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Autore: Tigre Rossa    23/04/2019    1 recensioni
Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.
- David Foster Wallace-
'Thorin alzò di scatto la testa, come se quella voce che sapeva di non poter più sentire fosse davvero lì, come se quella voce che avrebbe riconosciuto tra mille fosse reale e provenisse proprio di fronte a lui, come un eco lontano portato dal vento.
E fu in quel momento che lo vide.
Fu allora che vide Bilbo per la prima volta.
In piedi dietro al suo corpo infranto, come un fiore schiacciato che dà il suo estremo saluto al sole, il piccolo hobbit aspettava di incontrare il suo sguardo, i grandi occhi blu aperti e lucidi, la scia timida di una lacrima che gli apriva la guancia destra come una ferita.
Ma quella, per quanto delicata, era la sua unica ferita.'
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Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Primavera svanita

 

 

 

 


 

 

 

“Quando la primavera svanisce, v’è il rimorso di non averla guardata abbastanza.”
-Emily Dickinson-

 

 


 

 

“Nel nome di Durin, che cosa stai facendo?” sbruffò Thorin, senza sapere se essere irritato o semplicemente divertito per aver trovato il proprio scassinatore rannicchiato in una piccola distesa di fiori.

Lo hobbit, preso alla sprovvista, sobbalzò e si voltò di scatto, per poi diventare visibilmente rosso. Si alzò in piedi quasi all’istante, stringendo ancora senza accorgersene uno di quei fiorellini azzurri che tanto avevano catturato la sua attenzione.

“I-io stavo . . . stavo solo . . .” balbettò, chiaramente a disagio “guardando questi fiori, e-ecco. Non pensavo che sarei riusciti a vederne quest’anno, con il viaggio verso a montagna e tutto il resto. So che raramente sbocciano in altura.”.

Il nano dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo a quelle parole. Si trattava dell’ennesime sciocchezze da hobbit, dunque. Tutte le volte che lo aveva ascoltato parlare con qualcuno della Compagnia, fino a quel momento, lo aveva sentito solo parlare di piante e fiori, se non si trattava di cibo. Quelle creaturine sembravano avere una passione particolare per questa roba verde, e Bilbo non era decisamente un’eccezione.

Anche solo qualche settimana fa avrebbe commentato in modo sprezzante una simile ammissione, ma da quando quello scricciolo lo aveva salvato da Azog, mettendo a rischio la propria vita, si era ripromesso di comportarsi in modo migliore nei suoi confronti. Non era stato corretto né gentile, senza nemmeno prendersi la briga di conoscerlo davvero, e aveva giurato a se stesso che avrebbe rimediato a tutto ciò e che in futuro non gli avrebbe fatto più alcun torto.

Nemmeno questo giuramento sono riuscito a mantenere.

Così si costrinse a dare uno sguardo più attento al fiorellino che l’altro stringeva ancora in mano e rispose “In effetti mi sembra di non averne mai visti, attorno ad Erebor. Hanno un nome?”.

Bilbo lo fissò per mezzo secondo, sorpreso da quell’inaspettato interesse, ma subito dopo si animò ed iniziò a parlare con entusiasmo “Non so come vengano chiamati tra gli uomini e gli elfi, ma per noi sono i non ti scordar di me. Ogni anno il giardino di casa Baggins ne è colmo; è uno spettacolo mozzafiato.”

Mozzafiato, addirittura? Il guerriero scrutò ancora il fiorellino. Sembrava così semplice, con quel suo colore tenue e quei quattro petali che si ritrovava. Non avrebbe potuto competere nemmeno con la più piccola gemma trovata nella più povera miniera di tutta la Terra di Mezzo.

“Hanno un nome davvero insolito.”

“Oh sì, viene da un’antica leggenda.” aggiunse lo hobbit.

Thorin, incuriosito, inclinò appena la testa “Ovvero?”.

Egli esitò per un momento, prima di iniziare a raccontare “Si narra che, tantissimo tempo fa, due innamorati stessero passeggiando lungo il fiume Brandivino e che, accidentalmente, la fanciulla cadde in acqua. Gli hobbit, purtroppo, non sanno nuotare bene; nonostante ciò il suo fidanzato si buttò in acqua per cercare di aiutarla e, con fatica, riuscì a raggiungerla e a spingerla verso la riva, dove lei si aggrappò ad una grossa radice e riuscì ad uscire fuori dal fiume. Quando si voltò, certa che fosse riuscito a seguirla a nuoto, di lui non c’era più traccia. Lo chiamò disperatamente ed a lungo, ma lui non le rispose. Però, proprio nel punto dove l’aveva visto l’ultima volta e probabilmente era affogato, galleggiavano dei piccoli fiori azzurri che, trasportati dalla corrente, giunsero fino a lei. La hobbit li raccolse e, con il cuore spezzato, pianse tutte le sue lacrime. Non riuscirono mai a trovarne il corpo e non poterono celebrare alcun funerale. Ma lei voleva dirgli addio, in qualsiasi modo.

Così l’innamorata rimasta sola si recò nel luogo dell’incidente e lasciò andare di nuovo quei fiori in acqua, sussurrando prima sui loro petali che non l’avrebbe mai dimenticato e non avrebbe mai smesso di amarlo, nella speranza che riuscissero a portargli quelle parole mai dette. Così, quei semplici fiorellini azzurri divennero il legame tra i due innamorati separati e da quella promessa mai pronunciata divennero i non ti scordar di me”.

Il nano rimase in silenzio per qualche istante “E’ una storia molto triste.” riuscì solo a commentare. Si sarebbe aspettato qualsiasi altra cosa, ma non una tragica storia su due cuori spezzati. Non era un racconto che pensava potesse appartenere a quel popolo allegro e luminoso.

L’altro annuì “Ma anche molto amata. Ogni hobbit la conosce, e da noi è diventata tradizione indossare tra i capelli, nel giorno del proprio matrimonio, una corona di fiori, spesso proprio non ti scordar di me, come simbolo delle promesse di quel momento. Ma soprattutto, sono molto usati ai funerali.”

“Ai funerali?”

“Quando il proprio marito o la propria moglie muore, il coniuge ancora in vita di solito gli pone sul capo una corona di non ti scordar di me, come un giuramento di non smettere di amarlo mai. Oppure, lo fa una persona che non ha mai dichiarato il proprio amore, quando l’amato non c’è più.”

Il guerriero aggrottò la fronte “Perché?” chiese, sinceramente confuso.

“Perché cosa?”

“Perché qualcuno che non ha avuto il coraggio di ammettere i propri sentimenti prima dovrebbe farlo quando la persona che ha amato ormai non può saperlo?” insistette, senza riuscire davvero a capire ”È inutile ed è egoistico. È come voler avere delle pretese su una persona che in realtà non è mai stata tua, perché tu non hai avuto la forza di fare nulla prima.”.

Bilbo tirò su col naso, facendo quel piccolo movimento circolare che tanto spesso aveva catturato l’attenzione dell’altro “Io non la vedo così. Non credo sia inutile, perché è un modo per mostrare ad una persona quanto sia stata importante per te, prima di dirgli addio, e credo che in qualche modo, anche dopo la morte, quella persona possa sentirlo. Voi non avete niente di simile? Qualche tradizione del genere?”.

Egli fece un lento segno di assenso “Sì, ci sono delle trecce che facciamo, prima di seppellire i nostri cari.” ammise, con un po’ di riluttanza ”Ma sono personali, speciali, ed è permesso intrecciarle solo a chi è stato veramente importante per il defunto. La madre, il padre, il fratello, il figlio, la figlia, il marito o la moglie. Nessun altro.”.

“Capisco.” rispose pensieroso lui “Beh, noi permettiamo di farlo anche a chi non ha mai ammesso i propri sentimenti prima. Cosa può esserci di più doloroso di dover dire addio ad una persona amata che non ha mai avuto la possibilità di sapere quanto fosse speciale per te? E poi, molte cose possano impedire che questi sentimenti vengano rivelati, non solo la codardia o debolezza.”

“E cosa allora?” insistette il nano, non riuscendo a cogliere cosa l’altro stesse cercando di spiegargli.

“Magari semplicemente non c’è stato abbastanza tempo.” replicò, stringendosi nelle spalle “Oppure la persona amata era già legata a qualcuno, o non avrebbe accettato alcun corteggiamento. Forse pensava che non sarebbe riuscito a conquistare il suo cuore. Forse erano troppo diversi, o non avrebbe mai potuto accettare i suoi sentimenti.”. Poi, abbassò lo sguardo sul fiorellino, accarezzandone lentamente i petali e sussurrando a voce appena appena più bassa “O, semplicemente, era un amore impossibile.”.

Alzò di nuovo in fretta lo sguardo e continuò, con tono nuovamente forte “Ma, qualsiasi sia stato il motivo, un amore non dichiarato non è un amore mai nato, ma semplicemente un amore che ha conosciuto solo la luce delle stelle, e mai quello del sole. E come qualsiasi altro amore, merita di essere celebrato, quando l’altra metà di te se ne va.”.

Dopo qualche lungo momento, il principe annuì lentamente. “Suppongo che tu abbia ragione.” esitò per un momento, prima di osare chiedere “Perché allora hai tanto affetto per questi fiori? C’è qualcuno che ti aspetta a casa, forse?”. Non avrebbe mai pensato che quel piccolo scricciolo avesse una innamorata o un innamorato, ma la sua reazione, la luce che aveva negli occhi mentre parlava d’amore e il modo in cui si aggrappava a quel fiorellino non potevano avere alcuna altra spiegazione.

Bilbo lo fissò per un momento, sbalordito, prima di scoppiare in una lieve risata. “No, assolutamente no. Scapolo da sempre e per sempre, temo.” ammise, notando la sua confusione “Semplicemente mi piacciono questi fiori e ciò che simboleggiano, e basta.”.

“Uhm.” Il guerriero, non convinto da quella risposta, lo fissò per qualche altro momento, facendo attenzione al modo in cui stringeva quel fiore, come se fosse la sua sola ancora di salvezza.

Un amore impossibile, forse?

La domanda era lì, pronta a sfuggirgli dalle labbra, quando riuscì a soffocarla. Non poteva chiedergli una cosa del genere, e anche se avesse avuto ragione chiederglielo avrebbe solo aggiunto un’ulteriore sofferenza inutile, e basta. E lui aveva giurato di non fargli più alcun torto.

“Capisco.” si limitò a dire “Beh, per quanto possano essere affascinanti le vostre storie di fiori, mastro Baggins, temo che sia il momento di dirgli addio e venire a darci una mano per preparare le ultime cose. Non credo che Beorn ci voglia sotto al suo tetto più del necessario.”.

“Oh, i-io . . . certo! Chiedo scusa, arrivo subito!” esclamò imbarazzato lo hobbit, arrossendo di nuovo.

Il capo della spedizione annuì e si voltò, allontanandosi piano. Quando fu ad una certa distanza, però, si voltò a guardarlo ancora una volta.

Bilbo era ancora lì, in mezzo ai fiori, ad accarezzarli con le punta delle dita, lo sguardo smarrito in quel pallido manto celeste.

Sembra un sospiro di primavera.

Thorin si fermò, colpito da quell’immagine, mentre le ultime parole di quella conversazione gli vorticavano nella mente.

Chiunque sia, il suo amore non può essere impossibile. Chiunque lo amerebbe, dopo un po’. Nemmeno il più cieco dei cuori può restare insensibile alla fragilità luminosa della primavera.

 

Non avrei dovuto permettere alla mia fragile primavera di svanire.

 

Lontano su nebbiosi monti gelati . . .

 

Bilbo era seduto sul suo letto, facendo dondolare le gambe e canticchiando a bassa voce come un bambino in attesa di qualcosa, mentre lo osservava preparare la propria sacca per il breve viaggio.

“Ti dispiace?” sbottò Thorin, più bruscamente di quanto si aspettasse, anche se in realtà avrebbe preferito che quella voce tanto bramata non svanisse mai. Ma, per quanto la sua anima si risollevasse nel sentirla, non poteva sopportare di udirla intonare quel canto che, senza saperlo, aveva segnato la condanna a morte del piccolo hobbit

“Ti dà fastidio? Pensavo che questa canzone ti piacesse.” chiese quest’ultimo, preso un po’ alla sprovvista da quella reazione improvvisa.

Il nano trattenne a stento un sospiro frustato. “Non più. Da un po’ di tempo, ormai.” si limitò a borbottare tra i denti.

Egli parve capire, o forse semplicemente non volle indagare di più, e continuò con ritrovata spensieratezza “Beh, potrei cantare qualcos’altro. La canzone che hanno improvvisato i ragazzi quella sera a casa mia, sparecchiando, magari. O anche quella che ha cantato Bofur dagli elfi, se solo ricordassi tutte le parole. So che ti piaceva, ti ho visto battere i piedi a tempo quella volta.”

Questa volta non riuscì a reprimere un sospiro. “Devi cantare per forza, grillo?” lo canzonò d’istinto, e in tutta risposta egli gli fece un’infantile linguaccia e borbottò un finto offeso “Antipatico.”.

Ecco.

Erano quei attimi in cui si comportavano come se tutto fosse normale, come se non fosse successo nulla, che il re si rendeva conto che niente di tutto questo poteva essere frutto della malattia. Nemmeno la sua mente malata sarebbe riuscita a ricreare simili momenti di complicità che col tempo, lungo la via, gli erano divenuti così naturali, né quei scambi di battute che non avevano mai esitato a scambiarsi. E non, soprattutto, quella sensazione di pace che tutto ciò gli dava.

In quei momenti sembrava davvero che Bilbo fosse realmente lì, di nuovo al suo fianco, vivo e vegeto.

Ma quell’illusione durava sempre troppo poco, ed ogni volta che si infrangeva sotto il peso di ciò che era successo faceva un po’ più male. Eppure, Thorin aveva iniziato a tenersi ben stretto quella lieve sensazione di sollievo che quell’illusione gli dava, anche se non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso. Non poteva, in fondo.

“Comunque, credo di essere un po’ entusiasta. Non lascio la Montagna da quando . . .” lo hobbit si bloccò e si affrettò a correggersi “Beh, da un bel po’. Sarà divertente.”

Il sovrano continuò a ordinare le proprie cose ed a metterle via con attenzione, costringendosi ad ignorare il nodo che gli si era appena formato al centro “Non vedo dove sia il divertimento. Dobbiamo solo ritirare i rifornimenti.” disse “E tu non sei costretto a seguirmi, lo sai.”.

“Sì sì, lo so. Ma credo che finirei per annoiarmi, qui da solo.” replicò, ruotando il naso come faceva solo lui, in quel movimento circolare tutto suo “Sarà divertente lo stesso venire con voi ed uscire all’aria aperta, anche se non potrai darmi retta.”.

Ormai avevano capito entrambi che, nonostante a quanto pare Bilbo non fosse solo un prodotto della mente del nano, nessuno oltre a lui sembrava vederlo od essere consapevole della sua esistenza. Di conseguenza l’ombra aveva iniziato a limitare le sue interferenze, quando c’erano anche gli altri. Aveva continuato a seguirlo, ma a parte qualche commento sporadico gli parlava direttamente solo quando erano solo, magari al sicuro nella sua stanza, dove nessuno della Compagnia aveva il permesso d’accedere. Si era reso conto che spingerlo a parlare al nulla di fronte a tutti non gli avrebbe giovato, non dopo ciò che era successo con Smaug. E lui, più di qualsiasi altra cosa al mondo, non aveva alcuna intenzione di metterlo in difficoltà, non ora che Thorin aveva compreso che non era una mera illusione.

“Se ne hai così tanta voglia, perché non sei uscito prima, invece di restare chiuso qui e venirmi dietro per un mese?” chiese quest’ultimo.

Lo hobbit si strinse nelle spalle ed cambiò in fetta argomento, evitando così accuratamente di rispondere “È bello che tu sia riuscito a stabilire dei rapporti pacifici sia con il Reame Boscoso che con Dale, per quanto siano ancora fragili. Avete bisogno l’uno dell’altro, ora più che mai.”.

“Non si può non scendere a compromessi, una volta che si è condivisa una guerra.” replicò con semplicità, chiudendo la sacca “Non hai ancora risposto alla mia domanda.”

Lo scassinatore si morse appena l’angolo delle labbra, un movimento rapido che però l’altro colse fin troppo bene. “Mi piace stare dove siete voi, anche se gli altri non posso vedermi.” spiegò poi, come se si fosse arreso “Mi fa sentire come se facessi ancora parte della Compagnia, in un certo senso.”.

Quelle parole, inaspettate ed atroci, lo colpirono come un pugno nello stomaco. Con difficoltà, spostò la sacca di lato e si sedette accanto a lui, così vicino che poteva quasi illudersi, se fosse stato abbastanza attento, di poter udire il suo respiro. Ma questo non sarebbe mai più successo, e lo sapevano entrambi.

“Tu fai ancora parte della Compagnia.” sussurrò, come se non avesse alcun dubbio a riguardo “Ne farai sempre parte.”.

Bilbo si voltò di scatto verso di lui, come trafitto da quell’ammissione sincera, e rimase a fissarlo per un tempo che ad entrambi parve interminabile e fin troppo breve insieme, prima di distogliere lo sguardo e posarlo sulle proprie mani, ora strette tra loro sulle proprie ginocchia. “È una cosa molto gentile da dire, da parte tua.” mormorò, ma l’altro quasi non sentì la sua risposta, perso ad osservare come le punta affilate delle sue orecchie si fossero tinte di un lieve rossore. Non avrebbe mai pensato di poterlo vedere ancora.

Piano, pesando accuratamente le parole, osò porre ancora una volta quella domanda che da giorni lo tormentava “Non vuoi ancora dirmi perché sei rimasto qui? Perché sei qui e non . . . in qualsiasi luogo in cui vanno gli hobbit?”.

Il ladro sospirò appena, come se fosse lievemente esasperato da quell’insistenza “Te l’ho già detto. Non lo so. Sinceramente, non ne ho la benché minima idea. Ma al momento non mi interessa granché.” ammise, per poi lanciargli un’occhiata furba e chiedere sarcasticamente “Cos’è, hai così voglia di liberarti di me?”

“No.” negò in fretta, come se non potesse nemmeno sopportare l’idea che lui potesse scherzare su una cosa del genere “Non è questo. Solo…non riesco ancora a capire.”.

“Nemmeno io.” disse distogliendo ancora lo sguardo, ma il re colse il movimento nervoso delle dita che si stringevano con forza tra loro, quasi come per trattenersi e darsi forza allo stesso tempo. Conosceva quel gesto, glielo aveva già visto fare infinite volte.

“Mi stai nascondendo qualcosa.” affermò, lentamente e con un leggero tono d’accusa nella voce bassa.

Lo hobbit scosse in fretta la testa “No. Te l’ho già spiegato.” insistette “Un momento prima ero lì, tra le tue braccia, incapace di sentire o vedere più qualsiasi cosa, ed un momento dopo stavo guardando il mio corpo diventare sempre più freddo, con te inginocchiato proprio lì davanti.”.

Si bloccò, come se volesse dare il tempo di assimilare le sue parole, e prima che egli potesse aggiungere altro disse, come se niente fosse successo “Dovresti portare con te i ragazzi, oggi.”

Thorin aggrottò la fronte, preso di sprovvista “Che cosa centra questo, ora?”.

“Centra.” insistette ”Credo che dovrebbero venire. Dargli qualcosa da fare, uscire un po’ e relegargli qualche responsabilità li aiuterà a guarire meglio e più in fretta. E aiuterà anche te, nonostante tu non voglia ammetterlo.”.

Il sovrano si irrigidì, come faceva ogni volta che qualcuno provava a dargli dei consigli sui suoi nipoti “Non sta a te decidere.”.

“In parte credo di sì, invece.” obbiettò, per poi aggiungere in maniera scherzosa per strappargli un sorriso “E sai che sono migliore di te, quando si parla di scelte assennate.”.

“Mi permetto di dissentire.” sbruffò l’altro, tentando di non pensare a ciò che aveva appena detto.

“Oh? Nomina solo una volta in cui ho fatto una scelta avventata.” lo sfidò, incrociando le braccia ed attendendo giocosamente.

“Ci sei venuto dietro per avventurarti con un gruppo di sconosciuti in una missione di cui non sapevi niente e che aveva come fine rubare ad un drago.” fece il guerriero, come se la questione fosse tutta lì.

Lo scassinatore esitò e poi replicò “D’accordo, a parte questo, cos’altro?”.

“Ti sei infilato nell’accampamento di tre troll.” iniziò ad elencare il corvino.

“Quello non conta, mi ci hanno praticamente spinto Fili e Kili.”

“Ti sei lanciato di fronte ad Azog con solo un tagliacarte, quando siamo sfuggiti alle gallerie dei goblin.” aggiunse ancora.

Si strinse nelle spalle e commentò con un semplice “Necessità.”.

Quella sola parola strinse con calore il petto del re, ma lui si obbligò ad ignorarlo “Hai pensato bene di farci uscire dal Reame Boscoso nascosti in delle botti.”.

“Non siete ancora in prigione, no?” osservò “Quindi, non vedo di cosa ti lamenti.”.

“Hai rivelato a Smaug che venivamo da Pontelagolungo.”.

“È stato lui a capirlo, io ho tentato di nascondere qualsiasi informazione importante.”.

Tentennò, prima di osare sussurrare piano “Hai dato via l’Arkengemma.”.

Bilbo si bloccò, i grandi occhi blu colmi di senso di colpa.

“Sei . . . sei ancora arrabbiato per quello?” chiese cautamente, dimenticando per un attimo il loro botta e risposta.

Lo spadaccino scosse in fretta la testa “No. Hai fatto ciò che dovevi fare.” lo rassicurò, perché lo pensava davvero e udire il timore nelle sue parole lo faceva sentire ancora più fragile di quanto già fosse “Ma è stato comunque una scelta avventata. Non sapevi che sarei davvero tornato in me. Avrebbe potuto non funzionare. Avrei potuto . . . avrei potuto . . .” la sua voce si spezzò, senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.

Lo hobbit, d’istinto, si affrettò a rassicurarlo, cogliendo ciò che l’altro non era riuscito a dire “Ma non è successo, no? Quindi, giudicherei quella scelta più che assennata. Pericolosa, forse, ma assennata e soprattutto necessaria. Quindi, vai avanti.” insistette, deciso a farlo pensare a qualsiasi cosa che non fosse quella.

Ma Thorin non stava più giocando, e la sua ultima frase fu una sentenza definitiva, che non ammetteva difese, negazioni od attenuanti.

“Sei morto per salvarmi la vita.”.

Bilbo lo guardò, nonostante egli avesse ormai distolto lo sguardo e lo tenesse fisso nel nulla. Si avvicinò appena, tanto che, se fosse stato ancora vivo, avrebbe potuto sentire il proprio battito mischiarsi con il suo.

“Non avrei potuto fare una scelta diversa.” sussurrò semplicemente. Mosse la mano come per toccargli il braccio ma si fermò a mezz’aria, consapevole che non avrebbe sentito la pelle tesa del nano sotto le dita e che lui non avrebbe nemmeno avvertito il suo tocco.

Ma il re, come se avesse percepito quel movimento trattenuto, si voltò appena verso di lui e socchiuse la labbra, pronto a sostenere che ci sarebbe stato un altro modo, un qualsiasi modo pur di  . . .

“Thorin?” una voce ruvida tagliò l’aria, tesa come se avesse sentito troppo, o forse troppo poco. Non ricevendo alcuna risposta, Dwalin insistette da dietro la porta, ancora più preoccupato “Tutto bene?”.

Bilbo si tirò indietro, quasi temendo che il nano potesse entrare da un momento all’altro come tante volte aveva fatto in passato e vederli così vicini, anche se non poteva più farlo, e Thorin chiuse per un istante gli occhi, prima di borbottare un rauco “Sì, stavo solo . . . riflettendo a voce alta. È ora?”.

“Aye.”

Il guerriero riaprì gli occhi e si alzò, prendendo la sacca senza più osare nemmeno sfiorare con lo sguardo la sagoma ancora seduta. Se solo avesse incontrato di uovo quegli occhi feriti, non era certo di cosa sarebbe uscito dalle sue labbra.

 

 

Alla porta li aspettavano già il resto del gruppo. Dori era già seduto su uno dei quattro carri preparati per trasportare i rifornimenti, e discuteva con Balin della possibilità di chiedere a Thranduil un pagamento più basso per il pane. Se fosse stato per il re, Dori non sarebbe più uscito dalla Montagna per un po’, giovane com’era e con ancora incubi causati dalla battaglia; ma era stato di enorme aiuto nell’amministrazione fino a quel momento, e Dwalin si rifiutava di perderlo di vista o lasciarlo solo più dello stretto necessario.

Nel carro accanto c’era invece Bofur, intento a finire un piccolo flauto in osso, il viso scuro e gli occhi stanchi. Non sorrideva dalla battaglia, né rideva o scherzava. Tutto ciò che faceva era tenersi il più impegnato possibile, pur di impedirsi di pensare.

Nel vederli arrivare, Dori e Balin smisero di parlare e Bofur sollevò appena gli occhi dal suo lavoro. Thorin si limitò ad un saluto frettoloso e salì sul suo carro mentre Dwalin raggiungeva Dori, ma prima che potesse prendere le redini in mano si sentì chiamare.

“Zio, zio!”

Si voltò verso destra e vide arrivare, un po’ correndo e un po’ zoppicando, Kili, che stringeva tra le mani qualcosa.

“Cosa succede?” chiese allarmato, temendo subito che fosse successo qualcosa. Suo nipote non avrebbe dovuto correre, non con a profonda ferita alla gamba che si era appena rimarginata e che l’aveva tenuto a letto per settimane.

Il ragazzo, raggiunto il suo carro, si limitò a riprendere fiato e a rassicurarlo con un sorriso. “Niente, non preoccuparti. Speravo di riuscire a incrociarvi prima della partenza.” spiegò, per poi arrossire un po’ e tendere le mani chiuse verso di lui “Potresti . . . potresti portare questo alla delegata di Thranduil, per favore?”:

Il nano aggrottò la fronte a quella strana richiesta, ma annuì e si sporse per prendere quello che si rivelò essere una lettera sigillata con cura, che mise in tasca.

Il sorriso del nipote si fece ancora più grande “Grazie! Fate buon viaggio, allora!” esclamò, tirandosi indietro.

Solo allora il re si concesse di rispondere al sorriso “Saremo di ritorno per stasera. Vedete, tu e tuo fratello, di non distruggere la Montagna mentre siamo via.”.

Kili fece una smorfia “Tranquillo, Fili sta lavorando a delle carte e da solo non credo di poter combinare granché troppo in fretta, al momento.”.

Preferì non ribattere a quest’ultima battuta e, con un lieve cenno di saluto, fece partire il pony, seguito dai suoi compagni.

Nel preciso momento in cui attraversarono le porte, sentì un sospiro soffocato al suo fianco.

 

Chiuse gli occhi per cinque secondi, cercando mentalmente di trattenersi almeno per un po’ ma senza successo, per poi riaprirli e sbirciare con la coda dell’occhio verso la sua destra.

Bilbo, che l’aveva seguito in silenzio fino al carro, si era seduto proprio accanto a lui, e guardava come incantato il paesaggio, reso malinconico dalla neve ormai rada.

“Tutto bene?” osò chiedere, a voce così bassa che Balin, sul carro immediatamente dietro al suo, non riuscì nemmeno a coglierla.

Lo hobbit annuì “Mi ero dimenticato di come si sentisse ad uscire fuori.” mormorò, per poi chiudere gli occhi con un lieve sorriso “Mi sembra quasi di sentire di nuovo il vento tra i capelli.”.

Quella frase e quell’espressione, a metà strada tra la serenità e la malinconia, lo strinsero in una morsa che per poco non gli spezzò il cuore.

Quasi. Perché lui non può e non potrà mai più sentire nulla. A causa mia.

Prima che potesse anche solo provare a scacciare quel pensiero, un carro lo affiancò e gli occhi tesi e pensierosi di Balin catturarono tutta la sua attenzione.

Il re dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. Non parlavano dal loro ultimo litigio; da allora aveva fatto di tutto per evitarlo, ma sospettava che avrebbe approfittato di quel viaggio per tirare di nuovo fuori l’argomento, ed evidentemente non si sbagliava.

Si limitò, piuttosto, a sbirciare alle proprie spalle. Dori e Dwalin erano impegnati in una fitta conversazione –probabilmente il più giovane lo stava sgridando per aver lavorato in armeria fino a notte tarda-, e si sentì sollevato dal pensiero che così distratti non avrebbero fatto caso a loro e le loro voci avrebbero impedito anche a Bofur di ascoltare. Almeno avrebbe evitato lì imbarazzante situazione di venir rimproverato dal suo vecchio istruttore di fronte a tutti.

“Thorin.” lo chiamò Balin, riconquistando la sua attenzione a anche quella del suo invisibile accompagnatore, che riaprì gli occhi e fissò l’amico sorpreso “Vorrei scusarmi”.

Questo colse completamente impreparato il guerriero che già si aspettava l’ennesima ramanzina.

“Scusarti?”

“Aye. Ma non per ciò che pensi tu.” si affrettò a chiarire “Non mi scuserò per averti detto di ascoltare ciò che il tuo consiglio ti dice, né di dare più spazio ai tuoi nipoti, e nemmeno di fermarti un po’ e rallentare. Penso ancora tutto questo e non alcuna intenzione di scusarmi per questo.”.

Il nano aggrottò la fronte “E di cosa dovresti scusarti, allora?”.

Il vecchio esitò un momento e poi mormorò “Di aver usato il ricordo di Bilbo per scuoterti.”.

Thorin si irrigidì completamente, il fiato sospeso e il cuore immobile. Nessuno pronunciava il suo nome ad alta voce da dopo il funerale, come se fosse maledetto, come se pronunciarlo avrebbe reso quella perdita veramente reale. E sentirlo pronunciare da qualcuno adesso . . . avrebbe dovuto essere una cosa da poco, semplice, soprattutto ora che quell’ombra era seduta accanto a lui, ma non era così. Affatto.

Il suo nome, accanto a quella parola così amara, ricordo . . . ciò che è stato perduto si ricorda, ciò che è passato si ricorda, ciò che non tornerà più indietro di ricorda. E Bilbo non poteva, non doveva essere associato a niente del genere.

Nel vedere la sua reazione, l’amico sospirò “So che averlo più con noi fa male. Non siamo più veramente la Compagnia, senza di lui, ed è una perdita con cui pian piano dovremo tutti imparare a convivere. Ma usare il suo ricordo per cercare di convincerti a prenderti più cura di te non è stato giusto. Anche se sono certo che se lui fosse qui si comporterebbe esattamente allo stesso modo, non avrei dovuto usare questa certezza. È stato come riaprire una ferita non ancora del tutto rimarginata, e questa è l’ultima cosa che avrei voluto. Per questo, ti chiedo scusa.”

“Oh, Balin . . .” la voce di Bilbo era triste, intenerita e commossa “Non hai fatto nulla di male, assolutamente nulla, e non hai alcun bisogno di scusarti. Diglielo anche tu, Thorin.”.

Ma Thorin non ripeté quelle parole. Perché avrebbe dovuto? Balin aveva ragione; non avrebbe dovuto usare Bilbo contro di lui. Era solo servito a ricordargli che non c’era più, non davvero, che non ci sarebbe mai più stato, che era tutta colpa sua, e aveva insinuato che stesse sminuendo, con le sue azioni, il peso di quel vuoto. Perché avrebbe dovuto mentirgli per farlo stare meglio, quando quella semplice frase aveva fatto a lui così tanto male?

“Thorin?” lo chiamò di nuovo lo hobbit, preoccupato per il suo silenzio.

Il re, finalmente, parlò. “Hai ragione.” Il suo tono era trattenuto, ma freddo e tagliente come la più affilata delle lame “Non avresti dovuto farlo. E non avresti dovuto pronunciare il suo nome nemmeno ora.”.

Senza dare all’altro nemmeno il tempo di replicare, usò le redini per far accelerare il pony quasi a mo’ di corsa, allontanandosi così da lui e dal suo sguardo smarrito e dispiaciuto.

Ma non poteva allontanarsi dallo hobbit che lo fissava con stupore ed indignazione, e lo sapeva benissimo, anche se non lo stava guardando.

“Perché hai detto una cosa del genere?” chiese, veramente preso alla sprovvista.

Il guerriero strinse forte i denti, impedendosi di rispondere e costringendosi a tenere lo sguardo sulla strada, e questa reazione fece innervosire l’altro ancora di più.

“Ah no, non cominciare adesso ad ignorarmi di nuovo!” esclamò, alzando la voce “Balin è solo preoccupato per te, per questo ha detto quello che ha detto, ma ha comunque chiesto scusa per paura di averti ferito, e tu lo tratti così? Sei stato crudele, Thorin, crudele ed insensibile!”.

Il nano avrebbe voluto replicare, ma preferì trattenersi e non parlare ancora.

“Certo, riservami il trattamento del silenzio, ma con me non funzionerà, testardo di un nano! Sai che ho ragione, e dentro di te sai che ha ragione anche Balin!” sibilò, inferocito da quell’ostinazione “Ti stai spingendo allo stremo, pur di tenere i ragazzi al sicuro e di dargli il tempo per riprendersi. So che il rischio di perderli ti ha spaventato a morte . . .” il suo tono si ammorbidì appena “e che ti dai la colpa dei rischi affrontati, ma ora stanno bene, e al sicuro. So che non riesci a crederci, ma sono al sicuro. Niente gli potrà fare più del male, ora che avete di nuovo la vostra casa, e le loro ferite fisiche stanno guarendo in fretta. Ma sono preoccupati per te, come tutti in quella Montagna, e vorrebbero tanto starti vicino, e tu non glielo permetti. Ti spingi al limite ancora ed ancora, anche se tu non stai nemmeno lontanamente meglio di prima, e loro non posso fare altro che guardare pregando che tu non raggiunga il tuo punto di rottura. Così gli fai solo del male, e nonostante ciò continui a spingere via chi ti vuole bene e vuole solo aiutarti. E questo è il torto più grande che puoi fare non solo ai tuoi nipoti ma a tutti loro! A tutti noi!”.

“Basta, ora.” sussurrò lo spadaccino, la voce incrinata, ma lui non lo ascoltò.

“No, Thorin, adesso stai zitto e mi ascolti.” ringhiò lo hobbit, scacciando con la mano quella protesta come se fosse una mosca fastidiosa “Sono tutti qui per te, e tu hai costruito un muro di ghiaccio per tenerli lontano. Quei nani hanno combattuto per te, e non meritano di restare a guardare mentre una persona a cui vogliono bene si sta lentamente distruggendo. Perché è quello che stai facendo. Ho avuto più di un mese per vederlo. Ti stai distruggendo, e se pensi che ciò possa in qualche modo aiutare la Compagnia allora sei più stupido di quanto pensassi. Se pensi che io resterò in silenzio a guardare mentre crolli dopo essere morto per proteggerti, allora non mi hai mai conosciuto davvero.”.

Quell’ultima frase colpì il re come una pugnalata dritta nel cuore, lasciandolo scioccato e senza fiato. Strinse le redini con forza, facendo così rallentare il cavallo, e cercò di ricominciare a respirare senza riuscirci.

Non può averlo detto davvero. Non può . . .

“Non . . .” la sua voce tremava come non aveva mai tremato prima “Non rinfacciarmi . . .”

“Lo farò, se necessario.” lo bloccò, con tono fermo e deciso “Non sono Balin, non mi scuserò per questo. Ti rinfaccerò di essere morto per te fino a quando non ti renderai conto che anche la tua dannata vita e la tua sanità mentale sono importanti, e che devi rendertene cura soprattutto ora che non posso più pensarci io come prima. So che non lo credi davvero, ma anche tu sei importante, maledizione, e non puoi continuare ad annullarti nella folle idea che questo possa aiutare gli altri. Fattelo entrare in quella dannata testa dura: anche tu sei importante. E non permetterò di farti del male così, né di allontanare le persone che ti vogliono bene.”.

Il guerriero abbassò lo sguardo, ma davanti ai suoi occhi continuavano a vorticare le immagini di quel giorno. La neve che cadeva lieve sul campo di battaglia, il luccichio di quella lama maledetta, il sangue scarlatto che macchiava quella pelle sempre più fredda, quegli occhi blu ormai spalancati sul nulla, tutto, tutto quanto danzava davanti a lui, in una danza macabra che non sapeva come fermare e che lo trascinava con sé sulle note di una sinfonia fatta di urla spezzate.

“Mi stai ascoltando?”

Thorin a quel punto non resistette più. Quelle parole, quelle parole che lo tormentavano da quando aveva stretto quel corpo infranto tra le sue braccia, gli sfuggirono tra le labbra come un sospiro troppo a lungo trattenuto.

“Sarei dovuto morire io.”.

Sentì lo scassinatore, accanto a sé, trattenere il fiato “Che cosa?”.

“Sarei dovuto morire io al tuo posto.” ripeté piano “Non avrei dovuto permettere ad Azog di prendere la tua vita. Non avrei dovuto permettere a nessuno di prendere la tua vita. Doveva essere la mia vita a spezzarsi, non la tua.”

Per qualche secondo, l’unica cosa a riempire il silenzio furono le urla del vento di dicembre.

“Thorin, guardami.” sussurrò poi lentamente l’ombra.

Il nano voltò il viso dal lato opposto, rifiutandosi di incontrare il suo sguardo, ma egli lo chiamò ancora.

“Thorin, per favore.”.

Incapace di resistere a quella supplica, il re si fece coraggio e lentamente si girò verso di lui, tenendo però lo sguardo basso.

“Guardami negli occhi.”.

Thorin si morse l’interno della guancia, ma fece come gli era stato chiesto, e quando incontrò gli occhi blu dello hobbit restò senza fiato.

Lì, proprio come una volta, c’era quella luce che tante volte l’aveva guidato, distratto, incantato, quella luce di cui continuava a sentire ardentemente la mancanza.

La luce di un raggio di sole spento troppo presto.

“Thorin.” lo chiamò ancora Bilbo, facendo concentrare ancora una volta tutta la sua attenzione su di lui “Non osare mai più dire una cosa del genere. Smetti di darti la colpa per quello che è successo. Niente di quella battaglia, né le ferite di Fili e Kili, né la mia morte, è avvenuto a causa tua.”

“Non . . .”

“Non dire mai più che saresti dovuto morire.” lo fermò, prima che potesse continuare “Vuoi sapere cosa sarebbe successo, se Azog ti avesse portato via da noi? La Compagnia ne sarebbe uscita mutilata. Io sarei morto con te, anche se il mio cuore non avesse smesso di battere.”

Allungò una mano verso di lui e si fermò a pochi millimetri dal suo petto, proprio all’altezza del cuore “Sei così importante, Thorin, e per così tante persone, che semplicemente non potevi morire. Non potevi e basta. E sono felice che non sia successo.” Un piccolo, dolce sorriso illuminò il volto pallido di Bilbo “Sono felice di sapere che il tuo cuore batte ancora, e sono fiero di averlo protetto io dal fermarsi per sempre.”.

Forse batte ancora, ma è come se fosse fermo da quella giorno.

Tirò in fretta indietro la mano, ma non abbastanza da impedire al re di notare che tremava “Per questo non posso permettere che tu vada avanti così. Nessuno di noi può permetterlo. Lo capisci, ora?”.

Thorin avrebbe voluto dire di no. Avrebbe voluto dire che non capiva e che non avrebbe mai capito. Avrebbe voluto urlarlo, gridarlo con tutta la voce che aveva in corpo, e fargli capire che per lui non era così, che non sarebbe mai stato così, e che avrebbe pagato volentieri con la propria esistenza per riavere indietro quella vita che era stata rubata troppo presto.

Ma non poteva farlo.

Così, si limitò ad annuire ed a voltarsi nuovamente verso la strada, ignorando il sospiro a metà strada tra l’esasperato e il deluso che questo gesto strappò all’ombra accanto a sé.

Fosse successo poco più di un mese prima, Thorin non avrebbe lasciato quel sospiro inascoltato. Si sarebbe voltato, gli avrebbe parlato quel poco necessario per distrarlo e tirarlo su di morale, gli avrebbe sfiorato casualmente le punte delle dita, avrebbe provato a strappargli un sorriso. Chissà, forse, sapendo cosa sarebbe successo poco dopo, avrebbe osato qualcosa di più.

Ma non poteva più ora. Quei brevi momenti in cui si era illuso che almeno qualcosa poteva essere di nuovo come prima erano passati ormai. Nulla sarebbe più stato come prima, nemmeno grazie a quel piccolo miracolo che era la presenza di quella ombra.

Azog era riuscito a portargli via anche quella spontaneità che solo la sua primavera riusciva una volta a tirargli fuori.

 

 

La neve, nella città degli uomini, era ancora più rada, e infilarsi con i carri tra le strette vie fu più facile del previsto. Si fermarono di fronte a quello che in passato era stato il palazzo del re, i quattro carri l’uno accanto all’altro, e mentre la guardia entrava ad avvisare Bard del loro arrivo Thorin si fece coraggio e, seguito dallo sguardo confuso di Bilbo, si avvicinò al suo consigliere più anziano.

“Balin?”

Il nano si voltò, sorpreso, e il re, pur incapace di scusarsi ma consapevole di non poter lasciare che la loro ultima conversazione rimanesse in sospeso, disse ”Ignora quello che ti ho detto prima. So che le tue parole erano spinte solo dalla preoccupazione, e non avrei dovuto reagire in quel modo. Ho esagerato e non so nemmeno io perché.”

Il vecchio rimase in silenzio per qualche secondo e poi chiese “Non lo sai davvero, o preferisci non ammetterlo nemmeno a te stesso?”.

“Cosa intendi?” chiese il guerriero, aggrottando la fronte, ma il rumore di passi impedì all’altro di rispondere.

Thorin si voltò e in quel momento Bard, vestito con abiti pesanti ma semplici e accompagnato da un’alta elfa dai capelli color del fuoco, comparve sulla soglia.

“È bello vedervi!” esclamò l’ex chiattaiolo, scendendo quasi di corsa le scale e stringendo le mani ad ognuno di loro “Temevo che la neve vi avrebbe tenuti rinchiusi nella Montagna per un po’, questa volta.”

“Oh!” esclamò Bilbo, felice di vedere il vecchio amico “Sembra stare bene! Sapevo che questo compito era adatto a lui, anche se a giudicare dalle sue occhiaie certo non gli rende la vita facile.”.

Lo hobbit aveva intuito la verità, non poté evitare di pensare il nano. Bard aveva assunto momentaneamente il compito di Governatore per un po’, giusto per riuscire ad affrontare l’inverno, ma la sua dedizione al popolo e la sua abilità nel gestire i doveri del governare avevano portato molti a sperare che avrebbe accettato di prendere la corona una volta giunta la buona stagione. Aveva stretto rapporti di pace sia con i nani e con gli elfi, e grazie a lui gli uomini riuscivano finalmente a dormire sogni tranquilli. Era un buon alleato, e aveva dimenticato in fretta il torto subito. Ma stava altrettanto in fretta scoprendo quanto arduo fosse guidare un popolo.

“Siamo felici di vedere che anche qui state bene.” disse Thorin, ricambiando la stretta di mano “Il resto della Compagnia vi manda i suoi saluti.”.

Vedendo la delegata di Thranduil avvicinarsi, si affrettò a fare un cenno cortese di saluto. A differenza del suo re, non le portava rancore; era stata lei a proteggere Kili ferito durante la battaglia e a riportarlo alla Montagna e sempre lei aveva spinto l’elfo ad accettare la loro alleanza.

“Spero che anche nel vostro regno vada tutto per il meglio, Capitano.”.

“È così, e la ringrazio, re Thorin.” rispose con grazie, per poi domandare piano, quasi con esitazione “Volevo chiedere come sta il principe Kili?”.

Il nano non si stupì di quella domanda, la stessa da quando erano iniziati i loro rapporti diplomatici. “Sempre meglio. Mi ha chiesto di darvi questo.” tirò fuori dalla tasca la lettera, ora spiegazzata, e nel dargliela notò un lieve rossore colorarle le guance mentre mormorava un mesto “Vi ringrazio.”.

Al suo fianco, Bilbo si lasciò sfuggire un piccolo oh, ma il nano non aveva tempo né voglia di indagare.

Si voltò verso Bard e, sbrigativo, chiese “Vogliamo occuparci delle provviste, ora?”.

Il capo degli uomini annuì e li invitò ad entrare.

 

 

Al tramonto, quando giunse il momento di ripartire, Bilbo non si sedette accanto a Thorin, ma salì sul carro di Bofur. Forse era ancora arrabbiato con lui per come si era conclusa la conversazione dell’andata, o forse aveva notato la malinconia dell’amico e, nonostante sapesse di non poter essere avvertito da lui, voleva stargli un po’ vicino.

In ogni caso, questa cosa ferì un po’ il nano, ma gli diede il momento perfetto per chiedere a Balin cosa intendesse poco prima. Quelle parole l’avevano turbato e non poco, e avrebbe preferito parlarne lontano da colui che, benché fosse poco più di un’ombra, aveva ancora il potere di toccarlo dove nessun’altro riusciva.

Così, lasciò che tutti gli altri andassero avanti e affiancò Balin. Procedettero in silenzio per un po’, ma alla fine fu proprio lui a riprendere il discorso.

“Cosa volevi dire quando siamo arrivati dagli uomini?”.

L’anziano si limitò a tirarsi la barba “Non intendevo insinuare niente. Mi chiedevo solo se davvero tu non sappia perché hai reagito in quel modo nel sentirmi nominare. . .”

“Va bene, ho capito.” lo bloccò di colpo, senza nemmeno rendersene conto.

“Ecco, vedi?” fece Balin, lanciandogli uno sguardo di sbieco “Lo hai fatto di nuovo.”.

Il guerriero lo guardò, evidentemente confuso, e l’altro si trovò costretto a spiegare “Reagisci in maniera quasi innaturale quando lui viene tirato in causa. Non sopporti che qualcuno lo nomini.

Non pronunci nemmeno il suo nome da settimane.”.

Era vero, si rese conto il re. Era assolutamente vero. Lui stesso non aveva mai pronunciato il suo nome di fronte agli altri dal giorno del funerale. Anche se tante volte si era svegliato urlandolo.

“Chi non ti conosce” continuò Balin “ direbbe che ti comporti come se non fosse mai esistito. Come se non avesse mai avuto importanza. Come se volessi cancellarlo”

“Non è così.” ringhiò, indignato che qualcuno potesse osare pensare una cosa del genere.

“So che non è così.” lo rassicurò “C’ero anche io, quando l’abbiamo seppellito. Ho visto il tuo addio. Ho visto le tue trecce. Ma mi chiedo se tu sia veramente consapevole di ciò che ti spinge a tutto questo.”

“Balin, parla chiaramente.” lo intimò, innervosito da quell’accenno alle trecce. Dove vuole arrivare?

L’amico sospirò “Hai detto che non sai perché hai reagito così. Ma io non so se davvero non lo sai o se piuttosto fingi anche con te stesso di non saperlo, perché ammetterlo farebbe troppo male. Perché le tue parole dicono una cosa, ma le tue azioni raccontano tutta un’altra storia.”.

“Ancora non riesco a capire cosa stai cercando di dirmi.” insistette, cercando di nascondere la breve incertezza nella sua voce.

“Thorin, tu stai soffrendo. Tutti noi soffriamo, i ragazzi, io, Bofur, ma tu soffri più di tutti noi per ciò che è successo. Mille volte di più.” spiegò piano con voce tesa “E a volte ti comporti come se non te ne rendessi conto, come se non riuscissi ad accettare che questo dolore è naturale. Ad esempio, non riesci ad accettare che sentire il nome di Bilbo ti faccia soffrire, e quindi preferisci evitare di sentirlo, così non soffrirai. E forse è perché questo dolore è legato a qualcos’altro, qualcosa che non sai di avere, o a cui forse non vuoi pensare e quindi fingi che non esista. Ma così è ancora peggio, e rende tutto più . . .”

“Non si tratta di niente del genere.” lo fermò, il tono freddo e controllato “Abbiamo perso un membro della nostra Compagnia, un amico che per noi ha fatto tanto, una persona che non meritava di morire. È morto sotto il mio comando e davanti ai miei occhi, e ne sento la responsabilità, questo è vero. Ma è una morte come tante di quelle che ho già affrontato. Passerà, e un giorno semplicemente il suo nome si aggiungerà ai tanti che ho perso lungo la strada. Tutto qui.”.

Balin lo fissò, gli occhi rovinati che lo scrutavano come se potessero leggergli dentro.

“Non credi nemmeno tu a quello che hai appena detto.”

No, certo che no.

Una morte come tante?

Come potrebbe essere una morte come tante, quella che mi ha portato via il mio raggio di sole?

Come potrebbe mai passare il dolore per la mia primavera svanita?

Thorin strinse con forza il pugno “So che mi conosci bene, Balin, ma questa volta ti sbagli.” disse, senza smettere di pensare a quei fiori azzurri che sembravano fioriti fuori stagione solo per essere intrecciati per la prima e ultima volta tra i capelli del suo raggio di sole.

Scusami, amico mio, ma non confesserò a te ciò che non ho avuto il coraggio di confessare a lui.

Questo dolore è mio e mio soltanto, e nessuno al di fuori di me deve sopportarne il peso.

Nemmeno il mio Bilbo.

 

 

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

Non ho molto da dire, tranne che sì, sono una persona orribile, sì Thorin ha troppi complessi e sì, la storia dei non ti scordar di me è basata sulla vera leggenda dietro la loro nascita.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e abbia ripagato un po’ la lunga attesa.

  
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