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Autore: Axel Knaves    02/04/2019    1 recensioni
La vita di Laila Black non è mai andata come voleva, neanche nel momento peggiore.
Quando sembra che la sua vita sia arrivata alla fine, incontra Jason Todd.
Lui le chiede una semplice cosa: 12 ore della sua vita.
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Contenuti delicati. Pubblicata anche su Wattpad con il mio account Axel_Knaves
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damian Wayne, Dick Grayson, Jason Todd, Nuovo personaggio, Tim Drake
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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~ Cinema ~

Dopo averlo guardato ingurgitare un quintale di patatine fritte e tre hamburger – avevo deciso di non provare più a comprendere quanto quell’uomo potesse mangiare – Jason mi aveva quasi staccato un braccio nell’intento di trascinarmi fuori dal locale.
Quasi dimenticandosi di Jason Junior.
«Tuo figlio!» Avevo esclamato quando eravamo arrivati alla porta del diner, indignata. Jason si era fermato di scatto, mandandomi a sbattere contro la sua schiena.
«Mio figlio!» Aveva ripetuto l’uomo sconvolto, tornando sui suoi passi per prendere il mega pupazzo. «Scusami, Junior. Non volevo lasciarti».
Metà della clientela del locale si era girata verso Jason, il quale stava continuando a sussurrare scuse al panda gigantesco, ma per la prima volta in tanto tempo mi trovai a non curarmene minimamente.
Con il cuore leggero come non mai mi misi a ridere alla visione di Jason, con tutta la sua aria da bad boy, che cullava una panda gigante dicendogli frasi dolci all’orecchio.
Dopo anni in cui sia i miei genitori, sia il mio ragazzo mi avevano imposto di dover essere sempre perfetta e di avere sempre un contegno degno di una donna d’alto rango del diciannovesimo secolo, finalmente mi sentivo me stessa, mi sentivo libera.
Per una volta tutto quello che mi era capitato nella vita non sembrava il peggio; sembrava avermi portato, invece, alla libertà di cui avevo bisogno.
Per la prima volta da quando avevo perso mio figlio riuscii a collegare l’idea di quel bambino mai vissuto con un pensiero positivo: era grazie a quel bambino se finalmente mi sentivo me stessa e mi sentivo libera.
Senza quasi accorgermene le risa si trasformarono in singulti sempre più forti mentre le lacrime di felicità e commozione iniziarono a sgorgare come fiotti da una fontana. Così avvolta in quello strato di potenti emozioni non mi ero accorta di come Jason fosse corso in mia aiuto o di come mi avesse preso per le spalle e mi avesse trascinato fuori dal locale.
Non mi ero neanche accorta di come mi avesse fatto sedere in una panchina poco lontana e mi avesse messo tra le braccia il mio panda di peluche così da farmelo abbracciare mentre mi sfogavo.
«Scusami». Pigolai con voce rauca, quando finalmente ebbi ripreso un certo contegno. Jason era rimasto seduto accanto a me per tutto il tempo senza dar l’impressione di non essere a suo agio.
L’uomo di voltò verso di me con un sorriso dolce e mi scompigliò i capelli.
«Non ti scusare mai per piangere». Mi disse. «Piangere è una reazione naturale per quando siamo sopraffatti dalle nostre stesse emozioni, serve per bilanciare di nuovo noi stessi».
Gli sorrisi a mia volta.
«Belle parole, ma non sembrano farina del tuo sacco». Risposi sincera, facendolo scoppiare a ridere.
«E non lo sono», mi fece l’occhiolino. «Mi sono state dette tanto tempo fa da un fratello davvero, davvero tanto irritante».
Lentamente un leggero silenzio ci avvolse. Nascosi di nuovo la testa nella schiena di Junior mentre mi chiedevo come Jason aveva potuto farmi sentire così libera e così tanto me stessa in quelle poche ore quando io stentavo a riconoscermi allo specchio, ogni mattina.
«Forza!» Esclamò l’uomo alzandosi con un unico e fluido movimento. «Alzati». Mi ordinò, fissandomi con un sorriso a trentadue denti.
«Dove vorresti trascinarmi adesso?» Chiesi, titubante. Se una cosa di Jason l’avevo capita era: mai fidarsi.
Il suo sorriso si allargò ancora di più: «Vedrai».

«Jason?» Chiamai l’attenzione dell’uomo.
«Mmhh?» Mi rispose lui, continuando a masticare e facendo finta di niente.
«Jason...» Provai un’altra volta con tono un poco irritato.
«Mmh-mmh?»
Sentii una vena quasi partirmi dalla fronte.
«Facocero che non sei altro!» Esclamai. «Passami i pop corn, li avevi presi per dividerli!» Aggiunsi allungandomi verso il contenitore nelle mani dell’uomo, facendomi leva sul bracciolo.
Quando Jason si era fermato davanti al cinema mi ero sentita come una quindicenne al primo appuntamento, ma non avevo potuto nascondere il sorriso apparso sul mio volto.
“Ovviamente il film dovrà essere un horror”. Mi aveva detto Jason. “Così quando avrai paura mi abbraccerai e ti farai tutta piccola, piccola contro di me”.
Con un’alzata di occhi al cielo avevo accettato. Gli avrei riso in faccia a fine film quando non mi sarei mossa di mezzo centimetro: i film horror non mi facevano mai nulla.
Avevamo dovuto comprare un biglietto anche a Junior visto la stazza del peluche; non che a Jason dispiacesse spendere soldi in più con la carta del padre. Per un attimo m’immaginai come fosse stato per il padre di Jason crescerlo e mi resi conto che l’uomo probabilmente aveva già avuto un paio di aneurisma per colpa del mio compagno di giornata.
Jason aveva anche insistito a comprare i pop corn dicendo come intanto li avrebbero divisi. A quanto pareva il concetto di “dividere” mio e di Jason erano completamente opposti.
L’uomo, notando il mio attacco verso lo snack, sgranò gli occhi ed alzò il braccio sopra la sua testa portando il contenitore fuori dalla mia portata.
Lo fissai dritto negli occhi con il mio miglior cipiglio, cercando di fargli intendere quanto stesse andando vicino alla sua morte.
«Mi stai sfidando?» Gli chiesi a denti stretti.
Jason mi guardò un attimo titubante: «Si?»
Fui una iena e in attimo mi trovai seduta in grembo all’uomo, le mie ginocchia sui due lati della sua vita, un braccio alzato intento a raggiungere i pop corn. Ero a un millimetro dal prenderli quando la mano di Jason mi fermò: l’uomo aveva portato la sua mano libera sulla mia vita.
La temperatura del mio corpo aumentò in un nanosecondo comprendendo come mi ero messa e con uno spasmo involontario, mentre cercavo di tornare al mio posto, presi contro alla ciotola dei pop corn.
Sia i miei occhi che quelli di Jason saettarono in alto appena in tempo per vedere la ciotola di cartone volare via dalla mano di lui. Essa fece un piccolo capogiro prima di atterrare sulle persone sedute nella fila dietro alla nostra.
«Ma che cazzo?!» Esclamò la voce della vittima.
In un attimo mi alzai e mi rannichiai a terra, ai piedi della mia poltrona; Jason mi seguì in un decimo di secondo.
«Meglio uscire?» Gli bisbigliai, mentre le luci venivano spente per l’inizio della proiezione.
«Appena vi prendo siete morti!» Ruggì l’uomo a cui erano arrivati addosso i nostri pop corn.
«Sì, decisamente sì». Mi rispose Jason.
Più furtivamente possibile, anche se la missione era complessa con la presenza di Junior, ci fiondammo verso l’uscita cercando di nasconderci con le tenebre.
 

DOPPIO AGGIORNAMENTO PER FARMI PERDONARE DELLA MIA ASSENZA!!!!
:)

Axel Knaves

   
 
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