Note
dell’autrice: Eccomi tornata. Scusate il ritardo ma ero ad un campeggio
antirazzista a Cecina (tra l’altro ho conosciuto ed abbracciato
Luxuria).
Vabbè,
lasciamo perdere ed cominciamo con:
L’ANGOLO
DELLE RECENSIONI:
TENSI:
Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Ti dirò, sto esaurendo le idee
per gli scherzi da poter far fare a Basil ma, se il cielo lo vorrà,
qualcos’altro vedrò di trovare.
Grazie
per la recensione, per sapere chi è Elizabeth credo che dovrai aspettare almeno
un altro capitolo. Buona lettura.
ASHLEY
SNAPE: Grazie per i complimenti, condivido in pieno la tua ammirazione per Basil
(anche se penso che si fosse già capito XD). Per sapere chi è l’amica di
Cornelia dovrai attendere un altro po’, mi spiace.
Buona
lettura
Ok,
possiamo cominciare.
Capitolo
12
I
giorni, come tutti sanno, passano con una lentezza incredibile quando si è
costretti a letto. Così era stato per Basil e Cornelia, tanto più che, quando
anche il mal di testa e la febbre erano passati, Topson aveva insistito affinché
se ne restassero a riposo almeno per un’altra settimana e c’era da dire che,
quando voleva, sapeva essere molto convincente: la frase “A costo di usare il
cloroformio…” era stata quella che li aveva convinti totalmente.
Erano
comunque riusciti a strappare il dottore il permesso di potersi vedere e così,
per due volte al giorno, a turno, venivano accompagnati l’uno nella stanza
dell’altra e viceversa per chiacchierare un po’.
Inizialmente
Topson, dopo aver accompagnato uno dei due, aveva tentato di uscire dalla stanza
per lasciarli un po’ da soli (nonostante tutte le regole dell’etichetta) ma i
due avevano continuato a pregarlo di restare e, alla fine, si era deciso a fare
loro compagnia.
In
quelle ore di divertimento (alle quali spesso e volentieri si univa anche la
signora Placidia, che arrivava sempre con un vassoio pieno zeppo di leccornie),
il dottore venne a conoscenza di tanti episodi della prima giovinezza dell’amico
che non aveva mai scoperto in dieci anni di convivenza: aneddoti di ogni genere,
avventurosi, tristi, ma soprattutto, divertenti. Topson notava anche che, dietro
alle risate e all’apparente spensieratezza, si nascondeva un’ombra che ognuno di
loro cercava di celare, di non nominare. Non ci voleva certo Basil per capire di
cosa, o meglio, di chi si trattava:
Rattigan.
A
parte alcuni articoli pubblicati nei giorni immediatamente successivi
all’attacco a Buckingham Palace, non se n’era più saputo nulla. I giornali
raccontavano lo stupore ed il terrore generale, causati dal ritorno di un
criminale creduto morto e raccontavano il suo attacco a corte. Come al solito
c’erano diverse versioni del fatto, la più mirabolante delle quali sosteneva che
c’era stata una lotta tremenda, completa di spade, asce e colpi di boxe, tra il
grande investigatopo ed il Napoleone del crimine per la conquista della bella
attrice, prigioniera del ragno scagnozzo di Rattigan: la scena finale
comprendeva poi, ovviamente, la fuga del ratto (“Volevi che facessi Robin Hood?
Eccoti servita” aveva commentato Basil dopo aver letto l’articolo, rivolgendosi
a Cornelia).
Comunque,
pensava Topson, anche se tutti sapevano che il “problema Rattigan” era
tutt’altro che risolto, per il momento non avrebbe causato molti danni, essendo
il ratto stesso ferito e poi, avevano preoccupazioni ben peggiori: i fan e, in
un secondo momento, la stampa.
Uno
stuolo di gente, un po’ curiosa ed un po’ seriamente preoccupata per il grande
difensore della giustizia si appostava quotidianamente davanti al 221/b di Baker
Street, correndo il rischio di richiamare l’attenzione degli umani e, di
conseguenza, della disinfestazione. Incuranti di ciò, cercavano di carpire
informazioni sulla salute del loro beniamino. Alcuni, più arditi, avevano
addirittura tentato di suonare al campanello e di farsi ricevere, ma la signora
Placidia che, dopo aver raccolto i loro biglietti da visita, li portava al
padrone per farsi dire se doveva accoglierli o meno in casa, li respingeva il
più delle volte.
La
povera donna stava cominciando ad andare in escandescenze, ma il peggio doveva
ancora arrivare. Una bella mattina si presentarono alla porta quattro distinti
signori, che chiesero della signorina Blackwood. Dopo aver portato i biglietti
da visita alla diretta interessata ed aver ricevuto il via libera dalla ragazza,
la signora Placidia li aveva fatti accomodare.
Avrete
probabilmente già capito che si trattava di Rudyard, Owen, Lionel e Jerome,
venuti a sincerarsi della salute della loro amica. Il pomeriggio fu piacevole,
pieno di risate e di chiacchiere: per dirne una, Cornelia volle sapere dove
avessero trovato il coraggio per venire a salvarla ed Owen, con aria molto
teatrale, si era inginocchiato accanto al letto della ragazza, le aveva preso la
mano ed aveva detto:
“Per
questo dolce paio di occhi,
per
queste lunghe ed affusolate dita,
non
darei solo la mano
ma
anche la vita”
“Ah,
e semplicemente per come sono non l’avresti fatto eh? Ma guarda tu questi cosa
vanno a guardare in una ragazza: gli occhi li posso anche capire, ma le mani…”
aveva risposto scherzosamente lei.
“Allora”
si era introdotto Lionel “alla fine ce l’hai fatta, l’hai
ritrovato.”
“A
chi ti riferisci?” aveva chiesto Cornelia, già temendo la risposta.
“Ma
al tuo lui, ovvio” aveva risposto il biondo “Finalmente!! Lo volevo vedere e
capire cosa avesse di più rispetto a noi.”
“Anch’io”
aveva aggiunto Jerome “Ma francamente non ci ho trovato niente di molto diverso.
Dicci un po’, cos’ha di speciale?”
“Beh”
aveva risposto lei giocherellando con le lenzuola “Lo conosco fin da quando ero
piccola, ho sempre potuto contare su di lui e poi…”
“E
poi..?” l’aveva incitata Rudyard, ghignando.
“E
poi… è semplicemente il mio tipo,
non mi annoio mai con lui, ogni giorno rischio la vita e questo mi piace un
sacco. Poi sa essere dolce se pr4eso per il verso giusto, è protettivo, forse un
po’ geloso e…”
“Di
chi state parlando?”
Basil
aveva scelto proprio quel momento per entrare nella stanza accompagnato da
Topson. Tutti si erano azzittiti per un momento, Cornelia era arrossita e teneva
gli occhi bassi.
“Lupus
in fabula.” Mormorò Jerome.
“Ah,
allora si parlava di me.” Disse Basil ridendo, mentre si sedeva su una sedia
accanto al letto “Spero che non fossero cattiverie.”
“Assolutamente
no.” Rispose Cornelia con sincerità, ma forse troppo in fretta, perché il
detective la guardò un po’ di traverso.
“Sei
sicura?” le chiese alzando un sopracciglio.
“Sì,
certo, non ti fidi forse di me?”
“Beh,
sai, è difficile fidarsi di una che non vedevo da dieci anni e che, anche se a
fin di bene, mi ha raccontato qualche bugia.”
“Ma
sentitelo!! Me lo rinfaccerà per tutta la vita.” Aveva detto lei, passata dalla
vergogna all’ira in pochi secondi.
“Mi
pare il minimo no?” aveva risposto lui.
Lei
allora aveva tossicchiato un po’, ma fra i colpetti di tosse, si era potuta
udire la parola “sentiero”.
Gli
altri, che fino a quel momento se n’erano stati zitti, non sapendo se essere
divertiti o meno da quel battibecco, lanciarono occhiate curiose prima alla
ragazza, che aveva un sorrisetto stampato sulla faccia, al detective che la
guardava meravigliato, stupito da un simile colpo basso.
“Avevi
promesso di non parlarmene più.” Aveva detto poi a voce bassa.
“Mi
hai costretta, peggio per te caro mio.” Aveva risposto lei.
“Ehm,
scusate, ma di cosa stiamo parlando?” aveva chiesto Topson.
“Nulla,
nulla, solo che, da ragazzi, ci piaceva andare in montagna. Una volta, una
signora poco abituata a camminare, ci aveva detto di voler venire con noi, ma
che dovevamo scegliere un sentiero adatto. Lui allora, si è puntato dicendo di
voler fare tutto da solo per organizzare la gita. E’ andata a finire che ci
siamo persi su un sentiero roccioso particolarmente ripido e scosceso. Non ho
mai sentito qualcuno mandargli tante offese quante gliene mandò quella signora
durante quella passeggiata.” Aveva raccontato Cornelia ridendo.
Anche
gli altri erano scoppiati a ridere, perfino Basil aveva sorriso. Tra storielle
simili e battute varie, i quattro attori se n’erano andati, facendosi promettere
da Cornelia di raggiungerli per un nuovo spettacolo il prima
possibile.
Purtroppo,
l’arrivo dei quattro ragazzi non era passato inosservato alla stampa che, dopo
aver fatto qualche ricerca, era venuta a sapere che Cornelia non alloggiava più
nel suo albergo. Non era stato difficile fare due più due e così, la mattina
dopo, quando la signora Placidia aveva tentato di uscire per fare la spesa, si
era ritrovata davanti un’orda di giornalisti inferociti. Con una calma
sorprendente, era rientrata in casa, si era rassettata un po’ e poi, munita di
matterello, era di nuovo uscita nella calca, minacciando di dare l’arnese di
marmo in testa a qualcuno.
Ciò
poteva essere servito per aiutare la povera donna a sbrigare le sue commissioni,
ma non era bastato a far sloggiare la stampa. Così, la permanenza di Cornelia in
casa dell’amico si era dovuta prolungare ulteriormente.
Per
i primi tempi, la cosa non fu tanto tragica: i due, uniti a Topson, non
mancavano certo di fantasia e si erano così inventati vari modi per passare le
giornate, come ad esempio mettersi ad accordare un vecchio pianoforte trovato
nello scantinato del 221/B, in modo che Cornelia potesse suonare qualcosa. Dopo
qualche giorno, però, tutti bramavano un po’ di aria fresca e la noia aveva
cominciato a farsi sentire. Fu proprio in uno di quegli uggiosi pomeriggi che la
soluzione al loro problema suonò alla porta. Quando la signora Placidia andò ad
aprire, non fece in tempo a chiedere i biglietti da visita che una signora,
seguita da uno stuolo di gente, si catapultò in casa, aiutando poi la cameriera
a richiudere fuori i giornalisti.
“Ci
scusi per l’intrusione signora” disse asciugandosi la fronte con un fazzoletto.
“Volevo
solo vedere come sta mia figlia e si è unito anche il resto della famiglia.”
Aggiunse poi indicando le persone intorno a lei.
“Signora
Blackwood?” chiese stupita la donna.
“Mamma?!”
giunse dal salotto la voce altrettanto stupita di Cornelia.
Sentendo
la voce, la signora, seguita dagli altri, si recò nella stanza dove trovò la
figlia, insieme a Basil e a Topson.
La
ragazza si alzò e corse ad abbracciare la madre.
“Tesoro
mio, come stai?” le chiese la donna, accarezzandole i capelli.
“Sto
bene mamma, sto ancora meglio ora che vi vedo tutti.”disse poi riferendosi al
resto della “truppa”.
“Piccola
mia.” Disse un uomo dai capelli neri con l’aria seria.
“Salve
papà.” Rispose la ragazza abbracciando anche lui.
“Credo
che da qui in avanti diventerebbe complicato abbracciare tutti vero?” disse una
topolina con dei corti capelli castani lisci e gli occhi scuri.
“Ti
ringrazio per avermelo risparmiato, sorellina” rispose Cornelia.
“Buffo,
non si direbbe che…” cominciò Topson.
“…..Siamo
sorelle?” Completarono Cornelia e la giovane.
“Già,
a quanto pare ve lo dicono tutti.” Disse il dottore.
Effettivamente
le due ragazze non si somigliavano per nulla e, come Topson avrebbe scoperto in
futuro, differivano parecchio anche nel carattere.
Notò
anche che la più piccola delle sorelle Blackwood aveva ragione: i parenti venuti
a trovare Cornelia erano veramente tanti. Ce n’erano una decina nella stanza e,
a quanto gli disse Basil, ce n’erano all’incirca un’altra ventina, tutti di
primo grado.
“La
famiglia di Cornelia è una delle più grandi del paese: in un certo senso, sua
nonna ha dato una grande zampa alla situazione, mettendo al mondo la bellezza di
sette figlia, mentre una sua zia ne ha avuti sei.”
“Accipicchia!!
Mi immagino quanti siano tra cugini allora.”
“A
proposito cara” disse la signora Blackwood, sentendo quella parte di
conversazione
“Sapevi
che siete arrivati a quindici?”
“Sì,
come hai detto che l’ha chiamata lo zio, Vera?”
“Brava,
ti sei ricordata bene.”
“Scusate,
a quindici di cosa?”chiese Topson.
“Cugini.”rispose
prontamente la madre di Cornelia “Anzi, mia cara, lascia che te la presenti.
Gerald, perché non le porti la piccola?” chiese poi ad un uomo seduto vicino al
camino con un fagotto in braccio.
“Certo.”
Disse lui, alzandosi ed avvicinandosi alla ragazza. Cornelia, seduta sulla
poltrona, si sporse un po’, quanto bastava per vedere il dolce musetto di una
creaturina addormentata.
“Mamma
mia, quanto è bella. Complimenti davvero.” Disse lei, accarezzando i lineamenti
del piccolo viso.
“Prendila
in braccio.” Le disse l’uomo.
“Zio,
ma è da tanto che..”esitò lei
“Allora
mi pare proprio il momento di cominciare a rimettersi in pari. Dai tieni.” E,
detto questo, Gerald le mise la piccolina tra le braccia.
La
ragazza rimase per un attimo paralizzata. Era incredibile, dopo dieci anni,
poter tenere di nuovo una bimba tra le braccia. Vera, dal canto suo, guardava
l’attrice con il suo bellissimo paio di occhi nocciola.
Fu
un attimo, l’azzurro incontrò il marrone e la rigidezza di Cornelia fu solo un
ricordo. La piccolina, ad un certo punto, emise un versetto poi un altro ed un
altro.
La
ragazza allora cominciò a risponderle, nel tipico modo che noi tutti assumiamo
quando ci troviamo di fronte ad un neonato.
“Ah,
allora chiacchieri eh? Brava signorina, eh sì, sei proprio bella lo sai?” E così
via.
Basil
la guardava da un angolo, assorto. Topson gli si avvicinò e chiese:
“A
cosa pensi?”
Il
detective lo guardò e rispose sorridendo:
“Ti
parrà strano, ma, vedendola così, mi sembra quasi una madre con in braccio la
sua piccina.”
“Sì,
ora che me lo fai notare è vero. Fammi capire, questo significherebbe vederti
veramente sistemato?”
Basil
arrossì un po’.
“Beh,
che ci sarebbe di male?” chiese imbarazzato
“Assolutamente
nulla.” Rispose ridendo Topson.
Basil
riportò lo sguardo su Cornelia e sospirò.
“Mi
chiedo, però, quando sarà possibile sistemarsi. Il mio lavoro non me lo concede
e, penso, per ora nemmeno il suo.”
“Basterà
avere un po’ di pazienza vecchio mio, non ti preoccupare.”
Intanto
Cornelia aveva reso la piccola in braccio al legittimo genitore e stava
discutendo con la sorella.
“Allora,
sono dieci anni che sei a giro con gli attori più belli del mondo e non me ne
hai ancora presentato nessuno?” stava chiedendo la giovane.
“Cecil,
cara, non posso chiamarli a mio
piacimento.”le rispose Cornelia.
“Comunque
ora quattro di loro sono a Londra: magari riesco a combinarti un
appuntamento.”
“Uffa,
alle volte vorrei poter essere come te ed incontrarli spesso.”
“Non
sai quello che…” L’attrice si bloccò di botto, il suo sguardo volò a
Basil.
“Forse
ho trovato una soluzione al nostro problema con la stampa.”
Detto
questo, senza ulteriori spiegazioni, corse al piano di sopra e gli occupanti la
sentirono rovistare per la stanza. Quando la ragazza tornò giù, aveva tra le
braccia dei trucchi ed una parrucca che emulava molto fedelmente i suoi
capelli.
“Cecil,
stasera avrai l’onore di essere me.”
La
sorella la guardò confusa, poi capì.
“Va
bene, ci sto, però ad una condizione.”
“Ossia?”
chiese Cornelia un po’ preoccupata.
“Mi
farai incontrare Jerome?”
L’attrice
alzò gli occhi al cielo e poi disse:
“Andata.”
Dieci
minuti dopo, dalla porta del 221/b uscirono i familiari di Cornelia, insieme ad
una ragazza molto simile a lei, con un grosso cappello a coprirle il
volto.
I
giornalisti ci cascarono in pieno e si allontanarono per seguire colei che per
loro era l’attrice.
Da
dietro la finestra, Basil, Topson e Cornelia avevano osservato l’intera scena ed
avevano esultato.
“Bene,”
disse Basil “per un po’ staremo tranquilli.”
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“Ho
dato loro abbastanza tranquillità, non credi Moriarty? E’ giunta l’ora di
tornare in azione.” Disse Rattigan al suo tirapiedi.
“Sì,
ma stavolta cosa avete in mente?” chiese il ragno.
“E’
da un po’ che la banca di Londra non ha nostre notizie. Che ne diresti di
alleggerirla un po’?”
“Mi
pare una buona idea, ma non ti sembra un pò rischioso esporsi?”
“E
chi ti ha detto che agirò in prima persona? Ho sempre i miei fedeli scagnozzi
no? Sarai tu a dar loro una mano e, mi raccomando, non fallire.”
“Certo
capo.” Borbottò il ragno, legandosi mentalmente alla zampa il fatto di essere
stato paragonato ad uno scagnozzo e sparendo nell’ombra per andare a radunare le
truppe di Rattigan.
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“Certo
che Rattigan è da un po’ che non si fa sentire.” Disse Basil, dalla poltrona
dove stava comodamente fumando la sua pipa.
“Non
ti lamentare, io non ne sento la mancanza.” Replicò Topson alzando per un attimo
gli occhi dal Times.
“Per
carità, solo che non mi piace questo suo silenzio troppo prolungato.” Rispose il
detective.
“Tranquillo,
arriverà il tempo per le preoccupazioni. Ora pensa a riposarti.” Gli disse
Cornelia mentre leggeva il copione del suo prossimo spettacolo.
Ad
un certo punto suonò il campanello e la ragazza si alzò.
“Dove
vai?” le chiese Basil inarcando le sopracciglia.
“Ad
aprire, naturale.” Rispose lei.
“Lascia
che ci vada la signora Placidia.” Replicò il detective.
“E’
il suo giorno libero.”
“Ah,
comunque preferirei che tu non andassi, potrebbe essere pericoloso.”
“Ma
dai, che vuoi che succeda?” disse la ragazza poi, vedendo il cipiglio
preoccupato di Basil aggiunse:
“Facciamo
così: se succede qualcosa urlo va bene?”
“Non
sono ancora convinto.”
“Ti
ricordo che ho vinto il primo premio per l’urlo più terrificante di Londra
durante la festa di Halloween.” Replicò lei e, senza aspettare una risposta, si
avviò verso la porta.
“Ma
quanto è cocciuta!!!” esclamò Basil. “Giuro che se le succede qualcosa
io…”
Non
riuscì a completare la frase perché l’urlo altissimo di Cornelia si era levato
dall’atrio.
FINE
DEL CAPITOLO
Perché
Cornelia avrà urlato? Cosa sarà successo? Dovrete porvi questi interrogativi
fino al prossimo capitolo. Devo darvi una terribile notizia: avete visto che
esce il nuovo film di Sherlock Holmes a Natale? Avete visto il trailer? Se no,
vi dico che, tragica coincidenza, il cognome del cattivo è Blackwood. Che
tristezza!!! Vabbè, io vi allego il link del trailer sottotitolato in italiano.
http://www.youtube.com/watch?v=0R_OPwaxzV8&feature=PlayList&p=EA2FCF6DC712CD5E&playnext=1&playnext_from=PL&index=11
Buonanotte
e grazie per aver letto.
Baci
Bebbe5