sul fianco di un enorme cane nero.
Con un mezzo sorriso, si ritrovò ad ammettere che la forma canina di Sirius sembrava essersi rimessa in salute più in fretta di quella umana: il cane era ancora estremamente magro, ma il suo pelo ispido era più folto e più lucido, e la sua lunga coda fendeva l'aria con un entusiasmo che non aveva avuto, solo qualche settimana prima.
Alhena, accanto a loro, fissava Teddy con aria spaventata, seguendo ogni suo movimento con le braccia tese, pronta a prenderlo al volo alla prima caduta.
“Guarda che non è fatto di vetro, puoi anche respirare”, sussurrò Andromeda, sedendosi accanto a loro.
“Lo so, ma i bambini mi sembrano sempre troppo piccoli per il resto del mondo”.
Andromeda sorrise, vedendo Teddy alternare lo sguardo dal grosso cane nero a lei, indeciso se continuare a giocare col suo compagno di giochi preferito o cercare l'abbraccio della nonna.
Alla fine, le braccia della nonna ebbero la meglio.
Teddy era stato protagonista di fin troppe attenzioni, quel pomeriggio, e cominciava ad essere un pochino stanco.
“Abbiamo un po' di sonno, qui?”
Il bimbo scosse vigorosamente la testa, e Andromeda rise. Da qualche settimana ormai Teddy aveva imparato a fare cenno di no, ma ancora non sapeva abbinare quel gesto al suo significato.
“No? Vuoi restare qui?”
“Na-na!”
Oh, be', era tutto molto chiaro, come no.
Un sussulto improvviso da parte di Alhena fece voltare Andromeda di scatto: la donna sedeva a terra con la schiena rigida e gli occhi spalancati, pallida come se avesse visto un fantasma. Stava per chiederle se stesse bene, quando la vide abbassare lentamente gli occhi: Sirius le aveva posato il grosso muso in grembo, e Alhena fissava il cane accoccolato su di lei con un misto di tenerezza e spavento.
Con un sospiro tremulo, la donna allungò una pallida mano, fino ad affondare le dita nel pelo di Sirius.
Gli occhi chiusi, Alhena sembrò ripiegarsi su sé stessa lentamente, chinandosi sulla forma immobile di Sirius. Era un'immagine insolita, ma che in qualche modo ad Andromeda sembrava semplicemente giusta: fronte contro muso, braccia bianche che stringevano il pelo nero, Alhena e Sirius erano fermi in un abbraccio contratto, dove non c'era spazio per nient'altro.
E così, all'improvviso, qualcosa sembrò scattare nella testa di Andromeda: Alhena che accompagnava Sirius ovunque, Sirius e Alhena che sembravano precipitare dalle conversazioni più affiatate al gelo più inquietante in pochi gesti, Sirius e Alhena che si cercavano senza riuscire davvero a trovarsi...
Andromeda si sollevò in piedi, allontanandosi piano dalle figure ancora allacciate di Alhena e Sirius.
Trattenendo un sorriso, recuperò il mantello e la copertina di Teddy: ci sarebbe stato tempo per i saluti.



 
***




Note:
So che i tempi qui si stanno dilatando sempre di più, e che, dopo due settimane d'attesa, un capitolo più concreto non sarebbe stato poi così male, ma al momento tutta la mia vita sta andando in questa direzione: tempi lenti, approcci silenziosi e emozioni che arrivano pian piano.
Sembra folle, ma sono quasi serena. 
   
 
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