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Autore: NPC_Stories    30/04/2019    4 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Gita di piacere


Johel si rigirò nelle mani il foglietto con gli appunti che aveva preso.
“Due cinture, una giacca e un paio di stivali?” Ricapitolò Galgath Thiselthath, il migliore nonché unico conciatore di Myth Dyraalis. “Non so, devo vedere in che condizione sono le pelli, in quali punti sono state tagliate. Per adesso non ho altri grossi lavori quindi posso stendere subito un progetto, hai un momento? Dovrò farti delle domande.”
L’elfo biondo si strinse nelle spalle, pensando che non fosse giusto che avessero demandato quel compito a lui. Non amava stare a lungo in quella bottega per via dell’odore pungente di sali e altre sostanze alchemiche, e anche Jaylah in braccio a lui stava già storcendo il nasino.
“D’accordo” si arrese, perché Daren era sparito senza dire nulla, il bastardo. Posò a terra la bambina. “Jaylah, adesso papà ha da fare. Vai fuori a giocare con gli altri bambini.”
La piccola non se lo fece ripetere. Annuì, agitò la manina in segno di saluto e corse subito fuori. Gli elfi non sono una razza molto prolifica, ma tutti i bambini del clan Arnavel vivevano a Myth Dyraalis, quindi Jaylah aveva qualche compagno di giochi.

Nel frattempo, Daren aveva deciso che non aveva più voglia di starsene chiuso in cucina con uno gnomo in crisi esistenziale, quindi era uscito ad aspettare Amaryll nella piazzola antistante la locanda. Si sedette sul bordo del basso pozzo in cui Navar amava calarsi quando era bambino, e riuscì a mantenere un atteggiamento tranquillo anche quando altri bambini si riversarono nella piazzetta per giocare.
“Preso! Ah! Vi ho presi tutti!”
“Adesso tocca a Fyllae prenderci”
“No, non è vero” protestò una bambina sui dieci anni “adesso tocca a Jaylah”
La piccola mezzadrow arrivò trotterellando proprio in quel momento. “Appettatemi! Siete troppo veloci!”
“Jaylah è troppo lenta a correre” puntualizzò un bambino coperto di fango. “È sempre la prima che viene acchiappata
La bimbetta si avvicinò al ragazzo che aveva parlato e gli rivolse una smorfia arrabbiata.
“Oooh, sta facendo la faccia spaventosa! Che paura, Jaylah!” cantilenò il ragazzino infangato, prendendola bonariamente in giro.
“Jaylah, fai la faccia spaventosa! Fammi vedere!” I bambini fecero capannello attorno a lei, e Daren capì che nonostante fosse la figlia di Johel, per loro era ancora una curiosa novità.
La piccina continuò a fare smorfie, aggrottando la fronte e mostrando i denti, e gli altri scoppiarono a ridere. Jaylah si unì al coro di risate, perché non capiva la differenza fra ridere con lei e ridere di lei.
Daren decise che ne aveva abbastanza.
Si alzò dal bordo del pozzo, con una certa flemma, e si avvicinò al crocchio di bambini.
“Jaylah! Come va, piccola?”
La bambina entusiasta gli rivolse un grande sorriso e alzò le braccia per essere sollevata, ma Daren si inserì nel gruppo e si chinò accanto a lei. “Allora, mostriciattola, mi presenti i tuoi amici?”
Jaylah si lanciò in un giro di nomi che sicuramente non erano proprio esatti, ma gli altri non la corressero. Il guerriero comunque cercò di rimanere gentile e sorridente con quei giovani elfi.
“Che cosa stavate facendo di bello?”
“Giochiavamo a elfi e orchi” Jaylah cominciò a raccontare nel suo elfico che migliorava ogni giorno. “Uno è un orco, e noi dobbiamo ss-cappare.” Spiegò, allungando la s per il suo solito difetto di pronuncia. Stava imparando a pronunciare le s quando erano seguite da altre consonanti, ma il risultato non era ancora perfetto. “Ma se corriamo fino al pozzo” agitò le braccia mentre parlava, come se volesse mimare un terribile inseguimento “arrivano i forti e l’orco ss-cappa e noi elfi lo dobbiamo prendere! Anche se ci ha già presi! Perché noi siamo i forti!”
Daren non riuscì bene a capire il concetto finché non comprese che Jaylah intendeva rinforzi.
“Che gioco divertente ed educativo” si complimentò, ma senza molto entusiasmo. “Tu hai già fatto l’orco?”
“Non corro abbass-tanza veloce” disse in tono abbacchiato “ma so fare la faccia cattiva!” Si vantò, facendo di nuovo quella smorfia buffa.
Gli altri ragazzini ridacchiarono sottovoce. Non volevano offendere Daren, ma nemmeno avevano paura di lui.
“Uhm. Hai ancora molto da imparare. Quella faccia non è molto cattiva” la corresse, scompigliandole i capelli. “Per fare una faccia cattiva, devi aggrottare la fronte, così” lo fece, e Jaylah lo imitò. “Poi devi stringere le labbra, come se fossi arrabbiata, così”, di nuovo la bambina cercò di imitarlo. “Brava, brava. Ma la cosa più importante è…” spostò lo sguardo sui ragazzini, che pendevano dalle sue labbra. “Per fare una faccia cattiva, devi essere una persona cattiva. Devi sapere che la tua vita non vale niente, e che a nessuno interessa. Questa cosa ti annichilisce, ti schiaccia, ti fa infuriare. Perché se la tua vita non vale niente, allora il mondo può anche bruciare. No, deve bruciare. E la persona davanti a te è solo un morto che cammina. La tua faccia cattiva sta dicendo: il tempo che ci metto a raggiungerti è il tempo che ti resta da vivere.” Queste ultime parole uscirono in un sussurro tagliente come una lama, e rimasero per un momento a vibrare nel silenzio perfetto. Non dovette nemmeno caricare il suo sguardo di implicite minacce, si limitò a un’occhiata severa. Fu sufficiente. Due bambini scapparono urlando, la ragazzina di nome Fyllae cominciò a piangere in silenzio e a tremare, e il moccioso coperto di fango restò pietrificato come se avesse guardato negli occhi un basilisco.
Amyl uscì di corsa dalla locanda, attirata da quel baccano. “Ma cosa succede…? Daren!” gridò, avendo capito la situazione con una sola occhiata. “Hai spaventato i bambini? Ma cosa ti dice il cervello?!”
“Uhm… non lasciare che bullizzino tua nipote…? Sì, più o meno mi dice questo.” Si difese, prendendo in braccio la piccola mezzadrow e rialzandosi in piedi.
Capendo che non c’era un pericolo immediato, gli ultimi due ragazzini si defilarono in silenzio, prima che l'imprevedibile drow si ricordasse di loro.
“Zio, non ho capito” Jaylah gli afferrò la treccia di capelli argentei e la tirò leggermente. “Com’è che devo fare pe’ la faccia ss-paventosa?”
“Devi guardarli come se ti avessero rubato l’ultima fetta di torta, cucciola.” Gli rispose, semi-serio.
Sul visetto scuro della mezzadrow si dipinse un’espressione a metà fra l’oltraggio e la desolazione. “No! Non sono più miei amici!” Piagnucolò.
“Jaylah… non l’hanno fatto davvero, era solo un esempio.”
“Gli do un pugno per esempio!” rispose arrabbiata, mostrando i piccoli pugni. “Quei brutti vyshaan!
“Ma! Dove hai imparato queste brutte parole?”
“Da te, zio” ammise candidamente. Daren ebbe il buon gusto di mostrarsi almeno un pochino imbarazzato.
“Su, su, dalla a me” Amyl tese le braccia verso la bambina. “Jaylah, ti ho tenuto da parte un po’ di torta. Non te l’hanno rubata. La vuoi?”
Qualsiasi reticenza a farsi prendere in braccio da un’estranea venne subito accantonata. Torta era sempre la parola magica.
Solo allora, quando l’elfa dei boschi gli voltò la schiena per rientrare nel pub, Daren si accorse che Amyl non indossava i soliti vestiti da lavoro. Sulle spalle aveva un corto mantello, pensato per potercisi avvolgere per ripararsi dal freddo, ma che arrivava appena all’altezza dei fianchi lasciando le gambe libere di muoversi. Quelle stesse gambe erano fasciate in morbidi pantaloni di pelle che evidenziavano e sostenevano le sue forme. Il drow l’aveva sempre vista vestita da cameriera, con una gonna al ginocchio, un corsetto e un coprispalle. Già di solito la trovava molto carina, ma adesso si sorprese a fissarle le gambe senza farlo apposta. Non pensava che fosse così sexy vestita da esploratrice.
“Ah, Amyl, cos’hai detto che dobbiamo fare oggi?” la richiamò, seguendola oltre l’ingresso del pub.

Nel frattempo, un giovane apprendista druido e un ranger molto vecchio stavano varcando le porte della città, scoprendo che all’esterno faceva molto più freddo.
“L’inverno arriva presto, quest’anno” commentò Navar, annusando l’aria. Raerlan non rispose. La foresta di Mir, come la chiamavano gli umani, si trovava nei territori meridionali del continente di Faerûn, ma la vicinanza delle maestose Montagne del Cammino poteva garantire inverni molto freddi. Non era così strano.
Senza dire una parola, si slacciò il mantello e lo porse al giovane elfo, con un gesto di invito. Navar arrossì, imbarazzato che l’alicorn lo stesse trattando come un bambino.
“Conosco un incantesimo per resistere al disagio del freddo” gli ricordò. Era un druido, sebbene alle prime armi, ed era molto fiero dei suoi progressi.
“Non lo metto in dubbio, ma hai meditato per preparare quell’incantesimo proprio oggi? Non ti aspettavi che facesse freddo, quindi secondo me non l’hai fatto.”
Navar arrossì ancora di più. Gli dava fastidio essere preso in castagna. Avrebbe preferito fare finta di niente, fingere di lanciare l’incantesimo e non dare a vedere che aveva freddo. Raerlan però non gli diede il tempo di ribattere e gli avvolse il mantello intorno alle spalle. Non era molto più pesante del suo, ma con due mantelli il ragazzo si sentì decisamente più al caldo.
“Non è necessario” protestò alla fine. “Non sono un bambino.”
Io lo so, Navar, ma se ti ammali mentre sei con me, tua madre mi apre la testa e la usa come portavaso.”
L’elfo dei boschi rimase per un attimo senza parole. Cercò di immaginare sua madre mentre faceva una cosa del genere. Era un’idea divertente, ma era anche impossibile. No, non Amaryll.
“Va bene, allora grazie” si arrese, stringendosi nel doppio mantello. “Adesso andiamo però, le giornate sono sempre più corte e c’è molto che voglio esplorare!”

Altre due persone in quel momento si stavano dedicando alle esplorazioni.
Amyl non scherzava, aveva davvero preteso che Daren si arrampicasse con lei su un albero molto alto (che per fortuna non ospitava una casa elfica, altrimenti sarebbe stato imbarazzante).
Al drow non era pesato. L’elfa l’aveva preceduto per fargli vedere dove fossero gli appigli più saldi, ma quello che lui si stava godendo era soprattutto il panorama del suo fondoschiena visto dal basso.
Alla fine raggiunsero un ramo abbastanza alto da svettare sopra le cime degli altri alberi.
“Questo è un abete su cui giocavo da bambina. All’epoca i primi rami toccavano quasi terra, era una pianta giovane. Adesso ha il tronco scoperto fino a una certa altezza… circa cinquanta piedi, e quindi non è più sicuro per i bambini arrampicarcisi” raccontò, mentre entrambi riprendevano fiato su un ramo molto più in alto di cinquanta piedi “in compenso è diventato un albero altissimo, permettendo questa vista mozzafiato.”
Il drow si sedette sul ramo, con la schiena contro il grande tronco della pianta, apprezzando la morbidezza relativa della sua corteccia sugherosa. Il panorama era qualcosa che solo un elfo avrebbe potuto apprezzare: alberi. Da quell’altezza non si vedeva quasi nulla della città perché era coperta alla vista dalle chiome. Non capiva cosa ci trovasse Amaryll, ma era evidente che quel luogo significava molto per lei ed era colpito che avesse voluto portarlo lì.
“Ti arrampicavi così in alto quando eri bambina?” provò a chiedere.
“No, l’abete non era così alto, non svettava sugli altri alberi. Però sognavo che un giorno l’avrebbe fatto. Sognavo… che avrei visto tutto questo dall’alto. Che sarei stata una persona speciale.”
“Perché?”
L’elfa dai capelli rossi girò il viso verso di lui e lo guardò con aria stranita. “Che domanda è perché?
Il drow si strinse nelle spalle. “Non intendevo chiedere perché volevi essere speciale, capisco molto bene l’ambizione e il voler essere… importanti, diciamo. Non me lo aspettavo da un’elfa però. Non eri felice da ragazzina?”
Amyl si spostò più vicina a Daren, andando a sedersi fra le sue gambe. Il guerriero aspettò che lei avesse appoggiato la schiena al suo petto, poi la strinse fra le braccia. Segretamente aveva un po’ paura che lei cadesse di sotto, anche se di sicuro la ragazza era più abituata a stare sugli alberi di quanto lo fosse lui. Ogni tanto si abbracciavano in quel modo, specialmente quando guardarsi negli occhi sarebbe stato troppo imbarazzante.
“I miei genitori vivevano in un villaggio a sud, ma sempre del territorio del clan Arnavel. Non ci sono villaggi a nord, solo accampamenti di ranger, ma a sud è diverso, ci sono più corsi d’acqua e la pesca è una fonte di sostentamento importante. Il mio villaggio si chiamava Corwynfon. Però, come sai, solo la città è davvero sicura. È prassi comune che i bambini dei villaggi vicini, e talvolta perfino i bambini degli altri clan, vengano mandati a crescere a Myth Dyraalis. Spesso un genitore li accompagna, nel mio caso venni mandata qui con mia zia che aveva appena avuto due gemelli. È stato deciso per… ottimizzare le risorse, sai com’è. Però mi sentivo un po’ abbandonata. Io avevo cinque anni e i gemelli erano neonati, quindi ovviamente tutte le attenzioni erano per loro.” Raccontò, e anche dalla voce si capiva che era un po’ turbata. “Mi arrampicavo su quest’albero e cercavo di guardare verso sud, verso il mio villaggio. Purtroppo all’epoca non era abbastanza alto.”
“E adesso? Si vede il tuo villaggio, da quassù?” chiese Daren, guardandosi intorno. “Ho paura di non sapere neanche da che parte sia il sud.”
Amyl sbottò in una breve risata. “A quest’ora, cerca il sole ed è più o meno in direzione sud.”
“Va bene che vivo in Superficie da più di cent’anni, ma puoi scordarti che io cerchi di guardare in faccia il sole! E poi oggi è così nuvolo, non capisco nemmeno da dove arrivi la luce.”
L’elfa guardò verso l’alto. Era vero, quel mattino una spessa coltre di nubi grigie copriva il cielo in modo uniforme. Giù nella foresta doveva sembrare quasi notte, perché le fronde degli alberi coprivano quella poca luce.
“Sembra che stia per piovere” tirò una manica di Daren per fargli sciogliere l’abbraccio. “Dovremmo scendere finché siamo in tempo. E no, comunque, non si vede il villaggio dei miei genitori. È troppo lontano ed è coperto dagli alberi. Non importa, Myth Dyraalis è sempre stata la mia casa.” Si alzò, mostrando un perfetto equilibrio anche se era in piedi su un ramo curvo.
Dalla direzione in cui stava guardando, Daren ipotizzò che il sud fosse alla loro destra. Anche se lei aveva detto che non si vedeva il villaggio nascosto fra gli alberi, il drow cocciuto rimase a guardare per qualche momento, scandagliando il bosco con gli occhi.
“Daren, scostati dal tronco, altrimenti non posso sce…”
Lui la stava ascoltando con mezzo orecchio, ma all’improvviso non la sentì più del tutto. Percepì un netto stacco dalla realtà intorno, la sua vista si fece offuscata, e un attimo dopo non stava più guardando il bosco dall’alto: si trovava ad altezza del terreno, vicino a un ruscello che formava una piccola cascata.

La vegetazione intorno a lui era tipica della regione a sud di Myth Dyraalis, una zona ricca di corsi d’acqua: pini bassi dal colore verde brillante, con i tronchi invasi da funghi filiformi, più qualche quercia e altre latifoglie qui e là. Daren non avrebbe saputo collocare geograficamente quel luogo se qualche volta non ci fosse passato nelle sue esplorazioni insieme agli altri ranger. Era un punto in cui ci si fermava a fare rifornimento d’acqua.
Due persone apparentemente avevano avuto la stessa idea: Raerlan e Navar Enlee. Qualcos’altro però aveva calamitato la loro attenzione: un enorme felino a sei zampe, simile a una pantera emaciata, con due tentacoli uncinati che partivano dalle scapole e molte cicatrici di ferite recenti. Una belva distorcente. Affamata. E incazzata.
Daren spalancò gli occhi con orrore, perché sapeva che le sue visioni non andavano mai a finire bene. Dal suo linguaggio del corpo, era chiaro che Raerlan era a disagio e stava facendo cenno a Navar di stare indietro… ma il ragazzo non gli diede retta e con un sorriso fiducioso si diresse verso quella bestia semi-naturale. Il drow non aveva bisogno di vedere altro, ma le lenti magiche nei suoi occhi non rispettavano mai il suo volere: ogni volta che aveva una visione, la magia imponeva che assistesse fino in fondo. La belva per un momento sembrò davvero incuriosita da Navar. Poi la fame, il dolore, e la sua naturale malvagità presero il sopravvento. Un tentacolo scattò, Navar alzò un braccio all’ultimo istante ma non aveva la forza e le movenze decise di un guerriero: il suo braccio venne spinto verso il basso mentre uno degli spuntoni di quel tentacolo gli scavava un solco nel viso. Anche il braccio restò quasi maciullato e per poco non gli venne strappato via. Poi Raerlan si gettò sul felino, mettendosi in mezzo con la spada lunga impugnata a due mani.


No, no, è tutto sbagliato. Il modo in cui Raerlan impugnava la spada, la posizione delle gambe… da dilettante. Non avrebbe dovuto andare. Non ricorda abbastanza!
La visione terminò di colpo, così com’era arrivata, lasciandogli addosso brividi di orrore. Navar stava morendo da qualche parte e Raerlan non avrebbe mai fatto in tempo a guarirlo. Il guerriero si alzò in piedi, reggendosi al tronco perché si sentiva ancora stordito.
Maledizione, non Navar! Era così importante per Amaryll… e anche per lui. Forse tutto questo non è ancora successo. Le visioni mi lasciano qualche minuto per agire, di solito…
Daren saltò giù dal ramo. Non si curò di cercare appigli; aveva davanti una caduta di una trentina di piedi prima di atterrare sul ramo sottostante, e usò quel poco tempo per fare appello alla magia del suo tatuaggio: un piccolo accrocchio di incantesimi che gli permettevano di replicare quei poteri innati di alcuni drow, come la levitazione.
Alle sue spalle Amyl lanciò un urlo di sorpresa e si chinò sul ramo, ma si tranquillizzò subito quando vide che il suo compagno stava rallentando la caduta. “Che stai facendo?” gli gridò dietro, ma lui non la sentì nemmeno.
Toccò con i piedi il ramo inferiore, cercò subito con lo sguardo una traiettoria di caduta che gli permettesse di arrivare a terra senza l’intralcio di altri rami, poi saltò in quella direzione. Con un comando mentale mise fine all’incantesimo di levitazione, perché non aveva tempo da perdere. La forza di gravità lo reclamò subito, tirandolo verso il basso come un peso morto. Qualche secondo prima di toccare terra attivò un nuovo incantesimo di levitazione. Questo rallentò la sua caduta, ma non la fermò. Toccò il terreno con la violenza di qualcuno che cade da una decina di piedi d’altezza, e con un gesto automatico si buttò a terra e rotolò su se stesso per attutire la forza cinetica. Un momento dopo era di nuovo in piedi, di nuovo in corsa.
Daren non portava mai armi a Myth Dyraalis. Avrebbe potuto, ma non voleva farlo. Aveva con sé solo un coltello che usava per necessità triviali come recidere una corda, o tagliare un rametto… un pugnale ridicolo per combattere. Aveva lasciato le sue armi alla porta sud, dov’era entrato. Raggiunse il posto in meno di un minuto perché non era molto distante dall’albero di Amyl.
Il piccolo presidio di guardia consisteva in due ranger annoiati e un druido che si stava prendendo cura di una giovane pianta di rovere. Daren corse subito alla rastrelliera delle armi d’ordinanza e afferrò la sua spada bastarda. Esitò solo un istante, poi prese anche il bastone che il clan Arnavel gli aveva donato quando l’avevano nominato Ruathar, Amico degli Elfi.
“Emergenzissima” annunciò, con il fiato corto. “Mi serve un passaggio magico per la cascatella delle rane.” Quasi si gettò addosso al povero druido. “Subito! Ti prego!”
L’elfo di mezza età rimase spiazzato. Approntare teletrasporti arborei d’emergenza era il motivo per cui ad un certo punto, precisamente dai tempi del problema drow di settant’anni prima, si era deciso di lasciare un druido esperto ad ogni porta della città; però non erano incantesimi da richiedere con leggerezza.
L’incantatore guardò il drow negli occhi e decise istintivamente che non era il caso di perdere tempo con le domande di rito. Il guerriero non era un ragazzino petulante che chiedeva un passaggio magico per porre rimedio a un suo ritardo, come alcuni giovani ranger avevano tentato di fare. Aveva la nomea di essere serio e un gran lavoratore... be’, almeno come soldato, se non come persona. Il suo tono sconvolto lasciava indovinare una vera emergenza.
Il druido annuì seccamente e gli fece cenno di seguirlo. A pochi passi da loro c’era esattamente la pianta che cercava: un pino più basso degli altri della sua specie, con gli aghi di un verde vibrante. La stessa specie che cresceva copiosamente vicino ai corsi d’acqua nel sud. Senza dire niente, i due ranger si scambiarono uno sguardo d’intesa e uno di loro si unì a Daren e al druido.
L’elfo dei boschi toccò il tronco ruvido dell’albero e cominciò a salmodiare l’incantesimo di Trasporto Vegetale. Erano solo pochi secondi, ma al drow angosciato sembrarono un’eternità.


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Note:

1. Se a qualcuno interessa, l'albero di Amyl è quello che nel nostro mondo si chiama douglasia (o Abete di Douglas), un abete che arriva in media a 70 metri ma occasionalmente quasi a 100, mentre le piante sulle rive dei fiumi sono Tsuga canadensis, una pinacea che necessita di un maggiore apporto d'acqua e che cresce in media una trentina di metri in altezza.
2. La parolaccia che dice Jaylah, vyshaan, è davvero un insulto in lingua elfica. È definita come "una vile maledizione o insulto, in riferimento al clan Vyshaan", un'importante famiglia di elfi del sole a capo dell'antico regno di Aryvandaar. È il clan responsabile di aver dato il via alle Guerre della Corona (-12.000 DR). L'insulto vyshaan potrebbe indicare elfi corrotti dal potere, egoisti e violenti. Però è possibile che la metà degli elfi di oggi non ricordino l'origine di questa parola.


           

   
 
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