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Autore: Ghen    18/03/2019    5 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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42. Un passo avanti 


Erano passati appena tre giorni da quando, riportata Jamie a casa, le ragazze avevano scoperto che Rhea Gand e il Generale Zod, pur facendo parte della stessa organizzazione, si dovevano trovare ai due vertici opposti. Charlie Kweskill si era infiltrato nel gruppo di poliziotti che cospirava contro Maggie e Alex per farsi notare da Rhea; Faora Hui doveva averli convinti che la donna potesse iniziarli, come una di loro aveva detto ad Alex. Anche Grace, colei che aveva preso Jamie dalla babysitter, aveva spiegato a Maggie che lo aveva fatto solo per poter entrare a farne parte. Peccato che non avessero spiccicato parola quando erano stati interrogati dall'FBI, insediato nel distretto dopo il fatto. Avevano interrogato tutti i poliziotti in cerca di altre mele marce e subentrati con la forza per dare un contributo generale in centrale in mancanza di agenti e, ovviamente, per lavorare fianco a fianco nel caso della morte del senatore Gand. Dapprima per niente entusiasta, Maggie notò in fretta un cambiamento in Zod, adoperandosi per collaborare. Come se niente avesse potuto piegarlo e, certo, questo aveva contribuito ad avvalorare la teoria secondo cui fosse il nuovo presidente. Se ciò era vero, forse Zod avrebbe fatto di tutto per far arrestare Rhea e, al tempo stesso, la donna avrebbe fatto tutto quello in suo potere per buttarlo giù dal trono che voleva per sé. Intanto, proprio come non era passata neanche una volta a trovare Faora in ospedale, Rhea non si era nemmeno avvicinata ai poliziotti che, per lei, avrebbero fatto di tutto. Chissà che ci fossero rimasti male.
Kara odiava restare con le mani in mano. Potendo riabbracciare Jamie e vederla insieme a sua sorella e Maggie, di nuovo al sicuro, le aveva smosso dentro qualcosa. Si chiese spesso cosa sarebbe successo se non fossero arrivate in tempo. Quella situazione stava diventando troppo grande per loro, per lei. Prima Rhea che mandava qualcuno a ucciderla e salvata, chissà, solo grazie all'intervento di Alex. Poi tutti che le nascondevano qualcosa, da sua sorella a John, a Lillian. A Lena. E gli agenti del D.A.O che le facevano ancora da scorta; riusciva a seminarli se voleva, e Alex la sgridava. I Luthor che, da presidenti dell'organizzazione, avrebbero potuto salvare la sua famiglia, in passato, e non l'avevano fatto. A Rhea che li aveva uccisi e che non si sarebbe arresa per salire al potere. Kara sentiva che stava per perdere il controllo. Era troppo. Era troppo tutto insieme, troppo. Stava cedendo. Era seduta sul letto in camera al dormitorio e alzò lo sguardo verso l'armadio davanti. Mettendo a fuoco un'anta, nel buio. Sapeva che stava cedendo. Perfino sua zia Astra la stava mettendo in crisi. Era convinta che l'organizzazione potesse fare cose buone, non nascondendole il fatto di farne ancora parte, seppure in prigione. Era andata a trovarla di nuovo, da sola, ma le avevano detto che era indisponibile. Le aveva detto che non sarebbe più dovuta andare a trovarla, ma davvero non credeva che le avrebbe negato la visita. Per quale ragione lo avrebbe fatto? Sperava che l'avrebbe aiutata a trovare qualcosa contro Rhea, accidenti. Non poteva semplicemente aspettare che il Generale vincesse la guerra contro quella donna. Se non altro, perché in quel caso il detto sbagliava e il nemico del suo nemico non era affatto un amico, ma un altro nemico, forse addirittura più subdolo. L'organizzazione tutta era sua nemica. L'importante ora era tenersi impegnata. Restare concentrata sull'obiettivo e non permettere alla sua testa di cedere. Riguardò l'anta dell'armadio e scosse la testa. Non doveva davvero cedere. E poi, beh, ogni tanto le riusciva anche di studiare per gli esami. Era indietro, accidenti.
Mike si girò di nuovo, grattandosi un fianco. Non riusciva a dormire, si muoveva di continuo e Kara cercava di ignorarlo. Il ragazzo era sul pavimento, tra il letto di Megan e il suo, sdraiato su un materassino da divano che alcune studentesse del complesso avevano prestato alle loro giocatrici di lacrosse preferite. Sentiva caldo e tirava giù la coperta. Poi freddo e la tirava su. E si girava. Kara non lo ricordava così fastidioso. Sul letto, aveva acceso una piccola lucetta da lettura e portato dall'armadio la vecchia scatola che conteneva alcune delle lettere che le aveva spedito sua zia da Fort Rozz in quegli anni. Se non poteva aiutarla faccia a faccia, forse poteva farlo da quelle. Finalmente aveva il coraggio che le serviva per aprirle.
Piccola mia, oggi è il grande giorno: finalmente sedici anni! Tanti auguri! Come festeggerai il tuo compleanno? Ti porteranno fuori in un locale? Attenta ai ragazzi, so già che sbaveranno tutti per te.
Kara ansimò, ricordando il suo sedicesimo compleanno: Jeremiah aveva invitato lei e Alex a stare da lui nella sua seconda casa a National City dal divorzio con Eliza; aveva preparato tutto l'occorrente, dalle candeline ai cupcake, dai palloncini appesi sul soffitto alla tovaglia colorata, poi però aveva lasciato la torta nel forno troppo a lungo e si era bruciata, la casa si era riempita di fumo e le aveva portate fuori al fast food. Le aveva detto che le avrebbe voluto fare qualcosa di speciale e che forse era troppo grande per una festa di quel tipo, il che era indubbiamente vero, eppure era stata una delle giornate più belle e divertenti trascorse con lui. Era andata avanti con la sua vita mentre sua zia si perdeva tutto, di lei. E avrebbe continuato a perdere ogni cosa se fosse rimasta in quell'organizzazione. Per un attimo, si chiese come lo avrebbe trascorso se ci fosse stata lei o, meglio ancora, se ci fossero stati i suoi genitori. Era quasi tentata di non leggere più, ma doveva capire. Così ne aprì un'altra.
Kara, devi venirmi a trovare perché devo parlarti. È davvero importante, troppo urgente! I giornali scrivono che la tua madre adottiva si è fidanzata con Lillian Luthor. La conosco, Kara, devi sapere alcune cose che non posso scriverti. Quindi ti prego, vienimi a trovare se stai leggendo questa lettera. Ho bisogno di vederti. Ti voglio bene.
Kara la rimise all'interno della busta, rificcandola nella scatola e tirandone fuori altre, a caso.
E così Lillian Luthor ha sponsorizzato una mostra di fotografia sulle barriere architettoniche. Mi fa piacere saperlo; quando ero in servizio, ho avuto a che fare con molti progetti del genere. Non per la polizia. Alcuni amici ed io abbiamo devoluto dei fondi per costruire strutture di ricerca, al tempo. E ci dedicavamo a rendere più sicure le nostre strade. Sapevi che tuo padre lavorava con tuo zio a qualcosa di simile?
Kara si accigliò, stringendo la lettera. Di cosa parlava?
Era un progetto che a me e questi amici interessava molto, volevamo finanziarli, ma le cose sono andate male, a un certo punto. Non posso parlartene per lettera, è una cosa delicata, Kara. Ma devi saperlo, anche se non sono certa che capirai queste parole: c'era un'altra strada, un caro amico ci teneva molto ad entrare in affari con loro, ma le cose sono andate male. E questo lo sai anche tu.
Te lo scrivo nel caso mai leggessi, anche se, dopotutto tutti questi anni, ho i miei dubbi. Magari le getti nella spazzatura e non ci pensi più. Ma io ci riprovo perché credo in quello che ho fatto e sono pentita di ciò che non ho potuto fare e vorrei che tu sapessi quanto ti ho voluto bene allora e te ne voglia ancora. Sei l'unica famiglia che mi è rimasta.
Kara restò a bocca aperta e le si seccò la gola. Era un po' infastidita che lei la considerasse la sua famiglia nonostante tutto, ma ciò che disse su suo padre e suo zio le interessava. Prese il cellulare e scrisse un lungo messaggio a Lena, citandole alcune parti della lettera. Ma, appena prima di inviare, ci ripensò. Restò con il pollice a mezz'aria e, stringendo le labbra, lo archiviò, accanto agli altri messaggi scritti per lei. All'inizio erano loro due, ma adesso non aveva più la stretta necessità di confidarsi con lei, dopotutto. E no, stupidi pensieri, non aveva a che fare col perché Lena le aveva tenuto nascosto dei Luthor, ma perché… Sbuffò. Forse era così. Forse era ancora arrabbiata. Forse non le sarebbe passata. Rimise la lettera nella busta. Forse… Riguardò l'anta dell'armadio e strinse la busta della lettera. Sapeva solo che le cose erano cambiate e che non sarebbe riuscita a inviare quel messaggio né gli altri.
«Smettila di sbuffare, ti sento e non riesco a dormire», borbottò lui all'improvviso.
«Smettila tu di muoverti, fai venire il mal di mare. Mica ci saranno le pulci».
«Non sono tanto sicuro che questo materasso non le abbia… Ed è scomodo».
«Non dormirai qui con me».
Lui si zittì, girandosi di nuovo. «Hai trovato qualcosa che possiamo usare contro mia madre?».
«No…», ansimò, «Mia zia sta ben attenta a non nominarla mai, non nomina nemmeno mai l'organizzazione, si riferisce solo ad amici, lavori extra, cose di questo genere». Ne sfogliò alcune e infine mise tutto via, di nuovo dentro la scatola, piegandole per farcele stare. «Pensavi a qualcosa?». Lasciò la scatola ai piedi del letto e si portò sotto le coperte, mettendo occhiali e cellulare sulla mensola.
«Se abbiamo l'arma del delitto, per esempio…?».
«Cosa?». Kara si scoprì di nuovo e abbassò la testa. «Sai dov'è?».
«Mia madre ha una pistola, certo che so dov'è! È nel salotto a fianco alla camera da letto, nella cassaforte incastonata nel muro, dietro un quadro. Ci nascondeva anche dei soldi e andavo a fare rifornimento».
«E me lo dici adesso? Sei qui da giorni, accidenti», gettò una mano sotto al letto e picchiettò a caso, mentre lui si riparava la faccia; all'inizio infastidito e dopo mettendosi a ridere.
«E scusa», sorrise, guardandola. «Sempre così tra noi, eh?».
Il sorriso di Kara, invece, si spense, ritornando a mettersi comoda sul materasso. Gli diede la buonanotte a breve, mentre riprendeva il cellulare e inviava un messaggio a Selina Kyle: non sapeva bene perché, o forse lo sapeva, ma era certa che se avrebbe voluto compiere un'effrazione, lei avrebbe saputo darle dei consigli. Ne inviò uno anche a Kal con gli aggiornamenti su sua zia e dicendogli che forse sarebbe riuscita ad avere l'arma che aveva ucciso Lar Gand.
«Ma fa sempre così? Sono certo di averla sentita anche ieri».
Kara si voltò, ascoltando Megan: «I bianchi… arrivano. No, bastardo, arrivano».
Si accigliò, annuendo. «Yep. Ma credo che il bastardo non sia casuale». Chiusero gli occhi, mettendosi a dormire.
Con grandi probabilità, Kara aveva ragione: Megan aveva lasciato John quando lui le disse del suo reale lavoro. Si era sentita presa in giro e questo stava influenzando sul suo rendimento sul campo di lacrosse, non accettando i suoi suggerimenti e finendo per perdere l'ultima partita giocata il giorno prima. Era contenta che finalmente stesse per finire la sospensione di Kara, così sarebbe tornata lei a essere capitano.
«I bianchi… Ci uccideranno tutti».
Kara riaprì gli occhi di scatto. No, non erano state le parole di Megan: il cellulare vibrò e lo riprese con uno sbadiglio, pensando a chi mai avrebbe potuto risponderle a quell'ora.
Da RagazzaGatto a Me
Un'effrazione, eh? Questo è interessante, kryptoniana, considerando che volevo proportene una.
«Cos-?», alzò le sopracciglia e, confusa, le inviò subito una risposta.
Da RagazzaGatto a Me
Possiamo parlarne anche adesso, se è urgente. Tanto sono qui!
«Qui…? Q-u-i-d-o-v-e», le scrisse, stringendo gli occhi.
Poi un rumore. La finestra scattò. «Qui».
Kara balzò seduta con un urlo e Mike fece lo stesso, scattando e coprendosi il petto nudo. Strabuzzarono gli occhi, osservando la ragazza che portava dentro una gamba, tenuta alla finestra. Si tolse gli occhialetti da aviatore dalla faccia e, guardando lui, gli fece l'occhiolino. Un movimento e un brusio dall'altra parte della stanza li fece voltare tutti, ma Megan ancora dormiva e parlava nel sonno:
«I bianchi stanno arrivando, svelti… Tu sei un ba… bastardo». Dormiva, decisamente.
«Un'effrazione alla Lord Technologies? E perché no alla Casa Bianca?», tuonò Kara dopo aver ascoltato cosa voleva proporle, per poi coprirsi la bocca. Selina Kyle doveva essere completamente impazzita. Non ci sarebbe stato modo di entrare là dentro.
«Come sai, la Green Caravel ha riaperto i battenti, ci sono stata e… non mi convince, c'è qualcosa che non va. Scoppiano sempre più risse; la gente non si comporta normalmente, quando è lì. Alcuni dei miei compari si sono sentiti strani. Non voglio che certa roba giri per Gotham», le disse. Era arrivata a National City con quello in mente e, solo una volta lì, aveva pensato di chiederle se volesse partecipare.
Kara abbassò lo sguardo e deglutì, lanciando un'occhiata sola, di sfuggita, all'anta del suo armadio. «Sarebbe un suicidio: non posso farmi trovare là dentro, ne andrebbe della mia carriera», deglutì.
Selina ansimò, scrollando le spalle. «Capisco il tuo punto di vista, vuoi fare la giornalista… Se ti beccano sei fregata e c'è una grande possibilità di essere beccati, Supergirl. Fai come se non te l'avessi chiesto, ci proverò da sola».
Kara la capiva: al suo posto, avrebbe fatto lo stesso. Sembrava che Lord stesse perdendo il controllo sulla sua creatura, dopotutto, e che allo stesso tempo non fosse abbastanza furbo da porvi rimedio. O forse non voleva. Ma cosa ci avrebbe guadagnato nel far sentire male le persone? Rischiava di perdere clienti, non aveva molto senso. D'altronde, con lui era sempre tutto molto strano. Erano quelle pillole a rendere la gente aggressiva? Deglutì di nuovo. «Ivy e Harley non ti aiuterebbero?».
«Non gliel'ho chiesto. Ivy ha trovato un lavoretto di recente, in una serra. Ama le piante», sospirò. «Vuole guadagnare abbastanza per chiedere ad Harley di andare a vivere insieme. Mi secca metterle nei casini, capisci?». La vide annuire e sospirò di nuovo. «Piuttosto, ho provato a chiederlo al mio nuovo partner del crimine, ma pensa che non sia una buona idea», sbuffò e roteò gli occhi, pensando a Bruce Wayne. «Credo abbia altro per la testa».
«Ti piace, eh?».
«Cosa?», sobbalzò, arrossendo di colpo.
«Bruce Wayne».
«Ah! A me? Wayne? Se potessi accalappiarlo, saprei cosa fare con i suoi miliardi in banca, krypton, te lo dico io, ma non esagerare».
Kara sorrise, pensando che non lo avrebbe mai ammesso.
«Oh, è l'angolo rosa delle chiacchierate intime tra amiche? Posso unirmi anch'io?».
Kara si accigliò. «Sei ancora sveglio?».
«Non riesco a dormire sentendo voi che parlate». Mike si era sporto sul bordo del materasso mettendo le braccia a conserte, così guardò Kara, sfoggiando un sorriso. «Sapete chi ha altro per la testa? Il sottoscritto. Sì, pensare alla mia madre assassina mi riempe la testa per la maggior parte del tempo, ma la mia ragazza che se la fa con la sorellastra tenendomi nascosto tutto mi tiene, diciamo, impegnato».
Selina guardò Kara mentre si portava una mano sulla fronte. «Stavi con lui quando tu e Lena…?».
«Ah, lei lo sa? Fantastico», la indicò, «Notare che non ha mosso un sopracciglio quando ho nominato la mia madre assassina».
«Per l'ultima volta, Mike», strinse i denti. «Non stavamo insieme quando io e Lena… beh, q-quando io e Lena abbiamo iniziato a sentire-».
«I vostri corpi caldi che si chiamavano?», alzò le sopracciglia.
«Chiamalo così».
Lui ansimò, seccato. «Non posso nemmeno prendermela con lei, dai, è una ragazza… Quando ci siamo ritrovati a cena insieme, avevo provato a chiederle consigli per riconquistarti-».
«Volevi riconquistarla?», lo interruppe Selina, facendosi curiosa, mettendosi più comoda.
«Non sai cosa passa per la testa di un ragazzo innamorato. Avevo provato a chiedere consigli a Lena Luthor perché erano molto vicine e lei mi aveva risposto con quella faccia», provò a mimarla, tenendo contratte le labbra e bassi gli occhi, fingendo di prendere un bicchiere invisibile: «Oh, Kara potrebbe non essere più disponibile. Bella faccia tosta. Non eri più disponibile perché stavi con lei, certo, scemo io a sperare ancora in un noi».
Selina lanciò uno sguardo a Kara che teneva gli occhi bassi, di nuovo improvvisamente triste.
«E alla fine ti sei lasciata, ma è normale, tra ragazze non funziona, o meglio…», cercò di correggersi Mike, «non funziona con tutte. Tu sei abituata a un uomo, non può darti lo stesso una ragazza». Stava per aprire bocca di nuovo che Selina gliela tappò con una calza. «Pluah, che schifo! Perché lo hai-», si zittì quando le indicò Kara, estraniata da entrambi, sola con i suoi pensieri.
«Hai la sensibilità della carta vetrata, Gand», gli mormorò.
«Forse, ma è vero», Kara rialzò gli occhi, piano. «Non quello che… i-insomma», le sua guance si colorarono in un attimo, «b-beh, non la parte… Emh, Lena ed io ci soddisfacevamo benissimo», riuscì a dire diventando color pomodoro, mentre Mike girava lo sguardo. «Però è vero che ci siamo lasciate. C-Che forse non ha funzionato».
A quel punto, Mike decise di provare a dormire. Oh, quella discussione aveva preso una brutta piega e non voleva sentirla parlare di Lena Luthor. Era geloso e non credeva lo sarebbe mai stato di una ragazza.
«Dillo, Kara», aveva scrollato le spalle Selina. «La sentivi di nuovo vicina, me lo hai detto, ma la confessione sui Luthor ti è rimasta sullo stomaco».
«Ma no, è che…», fece una smorfia, portando gli occhi da una parte all'altra, pensando. «Io capisco perché Lena lo ha fatto. Non voglio avercela con lei».
«Però ce l'hai con lei», la guardò negli occhi, togliendosi un ricciolo dal viso. «Ti senti tradita e prima lo confesserai a te stessa, prima riuscirai a superarlo. Sempre che tu lo voglia».
Kara sfogliò Instagram e le sue foto, prima di dormire, facendo una smorfia ogni volta che incontrava il volto di Lillian. Era la grande verità: ciò che sentiva contro Lillian era forte e provava rabbia, ma con Lena… la capiva e ciò la portava ad avere un comportamento più passivo; avrebbe voluto solo rimettersi con lei, amarsi, e ora non riusciva. Aveva un blocco e non sapeva come sarebbe riuscita a combatterlo. Né se, come le aveva detto l'amica, lo volesse. Forse… Forse non le sarebbe mai passata ed era finita così.

Avevano dormito poco, quella notte. Selina si era coricata ai suoi piedi, Mike aveva russato, a un certo punto, e Megan aveva smesso di parlare nel sonno sempre troppo tardi. Però fu la prima a svegliarsi e rimase immobile e con gli occhi a pesce per un po', seduta sul letto, fino a quando non si svegliò la compagna di stanza. «E quella?», la indicò. «Cos'è, miagolava fuori dalla finestra?».
La loro camera stava diventando decisamente stretta. Selina andò a farsi una doccia quando a loro il bagno non serviva più. Megan rimetteva in ordine alcuni libri e Kara la scatola con le lettere di sua zia nell'armadio. Così si svegliò Mike, mettendosi in piedi e sbadigliando. Diede loro il buongiorno e si grattò, girandosi. Megan si tappò gli occhi con orrore e anche Kara, alla sua reazione, si voltò dopo aver guardato.
«Hai mezza chiappa di fuori, depravato», gli urlò la prima.
Lui rise, tirando su i boxer. «Ammettilo! Cosa daresti per farci un giro», ridacchiò, camminando verso il bagno.
«Neanche se fossimo gli unici due esseri umani rimasti e Dio in persona mi pregasse di farlo per ripopolare la Terra», sbottò di rimando.
Lui scosse la testa e sorrise a Kara, prima di aprire. Non fecero in tempo ad avvertirlo e, appena chiuse la porta del bagno, si sollevarono le urla di entrambi. Mike si ricacciò fuori, pallido, ammettendo con il fiatone di essersi dimenticato di Selina Kyle.
Se la convivenza in quello spazio angusto cominciava a essere un problema, dalla finestra intuirono che ne sarebbero presto arrivati altri: «Ehi, ragazza? Ti ha scritto Maggie, per caso? C'è la polizia, qua sotto».
Appena Megan finì di parlare, sia Mike, che si stava vestendo, che Kara, sbiancarono. «Vai», la ragazza lo spinse verso il bagno, «Stanno arrivando». Aveva infilato mezzo pantalone e gli lanciò dietro le scarpe.
Selina sorrise facendogli cenno di tacere, avvolta in un asciugamano, laddove lui si appiattiva al muro.
Kara e Megan nascosero il materassino sotto il letto di quest'ultima e gettarono le cose di Mike sotto quello dell'altra, senza cura, facendo più in fretta possibile. Neanche un secondo di respiro che bussarono alla porta e si guardarono. Quella situazione non era una novità: altre volte era venuta la polizia per sapere se avevano visto il ragazzo o a ispezionare il posto per essere sicuri che non lo stessero nascondendo ma, a dispetto delle altre volte, Mike c'era davvero.
«Questa è persecuzione», esclamò Megan, sbuffando intanto che il poliziotto apriva gli armadi e frugava in mezzo ai vestiti. «Sappiamo che lo state cercando: appena lo vediamo, vi faremo sapere».
Kara si sforzò per non sorridere: la sua amica era scettica a nasconderlo, all'inizio, ma da quando John le disse di essere del D.A.O., prese in antipatia tutti i poliziotti e quella come una missione personale. Non si lasciarono sfuggire il fatto che il poliziotto non era accompagnato da un collega, bensì da un agente dell'FBI. Kara lo vide, più composto e faccia pulita, curiosando dove gli capitava: lanciò un'occhiata sulle sue foto e su quelle di Megan dall'altra parte, che aveva l'abitudine di immortalare dei fiori.
Poi, dopo tanto silenzio, parlò: «Ci hanno segnalato un ragazzo in questo dormitorio».
«Il dormitorio è grande, va da sé…», rispose Megan, incrociando le braccia al petto.
Kara scambiò uno sguardo con lei. «Il dormitorio è sempre pieno di ragazzi».
«Ci hanno anche segnalato chiasso e che proveniva da questa stanza», rispose allora il poliziotto.
«Oh, è perché a noi piace cantare», annuì Kara e Megan l'appoggiò:
«E ballare». Iniziò a schioccare le dita e a muoversi, così l'altra fece lo stesso, osservate dai due.
«Di notte», precisò lui.
«Beh, c-ci sta giudicando, per caso?», le mostrò una smorfia, gonfiando gli occhi. Appena l'agente dell'FBI si avvicinò al bagno, però, Kara corse defilata e si mise in mezzo, cominciando a bofonchiare le prime scuse a venirle in mente come la privacy, la biancheria intima che asciugava sullo stendino, o il disordine, perfino il calore del vapore che aprendo la porta sarebbe uscito.
Il poliziotto però la spostò e l'altro alzò la mano per girare la maniglia, quando la porta si aprì da sola ed entrambi gli uomini diventarono rossi, perfino le due ragazze. L'agente dell'FBI si voltò imbarazzato e l'altro lasciò la bocca aperta, tanto che Megan ebbe quasi la tentazione di chiudergliela. Selina era ancora involta nell'asciugamano, nuda e scalza. «Ops», sorrise. «Dovete scusarle, maschioni in divisa, tentavano di nascondermi. Sapete, nella mia camera non vuole proprio scendere l'acqua calda», gesticolò con una mano, mentre con l'altra si copriva.
Riuscì a convincerli. Il poliziotto costrinse quello dell'FBI a disagio a entrare in bagno e dare un'occhiata, ma sembrava tutto a posto: il vapore, la doccia con i vetri appannati, la cesta degli indumenti sporchi in disordine, così se ne andarono, senza aggiungere una parola. L'avevano scampata per poco e Mike uscì dalla cesta dove si era rannicchiato, lamentando di puzzare di piedi.
Quella situazione era ufficialmente diventata ingestibile. Non potevano continuare a rischiare intrusioni della polizia, né potevano stare semplicemente fermi a guardare. Così Kara convinse Selina ad aiutarla a entrare in casa Gand e Mike le istruì sulle cose utili. Uscirono quello stesso pomeriggio, approfittando degli impegni di Rhea: sarebbe stata via con la domestica Joyce per il club del libro.
«Ma no, non mi scoprirà», rispose in videochiamata a suo cugino Kal mentre, a piedi, si avvicinavano alla casa. «Ho aiuto, non sono sola», lo fece salutare da Selina, mostrandole lo schermo. «Lei sa quel che fa. Certo che è la prima volta che mi introduco in casa di qualcuno».
«Sì, ma urlalo tranquillamente», la sgridò lei e Kara si guardò intorno, stringendo i denti.
«È per una buona causa, Kal. Mi avevi chiesto di tenerti informato, non farmene pentire. Oh, ciao, Lois», salutò la nuova arrivata. Vide Clark dirle tutto e lei guardare lo schermo e di nuovo lui, facendosi seria.
«Controlla che non abbia telecamere all'ingresso sul retro».
«Che fai, l'aiuti?».
«Quelle fregano sempre».
«In quante case sei entrata?».
Kara sorrise, pensando che fossero teneri. «Non preoccuparti, so come entrare in sicurezza».
«Perfetto. Allora in bocca al lupo, Kara». Lois le mostrò il pollice e, annuendo, chiuse la chiamata.
Non persero tempo. Lei e Selina si nascosero dietro il muro di cinta e dopo si avvicinarono alla casa, osservandola dietro le finestre: Rhea urlava alla domestica e la poverina correva da una parte all'altra senza un attimo di tregua. Mike non voleva confessare convinto che lo avrebbe fatto Joyce, ma Kara non ne era tanto sicura: era pur sempre lì con visto scaduto e, pur di non passare dei guai e mantenere il lavoro, sopportava di tutto. Restarono nascoste per un po', Selina si fece un giro in ricognizione e, quando la videro infilarsi il giaccone insieme a Joyce, si tennero pronte. Mike disse loro che non avrebbe fatto tardi, dunque ogni minuto era importante. Loro uscirono, videro Rhea sistemare l'allarme e allontanarsi insieme, così corsero. Selina svitò il coperchio della centralina dell'allarme, mettendosi al lavoro per disabilitarlo; nel frattempo, Kara adocchiò la finestra del bagno al primo piano, iniziando a capire come scalare il muro. Appena riuscì nell'intento, Selina rimise il coperchio e si arrampicò per prima, passandole davanti e facendole cenno di aspettare, reggendosi sui cornicioni e sui mattoni del muro più esposti. La finestra del bagno aveva difficoltà a chiudersi del tutto, ricordò Mike, che le bastò una piccola spinta all'angolo alto per aprirla e, così, Selina entrò dentro senza sforzo. L'altra suonò il campanello e attese, poi il portone si aprì.
«Sì? Vende qualcosa porta a porta, signorina?», scherzò e la fece entrare.
Quella casa odorava di stantio, ora che Kara ci faceva caso. Era vecchia, piena di soprammobili e quadri di dubbio gusto. Perfino Selina aggiunse che non avrebbe saputo cosa rubare. Diedero solo un'occhiata veloce al piano terra, al salone dove c'era ancora la scrivania di Lar, rimasta immutata. Poi salirono di sopra. Dov'era stato ucciso avevano pulito e non era rimasto neanche un segno del suo corpo steso a terra, eppure entrambe avvertirono i brividi. Entrarono nel salottino a fianco, spaesate.
«Non avranno già controllato questa casa da cima a fondo? La polizia, intendo», le domandò Selina, mettendo mano a un servizio da tè antico sopra il tavolo tondo al centro. «Questo varrà qualcosa?», ridacchiò dopo, fingendo di bere da una tazzina.
«Maggie mi ha detto che hanno ispezionato, quando è successo, ma ora non è più sicura che i suoi colleghi l'avessero fatto con l'intenzione di trovare davvero qualcosa». O almeno lo pensava prima; ora come ora, sapevano che se Zod avesse voluto arrestarla lo avrebbe fatto controllare come si doveva e forse erano lì per niente. Ma se non altro si sarebbe distratta, ciò che le serviva. Doveva provarci. Guardò attentamente il quadro di famiglia sulla parete, grande, dipinto a mano, loro erano più giovani e Mike bambino. Oggettivamente bruttino, ma… Lo tolse facendo attenzione, poggiandolo a terra. Si infilò i guanti, come le ricordò l'altra mentre ancora giocherellava con la tazzina, e iniziò a digitare la chiave di sicurezza che le aveva fatto memorizzare il ragazzo. Sperava non l'avesse cambiata. La cassaforte si aprì, ma il sorriso delle due non durò a lungo: c'erano documenti, un sacco di scartoffie impilate, ma nessuna pistola. «Non c'è», sibilò Kara, prendendo fiato. «Non c'è, Selina. Cosa facciamo?».
Forse guardare altrove, un po' ovunque, sarebbe stato auspicabile se non avessero sentito, dalla finestra del bagno aperta, la voce di Rhea urlare alla domestica dalla strada. Selina Kyle la guardò: «Ce ne andiamo».
Come poteva già essere di ritorno? E il club del libro? Andarsene a mani vuote, proprio ora, era una scelta sofferta. Kara prese alcuni dei documenti impilati in alto e lesse, sperando di trovare qualcosa che la incastrasse, mentre l'altra le metteva fretta. C'erano nomi, numeri, loghi di banche, qualcosa che non poteva sapere se le sarebbe servito senza avere il tempo di leggere. Sentirono la sua voce davanti al portone e dopo la serratura di casa: il tempo era scaduto. Lei e Selina cercarono di risistemare i fogli sugli altri, ascoltando la voce dal piano terra che chiamava il figlio: doveva essersi accorta che qualcuno era in casa per via del sistema di allarme spento, accidenti. Rimettendo i documenti al loro posto, scivolò dalla cassaforte un foglietto a quadretti scritto a penna: Kara lo acciuffò prima che cadesse a terra schiaffandolo tra le mani, ma fece rumore. La donna continuava a cercare Mike, poi sentirono i suoi passi sulle scale.
«Mike, sei tu? Sei a casa?», manteneva un tono di voce dolce, non poteva significare niente di buono.
Sentirono altri passi sulle scale e si nascosero dietro due mobili nel salottino che Selina si accorse, sgranando gli occhi, di avere ancora la tazzina in mano. Kara mimò dei gesti per convincerla a riporla sul tavolo, ma non c'era tempo: sentirono i passi vicini e restarono immobili. La donna si voltò all'interno del salotto, restò all'ingresso, guardò appena per notare se era tutto in ordine, e poi tornò a uscire. Kara era più vicina al tavolo, così Selina le fece un gesto e lanciò la tazzina; lei la acchiappò al volo, la riportò sul tavolo e si nascose di nuovo. La donna tornò indietro di corsa, le sembrò di sentire qualcosa ma per fortuna, quando arrivò, la tazzina aveva già smesso di tintinnare sul piattino.
Seccata, Rhea tornò al piano di sotto e chiamò la domestica con un urlo, così le due ne approfittarono per sgusciare in silenzio dalla loro posizione e andare verso il bagno, la loro via di fuga. Selina si infilò dentro in fretta ma a Kara vibrò il telefono e le scivolò da una tasca. Il rumore attirò Joyce che usciva da una stanza. Oh, era tardi. L'aveva sorpresa. Le due si guardarono e Kara smise di respirare. La domestica spalancò gli occhi. Rhea urlò di nuovo e sobbalzarono entrambe. «No, signora Gand», le rispose dopo mentre tremava, adocchiando quell'altra ragazza che, dietro la porta del bagno, prendeva Kara per una manica in modo da trascinarla via. «Non c'è nessuno… signora Gand».
Joyce aveva mentito a Rhea. Anche Kara spalancò gli occhi, di riflesso: quella ragazza aveva disobbedito per la prima volta. Le sussurrò grazie e si arrampicò sulla finestra dopo Selina Kyle, andando via.
Le aveva mentito. L'aveva aiutata, rischiando conseguenze. Kara pensava che nulla avrebbe potuto farle riflettere come quel gesto, ma quel foglietto che era uscito dalla cassaforte e si era portata dietro, andava al di là delle sue aspettative. Kara lo consegnò a Mike quando tornò al campus. Megan era uscita e Selina non tornò con lei, dicendo che sarebbe passata per la notte, se avesse avuto uno spazietto libero dove dormire. Così, soli, si presero del tempo. Ne avevano bisogno.
Dopo averlo letto, Mike si paralizzò, riguardando lei. «Ha confessato», sussurrò con un filo di voce.
«Voleva farlo», annuì. «È la bozza dell'intervista che voleva rilasciarmi. Parla dei miei genitori. Ma dà a se stesso tutta la responsabilità», aggiunse con amarezza, abbassando gli occhi. «Possiamo usarlo contro tua madre per il suo assassinio, ma non per quello dei miei genitori… l-la esclude».
Mike deglutì, pensando che quella era l'ultima cosa che suo padre aveva scritto prima di morire. Lo lasciò sopra il letto di Kara per non sgualcirlo e poi le si avvicinò. Si strinsero l'una all'altro, consci di quanto si fosse intrecciato il loro destino. Dopo, Mike le passò una mano sul viso e le asciugò una lacrima, così si guardarono negli occhi, ritrovando quella complicità perduta da tempo.

Alex e Maggie erano ancora scosse da quanto accaduto a Jamie con quei poliziotti. Si erano prese due giornate libere, le avevano trascorse tra loro, in casa, solo per riappropriarsi un po' della loro libertà e normalità. Prima di prendere quella decisione.
Maggie batté le unghie sul bracciolo che la divideva da Alex alla guida, in macchina. Diede uno sguardo a Jamie sul seggiolino dietro che ancora dormiva. Poi la strada, sorridendo. «Sai… fino a non molto tempo fa, sognavo di guidare questa strada a bordo di una moto. Jamie era una nana avvolta in una copertina, pensavo sarebbe bastato un sidecar per portarmela dietro».
Alex rise, mani sul volante. «Avevo una moto, prima», confessò, «L'ho venduta per pagarmi l'affitto».
«Ouh», fece una smorfia e dopo rise. «Peccato. Beh, potremo comprarne una un giorno, abbiamo due stipendi e potremo… sì», si morse un labbro, inclinando la testa, «andare a vivere insieme, risparmiando sull'affitto».
Alex le lanciò un'occhiata e si guardarono, pochi secondi. «Mi sembra un'ottima idea».
Risero come due bambine e Maggie riprese il suo telefono dal cruscotto, chiedendosi se avesse avvertito Kara in tempo e fosse riuscita a evitare che i suoi colleghi trovassero Mike nella sua stanza. Era un caos da quando l'FBI arrivò in centrale, eppure, una parte di sé si sentiva sollevata dalla loro presenza. D'altronde, quei giorni erano stati come una corsa sulle montagne russe e sarebbe stato almeno un po' più facile se sua figlia non continuasse a chiederle che fine avesse fatto l'amica che l'aveva portata al parco divertimenti e quando l'avrebbe potuta rivedere. L'indomani ci sarebbe stato il loro processo, finalmente, e poteva almeno togliersi un pensiero dalla testa. Per il resto, lei e Alex avevano deciso di portare Jamie dai suoi in modo da tenerla distante fino a quando la situazione contro Rhea Gand non sarebbe stata sistemata. Era la cosa migliore, continuavano a ripeterselo. Jamie sarebbe stata al sicuro, anche se farla stare con loro per un tempo indefinito le metteva angoscia. Era stata una decisione difficile, ma ben ponderata. Senza contare che lei e Alex si stavano presentando in casa loro insieme e si sarebbero conosciuti. Poteva ammettere che cercasse di distrarsi per non farsi mangiare dall'ansia. Alex aveva accettato di andare e ne era fiera, soprattutto per via delle cose che le aveva raccontato su di loro, ed era fiera della sua vita, ma la paura che provava all'altezza della bocca dello stomaco era quasi più forte di lei.
«Sei ancora in tempo a scappare, Danvers», le ricordò a un certo punto. Erano vicine. Le disse dove svoltare, stavano entrando in paese.
«Andiamo, non sarà così male».
«Per questo ti amo: non ti arrendi di fronte a un pericolo».
Alex deglutì. Restò quanto più ferma possibile; i suoi occhi fissi sulla strada. Bene. Stava per conoscere i genitori di Maggie, andava tutto bene. Tutto bene. Tutto be- oh, no, non sarebbe andato tutto bene solo perché continuava a ripeterselo, aveva una paura matta, non sapeva in che dosi erano cambiati nel tempo ma erano stati omofobi fino a poco tempo fa, insomma, e se poi non fosse piaciuta? Era una donna, non sarebbe piaciuta a prescindere, ma se non piaceva almeno il minimo sindacabile per vedersi alle feste programmate avrebbe rischiato di compromettere il rapporto già in bilico di Maggie con loro. Ora volevano andare a vivere insieme, non poteva permetterselo. Non poteva. Forse avrebbe dovuto portare qualcosa da bere per fare bella impressione, perché non ci aveva pensato prima? O dei cioccolatini. No, cioccolatini, che idea stupida. Ma dei fiori, forse. No, i fiori sarebbero stati troppo banali. Ma effettivamente, dai racconti di lei, i due sembravano essere piuttosto all'antica e i fiori… No, l'avrebbero comunque vista con sospetto perché aveva una vagina, dunque che avesse un regalo o meno faceva poca differenza. E andava lì per Jamie, non per loro. Non per loro. Non per loro.
«Danvers, devi girare. Alex?».
«Non per loro», ripeté a voce e l'altra alzò un sopracciglio. «Girare? Girare, subito». Rumoreggiò con la gola e fece finta di niente. Accidenti, non sapeva nemmeno dove avrebbe potuto comprare dei fiori, lì.
Jamie si svegliò quando stavano parcheggiando di fronte alla casa. Felice, gridò che venisse slacciata dal seggiolino perché da sola non riusciva. Maggie stava per voltarsi indietro che scorse il volto pallido della compagna, bloccandosi: «Ti senti bene?». Le poggiò una mano contro il braccio e la avvertì sussultare.
«Sì. Certo. Una cosa veloce, andrà tutto bene, io sto bene, forse sei tu quella nervosa».
«Ssì», Maggie sorrise, arrossendo. «Vedi il lato positivo: non è più lo sceriffo e non potrà arrestarti».
«Confortante».
«Ma ha ancora la sua pistola», piegò il collo da un lato, stringendo le labbra.
Alex annuì lentamente, pensandoci. «Anche noi».
«Ottima osservazione», sorrise. Si avvicinò e si scambiarono un bacio, sentendo Jamie lamentarsi:
«Anche io voglio un bacio, anche io lo voglio», provò a spingersi in avanti, «Voglio esshere libera, uffi».
Vorrei scappare: era l'unico pensiero di entrambe. Si presero per mano, dandosi forza a vicenda. La serratura scattò, la porta cigolò, Jamie si gettò verso l'interno e la spalancò, saltando sulla gonna della nonna. La donna sorrise entusiasta e l'abbracciò, quando il suo sguardo planò su Maggie, Alex, Maggie, Alex, le loro mani unite, di nuovo Maggie, di nuovo Alex, poi Jamie. «Ben… Benvenute», forzò un sorriso e si spostò dall'ingresso, con la bimba attaccata a una gamba, per farle entrare.
Beh, non era poi tanto male. Sì, si percepiva un certo non so che di disagio nell'aria e, a parte Jamie, nessuno parlava, ma tutto sommato poteva andare peggio. Lui strinse la mano a entrambe, con distanza, mentre lei chiese se la bambina avesse già mangiato. Poi di nuovo silenzio.
«Devo sistemare la camera per Jamie…», sibilò Maggie dopo aver rumoreggiato con la gola e interrompendo il silenzio imbarazzante. La madre annuì, passandole una mano su un braccio.
«Sì, certo, sali pure. Siamo contenti di averla con noi per qualche giorno», si voltò verso il marito, che fissava Alex, che fissava lui. «Vero, caro, che lo siamo?». Dovette ripetere per farsi sentire ma, nonostante le rispose, lui continuò a guardare la ragazza.
«Così è qui che sei cresciuta», Alex sorrise, guardandosi intorno. Decise di ignorarlo, di comportarsi normalmente. La struttura della casa era vecchio stile, ma sembrava accogliente; c'era un camino, una poltrona in pelle un po' macchiata dal tempo, tutti i mobili in legno, il pavimento scricchiolava sotto i loro passi, la testa mozzata di un cervo sopra una lampada, un cesto pieno di riviste, cosa…? La testa mozzata di un cervo? Strabuzzò gli occhi, accorgendosi che c'era la testa di un altro animale, più avanti nel salone.
«Ti interessi di caccia?», ridacchiò lui. «Un uomo deve avere i suoi passatempi. È più per uomini, no?». La fissò di nuovo e Alex cominciò a sudare. «Passano gli anni, ma la mia mira non fa che migliorare».
Lei aprì la bocca a più riprese, pensando a cosa dire, con sconcerto, che Maggie la fermò, avvolgendole un braccio in vita. «Non possiamo trattenerci, papi, proprio un peccato non poter discutere di… mh, mira».
«Già. E la tua camera? Non posso andarmene senza vederla».
«Ah», lei abbassò la testa e suo padre la scosse appena. «È-È una camera degli ospiti, veramente, adesso. La sistemo per Jamie, ma la mia non c'è… più», si tolse un capello dalla bocca e fece finta di niente, mantenendo un forzato sorriso e così tornando verso la piccola che era rimasta con la nonna.
Alex prese un bel respiro e strinse le labbra, ricordando ora, tutto insieme, le angherie che aveva dovuto sopportare da loro solo perché gay. L'avevano cancellata dalla loro vita, per un breve periodo e, a quanto pareva, la sua stanza ne aveva subito le conseguenze. Stava per avvicinarsi di nuovo all'uomo che la donna si mise in mezzo per chiederle se favoriva da bere qualcosa. Erano stati così ingiusti con Maggie che ora si vergognò un po' di aver pensato di cercare di fare semplicemente bella figura con loro.
«E così vi siete conosciute per lavoro?», domandò lei, tornando con due bicchieri mezzi pieni di birra fredda. Ne passò uno a lei e uno al marito, che guardò la ragazza con sfida. Di nuovo. «Sei anche tu una poliziotta».
«Lavoro per il D.A.O., veramente», ringraziò e bevve il primo sorso. Vide Maggie salire al piano di sopra, con la bambina e una valigia, lanciarle un lungo sguardo preoccupato: oh, i suoi genitori erano in buone mani.
Lui sghignazzò, spalle larghe, avvicinandosi con il bicchiere in mano. «Si dice che una certa indagine sia a un punto morto», bevve un sorso, «Forse dovrebbero lasciar fare ai professionisti».
«Oh. Ne conosce qualcuno?». Bevve di nuovo anche lei e l'uomo assottigliò gli occhi.
«Vi fanno ancora tenere in mano le pistole, a proposito? So che fate molto lavoro d'ufficio, ci sarà da annoiarsi».
Non le avrebbe lasciato vincere quello scontro. Alex alzò le spalle. «Pare. Purtroppo, a noi arrivano poche ciambelle e spariamo ai bersagli per passare il tempo».
Lui la fissò e si avvicinò ancora. Era alto, grosso, ma Alex non si sarebbe mossa di un centimetro. Qualche altra battuta, due sguardi e uno strano silenzio, poi fu Maggie a tirarla indietro, cingendole un fianco. «State andando d'accordo? Papi?».
«Naturale, mija. Stiamo imparando a conoscerci».
«Sì», rispose anche Alex, «Hai finito di sopra?». La vide annuire e poi sussurrare, solo per lei, che era meglio andare. Guardarono Jamie che, con la madre della ragazza, giocava a farle il solletico. Se non altro, quello sarebbe stato il posto più giusto dove lasciarla.
«Non mi piace», brontolò a bassa voce lui sull'orecchio della moglie, adocchiando la loro figlia e Alex che salutavano la bambina. «Risponde a tono, è sfrontata».
«Allora potrebbe essere perfetta», rispose lei di rimando, facendo storcere il naso al marito. «Chiunque arrivasse, non ti piacerebbe per tua figlia. Almeno lei non si fa mettere i piedi in testa da te».
Jamie abbracciò entrambe, promettendo di fare da brava. Maggie faticò a lasciarla, anche quando la piccola provò a scansarsi. Era difficile, dopo quello che avevano passato. Aveva avuto così paura di perderla, così paura che separarsene, anche se a fin di bene, era davvero dura.
«Solo pochi giorni, okay?», le disse Alex alla sua altezza, quando Maggie riuscì a lasciarla e prese un grosso respiro. «Il tempo di sistemare una cosa molto importante e torniamo a prenderti. Ti divertirai, qui?».
Jamie annuì. «Ho un shaaacco di coshe da fare, perché anche qui ho delle amiche mie, lo shapevi? Lo shapevi che ho amiche qui? Allora, lo shapevi? Ci vediamo poco però shono amiche mie anche loro e giochiamo inshieme». Le passò una mano sul volto, per vederla negli occhi. «Mamma, shtai piangendo?».
Maggie sorrise e Alex scosse la testa, scambiando uno sguardo con lei. Oh, gli occhi di entrambe si erano fatti lucidi.
«Mamma?», la signora aveva esclamato sorpresa, dietro di loro. Sia lei che il marito le guardarono ipnotizzati e confusi, ma le ragazze sorrisero e li ignorarono, riabbracciando Jamie.

«La faccia di tuo padre», rise Alex, una volta in macchina. «Credo che non la dimenticherò mai».
«Non erano pronti a sentire la loro nipotina considerare entrambe come sue madri», rispose Maggie in una risata, girando il volante per uscire da una strada, per poi tirare su con il naso. Avevano ancora gli occhi lucidi, ma sapevano di aver fatto la scelta giusta. Ne erano convinte. «Pochi giorni, giusto?», le domandò e Alex sospirò. «Riusciremo ad arrestare Rhea Gand e poi…».
«Beh», Alex guardò fuori dal finestrino, pensando. «Forse Zod non è un pericolo per Jamie».
Maggie la guardò di straforo, aggrottando la fronte. «Chi sei tu, devo aver lasciato Alex a casa dai miei», la fece sorridere. «Sei la prima ad attaccarlo, e ora pensi che non possa essere un pericolo?».
«Non lo so», scosse la testa, «La verità è che non so più cosa pensare. Jamie era in pericolo perché quei pazzi che volevano farsi grandi agli occhi di quell'altra pazza pensavano fosse una grande idea rapirla e darla a un'altra famiglia, mentre Zod aveva mandato quel KwelKwez-».
«Kweskill. Charlie Kweskill».
Alex roteò gli occhi. «Può una persona chiamarsi in questo modo?», sbottò. «Aveva mandato lui per recuperarla. Voleva aiutarci. Questo non significa che mi piaccia e non cambio idea: dobbiamo trovare un modo per incastrarlo e arrestarlo, come tutti quelli dell'organizzazione. Però dico che forse, forse, non è una minaccia per lei». Vibrò un telefono, pensò subito potesse essere Kara e così lo prese dal cruscotto, ma non era il suo, era quello di Maggie. «Parli del diavolo…», bofonchiò, rendendo l'altra curiosa. Le mostrò lo schermo: il nome Kweskill in bella mostra. «Hai il suo numero?».
Maggie sospirò. «E adesso che vuole? Devo tornare in servizio, domani, ma… Lascialo, lascialo, rispondo da qui», indicò il sistema dell'auto. «Sì, lui me lo ha chiesto e ho accettato», la guardò, «Pensavo sarebbe tornato utile». Vide la ragazza annuire e cliccò un pulsante sullo schermo del computer della macchina, accettando la chiamata. «Kweskill. Dimmi».
«Ehi, Sawyer, brutto momento?».
«No. Sto guidando».
«Sei sola?».
«Sì», lanciò uno sguardo a Alex, che annuiva, «Sì, sono sola, dimmi».
«Sono contento che domani torni in centrale, sai, non ci siamo conosciuti a dovere a causa di quei simpaticoni. Ti chiedo scusa, a proposito: dovevo prenderti di mira se volevo essere uno di loro, capisci?».
«Nessun rancore», ansimò. Alex fece una smorfia e sorrise.
«Bene, mi fa piacere sentirlo. Sei la mia partner fissa, adesso! Lo avresti scoperto domani, ma mi piace rovinare le sorprese», lo sentirono ridacchiare, «Mi sarebbe seccato se ci fosse stato del livore per quello che è successo. Come sta la bambina?».
«Bene. Sta bene».
«Ottimo», era come vederlo sorridere. «Volevo anche parlarti… di un'altra cosa. Chiederti scusa, a nome nostro».
Le ragazze si scambiarono uno sguardo per un momento. Alex si portò una mano alla bocca, non poteva farsi sentire, e Maggie incurvò la testa, sospirando. «Vostro? Di cosa stai parlando?».
Anche lui prese fiato. «Non facciamo questo gioco, Maggie, su. Sappiamo che sai. E la tua ragazza sta indagando su di noi, quindi… Volevo chiederti scusa a nome di tutti. A nome del Generale». Il ragazzo scese dalla scrivania su cui si era appoggiato, guardando il suo superiore accanto a lui, seduto sulla sedia. Charlie sorrise. «Vogliamo parlarti, se sei d'accordo. Ci dirai tu quando sarai pronta e fissiamo un appuntamento, senza fretta», annuì a Zod, che lo fissava. «Vorremmo che conoscessi ciò che è davvero l'organizzazione, non quello che fa sembrare Rhea Gand».
«Ti rendi conto che stai confessando di farne parte? Che stai facendo dei nomi?».
«Certo», sorrise ancora, camminando per l'ufficio in modo scanzonato. «Presto capirai che dovrai schierarti e che noi siamo la risposta. Ci fidiamo di te, Maggie Sawyer», si portò una mano sul petto, girandosi e camminando in direzione opposta. «Ti stiamo accogliendo a braccia aperte, ma spetta a te. Volevo solo dirti questo. Domani ne riparliamo, se sei d'accordo, non voglio farti pressioni. Vorrei che mi considerassi un amico. Puoi contare su di me». Chiusero la telefonata e il ragazzo, una mano sulla tasca del pantalone della divisa e l'altra col cellulare in alto, come se avesse voluto festeggiare, si girò a un Dru Zod pensieroso. «È fatta», rise.
«Non l'hai spaventata, vero, Charlie?».
«No», aggrottò la fronte, tirando le spalle indietro. «Sono un ragazzo adorabile, nessuno si spaventerebbe. Domani vorrà riparlarne a voce e avrò modo di… sa», strinse gli occhi, passandosi una mano sul petto, «creare un legame».
Zod alzò gli occhi al soffitto, portandosi una mano sulla tempia. «È importante che Sawyer si fidi di noi, vedi di non fare il pagliaccio».
«Sì, sì, lo so, Generale», annuì. «E se lei diventa dei nostri, anche la sua ragazza lo sarà presto».
Dru Zod gli intimò di stare attento e dopo lo congedò. Rimasto solo in ufficio, si alzò e guardò verso i vetri i suoi agenti e quelli dell'FBI lavorare insieme. Era grato di avere ancora Charlie al suo fianco, dopo aver perso Faora a causa di Rhea. Gliel'aveva messa contro, aveva superato ogni limite, ma sentiva che la resa dei conti era vicina. Bussarono alla porta e diede l'ordine di entrare, vedendo l'uomo sistemarsi la cravatta.
«Abbiamo una pista su Mike Gand?», domandò, ma vide l'altro scuotere la testa. «Deve essere un testimone. I miei uomini lavorano assiduamente per trovarlo, Zod, ma sembra che non stiamo facendo abbastanza». Poi deglutì e sorrise con enfasi. «Non vorrei chiedertelo, ma sai, se potessi usare le risorse che sappiamo avere… Che ne so, qualche telefonata, se gli omega potessero scendere in campo per scandagliare le strade ci farebbero risparmiare del tempo. Non può essere andato lontano, è un ragazzino viziato».
Zod gli riservò un'occhiataccia, mettendo le mani dietro la schiena, riguardando attraverso un vetro. Ma guarda!, esclamò per sé, sapeva da ieri che era il presidente dell'organizzazione e ora parlava con lui come se ne fosse sempre stato coinvolto. Gli aveva promesso collaborazione e un posto caldo se le cose fossero andate bene, ma non amava che gli si dicesse cosa avrebbe dovuto fare né che qualcuno potesse pensare di dare ordini ai suoi omega per lui. Non lo avrebbe concesso a nessuno, tantomeno all'FBI. «No», chiosò con voce autoritaria.
«Ma non c'è più tempo».
«So io quando c'è o non c'è tempo», si risedette davanti alla scrivania e l'altro impallidì, abbassando gli occhi. «E adesso esci». Lo vide annuire tiepidamente e richiudere la porta dietro di lui.

Invece, Lena aveva trascorso quei tre giorni dal rapimento di Jamie in villa, a studiare, diceva, ma per lo più a pensare a come incastrare o ferire metaforicamente Rhea Gand. Nemmeno lei aveva intenzione di lasciar fare a Zod. Aveva promesso a Kara che sarebbe riuscita a trovare un modo e non voleva venire a meno alla parola data. Forse era la parte di lei che si sentiva in colpa a farlo, ma ci avrebbe messo tutta se stessa per mostrarle che poteva davvero fidarsi di lei, che poteva contare su di lei, che poteva amarla come fino a quel momento prima di dirle della propria famiglia che non aveva salvato la sua. Sapeva di non avere colpe in quello, che non poteva realmente pensare una cosa simile, ma Kara era distante, adesso, e sentiva la sua mancanza come un macigno pesantissimo. Molto più pesante di quello che aveva portato per quel segreto. Si era liberata di uno, come avrebbe fatto a liberarsi del secondo? Giocherellò col bracciale che le aveva regalato a Natale, sul polso sinistro. Era così bello. Oddio, quanto l'amava… Non poteva crederci di essersi innamorata di Kara così tanto da stare male, adesso. Quanto poteva fare male, l'amore? Era la sua sorellastra, una ragazzina che metteva su il broncio quando si arrabbiava, che a volte si mangiava le parole e si imbarazzava facilmente, che era incredibilmente sicura di sé quando scendeva sul campo di lacrosse, comprensiva, a volte infantile, il suo sorriso era quanto di più bello ci fosse nel mondo, anche quando rideva con voce nasale. Era forte e nemmeno lei sapeva quanto. Sapeva di amarla, ormai era chiaro da tempo, ma tanto da pensare che avrebbe voluto passare tutta la vita al suo fianco era… Oh, accidenti, si sentiva uno straccio, perché si stavano riavvicinando e aveva mandato tutto all'aria. Non c'erano più mi manchi; non più un solo accenno alla loro relazione. Ma non ci sarebbe stato un momento migliore per farlo e doveva farlo. Era la cosa giusta, a prescindere da tutto. Forse doveva solo aspettare che Kara digerisse cosa era successo. Diede uno sguardo al telefono, ma di lei niente. Poi i passi affrettati avvicinarsi nel vicolo e Lena si appoggiò alla parete per riflesso.
«Si… Signorina Luthor, è lei?».
La sua voce bassa e terrorizzata le suggeriva che, se non doveva essere uscita di nascosto, di sicuro aveva i minuti contati. Guardò l'orologio e si avvicinò alla luce. «Non ero sicura che saresti venuta».
Joyce si torse le mani più volte, in ansia. Si riguardò indietro e decise di mettersi di più nell'ombra, con paura. «Non v-volevo. Ma lei non mi lascia scelta, signorina Luthor».
«Ammetto di essere stata un po' sfrontata a indagare su di te e minacciarti di denuncia, ma siamo con le spalle al muro e devo giocare tutte le mie carte».
Joyce prese fiato e si toccò i capelli, sistemandoli dietro le orecchie. «Lei vuole che testimoni, vero?».
Lena annuì. «Sì», ribadì a voce. «So di chiederti molto, ma quella donna è pericolosa-».
Joyce la interruppe con la propria voce, attenta a riguardarsi intorno: «Pensa che non lo sappia? La notte non dormo, da quando il signor Gand è morto. Rivedo il suo corpo quando chiudo gli occhi», prese fiato e Lena si zittì, riguardando l'ora. «I-Il signor Gand ha dovuto far partire la sua segretaria dall'altra parte del mondo e-e la signora Gand la sta ancora cercando. N-Non voglio essere la prossima, signorina Luthor. Non voglio morire così… e-e se testimonierò, sarò come già morta».
«Se testimoni, lei finirà in carcere».
«No», scosse la testa, «Quelle come lei vincono sempre, non restano in carcere tanto tempo, signorina».
Finalmente Lena sentì un'automobile avvicinarsi e dovette calmare Joyce per non farla scappare, dicendole che aspettavano qualcuno. I passi sicuri sui tacchi si avvicinavano in fretta. «Se decidi di testimoniare, lei potrà aiutarti», le sussurrò, sentendola lamentarsi del luogo dell'incontro.
«È notte e questo è il vicolo più buio e sporco che sei riuscita a trovare, suppongo. Ho paura di aver calpestato un eroinomane, in quel punto», indicò velocemente, con faccia schifata. «Perché qui e non direttamente nelle fogne, Luthor? Indosso le scarpe buone apposta». Si fermò, quando capì che non era sola: «Ah, è già qui, bene». Le mostrò la mano e Joyce spalancò la bocca:
«Lei è la donna della televisione».
Si diedero la mano e Cat Grant gliela strinse con calore. «Ragazza mia, la signorina Luthor mi ha spiegato la tua situazione e posso aiutarti. Conosco le persone giuste-».
«Ne-Nessuno può aiutarmi».
«Non dire queste cose», le strinse la mano con più forza. «Lei ti ha messo in testa che nessuno può farlo, ma non è vero, Estella», la vide spalancare gli occhi castani nel sentirla chiamare col suo vero nome, «E la schiavitù è stata abolita da tempo. Conosco persone che possono aiutarti a ottenere un permesso e a sistemarti. Possono aiutarti a trovare lavoro e-».
La giovane domestica sfilò la mano e si riguardò intorno, deglutendo. «Voi non capite: questo è tutto bello, ma non servirà se sarò morta».
Lena e Cat Grant si scambiarono un'occhiata nel buio e la prima rispose: «Faremo in modo che Rhea Gand resti in prigione, stavolta. Faremo qualsiasi cosa per trattenerla lì fino alla sua morte».
Quando tornò a casa, aveva la testa pesante. Sì, forse era stato un colpo basso minacciare quella che chiamavano Joyce di denunciarla per clandestinità, ma non aveva avuto idee migliori e senza non l'avrebbe ascoltata. E Cat Grant avrebbe potuto davvero aiutarla, se lo avesse permesso. Le chiedevano solo di testimoniare e, forse, Kara sarebbe riuscita a convincere Mike. Ignorò il silenzio che riecheggiava per la villa e si chiuse in camera sua per ricominciare a lavorare su Rhea Gand.
X: Non trovo molto altro anche nei siti esteri.
Le fece sapere Indigo e Lena aggrottò la fronte. Dopo aver collaborato per riportare Jamie a casa, le cose erano cambiate tra loro e si sentiva più sicura nel lavorare insieme. Era davvero brava, sarebbe stata sciocca a non servirsi di lei se voleva risolvere qualcosa. Sì, ancora non sapeva cosa volesse con precisione Indigo da lei, ma si era fatta qualche idea, trovando informazioni sul suo conto.
Z: Grazie, quello che abbiamo trovato ci aiuta comunque a farci un quadro più preciso su quella donna.
X: Non devi ringraziarmi. Te lo avevo detto che avresti potuto fidarti di me.
Prima di sposare Larson Gand, Rhea faceva Taylor di cognome e abitava con la famiglia a due isolati di dove abitava ora. I suoi genitori erano benestanti: lui era il direttore di un'acciaieria a sud della città e lei aveva aperto un negozio di profumi artigianali nella zona buona di National City. Rhea aveva anche una sorella maggiore, Petra. Oh, era deceduta in seguito a un'incidente domestico quasi quarant'anni fa, aveva solo ventiquattro anni. Caduta dalle scale. Vide diverse foto scattate al funerale di Petra: Rhea aveva quindici anni, in ogni scatto aveva la testa bassa. E quello, invece… Caricò la foto sulla chat con una freccia puntata sul ragazzino più alto e robusto che le stava a fianco e non dovette attendere per una risposta:
X: È proprio lui, come stai pensando: un giovane Lar Gand. Si erano conosciuti al liceo, a quanto pare. Devi dare un'occhiata ai file della quarta cartella: ci sono foto del periodo, Lena.
Oh, scoprì che non era pronta a vedere una Rhea quindicenne e brufolosa. Non poteva crederci che stavano insieme da allora: alcune foto e pagine erano state prese dagli annuari di quegli anni; lei era stata capoclasse per tre anni di fila e lui capo degli studenti, vincendo diversi dibattiti e portando la scuola alle manifestazioni. Non c'era altro da dire: la politica era sempre stata una parte di loro. Trovò anche una foto di Petra e Rhea, abbracciate e sorridenti. Si domandò quanto avesse sofferto nel perdere la sorella. Ne sfogliò diverse, sembravano unite nonostante l'evidente differenza di età, proprio quella che c'era tra lei e Lex. Poi un'altra foto attirò la sua attenzione: riconosceva Petra, aveva un anello al dito e stava con un ragazzo; sembravano intimi. Una foto scattata proprio da Rhea, al tempo. Erano fidanzati, come diceva la didascalia: lui ne uscì distrutto dalla sua morte, stavano preparando le nozze. Il ragazzo sembrava avere una faccia già vista, accidenti. Chi le ricordava? Gli occhi scuri, il viso severo, le labbra fini, magrolino e alto. Capelli lunghi, come suggeriva la moda del periodo. Era felice e quella felicità la confondeva, una volta inquadrato chi era: Adrian Zod. Il Generale stava per diventare il cognato di Rhea Gand?
Scrisse subito un messaggio a Kara per dirle di aver trovato qualcosa, col cuore agitato. Quei due si conoscevano davvero da tantissimo tempo e non poteva essere una coincidenza che facessero parte entrambi, meglio ancora contando Lar, dell'organizzazione. Quando era nata? Anche loro erano tra i fondatori?
Z: Grazie di nuovo. Continuerò a leggere, ma ho già trovato cose molto utili.
X: A tua disposizione.
Lena accese lo schermo del telefono, ma Kara non aveva ancora risposto. Riguardò la chat e aggrottò la fronte, deglutendo, pensando che avrebbe potuto abbattere un muro.
Z: Per fidarmi davvero di te, potremo cominciare con l'essere sincere. Sai chi sono, e anch'io so chi sei tu.
X: Non lo sai.
Z: L'ho scoperto. Hai scritto un tema sulla mia famiglia al liceo, quando avevi sedici anni. Mio padre aveva pagato per la ristrutturazione di alcuni palazzi che stavano crollando nella zona delle case popolari: abitavi lì con la tua famiglia, Indigo.
Inviò e tenne d'occhio il cerchio in basso a destra che girava, segno che scriveva. Poi sparì. Riapparse. Lena si passò una mano sulla fronte, riguardando il cellulare e la chat: che avesse rovinato le cose anche con lei?
X: Non sai niente.


***


Quella era una notte strana. Lena temette di aver fatto il passo più lungo della gamba con il profilo misterioso e sperava di non averla messa nei guai con il suo garante, chiunque fosse. Le mancava Kara in un modo che non credeva possibile mancarle qualcuno e, aspettando con la tachicardia una sua risposta, continuava a leggere i documenti e guardare le foto che facevano parte del passato di Rhea Gand. E forse non solo il suo. A casa di Maggie, lei e Alex iniziarono a discutere animatamente sulla proposta di Charlie Kweskill. Stavano mettendo in conto tutte le possibilità e ogni rischio. Alex era fortemente contraria, ma solo perché il rischio lo avrebbe corso Maggie. Difatti, lei non voleva sentir ragioni.
«Potrebbe essere la svolta che aspettavi».
«Non è più solo un caso, Mags: è la tua vita».
Lei incurvò la testa, estraendo un sorriso. «Non possiamo lasciarci sfuggire l'occasione e lo sai anche tu! Fammi andare come spia per il D.A.O.».
Alex ebbe come un déjà-vu: non era così che aveva iniziato Astra Inze?
Al campus, Kara non prendeva sonno. Megan e Mike si erano addormentati da qualche minuto e lei ripensava al foglietto con la confessione di Lar Gand. Non sapeva che Selina non era ancora arrivata perché, fuori dalla Lord Technologies, studiava il perimetro.
Da L! A Me
Kara, è importante. Ho in mano cose molto interessanti sul passato di Rhea Gand, dobbiamo parlarne.
Rilesse il messaggio più volte e si alzò dal letto, scalza, attenta a non calpestare il ragazzo. Altro su Rhea. Come lo avrebbe gestito? Il cuore saltò un battito e si avvicinò all'armadio, aprendolo e piegandosi sulle ginocchia. Non voleva cedere, ma la tentazione era troppo forte, adesso.
Da Me a L!
Avverto Alex e Maggie. Ci vediamo domani?
Appoggiò il cellulare sul pavimento e frugò all'interno dell'armadio, sotto le gonnelline. Tirò fuori un barattolino e si rialzò in piedi, mostrandolo davanti alla luce emessa da quella da lettura sul letto. Le pillole rosse risaltavano attraverso il vetro. Lo aprì e ne prese una, sorpassando Mike a terra e avvicinandosi al tavolo per una bottiglietta d'acqua. Doveva essere lucida; non poteva lasciarsi prendere dalle emozioni. Come avrebbe superato la tensione? In quel modo: si portò la pillola sulla lingua e la mandò giù con l'acqua, prendendo dopo un bel respiro.
Nemmeno Rhea sarebbe riuscita a dormire. Joyce era andata a letto e lei era rimasta sola in sala da pranzo, davanti alla televisione che mostrava un servizio su suo marito, omaggiandone la brillante carriera. Qualcuno si era introdotto in casa ma non mancava niente e non poteva chiamare la polizia. Zod aveva mandato qualcuno a cercare la pistola? Allora era arrivato il momento. Si morse un labbro con fastidio e, recuperando la borsa appoggiata all'ingresso, la aprì per cercare il suo secondo cellulare, spostando la pistola. Dunque compose un numero e attese. «Qualcuno è entrato in casa mia, oggi», mormorò, «Radunali. È ora di dare inizio all'operazione».








































***

Lo so, lo so, ho cercato di stringere ma questo è uno dei capitoli più lunghi e ci ho potuto fare poco XD Spero non abbia annoiato!
Da una parte abbiamo seguito Kara: lei e Megan ospitano Mike nella loro stanza al dormitorio e mandano avanti una strana convivenza, tra Megan che parla nel sonno, ospiti notturni improvvisi e piani per entrare senza invito in case altrui. E non solo case! A quanto pare, Selina Kyle si è messa in testa di entrare alla Lord Technologies e dare un'occhiata al lavoro di Maxwell Lord. Ha parlato del suo locale a Kara senza sapere che, ops, lei ha delle pillole rosse con sé. Questa ve l'aspettavate? La ragazza è andata nel pallone, diciamolo, ha iniziato a pensare di non riuscire più a gestire la situazione e le manca Lena, lo sa, non per niente le scrive dei messaggi che poi non invia, ma non riesce a non avercela con lei, anche se non vorrebbe. Intanto, Mike pensa alla loro relazione ed è seccato e Kara e Selina hanno preso quel foglietto con la confessione di Lar da casa Gand. Rhea, capendo che qualcuno si è introdotto, ha fatto una telefonata per dare il via all'operazione. Cosa sarà? Cosa vi aspettate?
Poi abbiamo seguito Alex e Maggie: hanno portato Jamie dai nonni per tenerla lontano e al sicuro fino a quando non avranno risolto questa faccenda con Rhea Gand, non sapendo bene come comportarsi invece con il capitano della polizia Zod. Charlie Kweskill ha praticamente confessato, invitando Maggie a dare uno sguardo all'organizzazione. Sembra che lui e Zod abbiano dei progetti, in questo senso.
Infine, abbiamo seguito Lena: si è fatta avvicinare da Joyce, la domestica dei Gand, minacciandola di denuncia e vuole che testimoni contro Rhea, mettendola in contatto con Cat Grant, disposta ad aiutarla per la sua situazione. Come Lena manca a Kara, Kara manca a lei e in un modo che non credeva possibile, ma non saprebbe come fare a riavvicinarsi se non aspettare l'altra. Nel frattempo, ha ormai stretto una collaborazione con Indigo che le sta facendo avere tutto ciò che trova su quella donna, scoprendo il suo passato: lei e Lar si conoscevano dal liceo, una sorella maggiore morta tempo fa e il futuro marito di questa, Dru Zod. Rhea e Zod si conoscono da tanto tempo, quindi: avranno avuto qualcosa a che fare con la fondazione dell'organizzazione?

Piccola nota:
Non ho idea se, anche nel canon, Rhea abbia o avesse una sorella. Ma non importa XD Ero indecisa fino all'ultimo sul nome da darle: prima Petra, poi Gaia, sono tornata a Petra, che mi convince di più.

Siamo vicini all'operazione, siamo vicini a un punto importantissimo per questa fan fiction! Il capitolo 43 Anime rotte sarà pubblicato qui, alla solita ora, venerdì 29 ~


   
 
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