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Autore: Miryel    06/04/2019    18 recensioni
In una vita alla costante ricerca di un vuoto da colmare, Peter Parker e Tony Stark si trovano, in un momento della loro esistenza in cui si sentono divisi a metà, a condividere parti della loro anima e della loro mente, con la sola scusa di un tempo che giustificano come speso per forza insieme. Il loro rapporto cresce, di giorno in giorno, fino a creare inaspettatamente un legame e, inesorabilmente, una rottura.
Una rottura che per Tony significa mettere da parte l'orgoglio per affrontarla e per Peter mandandare giù bocconi amari, tentando di non soffocare con la sua stessa saliva.
[ Young!Tony x Peter - Angst/Introspettivo/Romantico - College!AU ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Young!Tony x Peter | Angst - Romantico | word count: 4073 ]


You Say Goodbye,
I Say Hello





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«I don't know why you say goodbye,
I say hello»
•  •  •



 

Capitolo IX. Blackbird

 

Tony Stark non riusciva più a guardarlo con gli stessi occhi, Peter Parker. Forse per il fatto che non avevano fatto altro che fare l'amore ogni sera, da quella prima volta in cui era successo, due settimane prima. Forse perché si era reso conto di essersi innamorato per davvero, stavolta, senza alcun rimorso o pentimento nel cuore; o forse perché da quando era successo, Spider-Man non faceva altro che sorridere, ogni volta che si guardavano. Una spensieratezza contagiosa, quasi surreale. Una felicità – ormai quasi del tutto priva di timore, gli si raggomitolava tra le rughe intorno agli occhi, ogni volta che piegava le labbra all’insù e illuminava ogni cosa.

Eppure Tony non si sentiva mai totalmente tranquillo. Quella piccola vocina nella testa – quella del suo dannatissimo demone interiore, non smetteva un solo istante di ricordargli quanto fosse in realtà abile nel costruire parti elettroniche e altrettanto nel distruggere rapporti umani. Disintegrarli. Spezzarli. Fino al più sottile dei filamenti che li teneva insieme. Più Peter lo guardava arricciando le labbra e con quel luccichio negli occhi, più Tony si rendeva conto che, cadere nel baratro della sofferenza – semmai lo avesse perduto, avrebbe fatto un male cane. Più saliva in alto, più la botta sarebbe stata forte, ed era un concetto che proprio non riusciva a non elaborare, spesso e per nulla volentieri. Avrebbe voluto togliersi quelle brutte sensazioni dalla testa e godersi quella serata; fu per quello che diede un lungo sorso al suo Mojito e ne riemerse con un sorriso arrogante, nel solo ed unico tentativo di rientrare nel suo personaggio e dimenticare la sua insopportabile insicurezza e incapacità di tenersi stretto ciò che amava.

«Sei con noi, Tony?» La voce di Peter lo destò. Aveva piegato la testa di lato, preoccupato, mentre Steve, Bruce e Bucky preparavano gli strumenti sul piccolo palco del pub, per esibirsi, di fronte a loro.

«Certo che ci sono! Dove pensavi fossi andato?» gli domandò.

Peter alzò le spalle, sbuffando divertito. «Ti sei isolato tutto ad un tratto», mormorò, poi poggiò i gomiti sul tavolo e si prese la testa tra le mani, «Non è che stai riflettendo sulla possibilità di cantare tu, stasera?» Lo stuzzicò, speranzoso, forse fin troppo. E se non fosse stato per la completa apatia che ancora aleggiava intorno a lui, quando si parlava di quel fatto, avrebbe potuto pure cantarla, una canzone...

I ragazzi avevano organizzato una serata natalizia, a pochi giorni dalla vigilia. Una sorta di beneficienza, ma fine a loro stessi. Peter aveva riso un sacco quando Bruce avevo detto: «Siamo poveri. La beneficenza si fa a chi non ha soldi!» e Tony non aveva potuto fare a meno di ridere a sua volta, subito dopo. Contagioso. Ecco cosa era Peter. Contagioso, sotto ogni punto di vista. Allegria, malinconia, felicità… erano tutte sensazioni che riusciva a percepire empaticamente anche solo guardandolo negli occhi. Solo con uno sguardo. Era assurdo. Quell'amore che provava per lui era assurdo, quasi irreale, sempre più convinto di non meritare il fatto che lo ricambiasse.

«Abbiamo sistemato tutto, tra un attimo cominciamo. Vuoi dedicare una canzone al tuo amato, Tony?» ironizzò Banner, lanciandogli un'occhiata machiavellica.

Lui gli puntò un dito contro, mentre Peter ridacchiava per nascondere l’imbarazzo. «E tu vuoi che ti dia un cazzotto in faccia?»

«Quelli di prima ci hanno lasciato un po’ meno spazio. Hanno fatto una canzone in più, ma non erano male», cambiò discorso Steve, mentre sfilacciava il cavo della sua chitarra, per poterlo attaccare. Bruce, piegato sulla cassa per accordare il basso, alzò la testa verso di lui.

«No, anzi. Com'è che si chiamavano?»

«I Want Kiwis¹. Un nome decisamente originale.»

«Sempre meglio del vostro, comunque», si lagnò Tony, poi alzò gli occhi al cielo sbuffando divertito, «Guardians of the Galaxy, pff».

«Ehi, è un signor nome! Che avresti da ridire, tu?» gli domandò Barnes, indignato, sfilando da un fodero le bacchette della sua batteria.

Tony gli lanciò un'occhiata spavalda. «Niente. Non c'è molto altro da dire. La scelta discutibile basta da sola, senza che io aggiunga altro.» Bucky alzò il dito medio, e tutti scoppiarono a ridere.

C'era una bella atmosfera, dopotutto. Tony si sentiva leggero come una piuma, malgrado le sue preoccupazioni infilate alla base della sua anima; aggrappate come pesi di piombo, col solo intento di trascinarlo giù nel baratro più oscuro e sconfinato del suo inconscio e pensare sempre al peggio. Eppure, quando riusciva ad isolare per un po’ quelle brutte sensazioni, era anche capace di godersi quel tempo. Anche solo per un po’. Anche se sapeva non sarebbe durato per sempre.

I ragazzi iniziarono a suonare. La prima canzone fu un vecchissimo pezzo degli Scorpions², riadattato in una chiave più rock. Erano bravi ad arrangiare, per quello Tony, a suo tempo, si era trovato bene a collaborare con loro, sebbene fosse consapevole di essere stato un gran bel rompipalle. Era difficile, per lui, cooperare in un gruppo ma con loro alla fine era sempre risultato semplice. Forse grazie pure al fatto che c'era sempre stata complicità e, più nello specifico, chiarezza. A Tony la sincerità spesso faceva male, ma non poteva negare che la apprezzasse, specie quando si parlava dei suoi amici e, ora come ora, di Peter. Si girò a guardarlo, seduto accanto a lui, mentre la canzone proseguiva e Steve cantava ad occhi chiusi, concentratissimo.

Peter ricambiò il suo sguardo e di nuovo gli tornarono alla mente i giorni appena trascorsi di quelle due settimane, praticamente volate. Non era solito esternare effusioni amorose di fronte agli altri – atteggiamento che Peter condivideva caldamente, soprattutto a causa della sua timidezza –, ma si concesse un tuffo nei suoi occhi e una carezza tra i suoi capelli, solo perché non avrebbe potuto farne a meno. Quando Peter gli rispose con un frizzante sfarfallio di ciglia, si allungò verso il suo orecchio per potergli rivelare un desiderio, che sperò fosse condiviso.

«Fatti rapire, Parker. Non voglio passare la nostra ultima sera da soli, ad ascoltare questi tre che cantano cover di canzoni che ascoltava mio nonno.»

Spider-Man rise e lo imitò, avvicinandosi alla sua guancia. «A me piacciono molto. Mica male, i gusti di tuo nonno», ribatté, e c'era qualcosa di magico, quando Peter si lasciava andare a quel piccolo, minuscolo tentativo di risultare sfacciato. Fu solo un nuovo motivo per desiderare di andarsene. Tony era estremamente consapevole che, da quando avevano iniziato quella relazione, il suo mondo si era decisamente ristretto. Non che la cosa gli desse fastidio, siccome sembrava molto più conscio delle sue priorità, ma spesso quest'ultime erano per lo più precluse a lui e Peter. Nessun altro. Aveva paura che, andando avanti col tempo, il suo Spider-Man potesse sentirsi braccato, ma era anche vero che, il più delle volte, si ritrovano a desiderare entrambi una solitudine condivisa.

«Alla fine della terza canzone, ti rapisco, Spider-Man», lo minacciò, ricevendo di tutta risposta un guizzo divertito, che lo incantò.

«Alla terza? Non si può fare alla fine della seconda, tipo?» protestò.

Non sapeva più come guardarlo, per fargli capire che lo amava più di quanto potesse mai credere possibile, solo non ne era in grado. Non a parole. E forse non servivano neppure. Peter sapeva sempre tutto. E faceva un male cane, certe volte.

 

 

Aveva intrecciato le gambe tra le sue. Le aveva strette in una morsa, disteso su un fianco, di fronte a lui. Un braccio intorno alla sua vita, l'altro piegato tra di loro, in modo che la mano destra potesse racchiudere la sua guancia, totalmente, ancora bollente. Il respiro spezzato, il sudore perlato sulla fronte e le labbra ancora gonfie di libido. Ecco cos'era Peter, dopo aver fatto l'amore: un insieme di lussuria e dolcezza; un ragazzino capace di ammaliare con solo uno sguardo, con quegli occhi frizzanti, luminosissimi, castani come le foglie autunnali appena cadute. Genuini come quelli di un bambino. Puri come non avrebbero dovuto esserlo, avendo dato se stesso, completamente, dopo una notte come quella. Impossibile credere che, davanti, Tony avesse ancora la stessa persona di pochi minuti prima. Lo stesso che con addosso la tuta di Spider-Man diventava in un modo, e sotto le coperte ancora in un altro. Chi accidenti sei, davvero?, si domandò, mentre strofinava il naso contro il suo, dolcemente. Gli baciò le labbra; le spinse contro le proprie, e se lo tirò contro. Silenzio, totale e solenne. Era tutto ciò che c'era da dire, in quella che sarebbe stata l'ultima notte insieme, prima del ritorno dei suoi genitori a casa. Avevano praticante convissuto, scoprendo ancora nuove affinità, nuove frontiere di quella relazione. Tony aveva temuto che, passare troppo tempo insieme lo avrebbe stancato, che avrebbe ad un certo punto desiderato del tempo per sé, ma non era mai avvenuto. Non ebbe quel desiderio nemmeno per un microscopico secondo. Anzi… il ritorno dei suoi genitori lo avrebbe riportato bruscamente alla realtà: quella in cui Peter non era parte della sua giornata ventiquattr'ore su ventiquattro, e non occupava il suo letto come se fosse stato il compagno di una vita intera.

Gli baciò la fronte. «Dormi», gli ordinò, sussurrando appena.

«Che ore sono?» gli domandò Peter, poi sbadiglio. Tony alzò gli occhi verso l'orologio digitale attaccato alla parete e, cercando di mettere a fuoco – siccome era senza occhiali da vista, si sorprese di quanto in realtà fosse tardi.

«Quasi le tre», rispose. Spider-Man si accoccolò contro di lui, reclamando il suo collo per baciarlo leggermente, poi mugugnò, insonnolito. Gli fece affondare la testa contro l'incavo della spalla, e chiuse gli occhi, stanchissimo. Esausto, affondò le narici nei capelli di Peter, profumati al cocco . Ispirò quell'odore, lo impresse nel cervello, e il sonno lo annichilì. Era vigile ma non lo era davvero. Aveva Peter tra le braccia, ma sembrava più irreale di quel che potesse credere e, mentre la sua coscienza stava finalmente per crollare in un sonno profondo, il rumore lontano e indistinto di qualcosa lo fece sussultare. Andò in apnea per qualche secondo, quando la voce dell’altro disse qualcosa, che solo dopo alcuni secondi riuscì ad assimilare.

«...tuo cellulare», aveva bofonchiato.

Non teneva la suoneria nemmeno nei momenti di reale bisogno, ma la vibrazione era più invasiva di qualsiasi altro rumore, certe volte. Specie quando il telefono era appoggiato sul materasso e vibrava anche quello. Si mosse tra le coperte, cercando di tornare alla realtà e abbandonare quel sonno piacevole. Aprì solo un occhio, l'unico che ebbe coraggio di spalancarsi, prima di allungare una mano oltre il corpo di Peter e recuperare l'oggetto.

«Happy?» Si schiaffò una mano sulla faccia, sbuffando, alzandosi leggermente sul cuscino. Sospirò e fece scorrere il dito sullo schermo, rispondendo. «Sono le quattro del mattino», esordì, piccato.

«Ho bisogno che tu esca un attimo fuori. Ho bisogno di parlarti», rispose Happy, la voce squillante di chi aveva di certo riposato, a differenza sua.

«Temo dovrai aspettare domani. Sono a letto, e non sono da solo. In più non ne ho le forze, abbi pazienza», gli rispose e si preparò ad attaccare, siccome Happy era abbastanza abituato ai suoi modi di fare e, per lo più, lo assecondava sempre per non doverci discutere.

«È importante, Tony. Da solo, in compagnia, non mi interessa. Ho bisogno di vederti, ora. In questo istante. Sono qua fuori. Renditi presentabile e raggiungimi.» Il tono dell'uomo non era affatto tranquillo, sebbene Tony ebbe l'impressione che stesse cercando di non darlo a vedere, ma non era mai stato bravo a mentire. Fu per quel motivo che quella faccenda sembrava più grave, se si prendeva in considerazione quel fatto. Tony tacque e guardò Peter. Aveva di nuovo chiuso gli occhi e si era lasciato andare contro il cuscino.

«Che accidenti è successo?»

«Vestiti. Dì alla tua ragazza di fare lo stesso. Scendi e ti dirò tutto, ma sbrigati.» Happy attaccò, brusco. Era evidente che non avesse voglia di discutere e, ad essere sinceri, nemmeno Tony aveva quel desiderio. Riuscì ad alzarsi e spodestare Peter dal letto, costringendolo a vestirsi e a seguirlo, poco dopo, all'entrata della villa. Avevano dormito una cosa come quaranta minuti. Senza contare le nottate semi insonni che si portavano dietro. Fu per quel motivo che, non appena aprì la porta di casa e trovò Happy appoggiato alla sua automobile, nell’atrio, lo fulminò con lo sguardo. Faceva freddo e il cielo iniziava a schierarsi per lasciar spazio all'arrivo del giorno. L'alba peggiore che Tony avrebbe mai ricordato in vita sua.

«Spero tu abbia veramente un valido motivo per averci buttato giù dal letto a quest'ora.»

Happy squadrò Peter da capo a piedi, forse confuso per un attimo dal fatto che Tony non fosse con una ragazza, ma non sembrava affar suo. Lo vide scuotere leggermente la testa, poi sospirò.

«Mi hanno chiamato dall'ospedale. È inutile girarci intorno, Tony. I tuoi genitori sono lì. Mentre tornavano a casa dall'aeroporto hanno avuto un incidente. Da quanto ho capito l’auto ha perso il controllo e si sono schiantati contro un albero.»

Tony sussultò, e un lacerante pugnale allegorico gli falciò le vene del cuore. Non riuscì subito ad assimilare cosa accidenti Happy avesse appena detto, così lanciò un fugace sguardo a Peter, che ricambiò preoccupato, rimanendo però in un rispettoso silenzio. «Cosa? E… E come stanno?»

«Non lo so. Mi hanno solo detto di avvertire i familiari, per questo sono qui a quest'ora. Ti porto lì.»

«Happy, davvero non sai niente?» domandò, scettico, mentre sentiva il cuore accelerare i battiti, schiacciato dal peso di una preoccupazione troppo complicata solo da gestire.

«No, non so nulla. So solo che sono lì. Ora, per favore,» Happy aprì la portiera posteriore, poi sospirò e indicò l’interno della vettura, «salite e andiamo».

Tony si chiese se avesse dovuto andarci da solo oppure no, siccome non era sicuro di quello che avrebbe trovato una volta arrivato lì. Non voleva costringere Peter a stargli vicino anche in quel frangente, ma quando si propose lui di accompagnarlo, si sentì meno solo. Si infilarono in macchina e il silenzio scese, brusco, insieme a tante di quelle domande che Tony non riusciva nemmeno a gestire, per quanto erano estreme. Avevano chiamato Happy e non lui. Perché? E poi li aveva sentiti poco prima di cena. Erano in un aeroporto per lo scalo, in attesa di prendere l'aereo dopo. Si chiede se stessero bene davvero, o se avrebbe dovuto iniziare a preoccuparsi ma la consapevolezza di ciò che realmente era successo, la ebbe un secondo dopo, quando vide Peter girato dall'altra parte, con la testa poggiata allo schienale della station wagon nera, per nulla intenzionato a guardarlo.

«Peter?»

«Mh?» mugugnò e non si voltò nemmeno dopo quel richiamo, sebbene Tony avrebbe voluto da lui uno sguardo, anche mezzo, anche solo una piccola scintilla di speranza, perché Peter era questo, nella sua vita. La sua speranza. L'unica, forse, che avesse mai avuto.

«Che c'è?»

«Non voglio dirtelo.» I suoi sensi sapevano. I suoi sensi sapevano sempre tutto prima del dovuto e se non lo stava guardando era solo per preservargli ancora qualcosa in cui credere, ma Tony sapeva che di fatto non c'era alcun motivo di farlo, dopo quella risposta. Peter sapeva già e così Tony si accovacciò sul suo sedile; girò lo sguardo verso la strada; le luci iniziavano a spegnersi, una ad una, e il giorno si faceva avanti, senza fermare quel tempo che avrebbe voluto spendere diversamente. Tony ora sapeva, e non avrebbe voluto. Si sentì inerme.

 

 

Visse l’arrivo in ospedale come un evento totalmente passivo. Al di fuori della sua ragione. Come un fantasma. Sapeva e non voleva la conferma, ma quando il dottore lo invitò ad entrare in una stanza, chiedendo a Happy e Peter di rimanere fuori, Tony non esitò, sebbene Spider-Man gli avesse proposto di accompagnarlo. Aveva rifiutato, cercando di sorridere e seppe di non esserci riuscito. Avrebbe voluto, ma sentiva troppe cose dentro che in quel momento non voleva condividere e forse non lo avrebbe voluto mai.

Entrò, e il medico gli tenne una mano sulla spalla per tutto il tempo, sebbene Tony avrebbe voluto dirgli di non toccarlo. Che se c'era una cosa che odiava, era la pietà esternata in quel modo così fisico. Si avvicinò a due letti ospedalieri, con due evidenti sagome coperte da un lenzuolo bianco. I suoi genitori. O quello che ne era rimasto.

Il medico lo guardò, avvicinandosi al corpo più minuto. Quello di sua madre, sicuramente. Deglutì aria. «Mi dispiace doverlo fare ora, ma ci serve il riconoscimento di un familiare. So che è dura, ragazzo, ma fatti forza.» Parole vuote. Parole inutili, sibilanti, dette a tutti quelli che come lui avevano fatto la stessa cosa molte volte prima, in quella stanza, smarriti nella consapevolezza di aver perso tutto in un secondo, e di non possedere più alcuna certezza. Annuì e basta e quando la vide, gli si strinse il cuore: il suo inseparabile tailleur bianco, con tanto di giacca ancora abbottonata, gli orecchini di perle alle orecchie, ma solo il sinistro era sporco di sangue, come parte dei suoi capelli sulla stessa zona. Gli occhi chiusi, la fronte aperta, il rossetto tirato via malamente dall'impatto col cruscotto.

Tony alzò la testa. «Mia madre. Maria Stark. È… lei», disse solamente e il medico la copri di nuovo, annuendo e sospirando, poi si spostò verso l'altro letto, dove il groviglio di coperte era più consistente. Più austero. Quando il lenzuolo lo rivelò, Tony vide suo padre inerme, spento, bianco come un fantasma, il viso sempre indurito da un'espressione che era stata la stessa per anni. Severo anche da morto. Teso anche quando non avrebbe dovuto più esserlo. Giudizioso ancora nei suoi confronti, e lui l'aveva salutato in attesa di vederlo andare via il prima possibile perché non sopporta la sua presenza troppo a lungo. Si sentì di aver commesso un peccato imperdonabile.

«Mio padre. Howard Stark.» Lo disse, fermo. Meno triste di quanto avrebbe dovuto, sebbene dentro di sé vi fosse un dolore esteso dal cuore alla pancia, fino alla testa. Spaesato, ecco come si sentiva. Perso nei meandri di un dolore incolmabile, ancora non del tutto chiaro. Sospeso tra la realtà e la finzione, perché la morte non si accettava mai così, subito. Era un concetto troppo lontano dalla realtà, fatto di vita vissuta e ignoranza nei confronti del dopo. Soffriva e non soffriva. Aveva capito ma non lo aveva fatto davvero. Fu per quel motivo che non versò nemmeno una lacrima, quel giorno. Nemmeno una.

 

«È normale. Certe cose non si assimilano subito. Ci vuole tempo.» Peter glielo disse, accarezzandogli la schiena, quando si erano seduti su un paio di sedie fuori dalla sala. Tony gli aveva confessato di aver trovato strano, non aver reagito come avrebbe dovuto, di fronte ad una cosa del genere. Happy, intanto, era andato a parlare col dottore, per chiedere alcuni dettagli che lui non avrebbe nemmeno potuto contemplare.

«E se non succede?»

«Succederà, prima o poi. Io… io lo so. Anche se non siamo tutti uguali, succederà per forza», gli rispose Peter. Lui c'era passato, per ben due volte, in quell'abisso senza fine di perdite improvvise. Prima i suoi genitori, poi suo zio Ben. Peter aveva passato la vita ad accettare la morte di persone importanti, ed era lì, forte, sempre pronto a dargli calore e regalargli un sorriso, perché dopotutto la vita andava avanti lo stesso, sebbene questo fosse un concetto ancora difficile da credere realistico.

«Tu l’avevi capito, vero?»

Peter annuì, incerto. «Colpa dei miei sensi. Quando Happy è arrivato non ho potuto fare a meno di capirlo, solo da uno sguardo. Me l'ha buttata addosso, quella verità e quando succede non posso farci nulla, specie se c’è un coinvolgimento emotivo così forte.»

«Quindi Happy lo sapeva e non me lo ha detto», asserì Tony, duro. Un moto di rabbia lo pervase. Si piegò in avanti. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani, sospirando amaramente. Peter tornò a accarezzargli la schiena e non gli rispose subito. Era evidente che fosse così; che Happy sapesse dal principio che i suoi genitori erano morti e non aveva voluto dirglielo. Aveva lasciato crudelmente che venisse a saperlo così, dovendo riconoscere quei corpi. Si sentì tradito.

«Non penso l'abbia fatto con cattiveria. Voleva proteggerti...»

«Da cosa?» sbottò Tony, poi si voltò a guardarlo. «Da qualcosa che ormai era successo e che nessuno avrebbe potuto cambiare? Gran bel modo di proteggere qualcuno!» Rise leggermente, con un'amarezza pungente. Gli occhi di Peter si spensero per un attimo della sua luce e smise di accarezzarlo.

«Nessuno è capace di dire a qualcuno che ha perso la sua famiglia, Tony. Zia May ha fatto lo stesso con me, quando zio Ben è morto. Ha finto che si fosse solo aggravato e mi sono precipitato in ospedale. Era già morto, quando sono arrivato e capisco che tu ti sia sentito tradito ma, credimi, non è mai fatto con cattiveria, anche se può sembrare così», gli disse Peter e per quanto la spiegazione sembrasse logica, Tony non ci vide altro che un tentativo becero e qualunquista di tirarlo su con una bugia.

«Meglio scoprirlo così, quindi?» esordì e Peter aprì bocca per rispondergli, ma non gli diede il tempo di farlo, «Meglio fingere di non sapere, poi lasciare il compito ad altri? Non ci vedo niente di premuroso. E tu sapevi, e hai fatto finta di niente?»

«No che non ho fatto finta di niente. Non potevo esserne certo ma… non avrei mai avuto il coraggio di dirti che i tuoi genitori erano morti. E, se le parti fossero state invertite, non lo avresti avuto nemmeno tu.»

«Non puoi saperlo. Io non sono così.»

Peter aggrottò la fronte. «Così come?» lo incalzò, lapidario e a guardarlo bene sapeva benissimo dove Tony volesse andare a parare. Gli stava dando la possibilità di non fare quel madornale errore di accusarlo; di puntargli il dito per qualcosa che non aveva fatto.

Così meschino, avrebbe voluto dirgli, ma Peter lo era? Tony liquidò quel discorso con un sospiro. Si guardarono intensamente per un tempo infinitamente lungo, e di amore non ce n’era nemmeno un po’, in quell’occhiata.

«Lascia stare», fu la laconica risposta, poi tornò a chiudersi in se stesso e scese il silenzio, che l’altro rispettò per un'ora abbondante, fino all'arrivo di Happy, che intimò loro di muoversi e che li avrebbe riaccompagnati a casa. Il mutismo collettivo perdurò fino ad un certo punto del tragitto quando, ad un semaforo, Happy si fermò al rosso. Tony si sporse verso il suo sedile e, posandogli una mano sulla spalla, si rivolse a lui con una certa durezza.

«Accompagniamo Peter a casa sua.»

Spider-Man si rizzò sulla schiena e si voltò verso di lui. Aveva tenuto lo sguardo fuori dal finestrino per tutto il tragitto, evidentemente a disagio ma intenzionato a non lasciarlo solo. Forse fu per quel motivo che balbettò un paio di volte, prima di trovare il coraggio di esternare i propri pensieri a parole.

«Non… non c'è bisogno! Posso stare con te, e farti compagnia. Zia May capirà sicuramente e p-»

Tony alzò gli occhi al cielo. Poi sbuffò. Fu per quel motivo che Peter si era zittito. Rispettoso del fatto che Tony, di fatto, non lo voleva con lui. Non in quel momento.

«Non c'è bisogno. Voglio stare da solo.»

«Tony…»

«Rispetta la mia scelta, e per l'amor del cielo non insistere, Peter. Voglio stare da solo, è così difficile da immaginare, il fatto che ne abbia bisogno in un momento come questo?» chiese, stanco, e quella conversazione si chiuse lì, quando girò la testa dall'altra parte e non lo guardò più. Nemmeno quando arrivarono a destinazione. Peter tentò un approccio; cercò anche solo di salutarlo e Tony non glielo permise.

«Qualsiasi cosa, chiamami», gli disse solo, e quando non ricevette risposta, salutò Happy e chiuse la portiera dell'auto, sospirando afflitto. Tony si sentì uno schifo, ma non abbastanza. Non voleva nessuno tra i piedi, men che meno Peter, sebbene dentro di sé sapesse quanto bisogno aveva di lui – in quel momento come in nessun altro e quanto, viceversa, l'altro ne avesse di lui. Gli avrebbe scritto. Forse. Non ne era certo. Sapeva solo che, per come era fatto Peter, avrebbe di sicuro capito. Peter capiva sempre.
 

Fine Capitolo IX

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«
Blackbird singing in the dead of night. Take these broken wings and learn to fly.
All your life.
You were only waiting for this moment to arise
»  
Blackbird - The Beatles


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¹ un VELATISSIMO riferimento al gruppo creato da BlueRoar nella sua L'amore Comunque - The Sound of Silence
² la canzone degli Scorpions è "Dust in the Wind" – tanto per ricordare qualcuno che è diventato cenere su Infinity War e soffrire ancora... sigh  ♥
 
Angolo angoloso angolare di Miryel che soffre con voi e con loro (però 'ste cose le scrive):
Buonsalve a tutti,
So che è arrivato il momento di prendere il capitolo I e di incenerirlo con un lanciafiamme, ma no... aspettate ancora, c'è tempo per quello... no, la verità è che questo capitolo è stato un vero e proprio colpo tra capo e collo anche per me e spero vivamente che, messo da parte l'angst della situazione in sé, vi sia piaciuto e abbia trasmesso esattamente ciò che avrei voluto voi percepiste.
Ci avviciniamo a qualcosa, e vorrei rassicurarvi di tante cose, ma non è questo il tempo. Grazie a chi mi sta seguendo, a chi sta ancora piangendo e a chi sta dedicando del tempo per farmi sapere il suo parere. E grazie a chi ha recentemente iniziato a leggere la storia dal primo capitolo, dedicandomi il suo pensiero. È sempre una gioia ♥
Un abbraccio fortissimo e a venerdì/sabato prossimo.
Miry
   
 
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