Singing
is the answer
4- They are all better
with cream
“Posponi”: al terzo
tentativo la sveglia sul cellulare dichiarò sciopero e si arrese.
Raon si rigirò nel letto un paio di volte per poi
infilare la testa sotto le coperte e distanziarsi dal bagliore che tentava invano
di accecarla entrando furtivamente dalle persiane al di fuori della finestra.
Si sentiva così bene: il caldo tepore del letto, la morbidezza dei due cuscini
su cui s’era adagiata la sera prima, mentre un terzo stava praticamente
soffocando sotto la sua stretta da wrestler in fase di catalessi.
Ottimo.
Mattinata da mezza stagione, niente pioggia o maltempo a influire sull’umore; mezza
nottata passata a dormire beatamente. Nessun pensiero per la testa.
Lo smartphone si rimboccò le maniche nel tentativo di svegliarla ancora una
volta: ricevette un’imprecazione, s’offese e si silenziò definitivamente.
«Per Fredrik, tesoro, buongiorno. Dormito bene durante
la prima notte nella nuova casa?»
Il ragazzo avrebbe voluto rispondere con sincero trasporto, ma le occhiaie
presenti sul suo viso e le tre tazzine macchiate di caffè rappreso presenti
nell’acquaio parlavano praticamente da sé.
«Signora buongiorno. Beh, avrei preferito
dormire un po’ di più in tutta sincerità. Non male dai.»
«E mi dica, mia nipote si è comportata bene? Ha concluso il lavoro che le avevo
assegnato?» La nonna di Raon stava osservando perplessa le scatole impilate una
sull’altra all’ingresso.
«Certo, non si preoccupi. Abbiamo svuotato tutta la soffitta, non è rimasto più
nulla.»
«Venga qui giovanotto, venga che le devo chiedere una cosa in confidenza.»
Si avvicinò cauto, ricordando con un lieve brivido alla spina dorsale il senso
dell’umorismo leggermente macabro, e un filino sadico della vecchietta che lo
stava chiamando a sé con un cenno della mano raggrinzita.
«Mi dica, alla fine ha trovato qualcosa?»
Non riusciva a comprendere completamente quella domanda così generica: cosa
avrebbe dovuto trovarci lassù esattamente? Scosse la testa leggermente
arruffata in risposta.
«Nessun resto?»
Ecco, la sensazione glaciale di qualcosa di impalpabile, invisibile e di impossibile
concezione si delineò perfettamente sulla sua pelle. «No, avrei dovuto?»
«Si narra che siano stati nascosti sotto a uno dei listelli del pavimento del
primo piano.»
«La smetta di burlarsi di me, per cortesia.»
Le dita tremule si aggrapparono alle giovani spalle.
«Se mi ci accompagna, le mostrerò volentieri dove si trovano.»
“È una stronzata. Ricorda, è una stronzata.” Suscettibile a tutto ciò che
appartiene al mondo paranormale, alle anomalie fisiche, ai mondi al di là dei
confini della scienza, Åsli inspirò ed espirò profondamente, scostandosi di
poco da quel contatto malfermo. «Se l’accompagno di sopra, mi promette che non
toccheremo più l’argomento?»
«Glielo prometto, giurin giurello.» Un gesto semplice, infantile. Affidabile.
«Venga allora. Poi l’aiuto a caricare i suoi effetti personali.»
Un passo dopo l’altro, avanzando piano, raggiunsero la porta che li separava da
quelle benedette scale ripide. L’aprì con un braccio teso e fece cenno alla
signora di anticiparlo nella salita. Lei si aggrappò ad entrambi i corrimano,
issandosi con forza di volontà ma poca convinzione da parte delle gambe.
«Ne è davvero sicura?»
«Le ripeto che non mi muoverò di qui senza portarmi via ciò che appartiene alla
mia famiglia.»
“Sì, un cadavere ad esempio.”
Con ritmo calmo e impiegando parecchio tempo, lei riuscì a raggiungere la
pavimentazione lignea e scricchiolante di quel salone vuoto. Estrasse dalla
tasca una candela e una confezione consunta di cerini, dando vita ad una
fiammella tremolante. Il ragazzo la raggiunse poco dopo entrando in
un’atmosfera eterea, fuori dal mondo: gli venne la pelle d’oca. Nel buio
riusciva a percepire solamente quella piccola fonte di luce, null’altro, se non
un raschiare rovinoso di legno su legno a cui aveva affidato parte del proprio
coraggio. Sapeva cosa stava accadendo, era consapevole del fatto che fosse una
mera idiozia perpetrata da un’anziana con un pizzico di senilità, eppure
l’atmosfera così spettrale lo stava mettendo in soggezione.
«Ha bisogno di una mano?»
La figura inginocchiata a terra non rispose se non con un sospiro. Åsli le si avvicinò incuriosito dall’improvviso silenzio:
notò un buco da cui era stato sicuramente estratto qualcosa. Fece il giro per
poter osservare meglio la donna che ancora stringeva tra le dita la candela.
«Signora, sta bene? Posso fare qualcosa per lei?»
Non rispose immediatamente. Si puntò sulle ginocchia consumate per issarsi da
terra; prontamente venne aiutata. Ridiscesero la ripida rampa raggiungendo il
salotto. Il ragazzo era indubbiamente curioso, nonché assolutamente grato di
essere uscito da quello stanzone vuoto e angosciante. I piccoli tremiti della
donna colpirono i suoi nervi, portandolo ad accompagnarla nella piccola sala;
le tolse di mano la candela ancora calda per la cera sciolta e l’aiutò ad adagiarsi sul divano.
Dita tremanti stringevano un vecchio involto ingiallito.
Lei si sforzò di scherzarci ancora sopra, di ricreare un paio di battute dal
gusto interessante ma cedette: carezzò la carta increspata portando il
pacchetto al petto e vi si accoccolò trattenendo a stento nuove lacrime. Åsli mantenne il silenzio nel tentativo di non disturbare
qualcosa che sentiva non appartenere al presente. Sistemò l’oggetto ormai
inutile che stringeva ancora tra le mani e mise a bollire dell’acqua in un
pentolino, e per i minuti successivi l’unico suono presente tra quelle mura era
il borbottio sul fuoco. Rovistò tra i pensili nel tentativo di ritrovare uno
degli infusi che si era portato appresso nel viaggio, riempiendo una tazza di
ceramica dell’aroma di menta.
«Prego, tenga.»
Gli occhi stanchi e rigonfi si posarono su quel giovane magro, dal volto ancora
sconvolto dal poco sonno e dai capelli spettinati mal gestiti. Si spostarono su
quel contenitore fumante e dal profumo rinfrancante, mantenendo il contatto con
la superficie calda.
«Lei è proprio un bravo ragazzo.»
«Ma va, si figuri. Posso farle una domanda?»
Sospirò. Probabilmente riguardava il tesoro che stava custodendo gelosamente
tra le mani, o non solo quello. «Immagino riguardi ciò che sto stringendo qui,
giusto? Oppure il motivo per cui scherzo sempre in maniera così strana e dal
gusto un po’ noir. Per Fredrik, lei è davvero una
persona a modo, anche se tendenzialmente non sa farsi i fatti suoi. Diciamo
che…»
Il campanello suonò più volte, ed una voce esterna interruppe la riflessione,
lasciandola sospesa a metà: «signora Luciye, il
furgone è già in sosta! Possiamo cominciare a caricare?»
La donna tolse un fazzolettino di stoffa dalla tasca passandoselo con
delicatezza sul volto, per poi sospirare chiudendo gli occhi ed inspirare
fortemente riaprendoli. «A quanto pare non potremo concludere il nostro
discorso mio caro Per, vorrà dire che mi inviterà per un tè questi giorni.
Perfetto quello di oggi, la ringrazio.» Con un sonoro “issa” si alzò dal divano
camminando con passo quieto verso l’ingresso; parlottò con il traslocatore e
lanciò un ultimo sguardo al ragazzo, portandosi l’indice ricurvo verso le
labbra in un voto di silenzio.
Ciò che era stato detto ed era stato visto sarebbe rimasto esclusivamente tra
loro.
⋆
«Oh no, no no… no no no!» L’orario improponibile che la sveglia stava segnando
muta fece impallidire Raon. «Mia nonna mi ucciderà!»
Corse in bagno infilandosi i primi vestiti incrociati per strada, raccattati
direttamente dalla pila dei panni da stirare. Uno sguardo rapido allo specchio:
due segni scuri sotto agli occhi, un colorito leggermente pallido. «E ho
dormito pure. Se non lo avessi fatto, chissà che faccia!»
Si lavò viso e denti ad una velocità tale da schizzare acqua, sapone e
dentifricio sulla specchiera e pure sul pavimento. Si bloccò un attimo: le due
opzioni si formarono rapidamente nella sua testa. La prima, fermarsi a pulire;
la seconda, essere felice di avere un bagno adiacente alla propria camera, al
piano di sopra, e fregarsene enormemente.
Optò per la seconda.
Raccattò un paio di All Stars consumate, fermandosi
davanti allo specchio dell’armadio ed osservandosi ancora un momento: leggins scuri, scarpe in tela color fluo e felpa a zip
aperta su maglietta con disegnato un unicorno che espelleva arcobaleni da
luoghi poco consoni. “Vorresti uscire davvero così? Sai che è una pessima idea,
vero?”
Pessima idea. Quelle due parole non le lasciarono scampo, ma fece spallucce e
corse giù per le scale.
«Ehi ehi ehi, signorinella.
Dove pensi di andare a quest’ora? Guarda che tra dieci minuti si pranza.»
Non solo era in ritardo osceno, ma avrebbe pure saltato il pasto, cosa
assolutamente improponibile. Il fratello si tolse il grembiule da cucina con
stampato il fisico di una modella in bikini: un regalo di Raon
di un anno prima. Lo posò ordinatamente su uno degli appendini
a forma di gattino obeso, altro regalo di Raon, tre
anni prima. Si mosse verso la tavola apparecchiata versandosi dell’acqua in un
bicchiere in ceramica con stampata l’immagine di un ippopotamo voltato di
schiena.
«Non posso, ora devo scappare! Ma… è lui?»
«Se ti riferisci al tuo ultimo regalo, sì: lo uso ancora adesso e lo sai.»
La ragazza guardò il fratello maggiore sfoggiando uno dei suoi più grandi
sorrisi: «mi chiedo come tu faccia a tollerarli, non li trovi orribili?.»
«Per lo stesso motivo per cui sopporto te. Allora? Il pranzo?»
«Mi tocca saltare!»
«Guarda che papà si incazza.» Non concluse neppure la frase, venne interrotto
dal rumore della porta d’ingresso sbattuta con violenza. Sorrise scuotendo il
capo. “Non cambierà mai.”
Raon corse percorrendo il breve vialetto e superando
il cancello praticamente saltando, fermandosi poi ad un bivio: la casa di Åsli alla sua sinistra, la panetteria di quartiere a pochi
edifici sulla destra. Si avviò con lo sguardo basso verso il proprio lavoro, in
direzione di sua nonna che sicuramente si sarebbe infuriata per l’enorme
ritardo. Dopo tre passì si voltò dalla parte opposta e riprese a correre per
poi fermarsi di nuovo. “Non ho mangiato.”
Indecisa sul da farsi si girò di nuovo un paio di volte. “Ma sì, due minuti.”
Entrò col fiatone salutando cordialmente l’inserviente alla cassa ed ordinò un
paio di dolci fragranti dall’aspetto delizioso. Dentro di sé contava i secondi
che la separavano dal conto e dalla partenza, sentendo l’imbarazzo crescere per
l’ora orribile in cui si sarebbe presentata. Ringraziò stringendo tra le dita
un sacchetto di carta e camminò a passo svelto.
Un unico pensiero la accompagnava per quei pochi metri ancora da percorrere:
“fa’ che non sia lì, fa’ che nonna Luciye non sia più
lì!”
Non solo l’anziana era presente davanti alla sua vecchia casa, accanto all’uomo
che l’aveva sicuramente aiutata a svolgere il lavoro che lei stessa avrebbe
dovuto fare quel mattino; c’era pure quel simpaticone del nuovo inquilino che
stava amabilmente offrendo l’avambraccio alla signora. “Bene, perfetto.” Si
bloccò a qualche passo di distanza, inspirò profondamente e si dipinse in volto
il più classico dei sorrisi di circostanza: il meglio che avrebbe potuto
sfoggiare in quel momento.
Il primo a notare il suo arrivo fu proprio Åsli. Le
sorrise spavaldo, senza paura di nascondere un tocco di ironia. Lei arrivò nel
momento in cui il tuttofare stava serrando il portellone posteriore del furgoncino.
Lavoro terminato.
Troppo tardi per poter recuperare il tempo perso. Raon
avrebbe tentato comunque di uscire da quella situazione con astuzia, un tocco
di grazia, una furbizia studiata e ben ponderata: «scusatemi, ho avuto dei problemi
fisiologici stamattina.» Grazia, decisamente.
L’anziana Luciye si voltò dopo aver salutato l’uomo
che le aveva dato una mano, lo ringraziò con una stretta di mano tremolante e
un sorriso dalla lucente dentiera. Alla partenza del mezzo cambiò completamente
espressione.
«Raon Lee, ti trovi in un mare di guai.»
«Buongiorno nonna. E buongiorno anche a te. Mi spiace essere arrivata tardi,
però…»
«”Però” proprio niente, signorina: ho dovuto chiedere al quell’uomo gentile di
fare quello che avresti dovuto fare tu. Sai cosa significa? Dovrai sdebitarti
in qualche modo.»
Sapeva che sarebbe andata a finire così: si scusò più volte con la parente e
non solo. Si sentiva stranamente in colpa anche davanti ad Åsli
e questo la metteva ancora più in imbarazzo. Non poteva sicuramente dire no,
vista la colpa effettiva.
«Darai una mano a questo caro giovanotto quando ne avrà bisogno, finché non
avrà sistemato casa.»
«Che cosa? Stai scherzando spero! Nonna? Ehi, nonna? Dove stai andando?»
Così come era apparsa quel mattino, la vecchietta se ne andò dopo aver
crudelmente, quanto giustamente sentenziato. Si portò due dita nodose davanti
agli occhi, in segno di osservazione e sorveglianza stretta.
Raon se ne stava tesa, rimasta sola a un paio di
metri dal ragazzo. Quest’ultimo scoppiò a ridere tenendosi la pancia.
«Avresti dovuto vedere la tua espressione!»
«Mi stai per caso prendendo in giro?» Offesa gli tirò un pugno sul braccio.
«Pensare che ti avevo portato questi per scusarmi.» Gli assestò un secondo colpo
accompagnato da un “ahia”, per poi scostare lo sguardo e tendere il sacchetto
contenente i dolcetti. Åsli la invitò in casa,
ringraziando del pensiero. La fece accomodare un attimo in sala appoggiando la
busta sul tavolo ed estraendone il vassoietto. Inspirò e si leccò
involontariamente il labbro inferiore assumendo un’aria contrariata subito
dopo.
«Dunque, signorina Lee,» disse con finto scherno soffermandosi sul cognome
appena appreso, «abbiamo mancato ai nostri doveri oggi.»
«Non prendermi per il culo per favore, sai che non lo sopporto proprio?
Comunque scusa, non sono riuscita a svegliarmi in tempo.»
«E hai fatto fare il tuo lavoro a qualcun altro. Mi sembra corretto, no?»
«Non bastano quelle a scusarmi?»
Åsli addentò con foga e soddisfazione una delle due
paste ripiene, sporcandosi il volto di zucchero a velo e ingoiando con
golosità. Raon fece lo stesso, impiastricciandosi di
crema e mugugnando qualcosa riguardo all’ottimo sapore. Colti entrambi da un’improvvisa
ilarità si indicarono il viso a vicenda.
«Diciamo che ti sei sdebitata. Ora sarai costretta a darmi comunque una mano.»
«Ahahah! Se lo dici tu…»
«Non l’ho detto io, ma tua nonna. Se non mi credi, senti qui.» Estrasse dalla
tasca lo smartphone, avviando una registrazione audio.
«Ehm, come funziona questo
coso? Ah, basta che ci parli vicino? Va bene
così? Allora Raon, ho parlato con il mio caro inquilino, e mi ha
confessato
che avrebbe bisogno di una
mano per andare a prendere un paio di cose.
Visto che non sei venuta ad
aiutare prima, lo farai adesso. Naturalmente
passerò a vedere come procede
la sistemazione. Confido in te tesoro, così
imparerai la prossima volta
ad arrivare in tempo.»
«Sono fregata, vero?»
Note
dell’autrice (note dell’autrice? Uhhh ci stiamo dando
un tono qui, eh?)
Lo so, adoro scrivere della nonna di Raon: inizialmente pensavo ad un personaggio marginale, ma
è troppo dolciosa e stronzetta per poterla mettere in
un angolo! I due sembrano andare più d’accordo forse, ma direi che dei dolcetti
dal fornaio metterebbero d’accordo chiunque, non solo loro ahahaha!
Alla prossima, vi ringrazio enormemente per essere il carburante delle mie dita
sulla tastiera! Un enorme grazie a tutti voi che mi leggete e sostenete in
tutti i modi!
-Stefy-