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Autore: BlueButterfly93    30/04/2019    2 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
-
Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 47

Una cena catastrofica







🎶The Chainsmokers ft. Daya - Don't Let Me Down (cover by Conor Maynard)🎶

Bloccata, allungando le braccia, chiamo il tuo nome

Ho bisogno di te adesso, ma tu non ci sei. 

Penso di star perdendo la testa, spero tu ci sarai quando ne avrò più bisogno.

Quindi non mi deludere.

Pensavo fossi dalla mia parte, ma adesso non c'è nessuno al mio fianco. 

-

🎶Jess Glynne - Take Me Home (fine capitolo)🎶


***


Alexy e Ciak. 

E chi lo avrebbe mai detto? Ciak stava baciando un ragazzo davanti al bagno degli uomini. Da quando provava attrazione per qualcuno del suo stesso sesso? Non che avessi qualcosa in contrario, ma fino ad un mese prima sosteneva di essere innamorato di me ed io fino a prova contraria ero donna a tutti gli effetti; stavo iniziando ad avere un po' troppa confusione in testa. 

«Miki?» 

Beccata! Ciak mi aveva vista.

«Oh cazzo, cazzo, cazzo!» agitai le mani, voltai le spalle alla coppia improbabile e corsi in direzione della mia classe. 

Non lo feci per rabbia, ma più che altro per vergogna, per esser stata scoperta a sbirciare qualcosa che non avrei dovuto vedere. Spettava a Ciak parlarmi di quell'aspetto delicato del suo essere, non avrei dovuto scoprirlo in quel modo. 

"Maledetta curiosità, maledetta me!"

«Dove scappi?» fui trattenuta dalle spalle dal mio amico, lo riconobbi dalla voce. «Te ne avrei parlato a breve, spero tu non ti sia arrabbiata con me», si posizionò a pochi centimetri dal mio volto con uno sguardo pieno di vergogna in viso. 

 «Se non sei ancora pronto a farlo, è giusto rimandare il discorso. Non sentirti obbligato solo perché vi ho visti. Posso aspettare, anzi scusa per la mia eccessiva curiosità. Mi mette sempre nei guai questo mio lato», verso la fine del discorso scossi la testa e mi portai una mano in fronte. 

 «No, sono pronto a parlartene. Davvero, questione di giorni e te l'avrei detto io stesso. Voglio che tu sia la prima a saperlo», dal suo sguardo capii fosse sincero. Mi limitai a sorridergli per incoraggiarlo «Potremmo andare a parlare in una zona più tranquilla?»

«Ora? Non possiamo. Dobbiamo rientrare in classe, il professore sarà già arrivato, anzi siamo già in ritardo... Magari do-» poggiò una mano sulla mia bocca e prese parola. 

«Ho già chiesto ad Alexy di dire al professore che sto poco bene e che tu mi hai accompagnato in infermeria», sorrise da gran marpione qual era. Era un genio nell'inventare alibi, in Italia lo faceva sempre. 

«Va bene, andiamo!» sospirai e accettai di farmi guidare da lui in un posto più tranquillo. 

Mi portò sul terrazzo della scuola, teatro di parecchi avvenimenti in quei mesi di permanenza nel Dolce Amoris. 

«Allora...» poggiò la schiena alla balaustra e si sedette sul pavimento bianco della terrazza, lo imitai. «Sono bisessuale!» lo sussurrò mantenendo lo sguardo fisso sui suoi jeans blu, senza riuscire a guardarmi negli occhi. Gli poggiai una mano sulla spalla per infondergli coraggio, subito dopo continuò con la sua dichiarazione: «L'ho scoperto mentre tu eri in vacanza con Castiel a Roma», si fermò nuovamente per qualche secondo. «Inizialmente negavo questo mio lato, al tuo ritorno - quando io e te abbiamo avuto l'ennesimo litigio - ero ancora confuso. Da una parte c'erano i sentimenti nei tuoi confronti e dall'altra l'attrazione provata per Alexy; è la prima volta che mi accade. Un giorno mi ha invitato a casa sua per studiare insieme e conoscerci meglio, visto che avremmo dovuto condividere il banco per l'intero anno scolastico, così ho acconsentito. Mi stava simpatico, dopotutto. Mentre stavamo risolvendo degli esercizi di matematica, si è avvicinato con la scusa di dover copiare qualcosa dal mio quaderno e mi ha baciato. In un primo momento sono rimasto sbigottito, sono scappato da casa sua. Ma i giorni passavano ed io non potevo fare a meno di ripensare a quel bacio, a scuola ho iniziato a guardare Alexy sotto altri occhi, come guardavo qualsiasi altra donna... Lì ho capito. C'ho messo un mese intero ad accettare questo mio lato, in realtà ancora stento a crederci, ma è così... Mi piacciono sia gli uomini che le donne!» disse l'ultima frase guardandomi finalmente negli occhi. «Alexy l'ha capito prima di me, è un ragazzo sensibile. E lui mi piace... Mi piace un ragazzo. Non ci credo!» strofinò entrambi i palmi sul suo viso, torturandosi. 

«Non è una cosa strana o fuori dal normale, Ciak» afferrai la sua mano e gliela strinsi «non hai bisogno di mettere l'etichette su chi sei o su chi ti piace, io ti voglio bene da etero, da gay o bisessuale. Non m'importa chi amerai o chi ti piace, mi basta solo sapere che la nostra amicizia non cambierà, che torneremo quelli di un tempo».

«Vorrei tanto che anche i miei genitori la pensassero come te...» abbassò il viso sconsolato. 

«Non condividono chi sei?»

«In realtà non lo sanno, ma immagino già come la pensano. In Italia in molti hanno una concezione arretrata per questo genere di cose, lo sai bene.»

Dovetti dargli ragione. Purtroppo parte della vecchia generazione italiana aveva delle vedute antiquate e ristrette in temi come l'omosessualità, per fortuna però i ragazzi della nostra età nascevano con una mentalità più aperta, quindi si parlava solamente di una fetta della popolazione. 

«Non dirglielo fin quando non sarai pronto, non sei obbligato a raccontare loro la tua vita privata».

«Sì, ma prima o poi dovrò farlo...» lessi timore nei suoi occhi verdi. 

«Quel giorno ci sarò io con te!» lo incoraggiai.

«Lo faresti davvero?»

«Certo!» gli sorrisi rassicurante. 

«Torneresti in Italia con me solamente per dire questa cosa ai miei?» si stupì.

«Sia per questo che per passare del tempo con il mio migliore amico».

La nostra amicizia era cambiata rispetto ad un anno prima, ma nonostante ciò non sarei mai stata in grado di abbandonarlo proprio in un momento delicato come quello.

«Non ti merito...» abbassò il volto nuovamente.

«Se è per questo neanch'io» poggiai il capo sulla sua spalla. 

In quei mesi ci eravamo provocati del male a vicenda, ognuno di noi aveva commesso degli errori, ma non c'era bisogno di addossarsi tutte le colpe.

«Non avrei dovuto pensare e dirti tutte quelle cattiverie. Non sei cambiata, anzi Parigi ti ha addirittura migliorata», mi parlò con il cuore come forse non faceva più da tempo. 

«Grazie, ma non pensiamoci più. È acqua passata».

«Ti voglio bene Miki», mi schioccò un bacio sulla fronte.

«Anch'io Ciak, anch'io» e chiusi gli occhi. 

Durante quella mattina lo sentii nuovamente vicino al mio cuore. Quel segreto condiviso ci riportò indietro di anni, a quando entrambi eravamo dei semplici migliori amici adolescenti. Sentii il cuore leggero e sperai di continuare a provare ancora quella dolce sensazione in sua presenza. Forse sarebbe stata proprio la nuova direzione del suo orientamento a salvare la nostra amicizia perché bene o male, nonostante nei giorni passati ci fossimo già detti di gettare i rancori alle spalle, mi era risultato impossibile non pensare che Ciak provasse un sentimento diverso dal mio ogniqualvolta chiacchieravamo o ci confrontavamo.  

***

Quello stesso pomeriggio decisi finalmente di fare visita a mia madre, si era trasferita nella sua nuova casa a Parigi da quasi due mesi ed io non avevo ancora avuto il coraggio di andarla a trovare. Le avevo detto di non aver avuto del tempo disponibile per via della mole di studio elevata, ma quella era stata solamente una scusante e anche lei lo sapeva bene. Non avevo semplicemente avuto abbastanza audacia per vedere coi miei occhi il luogo in cui si era creata una nuova vita ed una nuova famiglia che non comprendesse la sottoscritta. Perché avrei potuto ricucire i rapporti con lei, avrei potuto perdonarle tutti gli sbagli, ma non avrei mai potuto dimenticare gli anni peggiori della mia vita, gli anni in cui necessitavo di una mamma, di una guida, ma non avevo avuto nessuno. Perché avrei nutrito sempre quel pizzico d'invidia per Flora, la mia sorellastra, che aveva avuto il privilegio di avere la nostra mamma al suo fianco per tutta l'infanzia e che l'avrebbe continuata ad avere anche in futuro. Privilegio che io non avrei mai più potuto ricevere come dono.

Mentre i soliti pensieri non facevano altro che continuare a vorticare nella mente, dopo aver trascorso all'incirca cinque minuti a fissare i ghirigori incisi sulla porta d'entrata, mi decisi finalmente a suonare il campanello di quell'enorme casa color ocra. 

Il volto ed il fisico minuto di Flora spuntarono dal masso di legno: «Miki sei arrivata finalmente», saltellò battendo le mani. Non ebbi il suo stesso entusiasmo nel vederla, mi limitai a salutarla con un cenno della mano ed un sorriso di circostanza. Era simpatica e carina, ma essendo sorella di Debrah - nonché sua migliore confidente - avrei dovuto aspettarmi di tutto da parte sua. 

«Mikiii...» strillò Teresa appena mi vide sulla soglia della porta «Vieni, entra».

Con entrambi le mani nelle tasche del cappotto mi addentrai nella fantomatica casa della nuova famiglia di mia madre. Varcata l'entrata, sin da subito percepii un senso di oppressione sul petto decisamente peggiore della prima volta in cui visitai la sua casa di Roma. Probabilmente ebbi quella reazione perché la casa di Parigi sarebbe potuta essere anche mia, perché se solo avessi voluto avrei potuto condividere quell'ambiente con loro.
Ma io non ero capace di entrare a far parte di una famiglia, quando ne avevo avuta una ero sin troppo piccola per ricordare. 

Lo stile dell'arredamento notai fosse moderno e colorato, i pavimenti in parquet chiaro e i muri totalmente bianchi. Non riuscii ad osservare nient'altro perché Teresa e Flora mi guidarono subito fino al salotto. Una volta lì mi guardai intorno: una libreria enorme e bianca con libri di vario genere occupava un'intera parete, un divano color panna, dall'altro lato, con accanto un televisore parecchio grande e, al centro della stanza, un tavolo rettangolare di marmo con sei sedie attorno. Di quella stanza mi colpì particolarmente il lampadario, era situato al centro della stanza, con tre plafoniere pendenti di vetro colorato arancione e verde. 

Mi accomodai sul divano chiaro senza aver spiccicato neanche una parola dal mio arrivo. Teresa si sedette accanto a me e tentò di spezzare il ghiaccio con qualche frase di circostanza, mentre Flora si precipitò in cucina con la scusa di andare a prendere un succo d'arancia da offrirmi. 

«Allora, ho saputo che tu e Castiel...» Non terminò la frase preferendo utilizzare i gesti per farsi intendere: strizzò l'occhio destro e con il gomito urtò il mio braccio per tre volte di fila. Per un attimo mi ricordò Rosalya. 

«Ehm... Sì, stiamo insieme», imbarazzata mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 

«Sono felice per voi», mi sorrise sincera. 

Avrei voluto ribattere con: "ho rubato il ragazzo alla tua amata figliastra, la quale da quel giorno continua a minacciarmi e a rendermi la vita impossibile, non dovresti essere poi così tanto felice per me", ma evitai di farlo. 

«Ecco», Flora rientrò nella stanza porgendomi il succo d'arancia. La ringraziai. 

Non sapevo spiegarmi il motivo, ma chiacchierare da vicino con Teresa stava risultando essere più difficile del previsto. Durante i primi giorni di riavvicinamento non era stato poi così tanto complicato, ma più il tempo passava e più riflettevo sulle differenze con la nostra precedente famiglia e non riuscii ad evitare di essere diffidente e fredda. 

«Come vi trovate in Francia?» chiesi ad entrambe, facendo uno sforzo, tentando di trovare un'argomentazione non troppo seria da affrontare. 

«Benissimo! Sono vicina a Debrah ora, non potrei chiedere di meglio», rispose esaltata Flora. 

«Già... Che grande privilegio quello di abitare nella stessa città di Debrah!» il tono di voce uscì canzonatorio, non riuscii a tenere la lingua a freno. 

«So dei vostri dissapori, ma non è una cattiva ragazza». Teresa tentò di difenderla, ma senza avere successo.

«Certamente, è una ragazza d'oro. Credo che col tempo potremmo diventare migliori amiche», mostrai un sorriso falso a trentadue denti. Preferii continuare sulla strada della sdrammatizzazione invece d'infastidirmi. 

 «Flora fai vedere a Miki i disegni che hai fatto. Vai a prenderli, le piaceranno di sicuro». 

Voleva restare sola con me, persino una bambina lo avrebbe capito. Flora non fece i capricci, eseguì il consiglio imposto da sua madre e ci lasciò sole. 

«Debrah mi ha promesso di non darti più fastidio, sta facendo il contrario?» Teresa si rivolse a me con un tono apprensivo che non mi aspettavo. 

«A me personalmente no, ma non mi fido di lei. Ho sempre la sensazione che stia tramando qualcosa», fui sincera. 

Avevo qualche sospetto da quando aveva ripreso a gironzolare intorno a Castiel fingendosi sua amica, era parecchio strano che si fosse arresa dal farmi la guerra proprio da quando io ed il rosso eravamo diventati ufficialmente una coppia. Qualcosa non tornava.

«Ha promesso a suo padre che, fin quando non partirà di nuovo, si comporterà bene», mi assicurò Teresa. 

"Quindi a breve sarebbe sparita dalla circolazione? Che sollievo!"

«Sì, come se lei si facesse intimidire da una banale raccomandazione del padre...»

«Ha i suoi interessi per farlo».

«Cioè?» m'interessai a quell'argomento.

«Ha intenzione di rientrare nel panorama musicale e per farlo ha bisogno di alcuni agganci che solo il padre è capace di fornirle. A Giugno è fissata la partenza per gli Stati Uniti ma, se nel frattempo si metterà nei guai o ti farà qualche torto, Marcel le ha intimato che cancellerà ogni cosa. A quando pare ha avuto un'idea innovativa che ai discografici piace, spero tanto che questa sia la volta buona, sarebbe capace di vendere anima e corpo pur di sfondare nel mondo della musica».

"L'ha già fatto", avrei voluto rispondere, ma lasciai stare. «Quale idea?» chiesi invece. 

Pian piano stavo unendo i pezzi mancanti del puzzle, stavo iniziando a capire per quale motivo Debrah si fosse messa da parte. Non era stata colta da un impeto improvviso di umanità, ma lo aveva fatto semplicemente per un suo tornaconto personale, per una richiesta del padre. 

«Ha intenzione di abbandonare l'egocentrismo per dividere il palco con altri musicisti», mia madre mi guardò stranita per l'improvviso interesse verso il futuro di Debrah. Ma più andavo a fondo in quella storia e meno mi convinceva. 

«Chi sono questi musicisti?» continuai con l'interrogatorio con una strana ansia sullo stomaco. 

«Non ne ho idea», sollevò le spalle. 

Mi rilassai all'istante, perché se si fosse trattato di qualcuno di sua o nostra conoscenza lo avrebbe saputo anche mia madre, giusto?

«Sarà bello vivere senza Debrah», sdrammatizzai sospirando e, poggiandomi allo schienale del divano, già più serena rispetto a qualche minuto prima. 

«E con Kate invece come va?» cambiò completamente discorso.

«Ci scambiamo solamente qualche parola di circostanza visto che viviamo sotto lo stesso tetto, ma per fortuna è spesso in viaggio per lavoro o quando è qui preferisce stare con il suo fidanzatino», scrollai le spalle a testimonianza del mio scarso interesse per la continua assenza di Kate.

«Non credi sia giusto darle un'altra possibilità?» insisté. 

Ogni volta che avevamo una conversazione finiva per consigliarmi un rappacificamento con lei. Doveva smetterla di fare da paciere.

«Non credi sia giusto farti gli affari tuoi?» risultai essere scortese, ma sapevo benissimo decidere da sola sulla mia vita.

«Lei ha fatto tanto per te, Miki, riflettici bene!» 

«Eccomi qui!» Flora arrivò saltellando, canticchiando e si sedette accanto a me. Mi salvò in calcio d'angolo, l'amai in quel preciso istante. 

Passai la successiva mezz'ora in compagnia di quella bambina parecchio simile a Debrah dall'aspetto, ma che per il resto pareva essere totalmente il suo opposto: era socievole, sorridente, simpatica. Mi mostrò i disegni colorati, parlammo dei suoi cartoni e film preferiti, persino dei cantanti, mentre Teresa andò a preparare la cena. Poteva essere avventato o eccessivo da affermare, ma quel pomeriggio mi affezionai un po' di più alla ragazzina dagli occhi di ghiaccio e fui maggiormente consapevole di avere realmente una sorella. Una sorella in comune con la mia peggiore nemica. 

Dopo aver ricevuto un messaggio da parte di Castiel che mi comunicava di esser appena arrivato fuori casa e che mi aspettava per riaccompagnarmi a casa, mi recai in cucina - grazie alle indicazioni di Flora - per salutare mia madre. Era situata in una stanza abbastanza piccola, non conteneva neanche il tavolo. I mobili erano di un arancione lucido davvero carino sebbene troppo sgargiante, le finestre con delle tende bianche a fiori verdi. Sul frigorifero erano appiccicate delle calamite di varie città d'Europa. Era tutto coordinato nei colori. 

«Io vado...» mostrai con il pollice la finestra alle mie spalle. 

«Di già? Pensavo ti fermassi per cena», bloccò il taglio di una patata per voltarsi e guardarmi in volto. 

«Ehm... No, fuori c'è Castiel che mi aspetta».

«Oh, ma allora è questo il problema? Mangerà anche lui insieme a noi», riprese a tagliare il tubero pensando di aver risolto il dilemma. 

«Che? No, no, no!» scossi testa e mani energicamente. Quella non sarebbe stata per nulla una buona idea.

«Debrah non c'è, non temere», mi rassicurò pensando che il mio unico problema fosse Debrah. 

«Non è questo, è solo che...» non sapevo come altro dirglielo. 

«Cosa?» Teresa lasciò il suo lavoro per rivolgere tutta l'attenzione su di me. 

«Non vorrei affrettare le cose, ecco. Ci siamo ritrovate dopo tanto tempo, non condividiamo un pranzo o una cena insieme da anni e-» ma non mi permise di concludere il discorso che si precipitò alla porta d'entrata.

«Abbiamo già perso troppo tempo, non ne sprechiamo altro!»

E con quella semplice ma efficace frase mi acquietò, si precipitò fuori casa per invitare Castiel ad entrare. Forse non sarebbe stata una pessima idea restare a cena, sarebbe stata un'ottima occasione per conoscere meglio anche Marcel, dopotutto non doveva essere un cattivo uomo. 

«Entra... vieni!» sentii mormorare Teresa e dopo qualche secondo la vidi rientrare accompagnata da Castiel. 

Nel ritrovarmelo davanti, il mio cuore fece una capriola, l'effetto era sempre lo stesso. Non importava se lo avessi visto solamente qualche ora prima o se stessimo insieme ormai da più mesi, Castiel mi suscitava sempre forti emozioni. Era come la cioccolata, l'alcol, la nicotina: creava dipendenza. Più ne avevo a disposizione e più ne sentivo il bisogno di averne. 

«Ehi», accennò un sorriso, si avvicinò a me e, abbassandosi alla mia altezza, mi baciò sulle labbra. «Sei sicura di voler restare? Se non te la senti possiamo andare altrove», mi domandò premuroso. Ebbi l'istinto di stringerlo e sbaciucchiarlo per tutto il viso, ma dovetti contenermi visto il luogo in cui ci trovavamo.

«Voglio fare una prova... Vediamo come va. A te invece scoccia restare qui con me?» sollevai il capo per guardarlo in quegli occhi grigi meravigliosi. 

«No, ma solo ad una condizione». Cosa diavolo aveva pensato la sua testa? «Stanotte dormirai fuori con me!» 

«Fuori dove?» mi allarmai, a volte le sue idee erano bizzarre e soprattutto illegali. 

«Non ti è ancora concesso sapere», emise quel ghigno che un tempo m'innervosiva, ma che coi mesi avevo imparato ad amare. 

«Per caso hai intenzione di farmi diventare una barbona?»

«No, ma saresti bella anche con la barba», liquidò la mia curiosità con una delle sue battute imbecilli ma allo stesso tempo dolci. A quel punto risi, non potei fare altrimenti. 

«Che carini!» sussultai nel sentire la voce di Teresa alle spalle. Pensavo fosse andata a preparare la cena e invece stava origliando la mia conversazione con Castiel. Che vergogna!

«Nessuno ti ha mai insegnato che è cattiva educazione origliare le conversazioni altrui?» Castiel si rivolse a lei in un tono un po' troppo scontroso, parve quasi avessero confidenza. 

«Affermò il ragazzo erudito», mia madre ribatté con lo stesso tono del rosso. Finirono per ghignare entrambi. Cosa mi ero persa? Li fissai confusa alternando lo sguardo da uno all'altro. «Vado a preparare la cena, fate come se foste a casa vostra... Ma vedete di non farmi diventare nonna, ancora sono troppo giovane», e ridacchiando ci lasciò impietriti sulla soglia di casa. Sbattei le palpebre velocemente, per un attimo pensai di star sognando. Teresa era la versione matura e adulta di Rosalya, com'era possibile?

«Vi conoscevate già tu e Teresa? Cioè avete avuto modo di chiacchierare in altre occasioni?» gli chiesi curiosa, mentre lo guidai fino al salotto dove trovammo Flora intenta a giocare con le bambole. 

«Probabile», replicò vago guardandosi intorno. 

***

Più volte chiesi a mia madre se potessi essere di aiuto in cucina o nell'apparecchiare la tavola, ma lei mi aveva liquidata indicandomi di stare con Castiel e di giocare con Flora, che per lei era già un regalo avermi lì. Dopo quasi un'ora ci chiamò per accomodarci a tavola, nel frattempo arrivò anche Marcel. Mi presentai a lui visto che lo avevo conosciuto quando ero solamente una bambina, mentre quella sera di tre mesi prima a Roma - quando incontrai dopo otto anni Teresa con la sua nuova famiglia - viste le circostanze non avevo di certo pensato di porgergli la mano per fare la sua conoscenza. Era alto e di corporatura robusta. Capelli castani e occhi color del ghiaccio, lo rendevano parecchio somigliante a sua figlia Debrah, già quell'aspetto bastava per farmelo odiare anche se nell'apparenza non sembrava essere cattivo.

«Spero che la cena sia di vostro gradimento», Teresa si accomodò sorridente accanto al suo compagno. Nei suoi occhi lessi emozione, completezza, estrema felicità; la stessa che leggevo da piccola, quando ancora potevo urlare al mondo di esser parte di una famiglia.

Mi sedetti accanto a Castiel, mentre Flora si accomodò di fronte a me e vicino a Teresa, invece Marcel era a capotavola. Mangiammo pollo impanato con patate al forno e dovetti ammettere che Teresa era un'ottima cuoca. A metà cena sentii aprirsi la porta di casa, tutti si voltarono verso l'entrata, dalla quale apparve Debrah in tutta la sua volgarità. Indossava una minigonna striminzita nera senza collant, un top viola sin troppo scollato ed un giubbotto di pelle nero. 

«C'è una cena di famiglia in corso e nessuno ha pensato d'invitarmi? Che cafoni che siete! Fortuna che ho una sorella chiacchierona», ci guardò con il sorriso diabolico di chi aveva qualcosa in mente e si accomodò dall'altro capo della tavola, di fronte a suo padre, tra me e Flora. Castiel s'irrigidì, non tardò a cercare la mia mano per stringerla e portarla sulla sua gamba. Apprezzai quel gesto.

Flora le aveva spifferato la nostra presenza in casa sua e Debrah ovviamente si era precipitata lì con chissà quale scopo, non poteva perdersi un'occasione simile. 

«Nulla di programmato, è stato un invito improvvisato», si giustificò Teresa. 

«Oh certamente!» replicò Debrah beffante.

«Sono otto anni che non ceno con mia figlia, se permetti posso invitare chi voglio a casa mia!»

Mia madre scattò subito sulla difensiva, neanche lei tollerava gli atteggiamenti di Debrah. Ne fui contenta.

«Nella casa pagata con i soldoni di mio padre, vorresti dire...»

«Debrah!» la rimproverò il padre alzando la voce «Non rivolgerti alla mia compagna in questo modo!» 

Io, Castiel e Flora preferimmo osservare la scena da spettatori, non sarebbe stato opportuno che intervenissimo. 

«Altrimenti cosa mi fai?» la ragazza incrociò le braccia al petto «Minacci tua figlia di non farle fare carriera? Non credo ti convenga, ci perderesti anche tu», lo fissò con sguardo di superiorità. «Davvero credevi che mi sarei fatta intimidire dai tuoi ricatti falsi? Sai anche tu quanto sia vantaggiosa l'offerta che ti ho proposto. Non puoi rifiutare».

«Non è né il momento e né il luogo per discutere di questo», ribatté Marcel. 

«Non c'è altro da discutere, infatti. Dentro di te hai già accettato la mia proposta». 

Marcel non replicò dando implicitamente ragione alla figlia. Quel breve discorso si concluse e Debrah ne uscì vincitrice. Quella ragazza riusciva ad ammutolire persino gli adulti, ed a ricattarli a sua volta. Era inarrestabile. 

«Gradisci un po' di pollo?» le chiese Teresa, dopo qualche secondo, per spezzare la tensione. 

«No, grazie. Non amo prendere le briciole degli altri», si voltò verso di me guardandomi insistentemente. Sapevo fosse un discorso a doppio senso, il suo. «O tutto o niente. Ed io preferisco tutto», poi spostò lo sguardo su Castiel fissandolo con possessione e brama. Strinsi con forza la gamba del rosso: lui era mio e non più di Debrah. Lui non voleva lei, la detestava, cercai di auto-convincermi. «Hai avuto parecchio tempo a disposizione, è ora di farla finita con i tuoi giochetti, non credi?» Castiel le rivolse uno sguardo truce, l'avrebbe uccisa a mani nude se avesse potuto. 

Improvvisamente, quasi come un film, rividi e risentii tutti gli avvertimenti e le frasi pessimiste di Castiel degli ultimi mesi. Era tutto collegato? Il terrore imminente di perderlo invase ogni organo del mio corpo. L'ansia risalì dallo stomaco arrivando dritta al cuore. Mi sarei potuta rompere con poco. "Non farmi questo, Cass... Non deludermi. Ti prego!"

«Farla finita con cosa?» mi rivolsi a Castiel cercando di mantenere un minimo di controllo. Avrei voluto capire di più sulle parole di Debrah. Castiel mi doveva delle spiegazioni. 

«Oh lo scoprirai presto, molto presto!» mi rispose Debrah al posto di Castiel, mentre il rosso restò immobile e muto a fissare di sbieco la ragazza malvagia. 

Non capii cosa stesse accadendo, ma una cosa era sicura: quei due mi stavano nascondendo qualcosa, qualcosa che non mi sarebbe piaciuta per niente. Così provai ad insistere.

«Cass», lo pregai con lo sguardo di parlare, ma lui evitò il mio sguardo. Mi sentii morire. Non rispose con le parole, quelle non servivano neanche. Il suo comportamento urlava forte e chiaro. 

I segreti tra noi non erano ancora finiti, stava per verificarsi una catastrofe, una di quelle che mi avrebbe distrutto il cuore in mille pezzi. Le mani iniziarono a tremare, trattenni a stento le lacrime. Quei mesi trascorsi in pace senza drammi eccessivi, quei giorni di felicità, erano destinati ad avere una fine. E quella fine era vicina. Ormai ne ero convinta.

«Gradite un po' di macedonia?» s'intromise Teresa per stemperare quell'aria pesante di risposte non date. Spostai lo sguardo verso quella donna, in cerca di un appiglio per evitare di fare una scenata proprio durante la prima cena con mia madre dopo otto anni, lei stessa mi sorrise compassionevole. 

«Sì, grazie!» rispose quell'arpia di Debrah sorridendo vittoriosa. Aveva appena innescato una bomba e attendeva trepidante le prime ferite, le mie.

Teresa ritenne opportuno riempire tutti i bicchieri di macedonia sebbene nessuno, oltre Debrah, le avesse risposto di gradirla. Tutti i commensali fissarono i movimenti di Teresa, nessuno fiatò. Ne mangiai metà bicchiere per educazione, ogni boccone rappresentò una lama affilata che mi uccideva lentamente, non perché non fosse saporita ma per la circostanza. Più i minuti passavano e più la mia mente elaborava possibili scenari: Castiel che mi tradiva con Debrah, Castiel che continuava a stare con lei nonostante stesse con me, Castiel che sarebbe partito con Debrah per avere maggiori possibilità di sfondare nel mondo della musica. Non mi veniva in mente altro, non esisteva più nulla di bello. 

Il parco floreale di Parigi, il giardino in terrazza a Roma, il tetto di casa Black, la casa sull'albero, la barca sul mare, il battello sulla Senna, le promesse, le frasi scritte sulla finestra della mia camera, non esisteva più niente. Ogni ricordo divenne sbiadito, annebbiato dal fumo nero dell'anima di Castiel. Forse avevo sbagliato tutto, forse mi ero fidata sin troppo di lui, di lui che mi aveva sempre avvertito di non possedere più un cuore, di non essere più capace di provare sentimenti forti. E mi ero fidata troppo persino di me stessa, perché in realtà non ero capace d'insegnare ad amare. D'altronde come potevo esserlo se non ero mai stata amata da nessuno? E poi... Cos'era l'amore? A cosa serviva se non era stato in grado neanche di salvare, di redimere? In quel momento avrei voluto urlare tante di quelle parole che anche loro finirono per divenire confuse e apparentemente prive di senso, ogni sillaba si perse tra il fumo dei demoni interiori di Castiel. Non li aveva sconfitti, non ce l'aveva fatta, il mio amore non era stato abbastanza. 

Avrei voluto urlare contro Debrah di riprendersi quel ragazzo, ma avrei voluto urlare anche contro Castiel di restare, di non abbandonarmi, di non lasciarmi cadere. Tanta confusione, troppa, finì per ammutolirmi ed immobilizzarmi. Ero accomodata a tavola di casa Duval, ma in realtà non ero lì. Anch'io mi ero persa nel fumo dell'anima di Castiel. Sperai di trovare una via d'uscita prima di soffocare.

«Due sorelle che stanno con lo stesso ragazzo, non dovrebbe essere contro le leggi etiche?» Debrah, dopo aver svuotato il suo bicchiere, fece scoppiare la prima bomba. Sussultai e d'istinto tolsi la mano da quella di Castiel. Non mi ero neanche resa conto di avergliela stretta per tutto quel tempo. 

I miei film mentali quindi erano reali? E lui perché stava inscenando la parte del vegetale? Perché non reagiva mettendo a tacere Debrah? Perché non si decideva a portarmi via da quella casa? Tanti interrogativi, troppi per essere capace di reggerli tutti in un colpo solo. 

Continuai nel mio mutismo, nella mia apatia, avrei voluto urlare, scappare, ma non ero più capace di farlo.

«Adesso basta!» Teresa sbatté le mani sul tavolo attirando l'attenzione di tutti. «Questi non sono discorsi da fare durante una cena davanti a due genitori e ad una bambina. Quella che non osserva alcuna regola sei tu, solo tu. Mi hai stancata con i tuoi giochetti. So tutto, Debrah. Tutto. Da quanto ricatti mia figlia? Da quanto invece Castiel? Sei un essere spregevole, una donnaccia che ha bisogno d'ingegnare stratagemmi per riprendersi un ragazzo. Cosa vedi quando ti specchi la mattina? Come pretendi di avere successo, di conquistare il cuore delle persone, se tu per prima non ne possiedi uno? Sei ipocrita e malvagia, una ragazza che non meriterebbe neanche di stare seduta qui a tavola con noi. Se non fosse per tuo padre ti avrei già sbattuta fuori a calci!» mia madre sputò contro Debrah tutto il veleno che stava trattenendo da chissà quanto tempo. Si alzò dalla sedia e le parlò avvicinandosi al suo viso, mi tolse praticamente le parole di bocca. Avrei tanto voluto urlarle io quelle frasi, ma avevo evitato di farlo per via del contesto in cui mi trovavo e per via della mia temporanea instabilità mentale.

«Vuoi insegnarmi tu come conquistare un ragazzo o come imparare a vivere? Di sicuro una prostituta è esperta in questo genere di cose!» 

E, dopo la risposta di Debrah, Teresa perse completamente la ragione. Le mollò uno schiaffo in pieno viso lasciandole addirittura l'impronta delle dita sulla guancia. Debrah, di risposta, strattonò i capelli a mia madre. Lo sbigottimento fu generale. Flora, vista la situazione critica, preferì alzarsi da tavola e correre nella sua stanza; decisione saggia. Marcel e Castiel fissarono le due donne con gli occhi sgranati. Dopo un breve attimo di realizzazione dell'accaduto, entrambi si alzarono per allontanare le due. Marcel attirò a sé Teresa, mentre Castiel afferrò i polsi di Debrah.  

Un impeto di gelosia e mi alzai anch'io, avvicinandomi al mio ragazzo. Gli cinsi i fianchi e appoggiai il viso sulla sua schiena. Istantaneamente mollò Debrah, poggiò la mano sulla mia e socchiuse gli occhi. La ragazza diabolica per una volta dimostrò di possedere un briciolo d'intelligenza: gettò temporaneamente le armi, lasciandoci soli e recandosi nella camera di Flora. Teresa scappò in cucina per placare i bollenti spiriti, con tutta quella rabbia repressa avrebbe potuto benissimo commettere un omicidio. Nel salotto restammo solo io e Castiel. 

«Riportami a casa», sussurrai all'orecchio del rosso. 

Castiel sapeva bene che la mia non fosse una richiesta letterale, perché casa era ovunque fosse lui. E non importava se fosse tra le fiamme dell'inferno, lui per me sarebbe sempre stato paradiso. Fuoco e ghiaccio, amore e odio, passione e rabbia. Un ibrido. Il mio, il nostro.

«Sì, ma dobbiamo parlare», sospirò quasi sofferente. 

«Lo so». 

Ma in realtà non sapevo più se fossi pronta o meno a conoscere la verità. Ero disposta a far scoppiare definitivamente la nostra bolla? 

Rabbia, amore, confusione. Strade che non avrebbero portato da nessuna parte. Sapevo ci fosse un posto migliore, perché lui mi ci portava sempre. Tutto era cominciato con una fiducia tradita, una mano da stringere al volo prima di cadere nel vuoto ed urtare il terreno. Ed in quel momento, più delle altre occasioni, avevo bisogno che lui mi rassicurasse dicendomi che mi avrebbe trattenuta di nuovo senza lasciarmi cadere. Se avessi perso il controllo, se avessi perso nuovamente la speranza, se mi fossi ferita lungo la strada, lui mi avrebbe riportato a casa? Si sarebbe preso cura di un'anima in pena? Avrebbe fatto tutto ciò che già io avevo fatto per lui?

Lo avrei scoperto a breve. 

«Mamma, noi andiamo...» mi fermai accanto alla porta della cucina per avvertire Teresa.

«Tesoro vieni qui», mi fece cenno di avvicinarmi a lei e lo feci. «Mi dispiace per come sia andata a finire la cena, ma-» fermai le sue scuse. 

«Non sei tu a doverti scusare, anzi, grazie per avergliele cantate e suonate al posto mio», strizzai l'occhio cercando di sdrammatizzare, lei sorrise. 

«Erano anni che trattenevo la maggior parte di quelle parole sulla punta della lingua, non mi è mai piaciuta come ragazza. Mi stupisco sempre che sia figlia di Marcel, lui è così buono», emise un sospiro. 

«Immagino non sia facile avere Debrah come figliastra, ti compatisco», accennai un sorriso. 

«Grazie. Comunque... Castiel ci tiene a te, qualunque cosa abbia fatto sono sicura ci sia una spiegazione ragionevole», lei a sua volta tentò di rassicurarmi con quelle parole e, per finire, con un abbraccio. «Ti voglio bene!» mi bisbigliò nell'orecchio destro. «Casa mia sarà sempre aperta per te, ricordalo. Per sostegno, per una spalla su cui piangere o gioire, sappi che mi troverai sempre qui. Non scappo più da nessuna parte», quello fu il suo saluto speciale, mi scaldò il cuore. Necessitavo di parole confortanti come dell'ossigeno per respirare e lei lo aveva capito già solo guardandomi negli occhi. Forse non era troppo tardi per riavere una famiglia. La ringraziai con una pacca sulla spalla, non ero in grado di fare dei gran discorsi visti gli eventi accaduti, ma sapevo che avrebbe compreso ugualmente il mio stato d'animo. 

«A presto mamma!»

-

«Vuoi ancora dormire con me?» mi chiese Castiel appena fuori casa Duval. 

Me lo chiese con l'espressione di un piccolo animaletto ferito, mi disarmò completamente. Non lo avevo mai visto così vulnerabile. A tutto c'era una spiegazione, forse non era ancora tutto perso.

«Sì», risposi semplicemente. 

E sapevo di star sbagliando, sapevo che, prima di dare la mia disponibilità, avrei dovuto chiedergli spiegazioni sulle frasi di Debrah e sul suo comportamento accondiscendente, ma immaginavo già che quella verità avrebbe scombussolato nuovamente ogni cosa, perciò preferii godermi gli ultimi attimi di felicità.

Lo schianto ormai era inevitabile, nel mentre perlomeno mi sarei goduta il panorama. 

D'altronde... Quando esiste la prospettiva di ricevere uno schiaffo, il vero masochista porge la guancia.

 

 

 

 



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🌈N.A.🌈

Hello, ultimamente non sto rispettando per nulla i giorni di pubblicazione, mi dispiace tanto. Tra una cosa e l'altra sto avendo davvero poco tempo per scrivere. Ma ce la farò ad aggiornare di nuovo regolarmente, promesso🤞🏻 

CIAK BISESSUALE. Era proprio lui a sbaciucchiarsi nel bagno con Alexy. Sorpresi? 😏

Io aspettavo questo momento dall'inizio della storia più o meno, cioè da tantissimi anni. Ci tenevo, nel mio piccolo, ad affrontare quest'altro argomento. 

👩‍❤️‍👩LOVE IS LOVE👨‍❤️‍👨; non importa chi si ama, l'importante è amare sempre e incondizionatamente. Chi ama le persone del suo stesso sesso non provoca del male a nessuno, quindi lasciamoli liberi di scegliere della loro vita. Non condannateli, non insultateli, trattateli normalmente com'è giusto che sia. Una persona non dev'esser giudicata in base al suo orientamento sessuale. Quindi STOP alle etichette e SPAZIO alla libertà d'amare💕 

Ok, chiudo questa breve parentesi.

Prepariamoci tanti fazzoletti per i prossimi capitoli😭. Spero di riuscire a scriverli, non so per quale motivo ma ultimamente le emozioni che sento nei vari capitoli sono amplificate; forse mi sono affezionata troppo ai personaggi. Il che è un bene da una parte.

In più stiamo per scoprire cosa ha fatto Castiel nel bagno prima del famoso concerto, non aggiungo altro🤐. 

Sarà Castiel a raccontare la verità a Miki o sarà troppo codardo per farlo e lo saprà in un altro modo, tramite un'altra persona?

Debrah ha dato il meglio di sé in questo capitolo, ma è arrivata super Terry a fermarla. Finalmente qualcuno gliele ha cantate come si deve :D 

Non so voi, ma io ho amato sia Teresa che Ciak in questo capitolo. Me la canto e me la suono da sola, lo so xD

Ok, adesso chiudo questo gigantesco angolo autrice e vi saluto, alla prossima...

All the love💖

Blue Night🦋

 

P.S. Sono emotivamente instabile perché ho visto il film Avengers - EndGame al cinema. Caspita, che amarezza!

  
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