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Autore: _Bri_    10/04/2019    11 recensioni
[Storia Interattiva - Iscrizioni Chiuse]
Mentre ad Hogwarts si sta svolgendo il Torneo Tre Maghi, da qualche parte, in Inghilterra, esiste un "Giardino Segreto" apparentemente bellissimo ed unico, ma che nasconde ben più degli incanti che lo immergono nel costante clima primaverile. Dodici celle, occupate da dodici creature che il dottor Steiner ha rinchiuso lì. Il motivo è sconosciuto, ma chi vi è rinchiuso dovrà lottare con tutto se stesso, per ottenere la libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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CAPITOLO VIII
Il Pavido e l’Impavido

 
 
Era sempre stato un grande problema, gestire le sue facoltà. Lucas Heathcote aveva sempre fatto in modo di reprimerle, spaventato da se stesso e da ciò che, in più di un’occasione, aveva scatenato il suo spaventoso potere. Per questo inizialmente, confuso dalla baraonda che quelle liane animate stavano causando, l’auror non comprese che fosse lui stesso la causa. Odette urlava nei suoi confronti invitandolo a ragionare, mentre Alistair veniva tirato via da William, appena giunto in quel punto del giardino. La prontezza di quest’ultimo fu salvifica per il babbano, visto che proprio sotto i piedi di Alistair la terra aveva tremato con feroce brutalità ed il terreno cosparso di fragile erba si frantumò, aprendo nel suolo una falla di discrete dimensioni.
C’era ben poco da fare senza poter usare la magia: Odette sapeva leggere la mente con un’abilità unica, William assorbiva dolore e paura, Joshua era un metamorfo e Alistair a quanto pareva, restituiva la vita ai morti in cambio di un’altra vita. Eppure era ovvio che nessuno di queste particolarità invidiabili e terribili potevano placare la furia della terra che, in quel preciso istante, rischiava di ferire o, peggio ancora, uccidere i poveri sfortunati reclusi. Lucas dal canto suo era pietrificato. Ovviamente i tralicci non lo sfioravano di striscio e la terra rimaneva stabile sotto i suoi piedi; quando Odette tentò di avvicinarsi ancora un po’, nell’estremo tentativo di scuoterlo dallo stato confusionale, una grossa pianta tentacolare sbucò alla sua sinistra e con la velocità di una seppia gigante, l’avviluppò. William tentò il soccorso, ma anche lui venne catturato con facilità. Alistair, terrorizzato dalla situazione ed incapace di intervenire in alcun modo, arretrò di tutta fretta: avrebbe cercato aiuto, visto che era l’unica cosa che sarebbe stato in grado di fare. Così rimase Joshua, cui capelli avevano preso una sfumatura bollente; non azzardò mosse false, il giovane metamorfo: stette immobile davanti a Lucas che lo guardava terrorizzato.
 
-Ascoltami,- si introdusse con cautela Joshua –sai perché sta succedendo tutto questo?-
 
Il tono tranquillizzante permise a Lucas di regolarizzare appena il respiro, che s’era fatto affannato:
 
-Io non…io non lo so! Non sono io…non sono io!-
 
Joshua mosse solo un piccolo passo, constatando poi che il movimento quasi impercettibile aveva creato una trincea profonda fra lui e l’auror. Lucas era fuori controllo, gli altri messi ko dalle piante sbucate dal nulla e lui stesso non poteva muoversi, altrimenti avrebbe rischiato di rimetterci la pelle.
E mentre Joshua meditava nel tentativo di capire che cosa fare, Lucas si guardava intorno impaurito; l’agitazione era tornata non appena il terreno aveva creato quell’ostacolo fra lui e Joshua. Lucas si sentiva un mostro e questo Odette lo percepì all’istante, ma serrata e imbavagliata dai rami, le risultò impossibile comunicare con l’amico per farlo ragionare.
In quel momento il giovane auror non riuscì a non pensare che i suoi genitori avrebbero dovuto permettere a sua zia Martha di farlo fuori, tanto era un pericolo per l’incolumità di chi lo circondava. Certo, i motivi per cui la sorella del padre aveva tentato di ucciderlo erano di tutt’altra natura, ma poco importava. La dicotomia che muoveva l’intera vita di Lucas fin dalla nascita doveva essere sedata, nel bene o nel male.
 
 
I motivi per cui Harold Heathcote aveva dovuto lottare con tutto se stesso, per essere accettato fra i colleghi auror, era abbastanza scontato. Il suo cognome infatti la raccontava lunga, sull’affinità della famiglia agli ideali di Grindelwald prima, di Lord Voldemort poi; eppure Harold dimostrò di essere la fulgida mela marcia, quanto di più distante da Robert Heathcote, suo padre nonché fiero sostenitore del grande mago oscuro che aveva piegato buona parte del popolo magico alla convinzione che si dovesse governare sui babbani. Robert dimostrò di essere un ragazzo e poi un uomo coraggioso, prendendosi il suo spazio con estrema dignità e facendosi carico di ideali avanguardisti, per un mago nato fra i racconti che narravano l’unicità del suo sangue puro. Egli infatti rifiutò un matrimonio di interesse con una cugina, scappò giovanissimo di casa e si rifugiò nell’appartamento del suo ex compagno di casa –nato babbano per giunta- Lucas Klington, con il quale si immerse nel percorso per diventare auror. Vivere nella Londra babbana fu per Harold una boccata d’aria fresca, che si trasformò in una piacevole tempesta quando conobbe la dirimpettaia babbana: inizialmente Harold mal sopportava Ariana, con la quale trovava sempre un valido motivo per battibeccare; ma le cose cambiarono con naturale frenesia, quando la ragazza trovò l’auror ferito a seguito di un pericoloso scontro con un criminale. La ragazza lo salvò e da quel momento la loro relazione seguì un decorso romantico, che portò al matrimonio con la babbana, la quale non custodiva nessuna traccia magica, se non la grande forza morale e fisica che la distingueva: una fiera poliziotta di Scotland Yard, sempre in prima linea nella lotta contro il crimine. La nascita di Lucas avvenne a seguito di un terribile avvenimento: alla famiglia di Harold non bastò diseredarlo; la sorella Martha, immischiata nelle losche dinamiche dei seguaci di Lord Voldemort, mago oscuro che iniziava a raccogliere grande seguito, accecata dalla voglia di eliminare la feccia mezzosangue che aveva disonorato la famiglia, irruppe nell’appartamento del fratello a pochi giorni dall’avvenuto matrimonio per uccidere Ariana e il bambino che la ragazza portava in grembo. Ma la babbana non era sola e fu proprio grazie a Lucas Klington che ebbe la possibilità di scappare e mettersi in salvo; purtroppo il fiero auror morì nel compimento del suo ultimo, eroico gesto. Quando il bambino venne alla luce, Harold e Ariana seppero senza esitare che nome donargli: si sarebbe chiamato Lucas, ‘in onore di un grande uomo e di un vero eroe. Spero che tu abbia un quinto del suo coraggio.’; furono queste le parole che Harold rivolse al piccolo, che passò i primi anni della sua vita amato sì, ma tenuto sotto stretta sorveglianza per paura che la zia Martha, unitasi in seguito con i Mangiamorte, facesse di nuovo capolino per ucciderlo. La paura era tale che Harold mostrò la propria contrarietà nel mandare il figlio ad Hogwarts, ma Lucas dimostrò lo stesso carattere di padre e madre e non esitò a catapultarsi a Diagon Alley da solo, per immergersi in quel mondo che bramava fortemente. Fu allora che rischiò di essere ucciso da un Mangiamorte che lo riconobbe come il nipote di Martha Heathcote.
Ma i grandi poteri di Lucas schizzarono dal suo corpo e la terra corse in suo aiuto, salvandolo da morte certa.
Il piccolo Lucas ne andò fiero, ma di tutt’altra opinione fu suo padre che, rabbioso, decretò che mai e poi mai avrebbe messo piede ad Hogwarts; suo figlio non sarebbe sfuggito ancora una volta al suo controllo e nessun Mangiamorte avrebbe osato toccarlo ancora una volta.
Proprio durante l’accesa discussione, l’incontrollabile piccolo mago scatenò un terremoto che rischiò di uccidere suo padre ed egli stesso. Un terremoto che generò un trauma psicologico troppo grande da superare e che represse le sue facoltà per molto tempo.
 
*
 
Roxanne Borgin aveva passato una vita intera a ritenersi superiore agli altri; del resto chiunque la circondasse non faceva altro che dirle quanto fosse intelligente e arguta e tutti, ma proprio tutti (o quantomeno le persone che destavano il suo interesse) tessevano le sue lodi. Quindi del perché si fosse ritrovata in quella situazione, intrappolata e tenuta sotto scacco da un sanguemarcio dall’aspetto di chi tiene poco all’igiene, non solo non se ne capacitava, ma era anche uno smacco ingiustificabile. Inorridita e accigliata, si era appiattita contro una delle pareti della cella di Yann ed i suoi occhi correvano dal suo sorriso malvagio, alla fiamma che faceva roteare sopra il palmo della mano. Di tanto in tanto veniva distratta dalle ombre acute e intriganti che i muscoli dell’avambraccio, tonici e rigogliosi, creavano con l’aiuto della fiamma, ma Roxanne non poteva permettersi distrazioni. La sua mente non doveva cedere al richiamo del rozzo aspetto testosteronico del mago, proprio no. Tentò di ricomporsi e mostrare carattere, ma appena mosse un passo Yann ne compì uno nella sua direzione con scatto minaccioso, cosa che fece crollare definitivamente l’acconciatura della bella Borgin.
Yann dal canto suo osservò quella cascata di fluenti capelli corvini addolcire il viso della Mangiamorte e non riuscì proprio a non pensare che gli sarebbe dispiaciuto accendere un falò sulla sua testa. Fu distratto dalla voce impostata di Roxanne, che lo richiamò a dovere:
 
-Va bene Yann, credo che potremmo giungere a qualche compromesso che libererebbe entrambi da questo spiacevole impasse: se prometti di startene buono e di non compiere mosse azzardate, spenderò una buona parola per te e ti guadagnerai giusto un paio di tacche sul contatore.-
 
-Ti sembra un buon compromesso?!- tuonò basito l’uomo –Un buon compromesso è che tu ci faccia uscire di qui appena recupererai la tua fottuta bacchetta, se non vuoi trasformarti in un caminetto!-
 
La risata cristallina di Roxanne rimbalzò sulle pareti della cella del padre: -Ti rendi conto che se ciò accadesse, non ci metterebbero nulla a farti fuori? Pensi davvero di potermi dare fuoco senza avere ripercussioni?!-
 
-Vuoi che ti misuri la vastità di quanto me ne possa fregare? Se la ricompensa è vederti fare la torcia umana ben venga!-
 
Roxanne sgranò gli occhi ed in un attimo perse tutto il suo aplomb: -Ma che modi…stai dimostrando di essere quel dannato sanguemarcio che sei!-
 
-E tu sei la stessa stronza con la puzza sotto il naso che eri ad Hogwarts,- Yann sorrise, continuando a giocherellare con la fiammella –come vedi le cose non cambiano. Allora che vuoi fare? Vogliamo giungere a un compromesso?-
 
Era vero: anche fosse che quel Reinhardt avesse fatto una brutta fine, la cosa non la consolava affatto se il prezzo da pagare era la sua vita. Pensare alla propria testa calva e carbonizzata la fece rabbrividire prima, serrare la mascella poi; quel bastardo sinti aveva il coltello dalla parte del manico e non avrebbe esitato a rigirarglielo in pancia. Preso un grande respiro, Roxanne alzò le mani e si espose in un flebile sorriso:
 
-Va bene, hai vinto questa battaglia…se terrai il tuo fuocherello spento ti prometto che, una volta uscita di qui, non avrai nessun genere di ripercussione.-
 
-Non mi basta.-
 
La strega serrò la mandibola ancora una volta, reprimendo la volontà di azzannare Yann.
 
-Stai scherzando? Non sei nella condizione di scegliere alcunché, Reinhardt!-
 
 
Con un paio di ampie falcate, il mago raggiunse Roxanne che si vide costretta ad arretrare nuovamente, fino ad impattare con il freddo granito. I grandi occhi languidi scivolarono sulla mano di Yann che, con un gesto secco, si chiuse davanti al suo viso terrorizzato, lasciando della fiamma solo rivoli di spesso fumo scuro.
 
-So che non ci farai uscire di qui, non sono così stupido da sperarci. Ma pretendo un trattamento migliore per me e per i miei compagni.-
 
I due si guardarono e per molto tempo solo i respiri pesanti, ingombrarono l’aria della cella. Yann era talmente vicino, che Roxanne riuscì a percepire con distinzione il forte odore della sua pelle che, per sua sfortuna, non trovava affatto sgradevole. Maledetta astinenza, pensò quella tentando di riprendere capacità cognitive. Con uno sforzo sovraumano la donna alzò la testa, incastonando lo sguardo in quello sprezzante di Yann.
 
-Avrai del cibo migliore.- contrattò, lei.
 
-Devi garantirci un’uscita al giorno.- ribatté, lui.
 
-Non ho tutto questo potere, idiota!- si lasciò sfuggire, lei.
 
-Ne dubito.- Insistette, lui.
 
Preso un forte respiro, Roxanne sibilò: -Sarà concesso a te e soltanto a te di uscire brevemente e sotto mia stretta sorveglianza una volta al giorno. Questa è la mia ultima offerta, feccia.-
 
Un sorriso compiaciuto si fece spazio sul viso di Yann che, dopo aver fatto un passo indietro, dando così la possibilità a Roxanne di riprendere seriamente fiato, allungò la mano verso di lei.
 
-Andata.-
 
Aveva perso quella battaglia, ma non la guerra, valutò la Mangiamorte mentre, combattuta tra la repulsione nei confronti del sanguemarcio ed il suo inebriante profumo di vero maschio, acconsentì a stringere la sua mano.
 
-Ahia! Fottuto bastardo, scotta!- gridò, ritirando la mano e guadagnandosi la risata di Yann. Il mago poteva affermare di aver scottato Roxanne Borgin, non solo fisicamente.
 
*

 
Uscito dalla zona in cui imperversava l’ira di Lucas, il Giardino sembrava immerso nella solita quiete. Fiori e piante spuntavano rigogliosi in ogni albero e il ronzare degli insetti non era che l’unico rumore che si accostava al frenetico calpestio di Alistair; il sangue pompava nel corpo e affiancava un’accelerata respirazione mentre il babbano, senza una meta ben precisa, gridava in cerca di aiuto. Se c’era una cosa che gli stava insegnando quella reclusione forzata, oltre al fatto che la prudenza non era mai davvero troppa, era l’esigenza di calma. Per uno come Alistair Gordon, nato e cresciuto nel timore che qualcuno o qualcosa gli si ritorcesse contro, complice le spiacevoli e drammatiche esperienze di bullismo subite fin dalla più tenera età, era un fatto assolutamente anomalo.
 
“Come ti va oggi, svitato?”
 
Rosso in viso per la gran corsa affrontata e ancora con lo zaino sulle spalle, Alistair assestò gli occhiali sul naso prima di trovare il coraggio di puntare l’attenzione sulla voce dal tono provocatore. Ancora una volta Ludwig, quell’insopportabile bulletto che, disgraziatamente, era anche il suo compagno di banco, non aveva perso l’occasione per starsene zitto. Il piccolo Gordon capì all’istante che quella sarebbe stata l’ennesima giornata volta all’insegna della sopravvivenza. Succedeva sempre, infatti, che Lud si svegliasse con il piede sbagliato e che incanalasse la sua rabbia nel prendersela con Alistair, allampanato, occhialuto e come se non bastasse munito di apparecchio per correggere la dentatura disallineata. Aveva solo dodici anni, ma Alistair si sentiva già stanco della routine che componeva la sua vita; non aveva voglia di litigare con Ludwig, come non aveva voglia di andare dalla professoressa a fare la spia, così decise di starsene zitto ancora una volta, sperando che quello stronzo decidesse di lasciarlo stare e se la prendesse con qualcun altro. Ma Ludwig non sembrava intenzionato a lasciar perdere, in quanto riteneva che Alistair fosse il giocattolo più divertente da rompere.
Alistair non venne soccorso in classe nemmeno quel giorno: il compagno di banco lo aveva obbligato a fargli copiare i compiti e quando Alistair aveva dimostrato lentezza nel fornirgli le risposte alla prova a sorpresa di matematica, lo aveva punzecchiato con una matita appena temperata. Fu la ricreazione a salvarlo, o meglio fu la presenza della sua unica amica che, sfortunatamente, non si trovava nella sua stessa classe.
Teresa era la figlia dei domestici impiegati in casa Gordon: di origini colombiane, la bambina si dimostrò l’unica persona davvero felice di condividere il tempo con Alistair. Fortunatamente la bella ragazzina possedeva un carattere ed un carisma di tutt’altra pasta rispetto a quello dell’amico e quando si presentò alla porta della sua classe, per passare la ricreazione insieme, ci mise pochissimo a rimettere a posto Ludwig. Bastò infatti qualche parola ben servita ed il bullo, incapace di rispondere alle parole con l’intelletto, si limitò a mandarla al diavolo e unirsi al gruppo dei teppistelli.
Alistair balbettò un grazie, che Teresa ignorò. “Facciamo finta di nulla. Allora? Che merenda hai oggi? Vuoi assaggiare i miei buñuelos (1)? Li ha preparati mamma all’alba!”
 
Alistair adorava, letteralmente, passare il proprio tempo con Teresa. Lei lo faceva ridere e arrossire, gli tirava su il morale. Teresa era la prova tangibile che non tutti gli esseri umani facevano così schifo come Ludwig. Per questo reagì ad un forte senso di rabbia con il panico, quando il pomeriggio di due giorni dopo, Alistair trovò Teresa al parco in lacrime.
 
“Hanno ucciso Ortica a sassate!” singhiozzò lei. Con il gatto rosso privo di vita fra le braccia sottili, Teresa non la smetteva di piangere. Vederla così era per Alistair qualcosa di insopportabile, ma oltre singultire qualche frase di circostanza, non seppe che fare; la sua attenzione era infatti rivolta al corpicino di pelo fulvo, al quale accostò la mano che subito ritrasse, nel percepire il freddo tipico di un cadavere.
Alistair avrebbe voluto fare qualcosa per la sua Teresa, ma era perfettamente consapevole che non sarebbe mai e poi mai riuscito ad affrontare quei bulli e che, con ogni probabilità, sarebbe stata l’unica cosa che avrebbe risollevato un minimo il morale alla ragazzina.
Eppure lo stupore colse ambedue in egual misura quando un lieve tremore, seguito da un miagolio sommesso, si fece spazio dal corpicino di Ortica: il gattino era vivo e vegeto e richiedeva attenzioni.
Non avrebbero mai saputo che il merito fosse della miracolosa capacità di Al. Né che, in quel preciso momento, la vecchia gatta della zia Cloe, ultimo felino venuto a contatto con Alistair, stava lasciando quel mondo.
 
Quell’episodio tornò d’incanto alla mente del babbano, il quale aveva archiviato il caso molti anni prima, non riuscendo mai a trovare una risposta adeguata al fenomeno avvenuto. Le gambe secche e lunghe rallentarono, fino a fermarsi totalmente mentre gli occhietti scendevano a guardare i palmi spianati delle mani. Al doveva ancora fare i conti con quanto riusciva a fare; dall’episodio che lo aveva visto protagonista nello studio del dottore, aveva tentato di classificare in qualche modo ciò che era successo, non riuscendo davvero ad immaginarsi come qualcuno di così speciale, da essere in grado di dare e togliere la vita. Lui, che di speciale davvero non aveva mai avuto nulla, se non l’incredibile capacità di vivere degnamente la sua vita mediocre.
L’attenzione dello sguardo calò poi a terra, fino ad impattare con un lungo legno elegantemente intarsiato, brillante d’un blu dall’intensità di uno zaffiro.
 
-Ehi, ragazzo!-
 
La voce ormai riconoscibile di Roxanne Borgin lo fece sussultare. Con timore eccessivo, Alistair alzò gli occhi che si soffermarono su una cella molto simile alla sua, non fosse per la targa di marmo sulla quale era incisa la lettera pi dell’alfabeto greco. Le braccia della Mangiamorte erano esposte oltre le sbarre e si agitavano compulsive, mentre la bellissima donna, decisamente meno composta del solito, lo richiamava a gran voce. Dietro di lui un uomo che non aveva mai incontrato prima aveva un’espressione cerea e lo fissava scuotendo il capo.
 
-M-ma c-cosa succede?-
 
-Saresti così cortese da raccogliere quella bacchetta? Portamela, presto!-
 
Una bacchetta? Ah, giusto. Alistair si chinò ed afferrò il legno, nonostante l’uomo dietro Roxanne continuasse a negare con il capo e scuotere le mani. Il babbano aveva capito che quello non volesse che riconsegnasse la bacchetta alla Mangiamorte, ma cosa avrebbe dovuto fare?
Spazientito nel vedere quel ragazzo esitare, Yann sbuffò e tirò indietro Roxanne con una sola mano, così prese a gridare.
 
-Che fai?! Usala, maledizione!-
 
Yann non si aspettava di certo, da parte di Roxanne, quella fragorosa risata. Si chiese cosa avesse da ridere, visto che qualcuno si era appropriato della sua bacchetta e che avrebbe potuto usarla a proprio piacimento. Probabilmente quella della strega era una reazione isterica, non c’era altra spiegazione.
 
*
 
Alon e Victor si piazzarono davanti a Jules con le braccia incrociate, mentre l’attenzione era dedicata a Maze che li guardava con aria di finta sfida. Finta in quanto il suo scopo non era che quello di smuovere la situazione; fortunatamente avevano pensato a nutrirla solo un paio di giorni prima con delle sacchette di sangue che il vampiro prediligeva. Non aveva mai fatto un mistero della sua insofferenza nei confronti della condizione obbligata in quale verteva, Mazelyn: uccidere inizialmente era stato traumatico ed in seguito, anche se per necessità aveva cominciato ad accettare di doversi nutrire di esseri umani, aveva sempre tentato di ricorrere a rimedi alternativi per porre fine alla sua sete. Ma era talmente tanto annoiata da quella prigionia forzata, che aveva deciso di smuovere un po’ le acque.
Martha ed Evangeline, d’altro canto, osservavano la scena stupite e si lanciavano occhiate sconfortate: entrambe avevano infatti compreso che Maze avesse solo voluto lanciare una provocazione e di conseguenza, vedere i due ragazzi gonfiarsi come pavoni in difesa della piccola del gruppo, le aveva lasciate basite.
Jules invece si era agganciata alle maglie dei due e con lievi strattoni, chiedeva di lasciar perdere; persino lei era consapevole che Mazelyn fosse totalmente innocua in quel momento.
La situazione sfiorò picchi di ridicolezza, quando Victor aveva iniziato a dare lievi spallate ad Alon per farsi più spazio. Il mezzo tritone, totalizzato dall’idea di difendere Jules, rispondeva alle spallate per tentare di eliminare l’elemento di disturbo e dedicarsi solo alla difesa della piccola tassorosso.
E Maze, che stava per scoppiare a ridere davanti a quei due, allargava lo sguardo esilarata. Probabilmente si sarebbe scatenata una rissa tra un Victor fisicamente inadeguato e un Alon spazientito, non fosse stato per delle urla lontane che catturarono l’attenzione di tutti. Martha scattò in piedi seguita da Evie la quale, dopo essersi scambiata con la strega uno sguardo eloquente, si frappose fra Victor, Alon e Maze:
 
-Sta succedendo qualcosa di serio, quindi smettetela subito con questa scena ridicola e andiamo!-
 
Non ci fu bisogno di aggiungere altro, in quanto i tre rilassarono i corpi e piroettarono verso Evangeline con movimento meccanico, pronti a seguire quell’ordine involontario.
 
*
 
Elyon era ridotta uno straccio. Dopo lo scontro furibondo avvenuto con Adrian, sentì le parole mancarle; poco altro aveva d’aggiungere, del resto, alle sue argomentazioni. Entrambi avevano torto e ragione ed era chiaro che ci fossero state valide motivazioni a muoverli in direzioni contrarie.
Fino a sparire dalla vista dell’altro.
Adrian lo aveva detto chiaramente: era stanco di lei. Nonostante le avesse esplicato nel suo modo rozzo e grossolano cosa provasse nei suoi confronti, purtroppo ciò che restava di quel sentimento era altro. Non importava quello che c’era stato, il loro rapporto era irrimediabilmente compromesso.
Elyon aveva calpestato ogni tentativo di fioritura della loro relazione, terrorizzata dall’idea di se stessa, così drammaticamente sbagliata, alle prese con una persona che sentiva di amare profondamente. Adrian non si meritava di avere a che fare con tutto quel marcio, no davvero; per questo Elyon non gli aveva dato alcuna possibilità, convinta che senza di lei, il mago sarebbe stato meglio.
D’altro canto Adrian era stato raggirato con estrema sapienza da Robert, unica figura sempre stabile e presente nella vita sbagliata del Mangiamorte. Ma lei poteva compatirlo? No di certo. Elyon conosceva bene la fragilità di Adrian, così simile alla propria; sapeva cosa volesse dire avvolgersi nelle parole confortevoli di Robert Steiner e farsi coccolare da esse come fossero un caldo abbraccio. Quel mostro sapeva puntare sui punti scoperti delle persone, ma era talmente intelligente e abile che nessuno aveva mai davvero capito quanto egoismo fosse nascosto nel suo animo egocentrico, lei per prima c’era cascata. Ma Elyon ormai non aveva più nulla da perdere, mentre Adrian aveva in gioco ancora tanto. Cosa avrebbe dovuto fare? La donna, in realtà, conosceva bene la risposta. Avrebbe fatto di tutto per salvaguardare Adrian Reed, persino mettere in repentaglio la propria libertà; mentre affondava il viso nelle ginocchia rannicchiate e ascoltava il respiro irregolare di Adrian, che le dava le spalle, la strega valutò sinceramente l’idea di fare il gioco del dottore. Sapeva che probabilmente lei non sarebbe mai uscita viva dal Giardino, nemmeno se avesse acconsentito a piegarsi al volere di Robert, ma così facendo avrebbe tutelato Adrian. In quel rarissimo momento di lucidità, Elyon capì che insistere con lui sulla meschinità del dottore sarebbe stato inutile: Adrian doveva arrivare da solo a metabolizzare la spinosa questione, rendendosi conto che a Robert Steiner, di lui, non fregava nulla. Di conseguenza l’unica cosa che avrebbe dovuto fare era una soltanto: doveva trovare il modo di mostrarsi remissiva e accondiscendente davanti al dottore, ma contemporaneamente trovare una soluzione per mettere al riparo gli altri reclusi, che non meritavano di rimetterci la vita.
Non aveva idea di come avrebbe fatto a portare avanti quel doppio, triplo gioco, ma avrebbe dovuto capirlo in fretta.
 
-Allora…io vado.-
 
Elyon alzò lentamente il capo e posò lo sguardo sull’ampia schiena di Adrian; un lievissimo sorriso spontaneo solcò il viso della donna, nell’osservare i tremori di lui, in antitesi con la verbalizzazione. Lei lo sapeva, che Adrian non voleva davvero andare via, eppure non tentò di fermarlo; Avrebbe attuato il suo piano da quel preciso istante, nonostante l’unica cosa che avrebbe voluto fare ( e reprimere la sua esigenza era come essere infilzata da lame roventi), sarebbe stata alzarsi di scatto, gettarsi su di lui e pregarlo di non andare via. Ma doveva farsi furba, molto più di quanto non si era dimostrata fino a quel momento; accantonare l’irrazionalità che la muoveva, per lasciare posto al placido raziocinio, allora si che avrebbe ottenuto dei risultati.
 
-Tornerai?- Si limitò a chiedergli. A quel punto Adrian, dopo un lungo silenzio, annuì e bofonchiò appena.
 
-Non credo di avere altra scelta.-
 
Di quale scelta parlasse, Elyon non ne era sicura. Si riferiva all’obbligo nei confronti di Robert, che richiedeva la sua vigilanza costante, oppure di quello nei confronti del suo cuore, che non riusciva a tenersi distante da lei?
La strega rimase con quel dubbio, mentre seguiva la figura di Adrian uscire con passo deciso dalla sua cella lasciandola sola, ad assimilare quel doloroso incontro e a fare i conti con la difficile scelta di cosa avrebbe dovuto fare, per fare in modo di salvare quanti più innocenti possibili.
 
*

 
Con Evie in testa, il gruppo correva verso il punto del Giardino da cui ipotizzavano provenire le urla. La giovane Montague, tallonata da Victor, si era dimostrata la prima a prendere in mano la situazione, non indugiando un solo istante. Con il fiatone, ma uno strano e piacevole senso di adrenalina che lo pervadeva, il magigiornalista osservava quella ragazza tanto agguerrita che, nel corso del tempo trascorso insieme, aveva dato prova di essere molto più matura e capace di quanto si sarebbe mai aspettato. Purtroppo quei pensieri vennero interrotti di botto, in quanto superato un cunicolo di archi verdeggianti particolarmente rigogliosi, una scossa violenta scosse il terreno sotto di loro da cui sbucò una liana della circonferenza di un tiglio che, agitata e violenta, si scagliò contro Evangeline. Martha tentò di  tirare via Evangeline che stava per essere colpita in pieno, ma non ci fu bisogno del suo intervento: Victor, che mai aveva deviato l’attenzione dalla serpeverde, compì il suo balzo più agile ed in un batter d’occhio si ritrovò con le braccia spalancate a difesa della ragazza e gli occhi serrati. L’impatto a cui si stava mentalmente preparando, però, non arrivò mai: dal centro del petto si scatenò l’energia di un meteorite ed essa s’ampliò a formare uno speso scudo difensivo, invisibile a tutti ma non a Martha che osservava attonita e strabiliata quella straordinaria magia. Era la seconda volta che aveva a che fare con lo scudo di Victor, eppure non si aspettava di certo che quello potesse essere tanto potente da disintegrare quel mostro della natura.
Contemporaneamente Alon era riuscito a spintonare Maze giusto in tempo per evitarle un attacco da un arbusto tentacolare, che sembrava avere l’intenzione di volerla stritolare mentre Jules, agilissima, era svicolata lontana dal suo controllo riprendendo la corsa verso le grida che s’erano fatte sempre più chiare ed incisive.
 
-Non è il Giardino!- Gridò Martha che con rapidità aveva analizzato la situazione intorno a loro, prima di correre incontro a Victor che dopo aver scatenato la barriera in difesa di Evie, era crollato in ginocchio annaspando alla ricerca convulsa di aria. La strega più giovane era stata presa talmente tanto alla sprovvista che non aveva capito subito ciò che era successo, ma quando vide Victor a terra, s’apprestò a chinarsi su di lui per capire se stesse bene.
 
-Non ti fa bene, Vic!- gridò apprensiva Martha, che tentava di aiutare l’amico a riprendere fiato mentre, intorno a loro, la natura lanciava i suoi colpi più micidiali.
 
Maze si agganciò alla mano tesa di Alon.
-Scusami, non volevo scaraventarti via.- La ragazza, stupita dall’audacia del mezzo tritone nel metterla in salvo, si limitò a scuotere il capo e a bofonchiare un ringraziamento, ma Alon era già schizzato via gridando il nome di Jules.
 
-Ehi! Qui!-
 
La voce di William squillò risonante e attirò l’attenzione del gruppo. Evangeline però era rimasta concentrata su Victor, paonazzo e in preda ai colpi di tosse; dopo ciò che il ragazzo le aveva raccontato riguardo alla sua precaria situazione fisica, si sentì tremendamente in colpa per quanto era successo. Quello stupido si era messo in mezzo ed aveva rischiato la vita, pur di salvarla.
 
-Non dovevi farlo!- Gridò furiosa in direzione di Victor, il quale s’era aggrappato a Martha e nonostante gli mancasse il fiato, replicò con un mezzo sorriso, seppure rotto dai colpi di tosse:
 
-Prego, non…coff coff....non c’è di che!-
 
Evie era fuori di sé: se quella liana l’avesse colpita, al massimo sarebbe svenuta; invece Victor scatenando il suo scudo l’aveva protetta, ma al contempo aveva rischiato davvero grosso. Fu Martha a spezzare il bisticcio che era partito fra i due:
 
-Non è il momento di discutere, qui sta succedendo qualcosa di terribile a uno di noi! Non è il Giardino a fare questo e non sono i Mangiamorte…deve essere qualcun altro!-
 
E quel qualcuno era in piedi davanti a Joshua, incapace di tornare lucido e mettere fine al trambusto che, inconsciamente, aveva scatenato. Il metamorfo per un po’ mantenne il sangue freddo e tentò di far ragionare Lucas il quale, ormai, aveva perso totalmente il controllo della situazione. Lui, che aveva sempre strenuamente lottato per difendere se stesso, non mostrando mai timore di svelare la sua vera natura, si trovava davanti a qualcosa che era troppo difficile da gestire emotivamente. Paradossalmente era stato molto più semplice accettare di essere la macchia nera di una famiglia purosangue e ancor più semplice mostrare con orgoglio la sua omosessualità, con una presa di coscienza invidiabile per molti. Insomma, Lucas Heathcote aveva superato ostacoli ben più grandi e quello che poteva essere considerato solo un motivo ulteriore d’orgoglio, veniva invece represso fino all’implosione.
 
Un nutrito numero di studentesse sospirò, quando Lucas Heathcote fece coming out. Dotato di una naturale bellezza scultorea, l’adone era simpatico, socievole e abbastanza irriverente da far girare la testa a molte ragazze. Di contro, i giovani maghi gay gioirono, capendo di avere una speranza con il tassorosso più attraente di tutta Hogwarts. Tra questi c’era Benjamin, il corvonero che conquistò il cuore di Lucas in un batter d’occhio; il loro primo bacio era stato più che magico, avvenuto alla fine della partita che aveva visto vincitrice la squadra Corvonero su Grifondoro. Quello fu l’inizio di una splendida favola in cui Lucas si immerse senza esitare; Benjamin fu importante e con lui Lucas esplorò ogni campo dell’amore, non tirandosi mai indietro difronte a nulla. Quando la loro storia finì, Lucas aveva già preso il diploma e con l’intenzione di seguire le orme paterne, si immerse completamente nel corso per diventare un abile Auror. Il mago, cresciuto da entrambi i genitori con la certezza che la giustizia fosse il bene superiore da salvaguardare, aveva sviluppato la ferma convinzione che gli Auror dovessero fare di tutto per proteggere i più deboli e questi ideali, uniti alla naturale predisposizione psicofisica, fecero di Lucas un Auror eccezionale, sebbene la vera prima missione gli venne assegnata solamente a ventiquattro anni.
L’ex tassorosso possedeva tutte la carte in regola per rientrare fra i migliori e non ebbe mai bisogno di utilizzare i suoi poteri extra, che ancor più represse. Probabilmente quelli gli sarebbero stati utili, mentre si recava in ufficio a fare rapporto sulla sua ultima missione, legata all’ostico caso che stava seguendo e che aveva a che fare con un branco di lupi mannari, che stava seminando il panico in mezza città.
Sicuramente la terra avrebbe tremato dietro di lui, scaraventando i sottoposti del Dottore infiltrati al Ministero, nel piano più basso dell’imponente architettura. Ma i suoi poteri legati alla manipolazione dell’elemento della terra non intervennero e i mangiamorte agirono indisturbati, tramortendo Lucas e trascinandolo fuori dai confini sicuri del Ministero.
 
-Jules! Spostati!-
 
Alon era corso a perdifiato verso la ragazzina, che aveva rintracciato il “colpevole” di quella baraonda, con la volontà di impiegare le sue energie per fermarlo. Ma una vera e propria cascata piombò dall’alto, facendo arretrare Jules ma impattando contro le liane che assorbirono tutta l’acqua, aumentando di volume e rinvigorendosi ancor più.
Mazelyn si mosse con agilità fino ad arrivare da Odette: con un colpo secco sradicò la pianta che la stritolava e con facilità le liberò la bocca, facendole riprendere fiato a sufficienza, per permetterle di gridare:
 
-Non usate l’acqua! La terra la assorbe!-
 
Di fatto niente sembrava essere utile a placare l’ira inconscia di Lucas; ogni tipo di intervento risultò nullo o, ancor peggio, dannoso. Mazelyn avrebbe potuto assaltare Lucas, ma quel brandello di umanità che teneva ben nascosto le stava gridando di non farlo, in quanto il ragazzo era un’innocente vittima di quella situazione, proprio come lei. Alon resosi conto che i suoi poteri si limitavano ad incrementare la ferocia della terra, afferrò Jules per il polso e la chiuse in un abbraccio, tentando di difenderla da ulteriori attacchi. Victor era fuori gioco supportato da Martha e Joshua, l’unico presente in grado di far tornare la lucidità di Lucas, si trovava circondato da una voragine profonda.
Occupatasi di Odette, Mazelyn passò da William e liberò anche il mago dalla morsa tentacolare; stordito dalla mancanza d’ossigeno, ma al contempo ammaliato dalla fulgida bellezza del vampiro, Will sussurrò un flebile grazie, prima di svenire a peso morto fra le braccia della ragazza che, con occhi all’insù, lo trattenne senza sforzo per poi trascinarlo al sicuro.
 
-Ora basta.-
 
Il tono calmo, distaccato e sicuro di Evangeline era rivolto a Lucas, che nel frattempo si era rannicchiato a terra totalmente divorato dallo stato di panico. Appena Victor si rese conto che Evie s’era fatta tanto vicina a Lucas, cominciò ad imprecare verso di lei, gridandole di non fare l’imbecille e di tornare indietro. Ma Evie sapeva perfettamente quello che stava facendo: la ragazza allungò il passo verso di Lucas e con i suoi occhi languidi e impauriti stabilì un contatto visivo stabile, prima di tornare a sprigionare la sua voce melodiosa:
 
-Devi darmi ascolto: ora ti calmerai e richiamerai le piante; nessuno qui vuole farti del male e tu non vuoi farne a noi. Mi hai capita? Segui la mia voce, segui i miei comandi.-
 
Certo, alcuni di loro avevano avuto un assaggio dei poteri di Evangeline in precedenza; lo stesso Lucas, attualmente in balia del caos, era stato la prima vittima della voce della giovane Montague. Ma in quel momento apparve evidente a tutti la qualità del potere strabiliante della strega che, senza perdere mai il controllo, stava conducendo il versante più irrazionale di Lucas a mettersi da parte ed in una manciata di minuti gli arbusti e le liane si ritrassero, fino a tornare nelle spaccature del terreno che si richiuse con docilità, riportando il Giardino alla condizione precedente all’impetuosa follia.
Un ambiguo silenzio, in perfetta antitesi con le urla e i fragori di poco prima, permeò il Giardino per qualche minuto. Tutti osservavano rapiti Lucas ed Evangeline in piedi uno di fronte l’altra; ma quando il ragazzone si afflosciò in un sospiro, per poi cadere a terra svenuto, Joshua non perse tempo e corse nella sua direzione per prestargli soccorso. Ogni barlume di freddo autocontrollo si era dissipato, mentre il metamorfo scrollava con ansia le spalle di Lucas e le sue mani andavano a picchiettargli la faccia, per farlo rinvenire.
 
-Lucas! Ti devi riprendere, hai capito?!-
 
Sotto gli schiaffi composti, le scrollate agitate e la voce rotta dalla preoccupazione di Joshua, Lucas mugugnò, segno che stesse bene. Aprì a fatica gli occhi e sempre a fatica sorrise, nel ritrovarsi gli occhi chiari e sgranati di Joshua a pochi centimetri dal viso.
 
-Cos’è…un sogno questo?- sussurrò con voce roca, ma al contempo divertita. Anche in quel contesto Lucas non aveva perso la sua vena d’ironia, che da una parte fece sorridere l’austero Joshua, dall’altra lo fece arrabbiare moltissimo.
E mentre il metamorfo cominciò ad inveire con mancata compostezza nei confronti dell’Auror, Odette corse verso Evangeline e si lanciò ad abbracciarla, con gli occhi lucidi di preoccupazione.
 
-Per fortuna stai bene! Grazie…ci hai salvati!-
 
Evangeline si abbandonò nell’abbraccio confortevole di Odette; in realtà aveva reagito d’istinto, senza pensare alle reali conseguenze che avrebbe potuto comportare il suo gesto avventato.
 
-Piccola testa calda! Lo sai che ti poteva ammazzare?!-
 
-Victor, non mi pare il momento per farle la paternale!-
 
Evangeline si liberò con delicatezza dall’abbraccio di Odette per voltarsi verso Victor, emaciato e sostenuto da Martha, visibilmente preoccupata dalle condizioni dell’amico. La serpeverse sorrise sfrontata, prima di rispondere al magigiornalista:
 
-Ma non l’ha fatto, no? Ti ho salvato la pelle, dovresti solo ringraziare!-
 
I due diedero vita a un botta e risposta davvero fuori luogo. Poco distante, Jules strattonava il braccio di Alon per attirare la sua attenzione.
 
-Evangeline è stata fantastica, non trovi?-
 
Alon picchiettò teneramente la testa della ragazzina, prima di pizzicarle la guancia scherzosamente (gesto che la fece indispettire moltissimo):
 
-Si, ma tu non farlo più di gettarti in mezzo a una situazione simile, va bene?-
 
Jules ridacchiò frivola e si agganciò al suo braccio –Ti sei preoccupato! Allora mi vuoi bene!-
 
Lo sguardo di Maze correva dall’uno all’altro dei presenti, mentre teneva fra le braccia il corpo privo di sensi di William. Avrebbe potuto risolvere tutto attaccandosi alla gola di quel tipo senza sforzarsi troppo, ma tutto sommato era stato meglio così. Quella giovane strega aveva risolto la situazione senza inutile spargimento di sangue, valutò mentre tentava di far rinvenire William il quale, dall’espressione serena, non sembrava affatto intenzionato a riemergere dal suo riposo.
 
*

 
Le mani di Alistair presero a tremare, mentre quell’uomo nella cella gli gridava contro di fare le magie e Roxanne Borgin rideva a perdifiato.
 
-Sei snervante….ehi, ehi! Piantala! Che cazzo ridi?!-
 
Yann piroettò verso Roxanne, tanto esilarata che dovette asciugarsi le lacrime per l’eccessivo ridere.
 
-Ti sei appena giocato il nostro patto, sciocchino! Alistair, da bravo portami la bacchetta.-
 
Il babbano proprio non sapeva resistere al fascino di quella donna che, con lui, adottava sempre modi dolci e posati. Ma non poteva evitare di prendere in considerazione il fatto che la strega fosse la loro carceriera.
 
-Ragazzino, ma cosa stai aspettando?! Tira fuori le palle e usa quella bacchetta!-
 
Roxanne si agganciò al braccio di Yann e dopo aver tastato a dovere il suo bicipite, cosa che lasciò decisamente stupito il mago, cinguettò con voce melodiosa:
 
-Non può usare la magia perché è un babbano, idiota!-
 
Yann tirò indietro il braccio con forza, per poi aggrapparsi alle sbarre della cella e puntare gli occhi scuri su Al, che deglutì a più riprese visto che quel mago gli incuteva più timore di Roxanne.
 
-Un babbano? Qui?! Non avete risparmiato nemmeno loro, siete dei barbari mostri!- Gridò Yann che palleggiava lo sguardo dalla strega al babbano. Alistair si sentiva un verme. Aveva passato la sua intera esistenza a deludere le persone a cui era affezionato e a tradire le aspettative di chiunque. Anche in quell’occasione, Al sentì di aver perso, ancora una volta.
 
“Non sei riuscito a superare i test?!”
 
Con lo sguardo basso, Alistair scrollò il capo in un moto di desolazione mentre sua madre andava in escandescenza. Aveva davvero sperato in un esito positivo; se fosse riuscito a passare le selezioni per il corso di medicina, forse per una volta i suoi genitori si sarebbero mostrati felici e fieri di lui. Ma come aveva potuto crederci anche solo per un secondo? Ancora una volta era risultato molto più che mediocre, andando così ad aggiungere una tacca sulla conta delle proprie sconfitte. La facoltà di medicina non era di certo per tutti, questo lo sapeva bene; ma il giovane Gordon era il prodotto di due menti brillanti e facoltose, doveva avere del talento nascosto da qualche parte: Richard era uno degli avvocati più famosi in circolazione e a lui si rivolgevano per risolvere questioni spinose, mentre Clara un luminare della ginecologia, le cui consulenze erano richieste a livello internazionale.
Ma Alistair? Chi era Alistair?
Facile: un ragazzo dinoccolato, nevrotico, pappamolle e con un quoziente intellettivo nella media. Insomma, lo smacco più grande per suo padre era un figlio come lui, nel quale aveva smesso di riporre ogni fiducia da tempo ormai, ritenendolo un invertebrato senza carattere. E dire che da piccolo era cresciuto fra coccole e agi, con il desiderio da parte dei genitori di vedere sbocciare il loro unico figlio in qualcuno che fosse alla loro altezza.
Alistair dovette ripiegare sul corso da infermieri, allargando così la voragine che si era venuta a creare con il proprio nucleo familiare. L’unica persona che aveva mostrato il piacere di rimanergli accanto fu Teresa, che lo spronò a dare sempre il massimo e lo invitò a non farsi carico delle aspettative di Clara e Richard.
Costruitosi a fatica un ambiente stabile in ambito lavorativo, Al venne a contatto con una realtà che non si aspettava: la malattia e la morte erano per lui da combattere, ma stranamente non trovò spiacevole venire a che fare con la caducità della vita. Il ragazzo scoprì il suo talento naturale; naturalmente portato al conforto, si mostrò coraggioso nell’approcciare a malati terminali, così come non titubò quando dovette frequentare le camere mortuarie arricchite da corpi senza vita.
La morte, per Alistair, era strettamente legata alla vita e nonostante il timore iniziale di far fronte al lavoro, durante il tirocinio scoprì di sapere accettare con stoica rassegnazione il naturale processo a cui gli uomini erano sottoposti.
O almeno fin quando non trovò sulla lettiga di gelido metallo un cadavere dalle sembianze conosciute: Ludwig era cambiato ed il pallore atipico era difficile da associare al vivace tono che coloriva quello che, ai tempi della scuola, era stato il bullo che lo aveva più volte torturato. Diversamente dal solito, Alistair sfilò il guanto di lattice e con le dita scoperte andò a puntellare il naso largo del ragazzo. Incidente stradale, gli avevano detto. Una parte di lui, constatò con raccapriccio, pensò che se lo fosse meritato; ma subito il turpe pensiero si richiuse nell’angolo più buio della sua anima, lasciando spazio ad altro.
E mentre Al rifletteva su quanto ironico fosse il destino, che lo aveva schierato dalla parte dei vincitori per una volta, gli occhietti si sgranarono quando la mano ferma sul collo percepì con distinzione, il battito cardiaco spandersi fra le vene.
 
Era vero, Alistair non poteva usare la magia; ma la verità era ben visibile ai suoi occhi: aveva il coltello dalla parte del manico. Non sapeva per quale motivo, ma era cosciente di avere un ruolo rilevante in quella turpe faccenda e anche gli altri reclusi non potevano essere da meno. Preso coraggio, strinse la bacchetta di Roxanne con presa salda e si avvicinò alle sbarre, inchiodando lo sguardo sulla Mangiamorte.
 
-Ti d-darò la tua…la tua b-bacchetta.-
 
Roxanne sorrise compiaciuta; questa volta fu il suo turno di spostare malamente Yann per posizionarsi davanti ad Alistair.
 
-Bravo, hai fatto la scelta migliore.- cinguettò allungando la mano fra le sbarre.
 
-M-ma a u-una cond-d-dizione.- Al tentò di usare il suo tono più fermo, che sorprese Roxanne tanto quanto Yann.
 
-Non ci sarà nessuna condizione!- stridette lei.
 
Il babbano inarcò un sopracciglio ed accennò un sorriso, così fece il gesto di spezzare la bacchetta, che costò un singhiozzo preoccupato di Roxanne.
 
-Posso s-sempre s-s-spezzarla! E p-poi riferire a q-quell’uomo dagli occ-chi di ghiaccio che t-ti sei fatta fregare d-da un…babbano-
 
Fu il turno di Yann di scoppiare a ridere e Roxanne, furiosa più che mai, tentò di riacquisire compostezza.
 
-Forza, sentiamo allora.-
 
-Ho s-sentito che parlavate d-di un p-patto.-
 
-Ebbene?- incalzò lei, incrociando le braccia.
 
Alistair fece correre lo sguardo da Yann a Roxanne, sulla quale si soffermò. Prese un respiro profondo e dichiarò:
 
-V-voglio che applichi l-lo s-stesso patto per l-lui e per me.-
 
Roxanne Borgin si rese conto di essere finita in un grosso guaio. Se si fosse rifiutata, o se avesse tradito il patto, Robert sarebbe venuto a sapere di quanto successo e sicuramente avrebbe perso la fiducia in lei riposta. La strega non aveva alternative: doveva cedere alle richieste di quei due, altrimenti per lei non sarebbe finita affatto bene.
 
*
 
Cora si sentiva particolarmente impaziente, agitata e stranamente in allerta. Nonostante il suo carattere si era fatto algido e pragmatico, dovuto all’ambiente in cui era cresciuta, qualcosa in lei stava cambiando. Avere a che fare con quei reclusi, nello specifico con una personalità come quella di William Lewis, le stava facendo mettere in discussione tutto ciò in cui, fino a quel momento, aveva creduto. Tutte le chiacchiere legate alla superiorità del sangue puro si stavano riducendo ad un mucchio di polvere, in quel contesto in cui tutti erano messi alla pari. Il suo sangue puro non l’aveva salvaguardata di certo, visto che era comunque finita in una situazione simile, al pari di babbani, ibridi e sanguemarcio; il lignaggio non era un punto a favore e questo, Cora, lo stava imparando a sue spese. Inoltre la parte apprensiva e premurosa di lei stava emergendo con prepotenza, visto che da quando l’avevano divisa da Will, non aveva fatto che provare preoccupazione nei suoi confronti e si chiedeva se il mago stesse bene.
Le urla che sentì, seppur distanti, dall’interno della sua cella aumentarono esponenzialmente lo stato di allerta. Era corsa alle sbarre e a quelle si era aggrappata, puntando lo sguardo oltre di esse nel tentativo di capire da dove provenisse tutto quel trambusto. Aveva gridato nella speranza che qualcuno la sentisse, ma nessuno era corso da lei che si era ritrovata costretta a scovare la calma, vedendosi impossibilitata ad agire in alcun modo. Il baccano proseguì a cadenza regolare e alle grida si accumularono vaghi tremori del terreno che tornarono a farla allarmare. Poi d’improvviso giunse il silenzio. Cora si morse il labbro con forza eccessiva, prima di tornare ad urlare che, maledizione, qualcuno doveva tirarla fuori da quella cella.
Dopo un po’ cedette e agitata, tornò ad occupare la brandina nel tentativo di regolarizzare respiro e battito cardiaco. Chissà di chi erano quelle grida e specialmente si chiedeva quale fosse il motivo del silenzio che era seguito.
Si era ferito qualcuno? Era morto qualcuno?
Quando Adrian Reed arrivò in prossimità della sua cella, Cora scattò in piedi e corse verso il Mangiamorte, che teneva una sigaretta spenta in bocca ed aveva l’aria di essere assorbito dai pensieri che, con lei, non avevano nulla a che fare.
 
-Finalmente ti sei deciso ad arrivare!- Urlò non riuscendo a contenersi. Adrian spalancò la cella con un colpo di bacchetta e rimase stupito dall’aggressività di quella strega, che raramente aveva visto colta dall’agitazione.
 
-Stai calma, non è un diritto quello di uscire di qui.-
 
Cora fece un passo di troppo nella direzione dell’uomo, che di tutta risposta puntò la bacchetta sul suo petto:
 
-Ferma lì ragazzina, chi ti ha dato il permesso di muoverti?!-
 
-Mi stai prendendo in giro?! Voglio sapere cosa è successo! Cosa diavolo erano tutte quelle urla?! È successo qualcosa a qualcuno?!-
 
Adrian boccheggiò appena.
 
-Urla? Ma di che cazzo parli? Chi è che stava urlando?-
 
-Dovresti dirmelo te!- Attaccò agitata, lei –Veniva da quella direzione e la terra si è messa a tremare! Possibile che tu non ne sappia nulla?!-
 
Adrian impallidì. Era stato totalmente assorbito dal suo confronto con Elyon e sapendo che ci fosse Roxanne a tenere d’occhio la situazione dei reclusi, non si era minimamente preoccupato di svolgere il suo compito per tempo. Si ritrasse di botto, gridando a Cora di seguirlo; mentre correva verso il punto indicato dalla strega, sperò con tutto se stesso che si fosse confusa e che nulla di troppo grave fosse successo. Robert non c’era e lui non poteva permettere di tradire la sua fiducia, altrimenti quella volta ci avrebbe rimesso l’osso del collo.
 
 
*
 
Smaterializzarsi in quel luogo era stato facile come bere un bicchier d’acqua. Ci si era recato talmente tante volte, negli ultimi anni, che ormai conosceva a memoria ogni singolo percorso alternativo che gli avrebbe permesso di passare inosservato, dal punto in cui era impossibile smaterializzarsi all’ingresso della villa coloniale, posta sotto una lunga serie di incanti. Robert non fece in tempo a privarsi del suo mantello, che il mastodontico portone si aprì, facendolo accogliere dal conosciuto elfo domestico.
 
-La Signora attende che il dottore arrivi da molto. Alla signora non piace aspettare!-
 
Col passare degli anni, il fare scorbutico di Flam aumentava esponenzialmente e proporzionalmente con la reverenziale sottomissione alla sua padrona.
 
-Dei miei contrattempi non devo di certo rendere conto a te. Senza perdere altro tempo, saresti così cortese da condurmi da lei?-
 
Con un grugnito furibondo, l’elfo vestito solo di uno straccio sudicio a coprire le pudenda, anticipò il passo di Robert fino a condurlo all’ingresso di un sontuoso salone riccamente rifinito al centro del quale, illuminata da calde e pallide luminarie sospese a mezz’aria, una bella donna dai folti capelli biondi attendeva seduta su un divano rosso dal tessuto cangiante, con un bicchiere di gin in mano.
 
-Ti ho aspettato per ben due ore.- Il cinguettio nascondeva una nota di dissapore che il dottore aveva imparato a riconoscere.
 
-Mein schatz (2)…sai bene che non posso farmi vedere in giro; inoltre per quanto sia sempre un piacere condividere il tempo con te, il mio progetto ha sempre la priorità.-
 
La donna allungò il candido braccio scoperto, con cui tratteneva il bicchiere, lungo il bracciolo con gesto languido. I cristallini occhi di Robert corsero su di esso, fino a soffermarsi sul marchio nero che sul candore della pelle di lei, risaltava ancor più. La donna inclinò il viso sulla destra ed accennò un sorriso, mentre gli occhi dalle lunghe ciglia seguivano l’incedere dell’uomo nella sua direzione.
 
-Lo sai che abbiamo lo stesso obiettivo Robert: servire il Signore Oscuro.- Mentre la strega parlava, il dottore si chinò nella sua direzione, lasciandole un bacio languido sul collo scoperto, che ebbe l’effetto di fare insorgere un sorriso compiaciuto sul bel volto di lei. –Per questo ti ho chiesto più di una volta di farmi venire in quel luogo…- La strega allungò una mano, con cui carezzò il viso vicinissimo di Robert e poi parlò sul filo delle sue labbra tese –Permettimi di sbarazzarmi di lui e del resto dell’immonda feccia.-
 
-Martha…- Il suo nome quasi un sussurro, nella bocca di Robert –Tuo nipote serve alla causa…ma è proprio per quest’ultima che ho richiesto questo incontro speciale.-
 
Martha Heathcote storse il naso, fintamente infastidita, mentre le mani attiravano di nuovo il viso di Robert, seduto ormai al suo fianco, verso di lei:
 
-Pensavo di esserti mancata, che illusa.-
 
Di tutta risposta Robert sorrise, alzò il suo mento con un gesto tiepido e le parlò sulla bocca:
 
-Natürlich ja (3), non dovresti mai dubitarne…purtroppo oggi attendiamo qualcun altro e ti prego…- Robert Steiner sospirò nel cogliere l’espressione accigliata e indispettita di Martha –So che non ti è simpatico, ma ricorda che tutto quello che faccio, comprese le collaborazioni a cui do la vita, è volto alla causa per il Signore Oscuro.-
 
La strega annuì di malavoglia ed infine poggiò le labbra tornite su quelle di lui, alla ricerca di un bacio lungo e profondo. Purtroppo Martha venne interrotta dalla voce mielosa dell’elfo domestico:
 
-Mia Signora, l’altro ospite è arrivato, il signore è sporco di fango, trascurato e non piace a Flam!-
 
-Dalla descrizione deve essere arrivato il tuo ospite, Robert.- Celiò Martha scostandosi da lui. Un forte tossire interruppe un lungo sguardo d’intesa dei due, che contemporaneamente spostarono l’attenzione sulla porta del salone: poggiato sullo stipite, con le braccia incrociate e un sorriso di circostanza nascosto sotto la barba troppo lunga, Fenrir Greyback osservava la situazione. Il dottore a quel punto si alzò dal divano e s’avvicinò al licantropo con il solito passo elegante e le mani congiunte dietro la schiena.
 
-Ben arrivato, Greyback: a questo punto credo sia giunto il momento di esporvi le mie idee.-
 


 
(1) I buñuelos sono dolci tipici colombiani.
(2) Mein schatz: in tedesco “Mia cara”.
(3) Natürlich ja: in tedesco “Certo che si”.
 
Mettetevi comodi, perché questa volta le note saranno particolarmente lunghe. Prima di tutto voglio scusarmi con voi per questa lunga assenza. Come alcuni di voi sanno già, per me questo è un periodo soffocante; mi sono ritrovata a riprendere a studiare  (devo sostenere tre esami in un solo giorno) mentre ovviamente lavoro. Questo purtroppo mi ha impedito di scrivere per parecchio tempo; mi sono quindi ritagliata dei rarissimi spazi di tempo per poter completare questo capitolo che quantomeno è bello lungo. Credetemi se vi dico che sono la prima a voler scrivere, ma davvero non ho tempo, almeno fino al 27 quando terrò questi esami. Inoltre aprile è sempre un mese particolarmente impegnato, visto che sia io che mia madre e mia sorella siamo nate in questo mese ehehe. Ma bando alle ciance! Finalmente ci sono e spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Sappiate che il titolo è arrivato come un’epifania: anche in questo caso i vostri voti sono stati mossi dalla divina provvidenza, dato che sono andata ad affrontare due personaggi agli antipodi e perfettamente intercambiabili. Da una parte infatti abbiamo Lucas, temerario e “impavido”, ma che crolla davanti alle sue debolezze, legate all’incapacità di accettare i propri poteri. Dall’altra abbiamo il “pavido” Alistair, ma che tanto pavido non si sta dimostrando, tutt’altro. Chi sarà quindi il pavido del titolo e chi l’impavido? Per me lo sono entrambi, per voi?
Poi poi poi….ehehehe mi sono divertita a creare un po’ di scene comiche, perché questa storia ogni tanto ha bisogno di respiro. Come già ribadito in precedenza io ho questa visione assurda di Roxanne, personaggio sicuramente tragico ma anche tanto comico; accostata poi a Yann che è quanto di più lontano da lei e da Alistair, un semplice “babbano”, Roxie ha dato il meglio e il peggio di sé. Ah, l’astinenza! Povera lei! Spero di non essere uscita troppo dai binari con gli spezzoni a lei dedicati e che vi abbia strappato una risata.
Ma chi altro abbiamo? Sento odore d’ammore nell’aria? Già, perché mi pare che un po’ di persone si stanno avvicinando. Che ne pensate? Dai, diamo il via ai pettegolezzi, su!
Finalmente abbiamo capito perché il Giardino è rimasto praticamente incustodito: Roxanne chiusa in cella con il focoso Yann, Adrian al solito che pensa solo ad Elyon e non è assolutamente in grado di adempiere ai suoi compiti ed il dottore dei nostri cuori che…è andato a trovare Martha Heathcote; esatto, proprio quella Martha lì, la zia di Lucas. Al quadretto si unisce anche quel maledetto schifoso di Greyback, sono sicura che Elyon ne sarà felice (lol). Che starà combinando?
Penso di aver detto tutto, ora sta a voi: vi chiedo al solito di votare altri due oc e poi di farmi sapere la vostra sul capitolo J
Vi ringrazio per la pazienza che avete avuto con me; abbiate fede, riemergerò dopo il 27!
 
Bri
 
 
Alon
Cora
Evangeline
Joshua
Mazelyn
Odette

 
(votate in privato please!)
   
 
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