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Autore: _aivy_demi_    23/04/2019    66 recensioni
Una ragazza sbadata, disordinata e senza alcun pelo sulla lingua.
Un ragazzo famoso, allontanatosi dalla propria città in cerca di qualcosa.
Si incontrano, si detestano fin da subito.
Una simpatica commedia romantica het piena di malintesi, incontri fortuiti (e non), umorismo e una punta di ironia che non guasta mai.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Singing

is the answer

 

4- They are all better with cream

 

 

“Posponi”: al terzo tentativo la sveglia sul cellulare dichiarò sciopero e si arrese.
Raon si rigirò nel letto un paio di volte per poi infilare la testa sotto le coperte e distanziarsi dal bagliore che tentava invano di accecarla entrando furtivamente dalle persiane al di fuori della finestra.
Si sentiva così bene: il caldo tepore del letto, la morbidezza dei due cuscini su cui s’era adagiata la sera prima, mentre un terzo stava praticamente soffocando sotto la sua stretta da wrestler in fase di catalessi.
Ottimo.
Mattinata da mezza stagione, niente pioggia o maltempo a influire sull’umore; mezza nottata passata a dormire beatamente. Nessun pensiero per la testa.
Lo smartphone si rimboccò le maniche nel tentativo di svegliarla ancora una volta: ricevette un’imprecazione, s’offese e si silenziò definitivamente.


«Per Fredrik, tesoro, buongiorno. Dormito bene durante la prima notte nella nuova casa?»
Il ragazzo avrebbe voluto rispondere con sincero trasporto, ma le occhiaie presenti sul suo viso e le tre tazzine macchiate di caffè rappreso presenti nell’acquaio parlavano praticamente da sé.
«Signora buongiorno. Beh, avrei preferito dormire un po’ di più in tutta sincerità. Non male dai.»
«E mi dica, mia nipote si è comportata bene? Ha concluso il lavoro che le avevo assegnato?» La nonna di Raon stava osservando perplessa le scatole impilate una sull’altra all’ingresso.
«Certo, non si preoccupi. Abbiamo svuotato tutta la soffitta, non è rimasto più nulla.»
«Venga qui giovanotto, venga che le devo chiedere una cosa in confidenza.»
Si avvicinò cauto, ricordando con un lieve brivido alla spina dorsale il senso dell’umorismo leggermente macabro, e un filino sadico della vecchietta che lo stava chiamando a sé con un cenno della mano raggrinzita.
«Mi dica, alla fine ha trovato qualcosa?»
Non riusciva a comprendere completamente quella domanda così generica: cosa avrebbe dovuto trovarci lassù esattamente? Scosse la testa leggermente arruffata in risposta.
«Nessun resto?»
Ecco, la sensazione glaciale di qualcosa di impalpabile, invisibile e di impossibile concezione si delineò perfettamente sulla sua pelle. «No, avrei dovuto?»
«Si narra che siano stati nascosti sotto a uno dei listelli del pavimento del primo piano.»
«La smetta di burlarsi di me, per cortesia.»
Le dita tremule si aggrapparono alle giovani spalle.
«Se mi ci accompagna, le mostrerò volentieri dove si trovano.»
“È una stronzata. Ricorda, è una stronzata.” Suscettibile a tutto ciò che appartiene al mondo paranormale, alle anomalie fisiche, ai mondi al di là dei confini della scienza, Åsli inspirò ed espirò profondamente, scostandosi di poco da quel contatto malfermo. «Se l’accompagno di sopra, mi promette che non toccheremo più l’argomento?»
«Glielo prometto, giurin giurello.» Un gesto semplice, infantile. Affidabile.
«Venga allora. Poi l’aiuto a caricare i suoi effetti personali.»
Un passo dopo l’altro, avanzando piano, raggiunsero la porta che li separava da quelle benedette scale ripide. L’aprì con un braccio teso e fece cenno alla signora di anticiparlo nella salita. Lei si aggrappò ad entrambi i corrimano, issandosi con forza di volontà ma poca convinzione da parte delle gambe.
«Ne è davvero sicura?»
«Le ripeto che non mi muoverò di qui senza portarmi via ciò che appartiene alla mia famiglia.»
“Sì, un cadavere ad esempio.”
Con ritmo calmo e impiegando parecchio tempo, lei riuscì a raggiungere la pavimentazione lignea e scricchiolante di quel salone vuoto. Estrasse dalla tasca una candela e una confezione consunta di cerini, dando vita ad una fiammella tremolante. Il ragazzo la raggiunse poco dopo entrando in un’atmosfera eterea, fuori dal mondo: gli venne la pelle d’oca. Nel buio riusciva a percepire solamente quella piccola fonte di luce, null’altro, se non un raschiare rovinoso di legno su legno a cui aveva affidato parte del proprio coraggio. Sapeva cosa stava accadendo, era consapevole del fatto che fosse una mera idiozia perpetrata da un’anziana con un pizzico di senilità, eppure l’atmosfera così spettrale lo stava mettendo in soggezione.
«Ha bisogno di una mano?»
La figura inginocchiata a terra non rispose se non con un sospiro. Åsli le si avvicinò incuriosito dall’improvviso silenzio: notò un buco da cui era stato sicuramente estratto qualcosa. Fece il giro per poter osservare meglio la donna che ancora stringeva tra le dita la candela.
«Signora, sta bene? Posso fare qualcosa per lei?»
Non rispose immediatamente. Si puntò sulle ginocchia consumate per issarsi da terra; prontamente venne aiutata. Ridiscesero la ripida rampa raggiungendo il salotto. Il ragazzo era indubbiamente curioso, nonché assolutamente grato di essere uscito da quello stanzone vuoto e angosciante. I piccoli tremiti della donna colpirono i suoi nervi, portandolo ad accompagnarla nella piccola sala; le tolse di mano la candela ancora calda per la cera sciolta e l’aiutò ad adagiarsi sul divano.
Dita tremanti stringevano un vecchio involto ingiallito.
Lei si sforzò di scherzarci ancora sopra, di ricreare un paio di battute dal gusto interessante ma cedette: carezzò la carta increspata portando il pacchetto al petto e vi si accoccolò trattenendo a stento nuove lacrime. Åsli mantenne il silenzio nel tentativo di non disturbare qualcosa che sentiva non appartenere al presente. Sistemò l’oggetto ormai inutile che stringeva ancora tra le mani e mise a bollire dell’acqua in un pentolino, e per i minuti successivi l’unico suono presente tra quelle mura era il borbottio sul fuoco. Rovistò tra i pensili nel tentativo di ritrovare uno degli infusi che si era portato appresso nel viaggio, riempiendo una tazza di ceramica dell’aroma di menta.
«Prego, tenga.»
Gli occhi stanchi e rigonfi si posarono su quel giovane magro, dal volto ancora sconvolto dal poco sonno e dai capelli spettinati mal gestiti. Si spostarono su quel contenitore fumante e dal profumo rinfrancante, mantenendo il contatto con la superficie calda.
«Lei è proprio un bravo ragazzo.»
«Ma va, si figuri. Posso farle una domanda?»
Sospirò. Probabilmente riguardava il tesoro che stava custodendo gelosamente tra le mani, o non solo quello. «Immagino riguardi ciò che sto stringendo qui, giusto? Oppure il motivo per cui scherzo sempre in maniera così strana e dal gusto un po’ noir. Per Fredrik, lei è davvero una persona a modo, anche se tendenzialmente non sa farsi i fatti suoi. Diciamo che…»
Il campanello suonò più volte, ed una voce esterna interruppe la riflessione, lasciandola sospesa a metà: «signora Luciye, il furgone è già in sosta! Possiamo cominciare a caricare?»
La donna tolse un fazzolettino di stoffa dalla tasca passandoselo con delicatezza sul volto, per poi sospirare chiudendo gli occhi ed inspirare fortemente riaprendoli. «A quanto pare non potremo concludere il nostro discorso mio caro Per, vorrà dire che mi inviterà per un tè questi giorni. Perfetto quello di oggi, la ringrazio.» Con un sonoro “issa” si alzò dal divano camminando con passo quieto verso l’ingresso; parlottò con il traslocatore e lanciò un ultimo sguardo al ragazzo, portandosi l’indice ricurvo verso le labbra in un voto di silenzio.
Ciò che era stato detto ed era stato visto sarebbe rimasto esclusivamente tra loro.





«Oh no, no no… no no no!» L’orario improponibile che la sveglia stava segnando muta fece impallidire Raon. «Mia nonna mi ucciderà!»
Corse in bagno infilandosi i primi vestiti incrociati per strada, raccattati direttamente dalla pila dei panni da stirare. Uno sguardo rapido allo specchio: due segni scuri sotto agli occhi, un colorito leggermente pallido. «E ho dormito pure. Se non lo avessi fatto, chissà che faccia!»
Si lavò viso e denti ad una velocità tale da schizzare acqua, sapone e dentifricio sulla specchiera e pure sul pavimento. Si bloccò un attimo: le due opzioni si formarono rapidamente nella sua testa. La prima, fermarsi a pulire; la seconda, essere felice di avere un bagno adiacente alla propria camera, al piano di sopra, e fregarsene enormemente.
Optò per la seconda.
Raccattò un paio di All Stars consumate, fermandosi davanti allo specchio dell’armadio ed osservandosi ancora un momento: leggins scuri, scarpe in tela color fluo e felpa a zip aperta su maglietta con disegnato un unicorno che espelleva arcobaleni da luoghi poco consoni. “Vorresti uscire davvero così? Sai che è una pessima idea, vero?”
Pessima idea. Quelle due parole non le lasciarono scampo, ma fece spallucce e corse giù per le scale.
«Ehi ehi ehi, signorinella. Dove pensi di andare a quest’ora? Guarda che tra dieci minuti si pranza.»
Non solo era in ritardo osceno, ma avrebbe pure saltato il pasto, cosa assolutamente improponibile. Il fratello si tolse il grembiule da cucina con stampato il fisico di una modella in bikini: un regalo di Raon di un anno prima. Lo posò ordinatamente su uno degli appendini a forma di gattino obeso, altro regalo di Raon, tre anni prima. Si mosse verso la tavola apparecchiata versandosi dell’acqua in un bicchiere in ceramica con stampata l’immagine di un ippopotamo voltato di schiena.
«Non posso, ora devo scappare! Ma… è lui?»
«Se ti riferisci al tuo ultimo regalo, sì: lo uso ancora adesso e lo sai.»
La ragazza guardò il fratello maggiore sfoggiando uno dei suoi più grandi sorrisi: «mi chiedo come tu faccia a tollerarli, non li trovi orribili?.»
«Per lo stesso motivo per cui sopporto te. Allora? Il pranzo?»
«Mi tocca saltare!»
«Guarda che papà si incazza.» Non concluse neppure la frase, venne interrotto dal rumore della porta d’ingresso sbattuta con violenza. Sorrise scuotendo il capo. “Non cambierà mai.”
Raon corse percorrendo il breve vialetto e superando il cancello praticamente saltando, fermandosi poi ad un bivio: la casa di Åsli alla sua sinistra, la panetteria di quartiere a pochi edifici sulla destra. Si avviò con lo sguardo basso verso il proprio lavoro, in direzione di sua nonna che sicuramente si sarebbe infuriata per l’enorme ritardo. Dopo tre passì si voltò dalla parte opposta e riprese a correre per poi fermarsi di nuovo. “Non ho mangiato.”
Indecisa sul da farsi si girò di nuovo un paio di volte. “Ma sì, due minuti.”
Entrò col fiatone salutando cordialmente l’inserviente alla cassa ed ordinò un paio di dolci fragranti dall’aspetto delizioso. Dentro di sé contava i secondi che la separavano dal conto e dalla partenza, sentendo l’imbarazzo crescere per l’ora orribile in cui si sarebbe presentata. Ringraziò stringendo tra le dita un sacchetto di carta e camminò a passo svelto.
Un unico pensiero la accompagnava per quei pochi metri ancora da percorrere: “fa’ che non sia lì, fa’ che nonna Luciye non sia più lì!”
Non solo l’anziana era presente davanti alla sua vecchia casa, accanto all’uomo che l’aveva sicuramente aiutata a svolgere il lavoro che lei stessa avrebbe dovuto fare quel mattino; c’era pure quel simpaticone del nuovo inquilino che stava amabilmente offrendo l’avambraccio alla signora. “Bene, perfetto.” Si bloccò a qualche passo di distanza, inspirò profondamente e si dipinse in volto il più classico dei sorrisi di circostanza: il meglio che avrebbe potuto sfoggiare in quel momento.
Il primo a notare il suo arrivo fu proprio Åsli. Le sorrise spavaldo, senza paura di nascondere un tocco di ironia. Lei arrivò nel momento in cui il tuttofare stava serrando il portellone posteriore del furgoncino.
Lavoro terminato.
Troppo tardi per poter recuperare il tempo perso. Raon avrebbe tentato comunque di uscire da quella situazione con astuzia, un tocco di grazia, una furbizia studiata e ben ponderata: «scusatemi, ho avuto dei problemi fisiologici stamattina.» Grazia, decisamente.
L’anziana Luciye si voltò dopo aver salutato l’uomo che le aveva dato una mano, lo ringraziò con una stretta di mano tremolante e un sorriso dalla lucente dentiera. Alla partenza del mezzo cambiò completamente espressione.
«Raon Lee, ti trovi in un mare di guai.»
«Buongiorno nonna. E buongiorno anche a te. Mi spiace essere arrivata tardi, però…»
«”Però” proprio niente, signorina: ho dovuto chiedere al quell’uomo gentile di fare quello che avresti dovuto fare tu. Sai cosa significa? Dovrai sdebitarti in qualche modo.»
Sapeva che sarebbe andata a finire così: si scusò più volte con la parente e non solo. Si sentiva stranamente in colpa anche davanti ad Åsli e questo la metteva ancora più in imbarazzo. Non poteva sicuramente dire no, vista la colpa effettiva.
«Darai una mano a questo caro giovanotto quando ne avrà bisogno, finché non avrà sistemato casa.»
«Che cosa? Stai scherzando spero! Nonna? Ehi, nonna? Dove stai andando?»
Così come era apparsa quel mattino, la vecchietta se ne andò dopo aver crudelmente, quanto giustamente sentenziato. Si portò due dita nodose davanti agli occhi, in segno di osservazione e sorveglianza stretta.
Raon se ne stava tesa, rimasta sola a un paio di metri dal ragazzo. Quest’ultimo scoppiò a ridere tenendosi la pancia.
«Avresti dovuto vedere la tua espressione!»
«Mi stai per caso prendendo in giro?» Offesa gli tirò un pugno sul braccio. «Pensare che ti avevo portato questi per scusarmi.» Gli assestò un secondo colpo accompagnato da un “ahia”, per poi scostare lo sguardo e tendere il sacchetto contenente i dolcetti. Åsli la invitò in casa, ringraziando del pensiero. La fece accomodare un attimo in sala appoggiando la busta sul tavolo ed estraendone il vassoietto. Inspirò e si leccò involontariamente il labbro inferiore assumendo un’aria contrariata subito dopo.
«Dunque, signorina Lee,» disse con finto scherno soffermandosi sul cognome appena appreso, «abbiamo mancato ai nostri doveri oggi.»
«Non prendermi per il culo per favore, sai che non lo sopporto proprio? Comunque scusa, non sono riuscita a svegliarmi in tempo.»
«E hai fatto fare il tuo lavoro a qualcun altro. Mi sembra corretto, no?»
«Non bastano quelle a scusarmi?»
Åsli addentò con foga e soddisfazione una delle due paste ripiene, sporcandosi il volto di zucchero a velo e ingoiando con golosità. Raon fece lo stesso, impiastricciandosi di crema e mugugnando qualcosa riguardo all’ottimo sapore. Colti entrambi da un’improvvisa ilarità si indicarono il viso a vicenda.
«Diciamo che ti sei sdebitata. Ora sarai costretta a darmi comunque una mano.»
«Ahahah! Se lo dici tu…»
«Non l’ho detto io, ma tua nonna. Se non mi credi, senti qui.» Estrasse dalla tasca lo smartphone, avviando una registrazione audio.

            «Ehm, come funziona questo coso? Ah, basta che ci parli vicino? Va bene
            così? Allora Raon, ho parlato con il mio caro inquilino, e mi ha confessato
            che avrebbe bisogno di una mano per andare a prendere un paio di cose.
            Visto che non sei venuta ad aiutare prima, lo farai adesso. Naturalmente
            passerò a vedere come procede la sistemazione. Confido in te tesoro, così
            imparerai la prossima volta ad arrivare in tempo.»

«Sono fregata, vero?»



 

 





Note dell’autrice (note dell’autrice? Uhhh ci stiamo dando un tono qui, eh?)

Lo so, adoro scrivere della nonna di Raon: inizialmente pensavo ad un personaggio marginale, ma è troppo dolciosa e stronzetta per poterla mettere in un angolo! I due sembrano andare più d’accordo forse, ma direi che dei dolcetti dal fornaio metterebbero d’accordo chiunque, non solo loro ahahaha!
Alla prossima, vi ringrazio enormemente per essere il carburante delle mie dita sulla tastiera! Un enorme grazie a tutti voi che mi leggete e sostenete in tutti i modi!
-Stefy-

   
 
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