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Autore: Miryel    13/04/2019    17 recensioni
In una vita alla costante ricerca di un vuoto da colmare, Peter Parker e Tony Stark si trovano, in un momento della loro esistenza in cui si sentono divisi a metà, a condividere parti della loro anima e della loro mente, con la sola scusa di un tempo che giustificano come speso per forza insieme. Il loro rapporto cresce, di giorno in giorno, fino a creare inaspettatamente un legame e, inesorabilmente, una rottura.
Una rottura che per Tony significa mettere da parte l'orgoglio per affrontarla e per Peter mandandare giù bocconi amari, tentando di non soffocare con la sua stessa saliva.
[ Young!Tony x Peter - Angst/Introspettivo/Romantico - College!AU ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ Young!Tony x Peter | Angst - Romantico | word count: 3932 ]


You Say Goodbye,
I Say Hello





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«I don't know why you say goodbye,
I say hello»
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Capitolo X. Hello, Goodbye

 

 

Peter capiva sempre, eppure quel giorno sembrava non aver capito proprio un bel niente, delle sue necessità. Tony però lo sapeva, che la colpa era solo sua, della sua indolenza, della sua paura di non riuscire ad andare avanti, in quella vita che, improvvisamente, aveva deciso di portargli via tutto e voltargli le spalle. Era solo. Non aveva più una famiglia. Quella stessa che, tante volte, aveva sperato potesse essere differente, migliore, priva di quei problemi di comunicazione che da anni li rendevano incompatibili. Aveva appena perso una madre e un padre che, malgrado non fosse davvero figlio loro, gli avevano voluto bene. Lo avevano amato, oltre i dissapori, le ostilità continue e l'incompatibilità. Una parola che Tony aveva usato spesso; ne aveva abusato, in tante di quelle discussioni da non poterle ricordare tutte. E lui – non poteva nasconderlo più – li aveva amati a sua volta. Nonostante tutto.

Poggiò i gomiti sulla scrivania, mentre Happy, fuori dalla sua stanza, faceva un giro di telefonate infinito. Si prese la testa tra le mani, e il cellulare non la smetteva un secondo di suonare. Steve, Bruce, Natasha, Nick Fury. Persino Coulson. Tutti, lo avevano saputo tutti. Chi attraverso i giornali, chi guardando la tv, e non aveva risposto ad una sola telefonata. O a un messaggio. Niente di niente.

«Lasciatemi in pace, cazzo», imprecò, nascondendosi il viso tra le dita. Stringendo i denti, con una rabbia addosso e la voglia di spaccare tutto. E Peter? Peter gli aveva fatto una sola telefonata, poi aveva smesso. Gli aveva mandato poi un messaggio, che non aveva nemmeno aperto. Diceva solo: «Voglio solo sapere come stai», e lui non voleva dirglielo. Non voleva perché non lo sapeva nemmeno lui. Avrebbe voluto sentirlo, averlo accanto, stringerlo così forte da fargli quasi male e chiedergli «Come si va avanti?», e allo stesso tempo non voleva né vederlo, né parlarci. Non aveva bisogno della sua bontà, della sua dolcezza, del suo modo goffo — ma allo stesso tempo maturo, di tirarlo su.

Qualcuno bussò alla porta, e Happy entrò senza attendere risposta, nella sua stanza. «Dopodomani ci sono i funerali, Tony. Ho organizzato tutto io, non devi preoccuparti. Ti vogliono affidare un tutore legale, almeno finché non avrai diciotto anni. Mi sono proposto come papabile, ma devi dirmi se ti sta bene, che sia io.»

«Sì, sì, ovvio che mi sta bene», sbuffò, passandosi una mano tra i capelli, non del tutto sicuro di aver assimilato anche quella informazione. Appoggiò stancamente la schiena alla sedia. «Dove saranno, i funerali?»

«Tuo padre aveva espresso il desiderio che si svolgessero allo S.H.I.E.L.D.; Fury mi ha dato il permesso di farlo. Dice che ne aveva parlato anche con lui.»

«Cosa? Perché mio padre avrebbe dovuto pensare ad una cosa del genere, da vivo? Proprio lui, poi?» rise scettico Tony, senza alcun entusiasmo, con un sopracciglio alzato. Suo padre e la morte. Due concetti paralleli che non si incontravano mai, o almeno così pensava. Happy si chiuse la porta della stanza dietro le spalle, amareggiato. Si umettò le labbra e, senza chiedere il permesso di poterlo fare, si prese una sedia e gli si affiancò.

«Vedi, ci sono cose, che ad un certo punto della vita, cominci a prendere in considerazione. Specie quando sei un uomo di successo che non è proprio benvoluto da tutti. Sono certo che con te non abbia nemmeno mai provato ad affrontare quell’argomento, perché sei suo figlio. Un figlio non dovrebbe discutere certe cose col proprio padre. Non a diciassette anni.»  

«Ero suo figlio. Anzi, sai cosa? Non lo sono mai stato davvero. Il codice genetico parla chiaro, Happy. Mi ha cresciuto, ma non ero nient’altro che un orfanello da crescere, non un figlio.»  

«Ma ti ha cresciuto come tale, e ti ha lasciato tutto ciò che aveva. Ti ha spianato un futuro, Tony, esattamente come un padre dovrebbe fare. Quante altre persone hanno avuto questa fortuna, nella tua stessa situazione?» gli chiese retorico Happy, e lo stava guardando dritto negli occhi. Tony si sentì profondamente colpito, da quel fatto e il suo pensiero volò subito a Peter, che decise di chiamare non appena l’uomo aveva lasciato la stanza – promettendogli che, per qualsiasi cosa, avrebbe potuto fare affidamento su di lui. Non gli aveva risposto, ma gli era quasi grato per aver intrattenuto quella conversazione con lui; era stato illuminante.

«Non volevo forzarti a chiamarmi, ma sono felice di sentirti.»  La voce di Peter era sottile. Sembrava quasi che, con quella accortezza, volesse in qualche modo evitare di romperlo, e Tony capiva, perché effettivamente si sentiva quasi spaccato a metà. Diviso, ma non del tutto. Una sensazione orrenda.

«Sono sparito tutto il giorno. Direi che sono stato solo abbastanza», gli disse e si buttò sul letto, ancora disfatto dalla mattina. L’odore suo e di Spider-Man che si alzava dalle coperte. Ho bisogno di te, avrebbe voluto dirgli, ma era difficile persino ammetterlo a se stesso. Deglutì aria.

«Come stai? Lo so… lo so, è una domanda idiota ma lo sai cosa intendo.»

«Bene. Sto bene ed è questo a preoccuparmi. Happy mi ha detto che dopodomani ci saranno i funerali e che lui si è proposto come mio tutore legale. Ho reagito come se non mi avesse appena detto che la mia vita ha appena subito un cambiamento radicale. Peter, io non ho più i genitori», gli disse, come se sottolinearlo potesse dargli una botta, un colpo in grado di risvegliarlo e sì, magari consapevolizzare quel fatto, ma niente. Nemmeno così ci riuscì.

«Come ti ho detto, è normale sentirsi come se non fosse accaduto. Avrai alti e bassi, giornate normali e giornate infernali. Prima o poi ti renderai conto che è successo, e sarà un colpo ma da lì le cose cominceranno a migliorare, vedrai. So che sembra assurdo ma… ci sono passato e so che è così», cercò di rassicurarlo Spider-Man; una dolcezza nella voce che dava i nervi – e si sentì dannatamente stupido, a provare quel lieve fastidio, e allo stesso tempo lo rasserenava. Si sentì solo più confuso. «Hai sentito gli altri?»

Sbuffò. «Mi stanno tartassando di telefonate, ma li ho ignorati. Possibile che la gente non si renda conto che, forse, ho voglia di non sentire e vedere nessuno?» sbottò, innervosito da quel fatto. Si mise su un lato; la testa poggiata sul cuscino.

«Se non ci passi, non puoi saperlo, ed è quasi impossibile da spiegare. Manda loro un messaggio. Vuoi che lo faccia io?»

«No, non preoccuparti. Più tardi me ne occuperò. Tu, piuttosto,» esordì, poi tornò a appoggiare la schiena contro il materasso e si posò una mano sulla fronte, fissando il soffitto, «come stai?»

Peter tacque. Rimase in silenzio per qualche secondo, prima di sospirare e, da quel che sembrava, dire la verità perché non era in grado di mentirgli. Mai. «Sono molto preoccupato, Tony. Non te lo nascondo, ma è solo perché vorrei poter fare qualcosa per aiutarti, ma non so cosa. Ho paura di fare peggio, di non esserti veramente di supporto. Mi sento inutile.»

«Sei veramente un idiota se pensi una cosa del genere. Se fossi davvero inutile come pensi, ti avrei ignorato come ho fatto con tutti gli altri.»

«È vero...» gli disse, e Tony si sentì quasi sollevato nel sentirglielo dire con un tono di voce decisamente più alleggerito. «Comunque non preoccuparti per me. Pensa a te e a te soltanto. Quando vorrai vedermi, me lo dirai tu. Sono il tuo amichevole Spider-Man di quartiere, dopotutto», tentò di ironizzare, e Tony apprezzò quel tentativo di rasserenarlo. Fu per quel motivo che, tirando un grosso respiro, ammise infine di aver bisogno di lui, in quel momento come in nessun altro.

«Voglio che tu venga ora. Adesso, ora.»

Non poteva vederlo, ma Tony era certo che Peter stesse sorridendo, dietro a quella cornetta. «Arrivo.»

 

 

Se lo tirò addosso. Immediatamente. Non appena varcò la soglia della sua stanza, strinse le dita intorno alla sua giacca, nel solo ed unico tentativo di togliergliela. Peter lo fece fare, e fu felice della libertà che gli stava dando. Tony gli baciò le labbra con tanta foga, che sentì una fitta dolorosa in mezzo alle costole, tra i reni e lo stomaco. Aveva voglia di piangere, di urlare, di fare l'amore con lui, con tanto impeto da poterci morire. Aveva voglia – soprattutto, di spegnere il cervello e dedicare quegli istanti solo a sfogarsi e nulla più. Fecero l'amore, in modo disperato, anzi… no, quello non era fare l’amore. Fu solo rabbia repressa e rancore esplosivo. Lo aveva morso ovunque e non gli era importato niente delle sue proteste. Aveva continuato. Lo aveva marchiato e si era spinto indelicatamente oltre la dolcezza, l’accortezza e la decenza. Egoista e egocentrico come lo sarebbe stato una volta, quando Peter non faceva ancora parte della sua vita e non era ancora stato il unguento sulle sue allegoriche ferite dell’anima. Gli strinse le dita intorno ai fianchi, alla fine, e quando poi il piacere di quel frettoloso e per nulla soddisfacente orgasmo si affievolì, alzò gli occhi su quelli di Peter sotto di lui, e crollò. Gli posò la fronte sulla sua e scoppiò a piangere senza alcuna tristezza; era rabbia, rancore, ingiustizia. Si sentiva perso e tradito, insoddisfatto; spaccato .

Sentì le mani tremanti dell'altro posarsi con gentilezza sulle sue guance ancora bollenti. Sussurrava dei piccoli ehi, con la voce ancora spezzata dall'amplesso e i capelli appiccicati alla fronte sudata. Si fece baciare con delicatezza, a fior di labbra, mentre le lacrime gli bagnavano il viso e Peter le raccoglieva nella sua bocca, baciandogli le guance umide. Faceva male. Era consapevole ma ancora non del tutto. Sapeva e non sapeva. Aveva capito ma non era successo davvero. Si sentiva arido, insipido, con la sola premura delle coccole del ragazzo che amava ad affievolire debolmente quel dolore. Si lasciò cadere sul materasso, accanto a lui, che non perse tempo ad accogliere la sua testa sulla spalla, e ad abbracciarlo. Gli baciava la fronte, di tanto in tanto. Va tutto bene, diceva a volte, sebbene nessuno dei due ci credesse davvero. Passerà, Tony. Il mondo continua a girare. La vita va avanti lo stesso.

E, sebbene Tony non fosse l'unico al mondo, ad aver fatto i conti con una perdita mostruosamente ignobile come quella, era troppo sicuro che la vita non avrebbe comunque più avuto lo stesso senso, da quel momento in poi.

 

 

Il funerale fu solo un nuovo momento di distacco da ciò che era reale e ciò che non lo era; fuori dalla portata della sua mente. Immagini lontanissime, come quelle di un film visto in dormiveglia. Un'esperienza tanto inquietante, quanto irritante. Più non mostrava segni di sofferenza e di disperazione, più la gente cercava di tirargli fuori quelle sensazioni, con la forza. Come se potesse risanare qualcosa, esternare una tristezza che per ora era solo velata di rabbia. Come se, sentirsi a quel modo, potesse farli tornare da lui, i suoi genitori. Nick Fury prese un microfono, pronto a fare l'ultimo discorso, dopo quello di moltissimi altri. Non ne sentì chiaramente ogni parola e quelle poche che gli arrivarono alle orecchie furono un indistinto mormorio attufato. Fu solo l'ultima frase, a farlo ridestare per un secondo; sbarrò gli occhi, e fu consapevole. Non della morte dei suoi genitori: quello era ancora un obiettivo lontano. Fu consapevole della rabbia che aveva covato e che ora, come un fulmine, gli aveva appena spaccato in due la testa. Si sentì rovesciare lo stomaco. Represse un conato di vomito.

«Assurdo che, l'uomo degli eroi, sia morto senza che nessuno di loro potesse salvarlo.»

A quella frase, carica di un’indecorosa ingiustizia, guardò Peter, accanto a lui. Un completo nero con la cravatta e lo sguardo fisso nel vuoto. Spider-Man nella sua veste migliore. Un lampo di pensieri aggrovigliati gli scoppiò tra mente e anima e chiuse gli occhi con dolore, nel solo ed unico tentativo di scacciare via quel marasma di crudeli congetture e accuse che aveva appena realizzato – rivolte a qualcuno che non avrebbe mai fatto del male a nessuno. Nemmeno volendo. Pensieri che, in quel momento, non riuscì a districare e mettere in ordine.

 

 

«Tony…»

Erano a casa. Finalmente, avrebbe detto in una circostanza totalmente diversa, ma Tony sapeva che, di fatto, non vi era alcun sollievo, nell’aver raggiunto quel luogo vuoto, non più familiare, non più caldo. Gelido, come un inverno rigido e spento, privo della luce del sole e dei colori dell’estate. Era tornato in un posto che non gli apparteneva più, sebbene quella casa fosse una parte dell’eredità che suo padre gli aveva lasciato, insieme a tante di quelle cose di valore, di cui ora gli importava meno di zero. Meno dello sguardo trafitto dal dolore che Peter gli aveva appena rivolto, chiudendosi la porta della stanza alle spalle, con fastidiosa gentilezza. Il ragazzino caotico e chiacchierone, che cercava sempre di non fare rumore.

Gli diede i nervi.

«Che c'è?» rispose, brusco, poi si passò una mano tra i capelli, frustrato.

L’altro sospirò e fece un passo avanti, verso di lui, cercando i suoi occhi, e Tony non glieli lasciò trovare. «La mia presenza non ti è chiaramente di conforto, anzi. Forse è meglio che me ne vada e che ti lasci un po’ solo. Non hai bisogno di me», disse, con pacatezza, e Tony si batté una mano sulla coscia, schioccando la lingua, in quel vizio insofferente che da un po’ non gli era appartenuto più, siccome era stato felice, per un breve tempo, che ora sembrava già troppo lontano.

«Perché pensi sempre di essere quello che non ne combina una giusta e che ha bisogno dell’approvazione di tutti? Cos’è, un modo per farti compatire?»

Spider-Man sbatté le ciglia, smarrito. «Cosa?» Tony alzò gli occhi al cielo, spazientito.

«Sembri sempre la vittima sacrificale di tutti! Ma lascia che te lo dica, Peter: oggi non avrai la mia compassione, se è quella che vai ricercando. Non sono proprio in vena di assecondare anche te! Non ne ho la forza!»

Calò un breve silenzio, mentre Peter cercava di assimilare quelle parole e tentava, inutilmente, di nascondere il suo sguardo ferito e mortificato da quell’accusa. Lo vide deglutire aria e corrugare la fronte, nel patetico intento di risultare tutt’altro che la vittima che invece, per Tony, era. «So che non lo pensi davvero, e che stai parlando condizionato da tutta questa situazione e lo capisco, ma per favore… calmati. Volevo solo dirti che, forse, è arrivato il momento di lasciarti un po’ da solo. Abbiamo speso le ultime due settimane senza quasi mai staccarci l’uno dall’altro e forse hai bisogno che anch’io mi distacchi. Anche solo per un po’ e…»

«Senti, basta stronzate! Io ci ho pensato a lungo, e sai cosa? Non mi sta bene», lo interruppe, privo di qualsivoglia interesse nei riguardi di tutte quelle scuse che gli stava rifilando. Stanco di sentirlo sempre così incline a cercare una soluzione, anche quando questa non c’era. «Non mi sta bene il fatto che tu e Happy lo sapeste e non mi abbiate detto niente. Mi fa incazzare da morire il fatto che mi abbiate tenuto all’oscuro di tutto! Mi avete mandato in quel dannato ospedale a riconoscerli, con la stracazzo di speranza che li avrei trovati vivi e invece non è stato così!»

«Hai detto di averlo capito anche tu, quando eravamo in macchina! Tony, non stai ragionando con lucidità, ed è normale che sia così, però ora calmati!» gli intimò Peter, alzando le mani e facendogli cenno di chetarsi, di respirare. Questo, se possibile, lo fece innervosire ancora di più.

«Calmarmi?» chiese, poi si esibì in una risata sguaiata, senza alcun entusiasmo e gli puntò un dito sul petto. «No, io non mi calmo! E sai perché? Perché non è solo questo, il problema. Vuoi sapere la verità?»

«Tony, non sei lucido», ripeté Peter.

«Sì che lo sono! Tu, e i tuoi stracazzo di sensi sviluppati! Mio padre si fidava di te! Ti ha permesso di migliorarti, ti ha reso quello che sei oggi e tu? Tu non hai nemmeno avvertito che stesse succedendo qualcosa, e non li hai aiutati?»

«Che accidenti stai dicendo?»

«La verità!» urlò, e gli fischiarono le orecchie. Peter indietreggiò, impaurito, incontrando con la schiena la parete. Un limite al quale non poté sfuggire, quando Tony lo intrappolò, appoggiando le mani sul muro, con decisione. Ce l’aveva a morte con lui, dal momento in cui, in macchina, gli aveva detto quel: «Non voglio dirtelo». Lo aveva tenuto all’oscuro di tutto, pur sapendo già troppo e non era stato in grado di salvarli, i suoi genitori. Lui, Spider-Man, quello che per la vita degli altri avrebbe dato la sua volentieri, anche un milione di volte di seguito. Peter, che le ingiustizie non le tollerava, ma che stavolta aveva finto che nulla fosse successo.

«Non funzionano così, i miei sensi! Io… io non avrei potuto avvertire il pericolo in una situazione del genere! Non puoi credere sul serio che io abbia ignorato la cosa e li abbia lasciati morire!» Peter si era messo sulla difensiva. Respirava a mozzichi. Annaspava aria, nel panico. Quasi sopraffatto dalla paura, ma coraggioso come sempre. Un comportamento ridicolo, fasullo, indecente, imperdonabile. Tony avrebbe voluto dargli un pugno, se solo non avesse preservato un minimo di autocontrollo, che sapeva comunque avrebbe presto perso.

«Certo,» sbuffò, e rise. Rise di nuovo. Sbuffò quella risata dalla bocca al sapor di veleno, che finì di spegnergli il cervello, «è stato bello, vero? Ignorare la cosa, perché eri troppo impegnato a farti scopare da me, non è così?»

Silenzio. Fu il silenzio, a determinare la pesantezza di quel momento e, soprattutto, di quella accusa. Peter lo guardava, con gli occhi spalancati su quella cattiveria che gli aveva appena sputato addosso e Tony, pur cosciente di dover ritirare subito quello che aveva detto, tacque. Lo fece, infilando gli occhi nei suoi, alla ricerca di un perdono che comunque non stava ricercando davvero. Si sentiva sospeso tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Si sentiva attore e spettatore della propria vita. Sentiva in mano le redini della discussione, ma non abbastanza strette tra le dita da poterle gestire con razionalità. Ce l’aveva a morte con lui, ma dentro di sé sapeva che Peter non c’entrava niente, che non avrebbe potuto fare niente. Che, di fatto, era successo e basta e non era colpa di nessuno.

«Non lo pensi davvero… tu, non lo pensi davvero, Tony.»

«Cristo, Peter! Dimmelo! Come faccio a non pensarlo? Tu salvi la gente e poi non lo fai davvero! Gli altri sì e loro no! Perché loro no?» urlò, infine, e tirò un pugno al muro, così forte che si fece un male cane. Gli tremarono le labbra. Aveva sfiorato per un soffio il viso di Peter, che era rimasto immobile, perché lo aveva sentito sicuramente arrivare, quel colpo. Perché lo sapeva, che non lo avrebbe colpito davvero. Perché i suoi sensi erano sviluppati ma funzionavano solo quando non avrebbero dovuto. Voleva fargli male ma non ci riuscì. Voleva dirgli che era colpa sua e basta, perché quell’accusa era l’unico modo che aveva di sentirsi meglio e in pace con se stesso.

Peter lo guardò intensamente per un tempo che sembrò tanto infinito da spezzarsi immediatamente. Quando quel silenzio fu insostenibile, gli poggiò le mani sul petto e lo scansò, senza doverci mettere la forza di quel pugno che lui, istintivamente, aveva tirato al muro. Spider-Man continuò a tacere, mentre lo guardava. Attendeva silenzioso qualcosa che dalla bocca di Tony non sarebbe mai arrivato. Una scusa, una spiegazione, un passo indietro? No, non era quello che avrebbe fatto, sebbene quella leggera luce in fondo al tunnel, gli stesse chiaramente dicendo che doveva fare quel passo. Doveva dirgli qualcosa. Qualunque cosa.

«Dimmi che non mi stai accusando di non averli salvati, Tony», disse, infine, duro ma allo stesso tempo un velo di speranza vibrò disperata in quella supplica. «Dimmelo, per favore. Ho bisogno che tu me lo dica.»

E Tony non rispose. Si limitò a guardarlo, con una patina di incomprensione calato sul viso e sull’anima. Avrebbe dovuto quantomeno ammettere di aver detto cose troppo crudeli per pensarle davvero. Avrebbe dovuto ammettere che non c’era razionalità, in quelle cattiverie sparate a raffica senza alcuna premura. Senza alcuna logica. Avrebbe dovuto abbassare lo sguardo e chiedergli scusa; ammettere che era stata la rabbia a farlo parlare. Ammettere che, quella situazione, lo stava logorando e non sapeva più nemmeno cosa accidenti gli passava per la testa. Ma non lo fece perché di fatto, non era quello che pensava in quel momento. Lui aveva ragione e Peter aveva torto. Di questo era certo ed era inamovibile, come sempre.

Fu per quel motivo che, senza aspettare oltre, Spider-Man gli lanciò un’ultima, speranzosa occhiata, per poi allontanarsi, dandogli una spallata. Recuperò la giacca da sopra la sedia, defilandosi poi dalla stanza, sbattendo la porta con una collera che non gli si addiceva. Tony lo aveva seguito con lo sguardo tutto il tempo, vuoto come un pupazzo senz’anima, che era esattamente ciò che era in quel momento. Fissò la porta chiusa per minuti interi, prima di realizzare, senza alcuna possibilità di riscatto, di aver appena perso anche Peter e che non lo avrebbe mai rincorso per riportarlo da lui.

 

...

 

Non lo sentì più. Le vacanze di Natale erano finite e non si erano sentiti nemmeno per un secondo, sebbene Tony avesse cercato in tutti i modi di trovare il coraggio di chiamarlo, col solo scopo di chiedergli scusa e dirgli che lo amava così tanto da non riuscire a dimostrarlo nemmeno a se stesso. Il ritorno a scuola fu solo l’ennesimo trauma, l’ennesima scocciatura che non avrebbe mai voluto affrontare, ma dovette farlo mettendoci tutta la forza che gli era rimasta in corpo. Aveva passato sedici giorni in totale solitudine. L’unico essere umano a cui aveva permesso di avvicinarsi, era stato Happy, ma solo perché aveva dovuto farlo per forza maggiore, per motivi legali e familiari perché se avesse potuto, avrebbe infilato la testa sotto la sabbia, nel solo intento di sparire per sempre.

Lo vide, Peter, all’entrata di scuola, chiuso nel suo cappotto verde militare. Lo vide avvicinarsi ai suoi amici di sempre; le dita strette intorno allo zaino, come di consueto, e un sorriso tanto forzato da non poterlo ignorare e che faceva un male cane. Tony sentì una fitta alla testa e una al petto. Non lo vedeva da quel giorno, in cui lo aveva accusato di troppe cose, senza sentirsi minimamente in colpa, se non qualche giorno dopo, quando ormai era tardi. Quando ormai aveva perso tutto. Proprio tutto.

Peter alzò la testa e incrociò i suoi occhi. Quelli di Spider-Man si spalancarono, lucidi come specchi d’acqua su un ghiacciaio, grigi e privi di quelle emozioni che avevano sempre illuminato il suo incantevole viso; li abbassò subito, piegati dalle sopracciglia inarcate, deluse, perse nei ricordi di qualcosa che non si sarebbe mai più ripresentato. Avrebbe dovuto avvicinarsi, e dirgli che era stato uno stronzo insensibile, che non aveva mai realmente pensato quelle cose. Avrebbe dovuto avvicinarsi e chiedergli un’altra chance. Avrebbe voluto farlo, ma non lo fece perché era un orgoglioso di merda e un codardo; più i giorni passavano, più Tony si rendeva conto che Peter, un’altra occasione, non gliel’avrebbe mai permessa e, lo sapeva, nemmeno la meritava.
 


Fine Capitolo X

 
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You say "Goodbye" and I say "Hello, hello, hello".
I don't know why you say "Goodbye", I say "Hello, hello, hello".
I don't know why you say goodbye, I say hello
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Hello Goodbye - The Beatles


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Angolo angoloso angolare di Miryel, che ha l'anima spaccata in due:
Buonsalve,
Lo sentite quel rumore indistinto e lontano che fa crack? Sì? Beh, è il mio cuore che si lacera, lentamente.
Ci siamo arrivati, infine, al fantomatico capitolo I, che tutti, ma proprio tutti, me compresa, volevamo un po' dimenticare. Invece eccolo, il motivo. Due vite si incontrano e vengono spezzate da un lutto, da uno dei due che si perde e che, alla fine, non sa più cosa gli è caro e cosa no. 
Tony Stark sa amare, ha un cuore, ma quanto è difficile riuscirci senza rovinare tutto? Per lui, a quanto pare, moltissimo.
Peter Parker ti dà cento possibilità, ma se non parli, se non gli dai la possibilità di farti perdonare, ti chiude la porta in faccia. 
Ecco cosa sono, loro due, per me. Promotori di un amore che è destinato sempre a vederli combattere per tenerlo a galla e non farlo sprofondare nelle oscure acque dei loro tormenti.
Ecco, cosa sono per me e sappiate che fa sempre male, dividerli. Sembra quasi inconcebile, vero?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio sempre chi sta continuando a seguire/recensire/preferire questa storia. Ci vediamo venerdì/sabato prossimo, con l'epilogo ♥ 
Grazie per essere ancora con me,
un abbraccio,
Miry


 

   
 
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