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Autore: hey_youngblood    02/05/2019    2 recensioni
[Nephilim!AU]
2182. Gli umani sono segretamente in guerra con una specie da loro considerata superiore , i Nephilim.
Yuuri. Apprendista in una struttura che detiene queste creature, finirà per disertare le idee del padre e stringere un legame con uno di loro, Victor.
Otabek e Yuri fanno parte di un gruppo terroristico che mira a distruggere tutte le strutture in cui vengono rinchiusi tutti quella della loro specie. Durante una missione verranno catturati e imprigionati con gli altri nella sede principale dell'azienda che compie queste oscenità.
Dal testo:
“Sei la prima persona che prova bellezza osservandomi, da quando sono rinchiuso qui dentro.” Quelle parole uscirono in un sussurro dalle labbra che aveva sfiorato un momento prima. Yuuri lasciò la presa sul suo viso e scattò indietro d’istinto. Victor, ormai sveglio, lo osservava con occhi socchiusi, mentre sentiva la sonnolenza causata dal sedativo cercare di riportarlo nel sonno. “Ti prego, non avere paura di me.”
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Settimo
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Otabek si risvegliò ancora, accecato dall’intensità della luce lattea che inondava la sua cella notte e giorno. Strinse gli occhi più volte, cercando di farli abituare, poi si osservò intorno. La cella era, come sempre, tremendamente vuota, se tralasciava lui stesso e le catene che lo tenevano ancorato alla parete dietro di sé. Dall’altra parte del vetro la luce era spenta, nessuno osservava quella sua patetica figura, ogni giorno più debole e stanca. Doveva essere notte, pensò. Solamente nelle ore notturne quell’edificio risultava quasi vuoto, mentre, viceversa, durante il giorno osservava, quando sveglio, le stesse persone che, in camice bianco, facevano avanti e indietro tra i laboratori, che entravano nella sua cella, che controllavano i segni vitali, che preparavano i dosaggi per poi iniettarglieli nel flusso sanguigno – la solita routine.
L’unica cosa interessante accadutagli quella settimana – poteva riconoscerle passare dalla mancanza della solita quantità di personale durante il weekend – era stata quando, al posto dei soliti infermieri a fargli l’iniezione, si era presentato davanti a lui quello che tutti chiamavano il professore – un uomo anziano, dall’espressione arcigna, che portava i capelli mossi e grigiastri legati in una coda bassa sulla schiena, l’accento sensibilmente russo – con al suo seguito un ragazzo giovane, più degli altri che aveva notato lavorassero lì.
Aveva le guance piene, i capelli scuri lievemente spettinati, gli occhiali storti sul naso, la corporatura minuta gli dava un’aria innocua, mentre, con mani tremanti, preparava la dose e con una siringa gliela iniettava sotto pelle. Non tanto il suo aspetto, quanto ciò che gli aveva sentito pensare, servì a colpire la sua attenzione: Mi dispiace. Aveva proprio formulato quei pensieri, mentre lo drogava personalmente per la prima volta, a fianco del vecchio; nessuno dei due si era accorto del fatto che lui, il prigioniero, fosse cosciente e Otabek, dal canto suo, aveva fatto in modo che non se ne accorgessero, mantenendo i propri occhi chiusi, cercando di restare inerte per tutto il tempo, seppur avesse sentito il proprio corpo fremere a quell’affermazione.
Mi dispiace. Quelle parole l’avevano perseguitato per giorni – tutt’ora non gli permettevano di concentrarsi su altro – mentre si chiedeva se avesse potuto sentire male. Se, anche solo fortuitamente, il siero avesse iniziato a provocargli allucinazioni – dopotutto, l’enorme quantità a cui sottoponevano giornalmente il suo corpo non poteva non provocare nessun danno. D’altra parte, però, il momento in cui aveva sentito quelle parole era stato anche l’istante in cui l’influenza del siero aveva dovuto essere al minimo, o altrimenti non si sarebbero affrettati a procedere con un’altra iniezione. Mi dispiace. E l’aveva osservato mentre, sotto quella bomba che gli somministravano, riperdeva conoscenza. Erano bastati pochi attimi per far reagire Otabek che, dalla situazione disperata in cui si trovava, finalmente – finalmente – aveva trovato qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa di terribilmente pericoloso da fare, in quel luogo desolato – una speranza.
Doveva essersi bevuto il cervello; non si sarebbe sorpreso se un attaccamento di quel tipo verso un ragazzo non troppo più grande di lui, che si era mostrato gentile ai suoi occhi – o meglio, alla sua mente –, fosse derivato solamente dall’estremo sconforto che lo pervadeva. A peggiorare la situazione, stava il fatto che faticava a tener nascosta la cosa a Yuri: che si trattasse di quella stramaledetta sensazione che provava oppure di quella figura che, di tanto in tanto, gli balenava nella mente. Era certo di non provare assolutamente niente per quel ragazzo, non aveva nessun dubbio che i propri sentimenti fossero concentrati tutti su un unico soggetto.
D’altra parte, però, non aveva idea di come avrebbe reagito l’altro se fosse venuto a conoscenza del fatto che i propri pensieri non fossero dedicati, seppur in maniera totalmente differente, solamente a lui. Prima di addormentarsi, pregava mentalmente due cose: la prima, che Yuri non decidesse di fare un salto nella sua mente proprio in quei giorni, e la seconda, che la sua mente non gli giocasse il brutto scherzo di raffigurare tra i personaggi di un qualche suo sogno proprio quell’assistente? aspirante? apprendista? – insomma, ciò che quel ragazzo doveva essere.
Erano passati ormai giorni da quando quel giovane si era mostrato ai suoi occhi, e da quel momento aveva inconsciamente sperato di rivederlo. Ogni qualvolta che sentiva il suono elettrico della porta che si apriva, si affrettava a serrare gli occhi, a cercar di sentire i pensieri di chi entrava. Il problema di quel suo potere, è che non poteva leggere i pensieri di chiunque: molti erano i modi per contrastarlo, per chiudere la propria mente e renderla impenetrabile, come altrettanti modi esistevano per aprirla con la forza, una tortura per chi subiva quei trattamenti. Nelle condizioni in cui si trovava al momento, così tremendamente indebolito dal siero che gli iniettavano almeno un paio di volte al giorno, non era capace di entrare nella testa di nessuno, a meno che questo non avesse voluto che lui sentisse ciò che stava pensando. Questo significava che quel ragazzo sapeva che lui poteva sentirlo, che aveva fatto in modo di essere sentito. Se un assistente? aspirante? apprendista? era informato sul suo potere, probabilmente anche tutto le altre persone con cui veniva in contatto ogni giorno sapevano. Forse era questo ciò che quel ragazzo aveva cercato di fargli sapere. In alternativa, poteva essere stato mandato come infiltrato dalla propria comunità, ma non lo considerava minimamente possibile: il gruppo in cui aveva vissuto fin da piccolo non era grandissimo, una colonia di non più di tremila individui, inutile dire che si conoscessero tutti a memoria.
L’unica possibilità, riguardo questa ipotesi, era che fosse stato mandato da un’altra comunità di Aviani, con cui la propria aveva contatti e che condivideva gli stessi obiettivi: nonostante fosse a conoscenza della rete tra le comunità di Aviani, le quali si impegnavano ad aiutarsi reciprocamente contro un comune nemico e nel preservare quelli come loro, senza lotte di supremazia o altro, l’ipotesi sembrava ancora poco probabile. Anche per il fatto che nessuno rischierebbe la propria vita entrando in una struttura come quella, non se non era coperto dai propri. Aveva visto le azioni, seppur casualmente, di altre comunità, e poteva confermare che non era quello il modo d’agire a loro comune.
Sospirò, poi scosse lievemente la testa, che sentiva pesante sul collo, mentre cercava di far sparire quei pensieri. La verità era che stava scivolando lentamente nell’avvilimento più totale. Si era chiesto molte volte per quanto tempo quegli umani avessero deciso di tenerli rinchiusi in quel modo, e non aveva mai voluto formulare a parole la risposta. Mentre il tempo avanzava, capiva che, probabilmente, non sarebbe mai uscito vivo da lì. Ovviamente loro non lo avrebbero lasciato andare volontariamente, ed era terribilmente scontato, considerando tutto ciò che si stavano permettendo di fare. Non si tratta in un modo simile una persona che può uscire e raccontare. Tuttavia, le speranze che aveva mantenuto intatte su un aiuto dall’esterno si andavano affievolendo giorno dopo giorno; non si sarebbe sconvolto se, alla fin fine, avesse scoperto che quel ragazzo non era realmente un’opzione a cui aggrapparsi. In ogni caso, sentiva di essere all’inizio di un percorso in cui avrebbe perso sé stesso, e questo lo spaventava tremendamente. Pensava a Yuri, e la paura lo attanagliava.

 
Ω

Quando ricadde tra le braccia di Morfeo, una delle due misere speranze che aveva si dissolse in una nuvola di fumo: risvegliatosi nella casa che abitava nella comunità, sorprendentemente vuota, vide il sedicenne seduto sul bancone della cucina, le gambe che penzolavano e battevano ritmicamente sulla parete di esso. Lo stava osservando: l’espressione corrucciata, gli occhi stretti in due fessure lo fissavano, gli bruciavano sulla pelle, il labbro inferiore stretto tra i denti – gesto tipico che faceva sempre quando rifletteva in silenzio.
Yuri aveva paura, una delle ultime volte che gli era entrato in sogno, il maggiore non l’aveva accolto nel migliore dei modi, perciò nelle successive aveva cercato di non fargli capire che fosse presente, passando tutto il tempo nascosto nell’oscurità, o chiudendosi in una stanza. Era rimasto sollevato quando aveva scoperto che Otabek sognava spesso d’essere a casa loro, nella comunità, ed il fatto d’essere stato presente, d’aver vissuto lì, gli permetteva di chiudersi nella sua vecchia stanza, facendo finta d’essere l’altro Yuri. Ma adesso era apparso davanti a lui, e non sapeva bene se il ragazzo fosse o meno arrabbiato. D’altra parte, la sua espressione non lo portava a pensare in quel modo: sembrava solo terribilmente stanco.
Otabek si voltò di lato, cercando di non fargli capire che quello sguardo gli stava facendo affrettare il battito del cuore. Magari riusciva a guardargli dentro; magari l’aveva già fatto, a sua insaputa, durante un sonno senza sogni. Impossibile! Pensò che Yuri non era ancora così esperto da poter vagare nei sogni altrui senza che questi se ne rendessero conto; era una capacità che si acquisiva con l’esperienza, con l’età, con l’esercizio – tutte cose per cui Yuri non aveva avuto l’opportunità da libero: era troppo giovane, estremamente inesperto, mai pratico del suo potere. Poteva considerarsi ancora relativamente salvo, vero?
“C’è qualcosa che non mi torna, Otabek” disse il biondo, interrompendo quel silenzio pieno di tensione che si ostinava tra loro da chissà quanti minuti, dividendoli come tramite una barriera. Otabek deglutì, poi mormorò un “Ah, si?” mentre cercava di tenersi occupato. Decise di preparare del caffè, perciò si apprestò a radunare tutto l’occorrente sul bancone: il contenitore dove ne tenevano in polvere, la moca, il misuratore.  Tutto ciò gli permise di trovare una scusa per non incontrare lo sguardo del più piccolo, poi ringraziò mentalmente di essere lui quello in grado di leggere nel pensiero, e non l’altro.
“Negli ultimi tempi è più semplice usare i miei poteri.” Continuò il sedicenne, ostinandosi a battere ritmicamente le suole delle scarpe a ritmo regolare contro la parete del bancone. Otabek strinse istintivamente le dita attorno al misuratore, mentre tentava di dosare la giusta quantità di caffè da mettere nella moca. “Riesco anche a restare sveglio più a lungo. E’ cambiato qualcosa per quanto riguarda i dosaggi, non mi illudo di essere diventato più forte, soprattutto considerando le condizioni in cui ci tengono rinchiusi.”
“Credi che qualcuno lo stia facendo di proposito e non per sbaglio?” replicò il più grande, mentre si attingeva a stringere la moca e a metterla sul fuoco. Sentì Yuri battere una mano sul bancone mentre accendeva il fornello con l’aiuto di un fiammifero: le condutture del gas non funzionavano bene di quei tempi.
Yuri annuì con aria convinta. Si sentiva più energico quando si svegliava nella cella, ma non era stato un evento isolato, erano giorni che riusciva a tenersi sveglio per qualche ora, prima di risentire l’effetto schiacciante del sedativo riportarlo nel mondo dei sogni. Ogni giorno che passava, poi, si sentiva meno debole, tanto da fargli desiderare di usare i propri poteri, per tentare di capire quanta forza realmente possedeva, al di là delle proprie speculazioni. “Ne sono sicuro,” rispose “Qualcuno in quella prigione è dalla nostra parte, sta tentando di aiutarci!” esultò, speranzoso.
Otabek prese due tazze dall’armadietto e le dispose sul bancone, mentre aspettava che la moca cominciasse a fumare, invadendo la stanza di quel familiare odore di caffè che lo portava a ricordare i giorni in cui veramente si trovava lì, con sua madre, suo fratello e Yuri, e vivevano liberi. Le parole del minore lo avevano spaventato, perché niente era peggio che sperare in qualcosa che avrebbe potuto anche non accadere mai; si trattava di un’infondata ipotesi sul probabile sbaglio di un incapace assistente dai lineamenti gentili ed i pensieri ingenui. Lui lo sapeva bene, ed il suo cuore batteva all’impazzata mentre cercava di far tornare Yuri, ma più che altro sé stesso, con i piedi per terra. Quel mi dispiace non significava niente di concreto, e tutta quella situazione poteva trattarsi solamente di una triste coincidenza.
“Non farti speranze, Yuri. Non siamo in grado di stabilire niente con certezza.” Versò il caffè nelle due tazze, poi ne allungò una al minore, che vi aggiunse vari cucchiaini di zucchero prima di portarsela alle labbra e berne un sorso. Sapeva che non amava il sapore di quel liquido, ma ormai lo beveva per abitudine, ed addolcirlo al limite della sopportazione lo aiutava ad ingerirlo senza troppi problemi.
Dopo averne preso un sorso, Yuri poggiò la tazza accanto a sé sul bancone. Otabek lo osservò mentre soffiava leggermente, con le labbra vicine al bordo della tazza, cercando di raffreddare in fretta il liquido appena versato. Il biondo teneva gli occhi abbassati, fissi sulla tazza sul cui bordo faceva scivolare ora il proprio indice. Stava riflettendo. “Ma se invece fosse così; se realmente qualcuno stesse agendo in modo che entro poco tempo potremmo realmente scappare-“
“Cosa?” sbottò Otabek, piantando il proprio pugno contro il bancone della cucina. Si voltò verso Yuri, che lasciò ricadere le gambe, inerti, senza più batterle ritmicamente. “Credi seriamente che qualcuno di quei mostri stia cercando di aiutare proprio noi? Pensaci bene Yuri, noi siamo il nemico dal loro punto di vista.” Emise un sospiro dall’esasperazione “Un nemico, okay? Non esseri inferiori, non animali, non povere creature indifese, tantomeno simili a loro. Un nemico. Nessuno educato a pensare questo potrà mai provare altro se non paura, rabbia o disprezzo nei nostri confronti.”
Yuri si zittì; ovviamente Otabek aveva ragione, e detestava che fosse così. Aveva passato le ultime settimane quasi del tutto incosciente, rinchiuso in una prigione molto probabilmente sotterranea, mentre veniva esaminato da medici e scienziati, quando là fuori si stava combattendo una guerra vera e propria. Non era giusto! Un po’ rimproverava a Otabek di averlo fermato dal saltare, la notte in cui li avevano catturati. Probabilmente ce l’avrebbe fatta, si sentiva decisamente forte e in grado di spiccare il volo – e se fosse stato seriamente il caso, in quel momento non si sarebbero ritrovati lì, rinchiusi in un sogno come unico momento per stare insieme, ma liberi, o morti. Tutto, in quel frangente, gli sembrava migliore della corrente condizione precaria.
Teneva lo sguardo fisso sul pavimento, cercando di riflettere, e sentì il maggiore sospirare ancora. Si avvicinò a lui in silenzio, poi il calore delle sue mani, così grandi, leggermente callose, lo avvolse, costringendolo ad alzare lo sguardo. Otabek poggiò la propria fronte sulla sua, e Yuri perse un battito nel notarlo così vicino. Gli mancava così tanto. E non si riferiva solamente a quei pochi momenti che avevano passato insieme in quel modo, ma tutto gli mancava di lui: scherzare insieme, essere rimproverato per la sua palese mancanza di voglia per studiare, per la sua impulsività. La libertà aveva un sapore più dolce ora che non poteva gustarsela tutti i giorni.
Otabek sentì il proprio respiro confondersi con quello del ragazzo che aveva davanti, e si risolse nel comprendere che lui, in quel momento, lo desiderava. Avrebbe voluto stringerlo a sé, venire avvolto dal profumo del suo corpo, sentirne il calore sotto le proprie dita. L’unica cosa che lo fermava era il fatto che tutto ciò – il loro incontro, la loro conversazione, tutto ciò che stavano vivendo e provando in quel momento – fosse solamente un sogno. Un sogno terribilmente cosciente, ma pur sempre un frutto della sua mente. Si trattenne dallo spingersi troppo in là, spaventato che Yuri potesse distrarsi e rischiare chissà quale pericolo all’interno del proprio inconscio, ed invece che ambire a catturargli quelle labbra rosee, decisamente in contrasto con la sua pelle candida, gli lasciò un piccolo, austero bacio tra i capelli.
“Mi dispiace.” Yuri lo sentì mormorare, rimanendo spiazzato. “E’ che non voglio che tu ti faccia troppe illusioni, per poi rimanerne deluso.” Sentì le dita del maggiore accarezzargli con cura i capelli, passarci attraverso, e si sentì subito più rilassato. Era sollevato che Otabek non ce l’avesse con lui, e glielo volle dimostrare avvolgendo le proprie braccia attorno alla sua vita. Sentì il maggiore irrigidirsi a quel contatto più stretto, e sorrise contro il suo petto. “Ho bisogno che tu resti forte psicologicamente, è l’unico modo per continuare a resistere.”
Yuri strusciò il naso sul suo petto, mentre annuiva leggermente con la testa. Otabek lo strinse ancora di più a sé, in cerca di ancora più contatto. Si sorprendeva della velocità con cui quella relazione mai iniziata realmente fosse progredita. I due avevano passato anni e anni insieme, vivendo nella stessa casa, e mai avevano avuto quel tipo d’intimità. Lui non era il tipo che si dava a tante smancerie, figuriamoci poi il ragazzo che aveva davanti, che cercava di dimostrare d’essere qualsiasi cosa, tranne che umano*. Eppure eccoli che si tengono stretti in silenzio, nella devastante dolcezza d’un sogno.

 
 
*col significato di “capace d’umanità” e non in contrapposizione al termine aviano o nephilim.
Sono tornata, come al solito in ritardo.  Non capisco come mai, ma la mia vita in questo momento è un casino. Spero arrivi agosto in fretta e senza gravi danni, perchè sono sinceramente esausta.
Per quanto riguarda il capitolo, chiedo venia. Ero partita con l'idea di add some spice e cambiare perfino il rating della storia, per poi ritrovarmi a costruire un momento fluff pieno di riflessioni allucinate sulla libertà e varie altre cose. A mia discolpa, mentre facevo la bozza del capitolo, ho pensato che no, non potevo far vivere a questa dolcissima coppia un momento così importante in un sogno, non la loro prima volta almeno, perciò ci sarà da aspettare un po', mi sa. 
Finalmente le due storie parallele si stanno iniziando ad intrecciare, spero quindi di riuscire a svilupparle bene nei prossimi capitoli. In ogni caso, Otabek ha solo sentimenti per il suo Yuri e per nessun altro, perciò tutti tranquilli.
Come novità, ho aggiunto sulla mia pagina profilo i link ai miei account twitter e instagram, nel caso voleste chiacchierare un po' e ricevere avvisi riguardanti le mie storie, perciò vi aspetto lì. 
Ringrazio infinitamente coloro che negli ultimi tempi hanno aggiunto la storia tra le preferite e le seguite: fatemi sentire il vostro supporto senza essere timidi, tanto qui siamo tutti sulla stessa barca.

Infine, un po' di pubblicità non fa mai male:
Predestined 
La mia long che ha per protagonisti i BTS e ambientata nel mondo magico ha estremamente bisogno d'affetto e supporto, perciò siete tutti accolti a braccia aperte se volete lasciarmi i vostri pensieri e le vostre opinioni, o seguirmi in un viaggio del genere.
MIKROKOSMOS 
Una minilong sempre sui BTS ispirata dalla canzone Mikrokosmos, del nuovo album (inutile dire che conterrà parecchio fluff). 

Appena in tempo 
Una oneshoot senza pretese, missing moment rosso di Predestined (non dovete per forza aver letto la storia principale per leggere questa), sulla coppia Jikook perchè si, come si può non amare i Jikook e in generale la maknae line.

Detto questo, mi dileguo.
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Carlotta
  
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