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Autore: blackjessamine    25/04/2019    4 recensioni
Ufficio Misteri, 31 dicembre 1998: mentre l'anno della guerra e della pace vive i suo ultimi minuti, un gruppo di Indicibili scopre che una Soglia altro non è che un passaggio, e che dove si può andare avanti, si può tornare indietro.
Un grosso cane nero – apparentemente molto debole, ma innegabilmente vivo – viene estratto dalle macerie di un arco di pietra.
E mentre l'anno della morte e della rinascita volge al termine, i rimpianti si fanno leggeri, pronti ad essere spazzati via dalla speranza di una seconda possibilità.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Harry Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pas de Deux '
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Capitolo 13
(almost) Anarchy in the U.K.






Il silenzio era rotto soltanto dal crepitare allegro delle fiamme del camino, ma Sirius aveva l’impressione di non riuscire a udire altro che lo sciabordare costante e impetuoso del sangue che gli rimbombava nelle orecchie. 
Era passato solo un istante da quando Harry e Alhena avevano lasciato l’Uccello Vermiglio, eppure Sirius si sentiva solo come non credeva d’essere mai stato.
Per tutta la cena tesa e silenziosa non aveva fatto altro che sperare, con un po’ di senso di colpa, che Alhena e il suo figlioccio si decidessero presto a lasciarlo solo: le loro occhiate sollecite e preoccupate, il loro chiacchierare a voce troppo alta e troppo allegra per cercare di distrarlo, i sorrisi che non riuscivano a nascondere il loro stesso nervosismo lo stavano sfiancando. 
Eppure, non appena le fiamme verdi del camino si erano portate via la loro presenza nervosa ma premurosa, Sirius si era sentito sprofondare in un gorgo gelido.
L’uomo si passò una mano sulle guance rasate di fresco, mentre osservava con aria cupa i suoi vestiti migliori appesi con cura alle loro grucce – abiti nuovi, abiti sobri ed eleganti che Alhena lo aveva aiutato a scegliere solo la mattina precedente.
È sempre meglio fare buona impressione, in questi casi. 
Come se non lo sapesse. 
Come se un buon abito e i capelli ben pettinati su un viso ben rasato potessero fare alcuna differenza: entro dodici ore i suoi bei vestiti e le sue guance lisce avrebbero affrontato un’udienza davanti alla corte completa del Wizengamot, e niente, niente avrebbe potuto convincere Sirius che nel Ministero ci fosse ancora una qualche speranza di giustizia. 

Un bagliore di smeraldo obbligò Sirius a voltarsi appena in tempo per vedere una palla di pelo nero caracollare nel suo salotto – travolgendo almeno duecento galeoni in porcellana decorata a mano qualche secolo prima – seguita presto da una figura più alta e sottile.
“Ma che diamine…”
“Oh, al diavolo! Non ce la faccio a restare da sola…”
Alhena, con indosso ancora i pantaloni sporchi della farina con cui aveva impastato e poi bruciato dei biscotti per cena, era ferma ad un passo dal camino, le labbra tese in una smorfia preoccupata. 
“Credevo avessi detto che dovevo dormire”, mormorò Sirius, rendendosi conto che la sua voce era un roco sussurro. 
“Infatti, dovresti. Però… posso restare qui ancora un po’?”
Il pallore grigiastro sul viso di Alhena faceva credere che fosse lei, quella che entro poche ore avrebbe dovuto affrontare un processo che rischiava di far finire di nuovo la sua vita. 
“Resta quanto vuoi”, si ritrovò a dire Sirius, consapevole di quanto fosse più facile continuare a respirare mentre Alhena lo fissava e Marmellata, incurante delle tragedie che si abbattevano sulla vita dei due umani, si guardava attorno scodinzolando, felice. 

Non parlarono, Alhena e Sirius.
C’era poco che potessero dire, poco che avrebbe avuto qualche senso. 
Alhena preparò il tè ad entrambi, ed entrambi lasciarono che le loro tazze si freddassero senza berne nemmeno un sorso. 
Sedettero l’uno accanto all’altra sul vecchio divano comprato da zio Alphard, le dita che qualche volta si sfioravano mentre accarezzavano Marmellata, la mente persa su fantasiose e mute ricostruzioni di ciò che sarebbe accaduto l’indomani.
Non riusciva ad essere razionale, Sirius. Non riusciva a immaginare realmente che cosa sarebbe accaduto: per lui, varcare la soglia del tribunale equivaleva solo a cadere in un pozzo nero di cui non riusciva a vedere l’uscita.
“Dovresti davvero provare a dormire un po’”, disse infine Alhena, guardandolo di sottecchi.
“Non credo chiuderò occhio, questa notte, e lo sai”.
“Magari qualche goccia di Pozione Soporifera? Dovrei averne un po’, a casa… posso andare a prenderla, se vuoi”.
“No. Voglio solo… ti va di restare con me ancora un po’?”
Alhena annuì, e Sirius, per la prima volta quella sera, decise di abbandonarsi all’istinto che solleticava i suoi nervi da ore. 
Con un brivido elettrico, lasciò che il suo corpo abbandonasse la rigida tensione dei suoi arti umani, accogliendo con gioia lo scattare flessuoso del corpo di Felpato. Tutto il sollievo per essere tornato in un corpo in grado di respirare attraverso la sua paura umana svanì col guaire terrorizzato di Marmellata, che non sembrava aver apprezzato per niente il cambiamento d’aspetto dell’uomo con cui divideva il divano. Il cagnolino cercò rifugio fra le braccia di Alhena, tremando piano e guaendo, strappando alla ragazza una mezza risata.
“Ma quanto sei tonto? Non vedi che è sempre Sirius? Annusalo, almeno!”
Le carezze di Alhena, assieme al suo sussurrare pacato, finalmente ridussero il cagnolino alla ragione, al punto tale che l’animale trovò il coraggio di annusare con circospezione il grosso essere che lo fissava con occhi grandi e lucidi, il capo posato pazientemente sulle zampe anteriori. E qualcosa, nell’odore di Felpato, dovette davvero ricordare a Marmellata Sirius, perché il cagnolino prese confidenza e coraggio, dimenando felice nell’aria il suo codino spelacchiato e abbaiando allegro.
E Sirius comprese, con quel modo istintivo e impreciso di comunicare che avevano gli animali, che Marmellata era stupito, ma pronto ad accogliere quell’anomalo uomo-cane. Ed era un po’ preoccupato, anche se fingeva di non esserlo, perché la sua umana rannicchiata sul divano non era felice. E le sue feste da sole non bastavano: l’uomo-cane – che alla sua umana voleva bene, questo Marmellata lo sapeva anche quando li vedeva litigare o stare seduti vicini senza farsi le coccole – doveva fare anche lui la sua parte. Doveva fare come Marmellata, e appoggiare il capo sulle gambe incrociate della loro umana, e aspettare che lei cominciasse a grattare la pelle sottile dietro le loro orecchie, e agitare la coda e leccarle le dita, e poi guardarla sorridere e condividere con lei il calore del proprio corpo. 
Prima che potesse rendersene conto, Sirius aveva agito d’istinto, lasciandosi travolgere dall’odore di Alhena, così intenso, così familiare, così rassicurante…

Rimasero abbracciati a lungo: un grosso cane nero, una ragazza esile e un cagnolino dall’aria soddisfatta. 
Rimasero abbracciati, e a tratti si addormentarono, ignorando la scomodità del divano. 
Rimasero abbracciati anche quando Sirius, nel dormiveglia, tornò ad assumere la sua forma umana, strappando ad Alhena un sospiro e qualche lento movimento per accoglierlo al meglio nel suo abbraccio. 
Rimasero abbracciati anche quando la fredda luce dell’alba inondò di grigio l’ampia sala del cottage, e poi quando fu il verde delle fiamme del camino a disegnare lunghe ombre nella selva di oggetti che ingombravano ogni superficie disponibile. 
Sirius si riscosse dal torpore che lo aveva invaso appena in tempo per riconoscere la figura alta e spettinata di Harry, che fissava l’incastro di corpi mezzi intorpiditi sul divano con espressione vagamente imbarazzata.
Fu Alhena la prima a reagire, sciogliendosi lievemente da quell’abbraccio e scattando in piedi.
“Harry! Ma che ore sono?”
Harry si schiarì la gola, ignorò Alhena e si rivolse solo a Sirius:
“Sono quasi le sette… dobbiamo andare!”
Sirius, che durante la notte aveva trovato abbastanza serenità per abbandonarsi ad un sonno leggero e agitato, sentì tutto il peso della consapevolezza di ciò che lo attendeva precipitare come un macigno sulle sue spalle. 
“Le… cosa? Ma il processo è alle undici…”
Si sollevò, chiuse gli occhi e cercò di ritrovare un po’ di lucidità.
“Sì, ma non si sa mai… a volte cambiano l’orario di inizio… vai a cambiarti!”
Nello sguardo di Harry c’era una preoccupazione poco lucida, e Sirius, con un discreto sforzo, ricordò il processo che Harry stesso aveva dovuto affrontare, e come al Ministero avessero fatto di tutto per farlo apparire in pessima luce. Questo caso era diverso, avrebbe voluto ripetersi Sirius. Nessuno voleva metterlo all’angolo con sotterfugi del genere… eppure, anche per lui era impossibile fidarsi del tutto di un’istituzione che lo aveva già una volta gettato all’Inferno senza nemmeno dargli la possibilità di spiegarsi. 
Fu Alhena a sistemare la questione.
“Avete tutto il tempo del mondo, stai tranquillo. Per sicurezza, però, forse è meglio se ora vai a lavarti… arriverete comunque prima che il Ministero apra, quindi non correte alcun rischio di mancare un cambio d’orario”.
La ragazza raccolse il corpo ancora mezzo addormentato di Marmellata, e si avvicinò alle fiamme del camino per poi fermarsi, all’improvviso, e voltarsi di scatto:
“Ci vediamo direttamente al Ministero… a tra poco”.
***

Percy Weasley pulì con dita incerte le lenti degli occhiali sulla stoffa della sua veste, prima di inforcarli di nuovo e guardarsi attorno: l’ampia aula era gremita di maghi e streghe che parlottavano incuriositi ed eccitati. Era un vociare allegro e vivace, molto più adatto ad un incontro sportivo che a un processo.
Il Wizengamot si era riunito al gran completo, nonostante si trattasse di un caso, tutto sommato, piuttosto semplice, di competenza dell’Ufficio per l’Applicazione sulla Legge della Magia. Non c’era bisogno di domandarsi come mai: chiunque, al Ministero, avrebbe fatto carte false per accaparrarsi una briciola di informazione esclusiva uscita dalla bocca dell’uomo che era tornato dalla morte. 
In quanto Sottosegretario del neonato Ufficio per la Riabilitazione della Verità Storica, Percy aveva presenziato a moltissimi processi, nel corso degli ultimi mesi, ma raramente aveva visto tanta curiosità e tanta allegria in una di quelle aule.
Il Ministro aveva proibito l’accesso alla sala a chiunque avesse contatti con la stampa, eppure Percy era certo che alcuni dei volti confusi fra la folla dei testimoni e dei parenti – Shacklebolt aveva stabilito già mesi prima che i processi dovessero svolgersi, per correttezza, a porte aperte almeno ai civili – si sarebbero affrettati a spedire un gufo carico di dettagli ai propri capi in redazione, non appena il processo di fosse concluso. 
Nelle prime file riservate al pubblico, le teste della sua famiglia spiccavano in mezzo ai colori scuri degli abiti dei maghi: sua madre, che teneva fra le braccia il piccolo Teddy Lupin, gli fece un discreto cenno di saluto. Andromeda Tonks, in quanto unico membro della famiglia Black ancora in vita che avesse avuto contatti con l’imputato durante la fine della sua adolescenza, sedeva nell’ala riservata ai testimoni, e parlava a bassa voce con una Minerva McGrannitt dall’aria battagliera. Davanti a loro, immersi in una conversazione fittissima, c’erano Harry, Hermione e suo fratello Ron. Percy trattenne a stento un sorriso: quei tre erano ormai degli adulti, eppure c’era una familiarità nei loro modi di fare che a lui avrebbe sempre ricordato i tre ragazzini che lui, da Prefetto e Caposcuola, non era mai riuscito a controllare.

Improvvisamente, il silenzio si diffuse come un’onda contagiosa fra i presenti: Maat Phayre, esperta di Diritto Magico e interlocutrice designata della seduta, si era alzata in piedi, e con un cenno chiedeva silenzio e attenzione.
Percy sistemò meglio il rotolo di pergamena che aveva davanti, pronto ad appuntare diligentemente ogni intervento. Una certa curiosità si era impossessata anche di lui, ma era piuttosto tranquillo: la Phayre era una donnetta formidabile, di cui era impossibile stabilire l’età, determinata a inseguire la verità ad ogni costo e tenace come pochi. Ma era anche una donna giusta, e Percy era certo che, in mano sua, Sirius Black avrebbe ricevuto un processo equo e una sentenza intelligente.
“Fate entrare l’imputato”.
La voce della Phayre risuonò, calda e decisa, nella sala ormai silenziosa.
La porta in fondo all’aula si aprì, lasciando entrare due Auror in divisa che scortavano, senza sfiorarlo, Sirius Black.
Black era alto e pallido, ma il suo passo era fermo. Percy poté notare diversi colli stendersi per catturare uno sguardo migliore dell’uomo più chiacchierato dell’anno, e, con sua grande vergogna, si ritrovò a fare lo stesso: aveva incontrato Sirius Black soltanto una volta, la sera in cui era stato dimesso dal San Mungo, ma in quell’occasione non aveva scambiato con lui più di qualche parola. I lineamenti dell’uomo che ora aveva di fronte erano meno emaciati, e i suoi occhi più presenti, ma era facile ravvedere in quel viso segnato il volto scarno e folle che aveva presentato il pazzo, l’assassino, il fuggiasco a tutto il mondo magico.
Sirius Black venne fatto accomodare su un’alta sedia di ferro al centro della sala, proprio davanti a Maat Phayre, che gli rivolse un breve sorriso, prima di dare il via al processo.

Le domande della Phayre furono precise e corrette, volte soprattutto a ricostruire l’esatta dinamica degli avvenimenti, e le risposte di Sirius furono dei ringhi ostili e rabbiosi, guardinghi.
Il caso era piuttosto semplice: all’età di sedici anni, l’imputato Sirius Orion Black assieme a James Fleamont Potter e Peter Minus avevano clandestinamente intrapreso la strada per diventare Animagi, al fine di rendere meno dolorose solitarie le trasformazioni in Lupo Mannaro di Remus John Lupin, Ordine di Merlino, Prima Classe. Diversi furono, a questo punto, gli sguardi furtivi lanciati al bimbo seduto sulle ginocchia di Molly Weasley, il quale, forse per mimetizzarsi meglio in mezzo alla folla, sfoggiava con nonchalance una folta chioma pel di carota. 
Sirius Black, sempre più pallido, le dita lunghe e sottili contratte sui braccioli della sedia, sputava le sue risposte laconiche in faccia al Wizengamot.
Quando Reginald Landry domandò per quale motivo, in vent’anni, Black non avesse mai pensato di mettere in regola la sua posizione, l’uomo non gridò. Fissò a lungo i volti avidi che lo fronteggiavano, e sibilò:
“Perché la vostra giustizia non mi ha mai concesso il lusso del diritto di parola. Mi avete fatto marcire all’inferno, e ringrazio ogni giorno di aver tenuto la bocca chiusa e di non aver mai messo piede nel vostro Registro degli Animagi, o a quest’ora, probabilmente, sarei solo un’altra tomba senza nome ad Azkaban”.
Non la mossa più saggia, si ritrovò a pensare Percy, ma certamente una frase in grado di creare un certo effetto. 

La piuma di Percy sembrava volare sulla pergamena mentre, diligentemente, raccoglieva ogni dettaglio.
Sirius Black fu costretto a rispondere a domande sempre meno attinenti al suo essere un Animagus non registrato per più di un’ora, mentre i membri del Wizengamot ripercorrevano la morte dei Potter, la cattura di Black e poi la sua fuga, e ogni suo movimento da quando era evaso da Azkaban. Percy sapeva che tutto ciò non era corretto: Black era stato prosciolto da tutte quelle accuse. Eppure, Percy sapeva che quel processo, sotto sotto, serviva soltanto a saziare la sete di curiosità della comunità magica, ansiosa di sapere dalla voce dell’interessato cosa si provasse a tornare dal regno dei morti.
Fu con un moto di orgoglio, quando si passò finalmente ad ascoltare la voce dei testimoni, che Percy annotò le parole di Ronald, e il suo ripercorrere la notte in cui, ragazzino, si era ritrovato faccia a faccia con quello che credeva un assassino. 
Annotare ogni parola pronunciata da Hermione Granger fu un’impresa assai ardua: la ragazza, man mano che prendeva confidenza con la corte, abbandonò il sentiero tracciato poco prima di lei da Ronald, e cominciò a snocciolare con sicurezza e rapidità date e nomi, precedenti giuridici, leggi e vecchie sentenze. Non si stupì per nulla quando vide Proserpina Roth, la Direttrice dell’Ufficio per l’Applicazione della Legge sulla Magia, scarabocchiare rapidamente un appunto con il nome di Hermione e i riferimenti a una importante borsa di studio. Percy era certo che, quando fosse tornata a Hogwarts, la colazione di Hermione sarebbe stata accompagnata da un buon numero di gufi recanti interessanti proposte per la sua carriera. 
La testimonianza di Harry Potter fu una faccenda lunga. 
Percy si ritrovò a scrivere e riscrivere sempre le stesse cose, mentre persone che non avrebbero nemmeno avuto la facoltà di parlare, durante quell’udienza, continuavano a porre domande del tutto estranee al caso. 
Harry serrava i pugni, contraeva la mascella e perdeva lentamente la calma. Con un moto di vergogna, a Percy sembrò sempre più di perdere di vista il Prescelto, il Ragazzo-Che-È-Due-Volte-Sopravvissuto, per ritrovare sul viso di Harry la stessa rabbia cieca che gli aveva fatto gridare “l’ho fatto per via dei Dissennatori” in un’aula simile a questa, tre anni prima.
Proprio quando Percy aveva ormai abbandonato ogni pretesa di prendere appunti e guardava con vivo interesse e non poca preoccupazione il nervosismo prendere lentamente il sopravvento sul viso di Harry, accaddero due cose in rapida sequenza. Dalle ultime file dei membri del Wizengamot, qualcuno domandò:
“Signor Potter, se suo padre fosse vivo, ora, cosa crede che direbbe al signor Black?”
E mentre Hermione e Ron faticavano a trattenere Harry seduto al suo posto, un flash scaturito dalla macchina fotografica di un uomo dalla lunga barba intrecciata sparse nell’aria un acre odore di bruciato. 
Scoppiò il caos. 
Ci furono urla, ci furono le proteste dei giornalisti che erano riusciti a infiltrarsi in aula acconsentendo di lasciare in custodia agli Auror Penne Prendiappunti  e macchine fotografiche – Ingiustizia! Sabotaggio della libertà di stampa! Propaganda di regime!
Ci furono gli strepiti indignati dei membri più anziani e conservatori del Wizengamot – Per le vibrisse di tutti i Matgot, siamo in un tribunale, non ai bordi di una pista di Gobbiglie!
Ci furono infine le proteste accese dei testimoni e degli amici dell’imputato, adirati per la piega del tutto scandalistica che il processo stava prendendo – C’è in ballo il destino di una persona a cui avete già rovinato la vita, e voi pensate solo a togliervi qualche penoso prurito?
Fu necessario l’intervento della voce magicamente amplificata del Ministro Shacklebolt in persona per riportare il tribunale all’ordine. 
Parte del pubblico fu allontanato, il Wizengamot venne redarguito e riportato a più consoni comportamenti, e il processo proseguì col Ministro che dava la parola a Minerva McGrannitt:
“Lei non è stata chiamata a testimoniare, ma ha insistito per presentarsi spontaneamente. In considerazione della stima e del rispetto che il Ministero ripone nei confronti della Preside di Hogwarts, accogliamo dunque con interesse la sua richiesta”.
“Grazie, Ministro”.
Minerva McGrannitt aveva parlato con voce gelida, e quando si alzò in piedi, torreggiò minacciosa sullo sparuto gruppo di testimoni. E se li lasciò alle spalle, ignorando completamente i mormorii confusi che accompagnarono la sua decisa avanzata al  centro della sala.
La donna, alta  e diritta nel suo mantello tartan, gli occhi che fiammeggiavano dietro le lenti quadrate dei suoi occhiali e le labbra ridotte a una lama sottile che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque avesse avuto la fortuna di poterla chiamare professoressa, si fermò accanto a Sirius Black, e con un preciso movimento di bacchetta evocò una sedia identica a quella su cui sedeva l’imputato.
“Sarò breve, perché questa farsa si è già protratta fin troppo a lungo. Sono qui anche in qualità di Animagus regolarmente registrato, nonché di titolare per più di quarant’anni della cattedra di Trasfigurazione di Hogwarts, da trent’anni Direttrice della casa di Grifondoro e membro del Comitato per il Controllo e la Sicurezza dell’Animagia”.
Il silenzio che riempiva l’aria, ora, era lo stesso che la donna sapeva ottenere con un solo sguardo durante le sue lezioni. 
“Sono qui solo per ricordare a voi tutti che il motivo per cui la trasformazione in Animagus richiede una stretta sorveglianza da parte di un comitato ministeriale è innanzitutto la sicurezza dell’aspirante Animagus. Sappiamo tutti quanto gravi possano essere le conseguenze di una trasfigurazione errata, ed è evidente a chiunque abbia un minimo di esperienza che la guida e il supporto di trasfiguratori esperti è fondamentale, in simili circostanze”.
Minerva McGrannitt fece una pausa, inspirò bruscamente – Percy, anche se da quella distanza non poteva vederlo, riusciva quasi a immaginare le narici della donna fremere – e proseguì:
“Sirius Black, James Potter e Peter Minus, senza alcuna assistenza, hanno intrapreso un percorso dagli esiti potenzialmente fatali quando frequentavano il quinto anno della scuola di Hogwarts. Gli unici ad aver corso qualche rischio sono stati loro. Erano adolescenti, erano sciocchi e avventati, ma erano a scuola, sotto la protezione di maghi adulti e preparati che avrebbero dovuto essere responsabili per loro”.
La donna sedette con un movimento fluido sulla sedia che aveva evocato per sé, prima di proseguire:
“Se davvero volete applicare la vostra giustizia con tanto fervore, allora la prima persona che dovrebbe sedere sulla sedia dell’imputato è l’esperta di Animagia che, quando Sirius Black era minorenne, avrebbe dovuto essere responsabile della sua sicurezza”.
“No!”
Il grido indignato di Sirius Black si perse nei mormorii scioccati che avevano riempito l’aria. 
“Minerva, suvvia, non puoi pensare di…”
“Posso eccome, Groves!”
L’uomo seduto poche panche dietro Percy continuò a borbottare, scuotendo desolato il capo. 
Di nuovo, fu il Ministro a riportare il silenzio nella stanza, districandosi dalle agitate panche piene di maghi e streghe confusi e portandosi lentamente dall’altro lato di Sirius Black.
Quando fu certo che ogni sguardo fosse posato su di lui, Shacklebolt parlò, con il suo tono grave che non ammetteva interruzioni né repliche.
“Quando è stata sollevata la questione della posizione giuridica di Sirius Orion Black, non mi sono opposto a questa indagine perché ritengo fondamentale imprimere nella mente di ognuno che il mio Ministero si fonda sul principio di giustizia”.
Percy poteva quasi sfiorare la tensione che ora riempiva la stanza, e prese ad appuntare ogni parola pronunciata dal Ministro senza nemmeno guardare la penna che aveva tra le mani, concentrato com’era sul viso serio dell’uomo.
“Sirius Black ha passato dodici anni nel luogo peggiore che la mente umana possa concepire, ha sopportato le più bieche accuse di tradimento, ha infranto la legge per salvarsi ed è morto combattendo per una verità che questo Ministero non voleva nemmeno riconoscere. Eppure, quest’aula chiede di fare giustizia”.
Shacklebolt estrasse la sua bacchetta, un oggetto straordinariamente lungo e spesso, ma la tenne mollemente adagiata lungo il fianco.
“Tutto ciò che ha avuto in cambio di un’incarcerazione senza processo e di una vita di ingiusta detenzione è stato un Ordine di Merlino alla Memoria. Se davvero vogliamo fare giustizia, è arrivato il momento che il Ministero paghi per i suoi errori. Se davvero vogliamo giustizia, sulla sedia dell’imputato dovrebbe sedere l’intero sistema, incarnato dal suo rappresentante. Se davvero vogliamo giustizia, dobbiamo partire dai nostri errori”.
Con i riflessi dati da anni trascorsi a militare fra le file degli Auror, Shacklebolt mosse rapidamente la sua bacchetta, evocando anche per sé una sedia di ferro dallo schienale alto.
Nel tumulto che seguì, fra gli strepiti di indignazione e approvazione del Wizengamot e il parlottare confuso del pubblico, Percy riuscì a sento ad afferrare il rotolo dei suoi preziosi appunti.
Non aveva bisogno di guardare la prima fila degli scranni della corte per sapere che in quel momento Maat Phayre doveva essersi di nuovo alzata in piedi per ottenere il silenzio della corte: nessuno, mai, aveva avuto intenzione di condannare Sirius Black. E se anche ci fosse stato qualche cavillo burocratico inaggirabile, il Wizengamot avrebbe indossato gli stracci degli Elfi Domestici, piuttosto che condannare la Preside di Hogwarts e l’unico Ministro in grado di guidare con polso fermo e giusto la comunità distrutta dalla guerra verso un futuro di pace e prosperità.
***

Sirius nemmeno lo udì, il tonfo della pesante porta di legno scuro che si chiudeva alle sue spalle.
Non si accorse della luce dei flash che gli rimbalzava contro, né udì gli schiamazzi dei giornalisti.
Prosciolto da ogni accusa.
Negli occhi aveva ancora il viso gentile di quella donnetta dal buffo copricapo piumato mentre pronunciava con voce chiara e inequivocabile il verdetto unanime della giuria. 
Prosciolto da ogni accusa.
Respirare non era mai stato così facile e liberatorio.
Sirius era rimasto paralizzato su quella scomoda sedia, senza nemmeno capire che cosa stesse succedendo attorno a lui.
La Phayre aveva chiesto al pubblico e ai testimoni di lasciare l’aula, e Sirius era rimasto solo davanti al Wizengamot, a firmare carte che neanche riusciva a leggere, a stringere mani, a accogliere scuse e a ricevere pacche sulla spalla da parte di perfetti sconosciuti.
Avrebbe voluto mandarli tutti a quel paese, quei vecchi pettegoli che lo avevano sottoposto a quella tortura solo per strappargli brandelli di informazione, ma la luce calda che lo avvolgeva era così piacevole che si ritrovò persino a sorridere.
E poi ci fu la voce calda di Kingsley, la prima voce sincera, le prime scuse sentite che gli piovvero addosso come acqua fresca in una giornata d’arsura, e la sua mano che lo guidò lentamente lontano da quella folla, verso la porta che, fino a qualche ora prima, Sirius temeva non si sarebbe aperta mai più.
Oltre la folla, oltre i giornalisti, oltre ogni cosa c’era Harry, che lo abbracciava forte e rideva. E oltre la spalla di quello straordinario ragazzo c’erano i Weasley, raggianti coi loro sorrisi soddisfatti, e Hagrid che si asciugava gli occhi con l’equivalente di una tovaglia a pois, e Andromeda, e Teddy, e Alhena, pallida, seria, bellissima.
Harry scivolò di nuovo in mezzo ai volti sorridenti dei suoi amici, e Sirius si limitò a sorridere, a sorridere per quella che sembrava la prima volta, al viso serissimo di Alhena che gli si avvicinava piano. Non sorrideva, lei, ma i suoi occhi brillavano più del sole incantato che illuminava come una giornata estiva il corridoio del Ministero. 
L’abbraccio di Alhena fu lungo e pieno di tutto quello che non avevano più bisogno di dirsi. E poi Alhena si ritrasse, e lo guardò a lungo, e il suo viso sembrava fatto solo per quel sorriso appena accennato, e le sue mani sembravano fatte solo per cercare il viso di Sirius, e attirarlo verso di lei, verso il suo corpo di ballerina sollevata sulle punte dei piedi per poter cercare e trovare le sue labbra. 
Si baciarono quasi con rabbia, le mani che artigliavano la stoffa degli abiti per cercare un appiglio più stabile, e mentre Sirius stringeva a sé il corpo sottile di Alhena, mentre si lasciava invadere da quella sensazione meravigliosa e al tempo stesso naturale, il loro bacio si trasformò in un lento cercarsi, in uno sfiorarsi pieno di tenerezza e riconoscimento.
Alla fine, furono solo due fronti che si sfioravano, e un flash ferì la retina di Sirius.
“Mi sa che ti sei guadagnata un posto in prima pagina, ragazzina…” mormorò Sirius, senza mai lasciarla andare.
“Bene. Sono venuta qui solo per questo”, replicò lei, una risata a incrinarle la voce.
“Non credevo ti piacesse così tanto dare scandalo…”
“Sono loro che si scandalizzano con poco… possiamo fare di meglio”.
Sirius sorrise, scostandole dal viso una ciocca di capelli charissimi.
“Sembra una minaccia”.
“È una promessa…”
Ma a stemperare la malizia nella sua voce venne il suo secondo bacio, casto, quasi timido, presto interrotto da un sorriso che non riusciva più a trattenere. 
Circondandole la vita con un braccio, Sirius si voltò verso Harry, verso i suoi amici che ancora lo aspettavano, verso la fine di quel corridoio e l’inizio di una vita che, ora lo sapeva, avrebbe dovuto imparare a vivere come l’uomo che non aveva mai avuto la possibilità di diventare.
E, a dispetto di ogni paura, sorrise.  





Note:
Scusate per la lunghissima attesa, ma questo capitolo non ne voleva proprio sapere di vedere la luce.
Ho rimandato, ho scritto e cancellato, e questo, alla fine, è solo un brandello di ciò che avrei voluto scrivere. Affidare la narrazione del processo a Percy, lo ammetto, è uno scivolone un po’ facile, ma non vedevo altra soluzione per uscire da questa impasse. Il processo non doveva andare così, non dovevano essere la McGrannitt e Kingsley a salvare la situazione, ma dall’alto della mia ignoranza, ho l’impressione che tutto il sistema giuridico magico sia un po’ una buffonata, e che buffonata sia.
Avendo superato questo brutto scoglio che mi bloccava da tempo, spero che i prossimi capitoli arrivino in tempi più umani. 



   
 
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