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Autore: _Bri_    14/05/2019    11 recensioni
[Storia Interattiva - Iscrizioni Chiuse]
Mentre ad Hogwarts si sta svolgendo il Torneo Tre Maghi, da qualche parte, in Inghilterra, esiste un "Giardino Segreto" apparentemente bellissimo ed unico, ma che nasconde ben più degli incanti che lo immergono nel costante clima primaverile. Dodici celle, occupate da dodici creature che il dottor Steiner ha rinchiuso lì. Il motivo è sconosciuto, ma chi vi è rinchiuso dovrà lottare con tutto se stesso, per ottenere la libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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CAPITOLO IX
Il Tritone e la Sirena
 
Philip si sentiva stanco, molto stanco. Aveva passato la notte in reparto e appena finito il suo turno era corso al Ministero, dove sapeva che ad attenderlo ci fosse la squadra degli Auror che stava seguendo il caso delle persone scomparse, come sua moglie. Non aveva avuto nemmeno il tempo di farsi uno doccia: smesso il camice, aveva gettato dell’acqua fredda sul viso rasato di fresco e si era presentato alla convocazione. Fortunatamente ad accoglierlo ci fu l’abbraccio accogliente di Sophie e Adam, i genitori di Victor. Già, perché anche loro erano stati convocati  in quanto del magigiornalista, come di Martha, non c’erano state più notizie.
Ma Martha e Victor non erano gli unici due ad essere scomparsi nel nulla: presenti alla convocazione vi erano molte più persone, che si scambiavano sguardi tesi e ricchi d’ansia. L’attenzione di Philip venne momentaneamente catturata da una donna dal fascino incantevole, che possedeva corti capelli brillanti come l’argento e che stringeva forte la mano ad un mago dalle fattezze decisamente più comuni. Prima che avesse la possibilità di passare in rassegna i presenti, la strega a capo della squadra fece un passo avanti, richiamando l’attenzione di tutti loro:
 
-Buongiorno a tutti. Io sono Madeline Boxton, a capo della squadra Auror che sta svolgendo le indagini relative alla scomparsa dei vostri familiari; vi prego, sedetevi e ascoltatemi con attenzione.-
 
La strega dai lunghi capelli color cioccolato portò le mani dietro la schiena e rimase in piedi accanto ad un uomo poco più alto di lei, dall’aria austera. Appena tutti i presenti ebbero preso posto, le sottili labbra spoglie di trucco tornarono a parlare con tono categorico:
 
-Sono passati più di tre mesi dalla prima scomparsa sospetta e a seguito delle indagini preliminari, siamo stati spinti dal dubbio che ci sia un filo conduttore a legare le sparizioni.-
 
L’Auror fu interrotta da una voce baritonale, che attrasse lo sguardo stanco di Phil:
 
-Possibile che sia passato tutto questo tempo senza avere traccia di mia figlia?! Questo è inaccettabile!-
 
-Signor Dagenhart, le assicuro che stiamo facendo il possibile per risolvere questo mistero.-
 
-Mistero?!- Trillò la donna al suo fianco, che scattò in piedi –Avreste dovuto accantonare ogni altro lavoro per ritrovarla! Stiamo parlando della sorella del futuro Primo Ministro!-
 
A quell’affermazione ci fu un borbottio generale, che venne sovrastato dal tono alterato di un mago, scattato in piedi anch’egli:
 
-Quindi tua figlia sarebbe più importante della mia solo perché forse- ,virgolettò il mago, –vostro figliò diventerà Ministro?- Si soffermò infine sul mago –Come fai ad essere sempre tanto pieno di te, Aleister?-
 
-Trevor Montague… - quel nome uscì dalla bocca di Aleister Dagenhart come fosse un insulto, - …Tu non sei che la dimostrazione che il sangue purò è inutile, quando si è marci nel midollo.-
lo sguardo fiero fluttuò su Adam Selwyn, che ruppe il suo silenzio forzato da Sophie:
 
-Ti ricordo che anche mio figlio è scomparso, così come i parenti di molte altre persone qui: non pensi sarebbe il caso di tentare di mettere in moto i pochi ingranaggi che hai nel cervello e mostrare un po’ di rispetto per noi tutti, Daggie?-
 
-Ti rendi conto con chi stai parlando?- sibilò Aleister.
 
-Con un pennuto cerebroleso?- Chiese retoricamente Adam.
 
-Ecco perché la Gazzetta del Profeta è caduta così in basso…- si introdusse Saoirse, di nuovo in piedi al fianco del marito Aleister, - …se a dirigerla c’è tuo figlio; spero per tutti noi che non venga più ritrovato, almeno potremo tornare a delle letture più gratificanti.-
 
Nonostante la calma fosse una sua caratteristica, Philip sentì il sangue ribollire nelle vene; stava per scattare in piedi per dare manforte ad Adam, ma venne bloccato da Sophie la quale non si scompose affatto:
 
-Otroligt (1)…voi inglesi non fate altro che parlare di sangue puro…non pensate sia meglio capire dove sono i nostri figli, invece che discutere?-
 
-Fortunatamente qualcuno dimostra di saper ragionare.- L’intervento del capo Auror Boxton, che si aspettava ci sarebbero stati piccoli attriti, aiutò a freddare gli animi.
 
-Non perdiamo altro tempo.- Proseguì spiegando una pergamena sul tavolo ovale intorno al quale erano seduti: -Abbiamo motivo di credere che fra le persone scomparse ci sia una connessione.-
 
La pergamena riportava i seguenti nomi, affiancati dai ritratti in movimento:
 
Jules Airgood
Cora Dagenhart
Alistair Gordon
Lucas Heathcote
Evangeline Annabel Montague
Joshua Hollens
William Herman Lewis
Odette cassandra McCall
Alon Morgan
Yann Reinhardt
Victor Adam Selwyn
Elyon Olivia Yaxley
Mazelyn Athena Zabini
Martha Sophie Zeller
 
-Da cosa dovrebbero essere connessi? Mia figlia è una medimaga, non ha mai fatto del male a nessuno…-
 
Philip spostò lo sguardo sul mago che era rimasto in silenzio fino a quel momento, passando tutto il tempo dello scontro verbale fra gli altri, stropicciandosi le mani con nervosismo.
 
-Signor McCall…abbiamo ragione di credere che chi ha rapito i vostri parenti…- La Boxton alzò una mano per fermare sul nascere le proteste di Aleister Montague -...nessuna replica signor Dagenhart, siamo più che convinti che si tratti di rapimento,- Gli occhi turchesi contornati da minuscole rughe tornarono su Jonathan McCall –Dicevo…credo che non ci abbiate fornito degli elementi fondamentali al fine delle nostre indagini. Qui non stiamo parlando di maghi e streghe comuni e questo avremmo dovuto saperlo per tempo.-
 
-Mia figlia…tutti sanno chi è.- La voce melodiosa della giovane donna su cui poco prima si erano posati gli occhi di Phil, sembrò sprigionare una coltre di quiete che toccò ogni singolo presente.
 
-Signora Airgood, pensavamo che sua figlia fosse un caso isolato nella sua peculiarità, ma abbiamo scoperto che ogni persona misteriosamente scomparsa è custode di un raro potere. È stato naturale pensare che sia questo, il motivo per cui sono stati rapiti.-
 
Philip rabbrividì, mentre le pupille tremolanti percorrevano il nome di sua moglie, in fondo a quella pergamena.
 
*
 
Martha guardava lo specchio d’acqua cheta con particolare eccitazione, pronta ad approfittarsene e gettarcisi dentro.
 
-Vieni!- La incitò Alon, più felice che mai. Martha abbassò lo sguardo su Jules, che guardava l’acqua con un sorriso sornione.
 
-Perché non vieni anche tu?-
 
-Fra un po’,- cinguettò lei –voglio essere qui se dovesse arrivare qualcun altro.-
 
 Martha non se lo fece ripetere due volte; era decisa a sfruttare ogni momento di distrazione per allontanare la mente dal pensiero costante di quella reclusione. Fece qualche passo indietro, prima di gettarsi in acqua ancora vestita; la vista era nebulosa, ma riuscì a scorgere una grande coda munita delle più tenaci sfumature di azzurro, che si muoveva intorno a lei. Appena riemerse prese un gran respiro e non si risparmiò una risata liberatoria.
 
-Mi mancava l’acqua!- disse ad alta voce, per farsi sentire anche da Jules.
 
-A chi lo dici.- Rispose Alon, emerso anche lui in superfice. Martha percepiva la sincera felicità del più piccolo, che sembrava totalmente diverso in quello che, era del tutto evidente, era il suo ambiente naturale. Alon sembrava ringiovanito ulteriormente, rispetto ai suoi ventidue anni: non faceva che ridere, si emozionava ad ogni battito di coda e tentava di coinvolgerla nelle sue attività acquatiche come farebbe un bambino con i genitori.
 
-Ti voglio far provare una cosa sensazionale.- Disse Alon, con gli occhioni verdi più sgranati che mai e il sorriso ampio esposto in tutta la sua luminosità; Martha acconsentì quindi a immergersi di nuovo con Alon che, una volta averla trascinata in fondo, si rivolse a lei senza difficoltà, così che la sua voce arrivò chiarissima alle orecchie di Martha.
 
-Prova a respirare!- La incitò, trattenendola per il polso. Scherzava, forse? Come avrebbe potuto respirare sott’acqua? Ma volle concedere ad Alon questa prova, tanto il lago non era poi così profondo e sarebbe potuta riemergere con facilità. Lo stupore la colpì in pieno, quando si rese conto di essere realmente in grado di respirare.
 
-Come è possibile?!- Domandò, stupita ed eccitata. Alon non le rispose, limitandosi a trascinarla in giro, premurandosi di non staccare mai la presa da lei. Così Martha si godette il momento, fin quando La lunga e maestosa coda di Alon non si mosse per trasportarli fino alla superficie.
 
-Mi stavo spaventando!- Pigolò Jules che era sporta sulla riva e puntava gli occhioni caldi sui due –Siete scomparsi per un sacco di tempo, ho avuto paura per te!- Gridò infine in direzione di Martha che, allegra, nuotò fino alla riva per poi uscire fuori.
 
-Alon ha fatto una magia davvero fantastica, così sono potuta rimanere sott’acqua un bel po’.-
 
-Se ti decidi a venire posso farlo anche con te.- Si lamentò Alon in direzione della Tassorosso che, dopo essersi ripresa dallo spavento, sfoderò un sorriso enigmatico verso il tritone:
 
-Non ce n’è bisogno mica!-
 
Martha prese a strizzare i capelli, mentre con lo sguardo seguiva Jules che, senza togliersi le scarpe, si gettò in acqua con agilità ed Alon, al settime cielo, si immerse di nuovo, seguendo la giovane strega fino al fondale del lago.
 
*

 
La schiena di Odette aderiva perfettamente al terreno soffice, mentre i suoi occhi scuri cercavano un punto d’imperfezione nel cielo limpido. Solo il sospiro delicato proveniente dal suo fianco destro la fece ridestare, ma non le fu necessario chiedere nulla: le bastò socchiudere gli occhi ed immergersi nella mente di Evangeline, la quale non oppose alcuna resistenza. Sul viso di Odette comparve un sorriso malinconico:
 
-Sono stanca anche io, ma dobbiamo resistere Evie…non possiamo permetterci di cedere terreno ai nostri carcerieri, altrimenti ho idea che la piccola possibilità che abbiamo di uscire da questa situazione sfumerebbe in un batter di ciglia.-
 
-Il problema è che non capisco a cosa potremmo essere utili; se fossero solo le nostre particolarità, allora ci avrebbero già sfruttati a dovere; invece se ne stanno lì, a studiarci come topi da laboratorio.-
 
Odette spostò lo sguardo al lato opposto, laddove in lontananza c’era Adrian Reed, che di tanto in tanto appariva, per poi scomparire di nuovo. La strega era più che convinta che quei Mangiamorte fossero muniti di un qualche amuleto molto potente, che le impediva di leggere loro la mente; difatti Odette non era una legilimens come tanti: mai nessuno era riuscito ad innalzare barriere tanto costanti e prima o poi era sempre riuscita a penetrare la mente di chiunque. Eppure non c’era ancora riuscita, né con Adrian Reed, tantomeno con Roxanne Borgin; per non parlare del famigerato dottore, che aveva incontrato solo un paio di volte di sfuggita.
Insomma, Odette si sentiva inutile alla causa, ma la sua positività intrinseca la spingeva a vedere il bicchiere mezzo pieno, sempre. Con un colpo di reni si mise a sedere e tornò a fissare la ragazza stesa a terra, con le braccia abbandonate sull’erba e lo sguardo assente; il sorriso di Odette si spense lentamente, mentre affondava nei ricordi di Evangeline che dal canto suo non prestava attenzione che al vuoto. Odette scosse la testa; le sembrava davvero troppo intimo ciò su cui stava indagando.
 
-Tranquilla…non stavo pensando a nulla di segreto o sconveniente. Pensavo a mio fratello, mi manca terribilmente.-
 
Gli occhi di Evangeline vibrarono appena, per poi tornare a farsi vacui.
 
-È più piccolo di te, giusto?-
 
La strega più giovane annuì: -Si chiama Graham, frequenta anche lui Hogwarts. Lui è un cocciuto e tracotante giovane mago in erba, ma ci sono tanto affezionata. Sai…lui è l’unico della mia famiglia a sapere di Freya.-
 
Una più giovane, giovanissima Evangeline correva lungo un viale di mandorli in fiore. Poco distante un bambino ancora più piccolo, con folti capelli neri e occhi dello stesso tono di Evie, tentava di tenere il passo.
 
-Aspettami! Corri sempre troppo, aspettami!- Si lamentò il bambino, comunque intento a non demordere e raggiungere la sorella. Distanti da loro una coppia di giovani maghi si teneva per mano e guardava i bambini con sguardo amorevole; quella gita fuori porta era stata un toccasana per la famiglia, visti i rari momenti che potevano condividere tutti insieme. Trevor Montague era infatti sempre molto impegnato con gli affari di famiglia, importante importatrice di pietre preziose, così che il mago tentava di impiegare il poco tempo a disposizione per stare con le persone a lui più care.
 
-Guarda quanto è vispa quella scheggia,- disse Alice mentre perdeva lo sguardo sui suoi figli e, nello specifico, su Evangeline, -Graham è troppo pigro per starle dietro!-
 
I due risero mentre commentavano scherzosamente i loro due figli, dal carattere già tanto diverso, ma nonostante tutto molto legati. Mentre chiacchieravano e ridevano, qualcosa di anomalo attirò l’attenzione di Alice e Trevor che, stupiti, guardarono Graham correre verso un albero e tentare di arrampicarvisi sopra; il loro bambino aveva solo quattro anni e non aveva ancora sviluppato le capacità motorie per compiere una simile azione; inoltre, se anche ci fosse riuscito, il suo carattere indolente si sarebbe messo in mezzo. Lievemente allarmata, la coppia si avvicinò di tutta fretta al piccolo Graham, che per un soffio fu salvato da un bel capitombolo.
 
“Amore! Che cosa ti è venuto in mente?” Gli chiese preoccupata Alice mentre lo prendeva in braccio, aspettandosi che il figlio si mostrasse spaventato; ma qualcosa nel suo sguardo fece aumentare il livello di preoccupazione, in aggiunta alla vocina infantile che dichiarò, monocorde, che dovevano lasciarlo andare perché doveva raccogliere dei frutti per Evie.
 
“Dei…frutti? Ma cosa stai dicendo…” Alice e Trevor si guardarono ancora una volta, assolutamente incapaci di capire la situazione; il piccolo Graham, intanto, tentava di divincolarsi dalla presa di Alice che tentava di trattenerlo con forza, mentre Trevor ricercò Evangeline la quale, poco distante, li guardava con le mani dietro la schiena e un’espressione innocente.
 
 
“Ti rendi conto che cosa è riuscita a fare? Non è possibile…”
Nella quiete notturna del loro salone, i coniugi Montague si confrontavano su quanto erano venuti a scoprire riguardo le incredibili facoltà di Evangeline; a seguito dell’episodio che aveva visto coinvolto il loro figlio più piccolo, i due avevano cautamente messo alla prova Evangeline, sottoponendola a piccoli esperimenti. La piccola era riuscita in più di un’occasione a stordirli e c’era mancato poco che Trevor venisse davvero ‘ipnotizzato’.
 
“Dobbiamo parlare con qualcuno, tesoro…degli specialisti…potrebbe essere pericoloso per lei! Non riesco ancora a crederci.”
 
Alice ingollò l’ultimo sorso di whisky incendiario, mentre il marito guardava imbambolato un punto non meglio precisato della stanza.
 
“Trevor…” Lo richiamò la strega, “credo sia il caso di denunciare la cosa al Ministero…se lo venissero a scoprire…”
 
Come risvegliatosi da un lungo torpore, il mago spostò l’attenzione su sua moglie: “Non ora, Alice…se al Ministero si venisse a sapere di cosa è capace Evangeline potrebbero pretendere di tenerla sotto osservazione e chissà…magari di usarla chissà in quale modo. No, per il momento dobbiamo pazientare e fare in modo che la nostra piccola impari a modulare il proprio potere.”
 
“Ragiona! Evie è troppo piccola, come possiamo pretendere da lei che impari a gestire un potere di cui nemmeno io e te con la nostra bacchetta facciamo uso?!”
 
Ma Trevor non volle sentire ragioni. Nessuno avrebbe osato abusare di sua figlia e conoscendo il Ministero, non poteva mettere la mano sul fuoco che dalle sfere alte non ci avrebbero provato.
 
 
Il medimago si sforzò molto per lasciare che fosse Evangeline a scegliere cosa raccontarle, senza necessità di leggerle la mente. Evie si era esposta a raccontare come la sua famiglia aveva preso la scoperta del suo potere, così tremendamente simile ad una delle tre maledizioni senza perdono. Evangeline possedeva un dono unico e raro, come ognuno di loro in quel Giardino, del resto: la sua voce era come il canto di una sirena, alla quale nessuno era in grado di resistere. Odette si chiese se la serpeverde avesse mai abusato del suo potere, magari con quella Freya di cui le aveva accennato, ma dentro di sé s’affrettò a rispondere che non era possibile, perché la frequentazione assidua con Evie le aveva fatto capire che la giovane strega fosse una persona buona, che mai e poi mai avrebbe fatto una cosa del genere. Aveva capito quanto delicata fosse la situazione, perché aveva intuito che la Freya di cui parlava Evangeline non fosse una persona qualunque, ma avesse guadagnato un posto speciale per la giovane.
Concluso il racconto riguardante la sua infanzia, Evie trattenne il fiato, perdendo per qualche istante gli occhi chiari fra i minuscoli granelli di polvere che fluttuavano nell’aria tiepida. Parlare le avrebbe fatto bene e in quei pochi mesi aveva compreso di potersi fidare di Odette, buona e comprensiva. Ma un fischiettio la fece desistere dall’aprire bocca e al contempo il sorriso colmò il viso.
 
-Chiacchiere fra signore?-
 
La lunga ombra di Victor coprì la figura di Evangeline, che si affrettò a sedersi.
 
-Nulla che possa interessare un pettegolo magigiornalista come lei, signor Selwyn.-
 
Victor scoprì i denti accavallati mostrando un sorriso divertito alla più piccola delle due ed Evie si ritrovò a pensare che no, quel difetto non la disturbasse affatto e che, al contrario, lo trovasse davvero carino. Pensiero che non sfuggì ad Odette, la quale smollò un pizzicotto sul braccio di Evangeline.
 
-Vorrei tanto lasciarvi ai vostri giochetti da femmine, ma temo io sia obbligato a rimanere qui.-
 
Victor si guardò intorno e una volta rintracciato con lo sguardo Adrian, gli fece cenno di volere una sigaretta. DI tutta risposta Adrian alzò il dito medio e Victor alzò le spalle.
 
-Noiosi, questi Mangiamorte.- commentò, prima di sedersi al fianco di Evangeline, -Allora di cosa non state parlando?-
 
Odette ed Evangeline si lanciarono un lungo sguardo di intesa e prima che la seconda potesse dire qualsiasi cosa, vennero raggiunte dai passi nervosi di Elyon Yaxley, affiancata da Yann che, con le mani in tasca, sembrava immerso con quella in una fitta discussione concitata. Ad Odette non sfuggì lo sguardo che Elyon e il Mangiamorte si dedicarono a debita distanza, prima che la strega cominciasse a torturarsi il lobo dell’orecchio e muovere di scatto la testa verso di lei, la quale sussultò davanti l’algidità del viso contratto.
 
-Buongiorno.- si sforzò di sorridere, il licantropo, anche se quello che ne risultò fu una rigida piega della bocca, che non donava affatto alla sua atipica bellezza. Le pupille guizzarono poi in direzione di Evangeline, che ricambiò placida l’attenzione.
 
-Ho saputo che hai fatto ragionare Lucas con la tua incantevole voce; suppongo che tu abbia già tentato con i Mangiamorte, giusto?-
 
Evangeline inarcò un sopracciglio, prima di rispondere:
 
-Sei particolarmente sagace, Elyon Yaxley.-
 
Elyon strinse le labbra; voleva evitare di mettersi a discutere con quella ragazzina, specialmente perché sarebbe stato controproducente inimicarsi anche una sola persona fra i prigionieri. Fortunatamente non dovette sforzarsi troppo, visto che fu Yann a mettersi in mezzo che, con braccia incrociate, mosse un passo verso il gruppo, affiancandosi ad Elyon:
 
-Non cominciamo a punzecchiarci. Elyon ed io abbiamo convenuto sul fatto che sia il caso di cominciare ad agire, se vogliamo davvero uscire di qui; se i nostri calcoli sono esatti siamo in Dicembre inoltrato e ancora non ci è stato rivelato niente: dobbiamo collaborare quanto più possibile.-
 
Per Victor non fu difficile percepire il fastidio di Evangeline, che detestava si rivolgessero a lei come un’ingenua ragazzina; per questo con spontaneità strinse delicatamente il polso della sua mano, gesto che la calmò all’istante (facendola peraltro arrossire vistosamente) e poi prese la parola:
 
-Senza ombra di dubbio, ma invece di fare la voce grossa, avete idee da proporre?- I suoi occhi scuri scattarono da Yann ad Elyon –Validi argomenti di discussione? Niente?-
 
-Non siamo giornalisti al tuo cospetto, Selwyn…siamo qui per collaborare, non per proporti qualche stupido scoop.- Sibilò Elyon irrimediabilmente indispettita.
 
-Giusto.- Annuì Yann, facendosi ancor più vicino a Elyon per spalleggiarla. Gesto che non sfuggì al vigile sguardo di Adrian, il quale con l’arrivo del licantropo si fece molto più attento a quanto succedeva nel gruppo. Per questo si avvicinò con passo pesante.
 
-Non è mica ricreazione. Allontanati, Reinhardt!-
 
Odette, rimasta in silenzio fino a quel momento, assottigliò lo sguardo nella speranza di cogliere qualche pensiero di Adrian. Si sorprese nel rendersi conto che un piccolo squarcio si era creato in essa; uno squarcio dal nome Elyon Yaxley. Per questo Si alzò di scatto e si avvicinò alla strega che con l’arrivo di Adrian s’era fatta ancora più rigida.
 
-Psss!- Sussurrò al suo fianco. –Mi è venuta un’idea, ma dobbiamo allontanarci un po’, puoi aiutarmi?-
 
Elyon non se lo fece ripetere due volte; nonostante non avesse idea di cosa volesse ottenere la strega, annuì e la assecondò: pian piano si mossero distanti da Victor ed Evie che seguivano interdetti la scena di Adrian Reed che, in piena discussione con Yann, seguiva involontariamente Odette ed Elyon, che continuava a tenere sotto controllo con lo sguardo.
 
-Secondo te dovremmo seguirli?- Chiese ingenuamente Evie, ma Victor scosse il capo:
 
-Ho il sospetto che dovremmo rimanercene qui.-
 
E mentre il polo della discussione si faceva sempre più distante, il magigiornalista sorrise, tirò su le maniche della camicia esponendo gli avambracci costellati di tatuaggi e si sdraiò sulla soffice erba, per poi tornare a rivolgersi alla strega.
 
-Allora, cosa ho interrotto con il mio arrivo?-
 
*

 
Le pupille circondate da iridi di intenso verde, seguivano rapite il corpicino di Jules, la quale camminava sul fondale del lago come nulla fosse, mentre le onde dei suoi capelli chiari come un pallido sole  fluttuavanointorno al viso. Con un misurato colpo di coda, Alon si fece vicino alla strega e si rivolse a lei, non riuscendo a trattenere il sorriso:
 
-Puoi respirare sott’acqua e non me l’hai mai detto?!-
 
Jules annuì, per poi fargli cenno di distanziarsi da lei, cosa che Alon si affrettò a fare. Sussultò, il ragazzo, nel vedere un getto d’aria di infinita potenza sgorgare dalla bocca rossa che, con sforzo evidente, creò in pochissimo tempo una vera e propria camera d’aria a circondarla. I capelli ricaddero di botto sul viso, appiccicandosi alle guance, come il vestitino fece sul corpo; ad Alon sembrò di ritrovarsi improvvisamente in un acquario: il muro d’acqua era ben definito ed i due si guardavano da un capo all’altro.
 
-Ma questa è una cosa pazzesca, Jules! Puoi stare sott’acqua senza problemi!-
 
-Mi devo impegnare un po’, per il momento non riesco a mantenere questa condizione per più di un’ora, ma con il tempo sto migliorando.- La giovane sorrise –Volevo farti una sorpresa!-
 
Alon sentì la commozione salire agli occhi. Per la prima volta in vita sua era entrato a contatto con qualcuno con cui avrebbe, realmente, potuto condividere una parte del suo mondo. Fino a quel momento la sua vita sulla terra era sempre stata ben distante da quella sott’acqua, dovendosi dividere lui stesso per far coincidere i due mondi.
 
Il piccolo Alon tratteneva un polpo di medie dimensioni fra le dita e sbattendo velocemente la coda, nuotò nella direzione di Perla, che lo attendeva appesa ad una roccia costellata di minuscole conchiglie argentate.
 
“Mamma! Guarda lui, ci ho messo una vita ma alla fine l’ho catturato, ce l’ho fatta!”
 
La bella sirena sorrise in direzione del figlio.
 
“Va bene Alon, ma ora lascialo andare, ti avevo detto che avremmo avuto un appuntamento importante.”
 
Titubante, il piccolo tritone rilasciò il polpo che sparì immediatamente nei meandri dell’oceano. A distrarlo dalla vista dei tentacoli sempre più lontani, fu una voce profonda e gioviale; una voce che si rivolse a lui in perfetto linguaggio marino.
 
“Sono felice di conoscerti, Alon! Tua madre mi ha molto parlato di te, sai?”
 
I grandi occhi verdi scattarono in direzione di un essere umano dalla lunga barba bianca, vestito con un’abbondante tunica tempestata di mezze lune argentate, seduto sulla roccia come nulla fosse. Alon avrebbe scommesso che fino a qualche secondo prima dell’uomo non ci fosse traccia: non poteva essere un semplice essere umano, doveva essere un mago.
 
Assunte fattezze umane, Perla ed Alon avevano seguito Albus Silente sulla riva di un’isolata caletta ai piedi della splendida isola Skye, le cui acque erano diventate la loro momentanea casa. Fu in procinto del tenue tramonto, che Alon seppe la verità sul suo passato. Perché il piccolo non era un comune tritone, bensì un ibrido, figlio di un mago che non aveva mai conosciuto.
Fu difficile, per Perla, spiegare a suo figlio la verità. Provvidenziale fu l’aiuto del mago, il quale con discrezione si, ma munito di perspicacia, la aiutò a far comprendere ad Alon chi fosse davvero.
La giovane Perla conobbe il padre di Alon durante un viaggio affrontato su vari paesi della terra ferma; fu sul suolo inglese, che conobbe il mago con cui iniziò una discreta frequentazione; discreta, in quanto la sirena mai volle rivelare al ragazzo di essere in realtà una sirena e che era la vita marina, quella che bramava di riacquistare dopo il viaggio. Ma le cose presero una piega inaspettata, quando Perla si scoprì incinta e fu il terrore della rivelazione al mago, a spingerla a sparire senza lasciare traccia di sé. Perla era sicura che lui non avrebbe compreso e se anche avesse accettato di buon grado la sua natura e quell’inaspettata gravidanza, non l’avrebbe più fatta tornare a vivere nelle acque dell’oceano. Ma lei non era umana: Perla era una sirena e mai e poi mai avrebbe rinunciato alla sua vera natura. Per questo aveva cresciuto Alon come un comune tritone, tenendogli nascosto che in realtà in lui scorreva sangue magico. Il piccolo rimase a bocca aperta, incapace di credere a quanto la madre gli stesse raccontando; lui era cresciuto con Blue, il compagno di Perla e nonostante fosse ben consapevole che lui non fosse il suo vero padre, ad Alon era sempre andato bene così perché Blue era una persona speciale, accorto e premuroso nei confronti di loro tutti e specialmente era il padre della sua sorellina Alissa, di appena tre anni.
 
“Perché mi stai raccontando questa cosa proprio adesso?”
 
il ragazzino sentiva forte l’esigenza di ributtarsi in mare e lasciare che lo sciabordare delle onde portasse via la scomoda verità. Fu l’anziano mago a placarlo e spiegargli come mai si trovasse lì:
Alon aveva compiuto undici anni ed aveva tutto il diritto, se lo avesse voluto, di frequentare la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Fu così che perso nei racconti dell’incredibile scuola, Alon lasciò che la curiosità prendesse il sopravvento; perché se era vero che lui fosse un tritone e che l’acqua fosse propriamente il suo elemento naturale, non poteva ignorare di essere, in parte, anche un mago.
Avrebbe tentato di conoscere l’altra metà di sé, tramite gli insegnamenti che avrebbe ricevuto ad Hogwarts e la sorveglianza del preside Silente.
Alon era speciale e le sue incredibili capacità di gestire l’acqua avrebbero dovuto fornirgli un suggerimento, in quanto non aveva mai incontrato un solo tritone o sirena capace quanto lui di piegare l’elemento a suo piacimento.
Provò una gioia smisurata nell’entrare a contatto con la sua bacchetta, un elegante lungo legno di frassino col nucleo di piuma di fenice.
Ancor più scoppiò di felicità, quando durante lo smistamento di Hogwarts calarono sulla testa bionda uno strano cappello parlante che non dovette nemmeno sfiorarlo, per decidere che Tassorosso sarebbe stata la sua casa per sette anni.
In fondo, Alon si ritrovò a constatare che sua madre lo avesse spinto alla scelta più sensata, invogliandolo a conoscere l’altra metà del mondo a cui apparteneva legittimamente. Le iniziali difficoltà di approccio con i compagni ad Hogwarts, dovute in primis alla sua difficoltà nell’apprendimento dell’inglese, vennero presto sopperite dalla gioia che Alon provava nel maneggiare una bacchetta e nella conoscenza di alcuni compagni fidati, che il ragazzino avrebbe continuato a frequentare anche una volta uscito da Hogwarts.
Alon era felice di aver preso quella decisione. La sua vita era cambiata, ma per sua volontà.

 

 
*
 
Alistair non poteva dire che Roxanne Borgin non avesse fatto di tutto per rispettare il loro patto; non era passato un giorno, durante quelle due settimane trascorse, senza che le sbarre della sua cella si alzassero permettendogli di uscire di lì, anche se per poco tempo. In una sola occasione non aveva incontrato la Mangiamorte ed il giorno seguente, Yann l’aveva minacciata di spifferare la sua inadempienza. Alistair era rimasto a seguire quell’accesa discussione a tratti paradossale, dato che Roxanne aveva preso a giustificarsi come una ragazzina inerme, per poi evidentemente ricordarsi di essere lei, la carceriera e iniziare a rispondere a Yann con altrettante minacce. Comunque non sempre Roxanne in persona passava a prelevarlo, ma quel giorno Alistair era scattato in piedi non appena aveva sentito l’ormai conosciuto ticchettio dei tacchi, seguito dal bel viso della Mangiamorte che al di là delle sbarre lo guardava con un sorriso. Il babbano si ritrovò a pensare che quando erano soli, Roxanne cambiasse totalmente faccia: con lui la Mangiamorte sembrava più morbida, nonostante avesse ormai capito che persone come lei ritenessero i “babbani” creature inferiori. Che lo trattasse come un animale da compagnia? Oppure, magari, Roxanne Borgin era intimorita dal suo fatale potere?
 
-Vieni Alistair…oggi abbiamo compagnia.- celiò la Mangiamorte. Alistair s’avvicinò alle sbarre che, cigolanti, si sollevavano verso l’alto per permettergli di passare; il sorriso che gli aveva illuminato il viso, svanì presto alla vista di Maze, la quale se ne stava con le braccia conserte e lo fissava con un sopracciglio inarcato. Per il breve tragitto che compirono, attraversando un fitto boschetto che si aprì d’improvviso su una piccola e luminosa radura, rimase in silenzio ad osservare la composta Roxanne e la svogliata Maze. Al si sentì di colpo un piccione dentro la gabbia di due leoni affamati.
 
-Il dottore trova che voi due abbiate molto in comune, sapete?- cantilenò Roxanne la quale, una volta fermatasi, sedette su una panchina di legno chiaro, protetta dalla fronda di un albero.
 
-C-cioè che i-io sarei il p-p-pasto e lei il c-cuoco?-
 
Mazelyn liberò una risata cristallina:
 
-Sei spiritoso, Al!- così aggiunse -Ma puoi stare tranquillo…questi qui mi trattano bene e per il momento non sto soffrendo la fame…comunque credo ci sia dell’altro, vero Borgin?- Maze regalò al ragazzo una sonora pacca sulla spalla. Nonostante lui fosse decisamente più alto del vampiro, si sentiva comunque piccolissimo al suo cospetto. Roxanne, che non aveva mai allontanato lo sguardo da loro un solo istante, sospirò annoiata:
 
-Credi davvero che ti darei qualsiasi tipo di informazione? Non essere sciocca, Zabini.- gli occhi di intenso blu si soffermarono sull’orologio dorato, che teneva saldo in mano -Quello che dovete fare non è che passare del tempo insieme, possibilmente senza disturbarmi troppo.-
 
Maze avrebbe volentieri usato quella dannata Mangiamorte come spuntino, se non fosse consapevole dell’abile bacchetta che l’avrebbe stesa in un secondo. Era così evidente, sia per il vampiro che per il babbano, il motivo per cui Robert Stainer aveva deciso di affiancarli: nonostante non fossero in grado di spiegarsi il perché, Roxanne era lì per stimare il sentimento di paura. Quindi se da un lato Mazelyn non avrebbe provveduto a torturare e terrorizzare Alistair, quest’ultimo avrebbe fatto di tutto per resistere a qualsiasi genere di provocazione, ben conscio di essere al sicuro. Perché se avessero voluto renderlo la cena di Maze, non ci sarebbe stata la Mangiamorte a dedicarsi totalmente a loro due. I due si lanciarono un lungo sguardo d’intesa (in realtà Alistair dovette trattenersi dal non boccheggiare davanti l’irresistibile fascino del vampiro) e di parole non ebbero bisogno: nonostante la titubanza iniziale, i due presero a conversare amabilmente, parlando del più e del meno, arrivando anche a scambiarsi qualche confidenza, il tutto davanti allo sguardo prima algido, infine spazientito di Roxanne, che non la smetteva di picchiettare le dita sulle ginocchia, guardare l’orologio e prendere appunti tra uno sbuffo e l’altro.
 
-Sai…- Maze teneva lo sguardo verso il cielo, sempre grata di poter godere di quel sole caldo e accogliente, anche se fittizio, -in realtà io non me la sono cercata, questa condizione…ero una strega, ben felice di esserlo. La mia vita non era perfetta, ma ora come ora maledico i momenti in cui ho fatto di tutto per lasciarmi andare al senso di desolazione, alla rabbia, all’amarezza…- Mazelyn spostò l’attenzione su Al, seduto poco distante da lei con le ginocchia tirate al petto -…non mi fossi tanto abbattuta, probabilmente ora non sarei una figlia di Caino e non starei qui.-
 
Alistair s’accigliò nel comprendere quanto quella ragazza detestasse la sua condizione; anche lei, proprio come Roxanne, nascondeva con sapienza una parte di sé. Inoltre le parole di lei lo fecero riflettere e così, un po’ per tentare di tirarle su il morale, un po’ perché lo credeva davvero, si avvicinò a lei e bisbigliò:
 
-Secondo me non sei qui perché sei un vampiro.-
 
Si sorprese tanto quanto Maze nel constatare di essere riuscito a pronunciare quella frase senza balbettare. La ragazza lanciò una fugace occhiata a Roxanne, la quale appariva sempre più spazientita, prima di tornare a dedicare attenzione al babbano:
 
-E per cos’altro? È l’unica qualità che possiedo.-
 
Ci doveva essere dell’altro, qualcosa che li accumunava. Qualcosa successo loro magari, che aveva formato il filo conduttore della loro reclusione.
Cosa gli stava sfuggendo?
 
 
*

 
Quei due spilli neri, incastonati nelle iridi del più arrendevole ciano, fluttuavano sui tatuaggi di colori cangianti e tratti definiti che si confondevano sulle braccia di Victor, steso al suo fianco. Nello specifico, Evangeline si soffermò su uno di questi, che riuscì a rapire il suo interesse:
 
-Come mai hai deciso di tatuarti un faro?-
 
Victor storse la bocca in un bieco sorriso: -Che c’è, vuoi trovare il modo di cambiare argomento?-
 
Evangeline sbuffò. In certe occasioni era forte l’attrattiva di utilizzare il suo potere per ottenere i propri scopi. Probabilmente se avesse davvero voluto, sarebbe riuscita ad obbligare Victor a risponderle senza esitare, nonostante il magigiornalista l’avesse velatamente minacciata, informandola che qualora ci avesse provato il suo scudo sarebbe intervenuto a soccorrerlo. Era davvero stressante avere a che fare con lui, anche se il mago si era rivelato in più di un’occasione una piacevole presenza, in quella situazione orribile in cui si trovava. Per questo decise di soprassedere e con spontaneità tornò a sdraiarsi, affiancandosi a lui forse più del dovuto. I toni alterati del Mangiamorte e Yann facevano da sottofondo, ma fortunatamente quelli si sopivano man mano che il gruppo s’allontanava da loro. Evie decise che poteva farlo, che poteva confidare a Victor ciò che non aveva detto ad Odette.
 
-Ti importa davvero? Vuoi conoscere questa parte del mio passato, oppure continui a farmi domande incalzanti solo per deformazione professionale?-
 
Come da previsioni una risata di gusto sfuggì dalla bocca di lui:
 
-Parli come una vecchia e non sei che una ragazzina! Che sarà mai successo di tanto sconvolgente, nella tua breve vita?-
 
Ma la reazione di stizza che Victor si sarebbe aspettato da Evie, non arrivò. Solo il silenzio si sostituì alla sua risata, così che il mago s’affrettò a girarsi su un fianco, per poi constatare con stupore che gli occhi di Evie s’erano fatti lucidi.
 
-Ehi ragazzina…mi dispiace, lo sai che non volevo offenderti, stavo solo giocando.-
 
Ma lei scosse il capo e tentò di sorridere.
 
-Ormai l’ho capito che non sei cattivo, ma solo imbecille.-
 
La tensione scivolò via con le risate dei due, fin quando Evangeline non si spostò anche lei su un fianco in modo da poter guardare il ragazzo negli occhi. Così, con la testa abbandonata sulla mano, Evie cominciò a raccontare di Freya, motivo per il quale i suoi occhi si erano velati di lacrime trattenute.
 
“Musetto, oggi mi sembri più allegra del solito.”
 
La cascata di capelli ondulati copriva parzialmente il volto molto vicino di Freya, mentre il tocco delle sue dita solleticava il ventre coperto di Evangeline. Quel giorno il sole splendeva su ogni cosa, illuminando le sponde del lago nero e le due ragazze, perse ognuna negli occhi dell’altra.
 
“Sono solo felice.” Bisbigliò Evie, che mai avrebbe creduto che l’amore prendesse il nome di Freya Nott. Era stato inaspettato, il tumulto che sentì scatenarsi dentro di lei la prima volta che avevano avuto occasione di passare del tempo insieme, come l’esplosione più calda a seguito del loro primo bacio, al quale molti altri erano susseguiti. In quel momento Evangeline Montague si sentiva davvero felice, perché Freya era speciale, unica e perfetta. Nessun altro era mai riuscito a scuoterla tanto: era stato l’arrivo della corvonero a farle capire che l’amore era ben altro dall’impulso e che non necessitava di una forma maschile.
Ad Evie sarebbe bastato starsene lì per sempre, sulla riva di quel lago a godere dei tiepidi raggi del sole e del tocco gentile di Freya. Con la strega non aveva alcun bisogno di issare muri, né di scatenare il suo innato e pericoloso potere, perché quegli occhi di cioccolato fuso li aveva conquistati senza sforzo, solo mostrando se stessa.
Freya era la sua anima gemella, di questo Evangeline ne era certa. Era consapevole di essere stata più che fortunata ad incontrarla, vista la sua giovane età ed era decisa a tenersela ben stretta, fregandosene dell’opinione del mondo tutto.
Per questo quando capì che il suo sguardo vivido e luminoso si stava facendo opaco, Evangeline andò in panico, terrorizzata dall’idea di non poter aiutare la strega che sentiva di amare. Freya Nott era stata molto sfortunata e purtroppo ciò che accadde alla sua famiglia la spezzò irrimediabilmente: quando la strega fu avvisata dell’improvvisa morte della madre rimase sconvolta e agghiacciata, ma quando le riferirono che suo padre era stato arrestato, perché accusato dell’omicidio della madre, crollò nella disperazione. La giovanissima Evangeline fece di tutto per rimanerle accanto e donarle il conforto di cui avesse bisogno, purtroppo però non aveva fatto i conti con la cattiveria insita in alcuni adolescenti di Hogwarts; dal giorno in cui circolò la notizia dell’arresto del padre di Freya Nott, quest’ultima fu colpita da battute taglienti, fattesi sempre più pesanti e che sfociarono in pessimi scherzi di cattivo gusto. Se Evie avesse rintracciato le fonti degli ignobili atti di bullismo, probabilmente sarebbe riuscita a metterli a tacere senza sforzo; ma la strega era giovane, troppo giovane per essere in grado di portare avanti quell’impresa.
Così i giorni passavano e Freya diventava sempre più opaca, sempre più spenta e più lei deperiva, più gli scherzi nei suoi confronti si facevano pesanti, fino a diventare vere e proprie minacce.
 
Sei la figlia di un assassino!
 
Non ti vogliamo ad Hogwarts, ti faremo sbattere fuori.
 
Farai la fine di tua madre.
 
Freya non voleva per nessuna ragione che i professori venissero a sapere di quanto stesse succedendo ed iniziò a fare dei discorsi ambigui, sul fatto che in fondo chiunque la stesse minacciando avesse probabilmente ragione.
 
“Se mio padre è un assassino, perché non potrei esserlo anche io?”
 
Evangeline non voleva credere alla visibile follia che stava prendendo il sopravvento in Freya, offuscando tutto ciò che di buono c’era in lei. Si arrabbiò moltissimo, Evie, fin quando presa dalla rabbia non le ordinò di andare nel proprio dormitorio; nonostante il rimorso per averla comandata, Evangeline pensò che le sarebbe stato utile mettersi a dormire, che magari il sonno avrebbe fatto tornare la ragione; l’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno di scuola e con quello le ritorsioni nei confronti della sua ragazza si sarebbero finalmente arrestate.
Il sonno poteva generare incubi, è vero, ma la vita vera avrebbe scatenato l’inferno, nella testa e nel cuore di Evangeline la quale venne svegliata nel cuore della notte da rumori, grida, urla.
La corsa fin sotto la torre di astronomia fu lunga e concitata. Il battito rimbombava nelle vene delle tempie. Il fiato s’accorciava ad ogni passo.
Ed il suo mondo fatto di boccoli dorati e occhi di cioccolato fuso andò a fuoco, alla vista del corpo inerme di Freya, che ciondolava appesa per il collo, dalla torre di Astronomia.
Evangeline fu ricoverata al San Mungo per il crollo nervoso subito a seguito del suicidio di Freya, la ragazza che aveva amato con tutta se stessa e che non era riuscita ad aiutare.
 
-Non ricordo molto di quelle due settimane passate al San Mungo, ma posso affermare con certezza di aver fatto la conoscenza del dottor Steiner proprio in quell’occasione.- Proseguì Evie che non aveva mai smesso di guardare Victor negli occhi, per tutto il tempo del racconto; di contro il mago si era dovuto sforzare moltissimo per rimanere impassibile, toccato dal drammatico racconto della vita di Evangeline.
Fu un gesto che non seppe controllare e che risultò anche discretamente goffo da parte di un ragazzo difficilmente incline all’affetto e al contatto fisico, se non quando si trattava di avere a che fare con delle streghe per incontri occasionali: Victor allungò un braccio e strinse Evangeline a sé la quale, attonita, rimase rigida per qualche istante, prima di rilassare il corpo ed affondare il viso nella camicia di lui, che profumava di buono. Non c’era bisogno di dire altro, perché qualsiasi parola fosse uscita dalla bocca di uno dei due, avrebbe rovinato quel contatto tanto intimo e perfetto.
E a entrambi, in quel momento, andava bene così.
 
*
 
William arrivò nei pressi della cella gamma come se stesse andando lì per un primo appuntamento: il Giardino, rigogliosissimo nella sua esplosione di colori e profumi, si aprì e modificò al suo passaggio, rendendo il percorso dalla sua cella a quella di Cora apparentemente molto breve. Dall’altro capo delle sbarre Cora sussultò e arrossì vistosamente nel constatare che fosse William Lewis, ad attenderla per l’uscita giornaliera. L’ultimo incontro con il cantautore risaliva ad una decina di giorni prima, abbastanza a ridosso del catastrofico episodio che aveva visto coinvolti molti dei compagni reclusi e che, fortunatamente, non aveva creato troppi disagi. Quando Cora arrivò trafelata ed impaurita assieme ad Adrian Reed sul luogo del misfatto, inizialmente tirò un sospiro di sollievo nel constatare che William fosse sano e salvo, per poi sostituire la preoccupazione con la rabbia, scatenatasi con l’immagine del mago beatamente semi svenuto fra le braccia di quell’avvenente vampiro tutta curve. Per Cora era ormai chiaro che se c’era qualcuno fra quei poveri malcapitati in grado di rasserenarla e farla sentire discretamente felice, quello era senz’altro Will.
 
-Dovrei dire buongiorno? Da quando ci hanno gentilmente chiusi in questo luogo, ho perso la cognizione spazio temporale.-
 
Il solito sorriso sornione piegava il volto, avvolto dai capelli disordinati. Cora oltrepassò la propria cella e con Will s’avvio verso il sentiero che si modificava, ancora una volta, davanti ai loro occhi, chiaro segnale che dall’alto pretendevano che si spostassero. Fianco a fianco parlarono del più del meno; succedeva sempre più spesso che la strega dimenticasse di essere stata rapita da mesi e questo era indiscutibilmente merito, o demerito, di William Herman Lewis.
Il percorso verdeggiante li condusse in un luogo incantevole, dove trovarono Martha seduta sulla sponda di un lago, con lo sguardo perso sulla superficie terza delle acque. La bionda strega alzò appena la mano e senza salutare, fece cenno ai due di fare silenzio; William e Cora si lanciarono un’occhiata, prima che il mago s’avvicinasse con passo trascinato verso Martha, seguito dalla più titubante Cora.
 
-Che succede?- Bisbigliò Will.
 
-Forse dovremmo andare a controllare cosa succede laggiù.- Rispose accigliata Martha, come se i due fossero già al corrente che Alon e Jules si fossero immersi minuti prima, ma che a seguito di un iniziale tumulto, l’acqua era rimasta immobile.
 
*
 
Jules mosse qualche passo insicuro e si arrestò giusto a qualche centimetro dal muro d’acqua. Sorrise con genuino entusiasmo e contemporaneamente alzò una mano, per sfiorare l’acqua placida all’interno della quale fluttuava, sgomento ed eccitato, Alon.
 
-Così posso guardare la tua forma marina per bene! Hai una coda davvero lunga, sai?-
 
Il tritone piroettò lentamente, mostrando con orgoglio le scaglie cangianti che ricoprivano l’intera coda.
 
-Non per vantarmi, ma è una delle più lunghe, nel mio branco. Ma lo vedrai da te quando verrai a trovarmi…sono sicuro che andrai subito d’accordo con Alis…-
 
Un tonfo ovattato, poi uno squarcio nell’acqua, interruppe Alon e spaventò Jules, la quale alzò gli occhi che si scontrarono con una figura nebulosa nell’acqua e che, con rapidità, si avvicinò al “soffitto” della camera d’aria fino ad oltrepassarlo e piombarle addosso. Jules perse la concentrazione, rompendo così la “stanza d’aria” che si colmò all’istante d’acqua.
 
 
 
-Perché si è buttato?!- gridò Cora, agitata, puntando l’attenzione nel punto in cui William si era lanciato.
 
-Effettivamente è stato un tantino impulsivo.- valutò Martha, con la sua espressione lievemente stralunata; le due streghe rimasero in silenzio a guardare il laghetto, fin quando le sue acque iniziarono ad ondulare con un movimento circolatorio; dalla centrifuga liquida spuntò Alon, che teneva sulle spalle William e Jules e che si sbrigò a trascinare fino alla sponda.
 
 
 
-Ma perché diavolo non hai aspettato?! Lui,- sottolineò Cora in vistoso imbarazzo, mentre indicava Alon tornato nella forma umana ma ancora privo di vestiti, -è un cavolo di tritone! Secondo te c’era bisogno di gettarsi per capire se la ragazzina stesse bene?!-
 
-Ehi!- si risentì, Jules, intenta ad asciugare i vestiti e i capelli di William con un piacevole vento d’aria calda.
 
-La ragazza non ha tutti i torti,- si introdusse Alon, intanto che rivestiva il corpo statuario -con me in acqua chiunque sarebbe al sicuro; ho salvato un bel po’ di persone, sapete?-
 
Cora indossò nuovamente la sua maschera di diffidenza e superiorità, facendo una smorfia:
 
-Mi ricordo di te ad Hogwarts, sai? Non ti sei mai davvero integrato fra noi maghi; sempre in disparte con i tuoi amichetti Tassorosso.-
 
Gli occhi cristallini di William scattarono nell’immediato per posizionarsi su Cora che, braccia conserte, continuava a lanciare provocazioni ad Alon. Sentì che sarebbe stato il caso di intervenire ma fu lo stesso Alon, il quale aveva perso in un attimo tutto il suo entusiasmo, a prendere parola:
 
-O forse sono le persone come te che hanno sempre rifiutato di avere a che fare con quelli come me; a nulla sono serviti gli sforzi di Silente…quella scuola è piena di xenofobi estimatori del sangue puro.-
 
Cora sgranò i begli occhi chiari, sdegnata da tali accuse: -Io non sono un’estimatrice del sangue puro! Semplicemente diffido di chi rinnega il nostro mondo preferendo sguazzare in acque putride!-
 
Man mano che l’ira prendeva il sopravvento in Alon, le acque del lago reagivano di conseguenza; difatti quelle cominciarono a ribollire come geyser, facendo allarmare immediatamente sia Martha che Jules.
 
-Ora basta, non ci serve un altro disastro come quello capitato con il domatore di liane…Cora, non credo te ne sia resa conto, ma sei stata offensiva nei riguardi di Alon.-
 
Fu l’intervento di William a placare le acque, in ogni senso. Cora si sentì umiliata dall’ammonimento del mago; voleva controbattere, non fosse che quello si mosse a seguire Alon che, stizzito, si era allontanato a gran passi. Jules era scattata, pronta a seguirlo, ma Martha la fermò, dicendole che sarebbe bastato l’intervento di William Lewis  a farlo ragionare.
 
-Con noi potrebbe sentirsi ancora più umiliato.-
 
Così Martha guardò Cora, che si rabbonì non appena i due maghi furono lontani.
 
-Io…mi spiace, non volevo, ma questa reclusione sta mettendo a dura prova i miei nervi… -
 
Con passi leggeri, la tassorosso si fece avanti, fino a fermarsi davanti a Cora; l’espressione cupa del volto non lasciava intendere nulla di buono:
 
-Non sei l’unica ad essere stanca sai…ma Alon è una buona persona e non si merita di essere trattato così. Pensaci su.-
 
Una semplice e disarmante frase, aveva fatto sprofondare Cora nella vergogna. Non erano servite minacce da parte di Jules, per far rendere conto alla strega di aver esagerato.
 
*
 
-Vorrei solo capire per quale motivo tu e la tua amichetta riservate trattamenti speciali ad alcune persone.- Yann si era avvicinato senza timore ad Adrian che, spazientito dal comportamento indigesto del mago, aveva gonfiato il petto pronto ad uno scontro alla babbana.
 
-Con quale pretesa mi chiedi questo, feccia?! Ringrazia di poter respirare ancora e risparmia il fiato, invece di fare domande tanto stupide!-
 
Elyon avrebbe voluto intervenire, ma la stretta del polso da parte di Odette, verso la quale si voltò agitata, la fece desistere.
 
-Lasciamoli discutere!- bisbigliò la mora, -se continuano così Reed potrebbe abbassare le sue difese e potrei essere in grado di leggergli i pensieri!-
 
-Non è mai stato un bravo occlumante…- sussurrò in risposta Elyon, -non credo ci voglia molto per leggergli la mente!-
 
Odette scosse la testa: -Ci ho provato…devono avergli fatto qualche incantesimo…oppure ha bevuto non so quale pozione per occludere la mente! Fatto sta che fino ad ora non ci sono mai riuscita…ma poco fa ho percepito qualcosa,- prese una pausa –Il tuo nome, nello specifico! Se sono riuscita a capire che sta pensando a te vuole dire che le sue difese non sono imbattibili; posso tentare di sfondare il suo muro di protezione e cogliere qualche informazione più importante del solo EllieEllieEllie!-
 
Dannazione, Adrian la pensava costantemente. Questa consapevolezza bruciò nel petto di Elyon; ma se da un lato si sentiva felice come una scolaretta al suo primo bacio, dopo aver capito che Ad la pensasse con costanza, dall’altro si spaventò: non poteva permettere, purtroppo, che Odette leggesse la sua mente, perché doveva fare in modo che Adrian tornasse a fidarsi un minimo di lei. Approfittò quindi della concentrazione di Odette su Adrian, ignorò i richiami del medimago e, proprio quando i due maghi stavano per darsele di santa ragione, Elyon si mise in mezzo, trascinando lontano Adrian che, rosso di rabbia e con le vene del collo gonfie e bene in vista, minacciò a gran voce Yann di colmare la sua piramide in un solo colpo.
 
-E tu, maledizione…non ti devi mettere in mezzo, cazzo!- gridò lui, ad un centimetro dal viso di Elyon. Non che non fosse abituata alle sfuriate di Adrian, ma in un momento diverso e, specialmente, in un diverso contesto, probabilmente Elyon avrebbe risposto con un ceffone in pieno viso. Invece si trattenne ed allontanandosi ulteriormente nella speranza di non farsi “sentire” da Odette, sussurrò placida:
 
-L’ho fatto per te…se avessi perso ancora un po’ la ragione, la legilimens avrebbe letto la tua mente senza alcuna difficoltà; quindi ora datti una calmata, va bene?-
 
Dall’espressione di Adrian, che mutò rapidamente dall’imbestialito al basito, Elyon capì di aver compiuto il primo piccolo passo in favore del suo piano.
 
*

 
William aveva lasciato che Alon si sfogasse. Il ragazzo non perdeva mai e poi mai la pazienza, ma quella Cora lo aveva decisamente fatto innervosire; finalmente dopo molto tempo aveva potuto gettarsi di nuovo in acqua e aveva scoperto che se mai fosse uscito di lì (ed il suo animo fortemente positivo lo portava a credere sarebbe stato così) avrebbe potuto far conoscere almeno a Jules buona parte del suo mondo; invece quella strega era riuscita a far crollare tutto il suo entusiasmo.
 
-Per me non è mai stato semplice.- Alon tirò i lunghissimi capelli ondulati sulla testa, -La strega ha ragione…ho avuto serie difficoltà ad integrarmi per fare mio il mondo del mio padre biologico. Ho passato momenti terribili, in cui credevo non ce l’avrei fatta perché ho scoperto a mie spese quanto potessero essere perfide le persone sulla terraferma. In acqua non è così…i marini non sono così; non fosse stato per il loro appoggio, probabilmente non avrei più rimesso piede sulla terra.-
 
La piccola sirena dai capelli dorati verteva in uno stato di pura adorazione, mentre guardava il fratello maggiore sulle rive della spiaggia, maneggiare la bacchetta. Alon era nervoso, concitato e non faceva che scagliare incantesimi in ogni dove, pur di sfogare la sua ira su altro che non fosse la sorellina. Era successo ancora una volta ed il ragazzo non riusciva ad accettarlo; aveva assistito alla tracotanza dei maghi sui babbani senza essere in grado di intervenire e questo lo aveva convinto che non avrebbe più fatto ritorno sulla terra ferma.
 
“Ti terrò lontana da tutto questo…la terra è un luogo meraviglioso, ma governata da persone orribili Liz, orribili!”
 
Alissa, che di anni ne aveva solo dieci, aveva comunque compreso come mai il fratello fosse tanto adirato, perché guardare con i propri occhi un mago prevaricare un altro essere vivente solo per ottenere i propri scopi doveva essere stato orribile. Il mondo marino non era affatto così: le gerarchie erano limate e la cooperazione veniva prima di tutto; non esistevano ricchi o poveri, non esistevano proprietà; non c’era la fame, non c’era arrivismo: di fatto lo statuto dei mari prevedeva solo e soltanto la pacifica convivenza e l’unione per affrontare i possibili devastanti interventi di chi operava al di fuori delle acque. Ma non per questo, Alissa ne era certa, era tutto da buttar via; la piccola sirena era più che convinta che a maggior ragione servissero molte più persone come Alon per riportare la terra ad un equilibrio fra uomini, animali e marini.
 
“Tu devi essere felice di poter usare la magia! Se è vero che tante brutte persone la usano per scopi sbagliati, sono sicura che ci siano altri come te, che vogliono solo fare le cose giuste.”
 
“Dici così solo perché non hai avuto l’occasione di vedere con i tuoi occhi gli orrori che dominano quel mondo. Non c’è rimedio, fidati e prima lo capirai, meglio sarà per te; ti metterai l’anima in pace e smetterai di invidiarmi per essere in grado di usare la magia.” Alon guardò la bacchetta stretta nella mano e con sguardo torvo aggiunse, “Sai che c’è? La butto, non voglio più avere a che fare con questa roba! Fin quando sarò libero di nuotare e vivere in pace in questi mari, non avrò bisogno di null’altro!”
 
“Ma i tuoi amici? Non vorrai vederli più?”
 
Lo sguardo del diciottenne si indurì: “Io con quel mondo ho chiuso.”
 
Alon si recò su un promontorio e da lì, con gesto solenne, gettò in acqua la sua prima ed ultima bacchetta. Alissa seguì il legno fluttuare in aria, per poi affondare nelle limpide acque; quando la bacchetta sprofondò, la sirena si immerse con lei.
 
 
“Dobbiamo muoverci! Un’imbarcazione ha perso petrolio! Dobbiamo agire!”
 
Alon seguiva Blue facendo scattare la coda a velocità forsennata. I due tritoni e Perla si sarebbero uniti alla squadra di soccorso ma se Alissa, ancora troppo piccola, fosse andata con loro, avrebbe potuto rischiare la vita. Per questo Alon si recò velocemente dalla sorella intimandola di rimanere nei pressi della costa. Prima che il maggiore potesse schizzare di nuovo via, Alissa gli gridò di aspettare, sparendo nelle acque più profonde e tornando di lì a poco, con nella mano qualcosa che Alon conosceva bene.
 
“Ma come…pensavo di averla gettata via! Come hai fatto?”
 
La piccola sirena passò la bacchetta di frassino al fratello: “Sapevo ti sarebbe tornata utile, non potevo permettere che per tutta quella rabbia ti dimenticassi di essere un mago! Con la magia ve la caverete sicuramente meglio.”
 
Non fosse stato per la lucidità della piccola sirena, quell’esperienza catastrofica avrebbe procurato un danno irreparabile. Fu nel momento in cui Alon, con i suoi incantesimi, aiutò gli animali marini a districarsi dalla presa mortale del petrolio, che si rese conto di quanto fosse speciale il suo sangue magico. Era vero: la terra era dominata da mostri chiamati uomini, ma lui ed altri come lui avrebbero potuto fare la differenza e se aveva avuto possibilità di capirlo, era solo grazie ad Alissa.
 
 
-So cosa vuol dire sentirsi sbagliato in un luogo sbagliato… - William intervenne solo una volta che Alon concluse il proprio racconto, - …ma il destino ha fatto in modo che io raccogliessi quel male di cui hai parlato; sono consapevole di non essere la chiave di volta su questa terra, ma il nostro contributo potrebbe rivelarsi prezioso, anche per persone che, come Cora, non hanno avuto la possibilità di capire quanto certe parole ed azioni incidano sulla vita degli altri.- Will si abbandonò ad uno dei suoi sorrisi sornioni: -sei davvero una buona persona, Alon e nonostante la tua giovane età hai compreso per tempo quale fosse il tuo ruolo in questa vita, ti invidio molto.-
 
La rabbia provata poco prima sfumò ed Alon tornò a sorridere, consapevole che ci fosse un motivo se si era ritrovato rinchiuso lì; la sua presenza avrebbe apportato un valore aggiunto in quel gruppo sgangherato, composto da finti reietti e persone davvero speciali. In qualche modo se la sarebbero cavata, ma ci sarebbero riusciti solo unendo le forze.
 
*
 
Il respiro regolare di Joshua era l’unico rumore all’interno di quella cella solo in parte illuminata dalla luce del sole. Il metamorfo era sprofondato in un sonno particolarmente pesante e a malapena aveva scomposto il letto sistemato precedentemente con cura; se lo avessero lasciato dormire, probabilmente sarebbero passate alcune ore prima di destarsi. Ma un lieve cigolio del letto portò Joshua, costantemente in stato d’allerta da quando era stato catturato, a spalancare gli occhi chiari che, arrossati, si posarono sulla figura seduta al suo fianco. Una bella ed elegante donna lo fissava sorridendo placida, mentre le dita laccate di uno scuro tono di rosso giocherellavano con uno dei tanti anelli che adornavano le mani ben curate. Joshua si tirò subito indietro allarmato mentre la donna, munita di una lunga cascata di capelli color del grano, rimase impassibile. Il sorriso di lei s’allargò prima che le labbra tornite si schiudessero per rivolgersi a lui con voce soave:
 
-Non avevo intenzione di svegliarti, ma effettivamente sono contenta…questo posto è così noioso che avrei finito per addormentarmi anche io, sai?-
 
-Chi sei?- Chiese cauto Joshua, con la voce profonda e roca di chi è appena uscito dallo stato di sonno. Le mani della donna portarono i capelli dietro le orecchie con tocco leggero, delicato e cadenzato, scoprendo totalmente un viso che, agli occhi del metamorfo, non era totalmente sconosciuto.
 
-Non sono sicura che tu voglia saperlo, piccolo ribelle.- cinguettò quella spingendosi poi ad una risata modulata, facendo rabbrividire Joshua, addossato ormai alla parete su cui era posizionato il cuscino del suo letto singolo. L’evidente timore provato dal ragazzo regalarono alla strega una scarica d’adrenalina unica, portandola ad avvicinarsi di molto a Joshua. Quest’ultimo era sempre più convinto di aver già incontrato la donna che ad occhio e croce doveva avere non più di 45 anni; ne ispezionò gli occhi sottili e felini, muniti di una particolare punta d’azzurro a lui familiare, il naso all’insù, la fronte spaziosa, la bocca morbida piegata nel sorriso mellifluo.
 
-Credo comunque sia venuto il tempo delle presentazioni, giovane Hollens…-
 
E nel sentire da quella bocca maledetta fuoriuscire il nome di Martha Heathcote, Joshua capì all’istante come mai avesse avuto da subito la sensazione di aver riconosciuto la strega.
 
-Sorpreso?- continuò lei, che prese a giocare con una ciocca di capelli diventata scura come il buio di una notte senza luna –Che ne dici, vogliamo giocare un po’?-
 
*
 
Lucas sperava, davvero, che quel giorno gli sarebbe stato concesso di uscire per incontrare, anche solo fugacemente, il bel viso di Joshua. L’auror aveva ormai capito di essere irrimediabilmente attratto da quel mago all’apparenza tanto ostile, ma che si era rivelato, giorno dopo giorno, una sempre più piacevole scoperta. Joshua aveva l’assurda capacità di regolarizzare il suo stato d’animo talvolta troppo impulsivo, mettendolo a freno quando se ne fosse presentata l’urgenza, così come adorava sentirlo parlare di tutte quelle nozioni che lui stesso non aveva mai appreso. Quando Joshua gli parlava del mondo dei babbani, Lucas si stupiva di apprendere tante cose nuove, nonostante sua madre fosse proprio una babbana; inoltre l’auror era sicuro di aver riscosso lo stesso successo con Joshua, che da qualche tempo a quella parte gli dava l’impressione di essersi sciolto aprendogli, spiraglio dopo spiraglio, l’uscio del suo mondo interiore fatto di timori, repressioni e rigidità. Joshua era un osso duro e una grande sfida, ma delle più piacevoli.
Così quando sentì le sbarre della sua cella cigolare, si catapultò fuori dal bagno ancora mezzo nudo, nella speranza che fosse proprio Joshua, la causa di quel rumore.
Ma il viso si fece pallido e contratto e la voce si spezzò, quando lo sguardo si scontrò con quello algido di Robert Stainer, rimasto all’entrata della cella con le mani congiunte dietro la schiena ed un sorriso storto ad inasprirgli il viso. Lucas non aveva ancora avuto l’occasione di incontrare il dottore, ma questo non lo fermò dal capire subito che fosse proprio lui.
 
-Signor Heathcote…finisca con calma di prepararsi e poi venga con me. Non abbiamo nessuna fretta, ma devo avvisarla che non mi piace perdere troppo tempo, quando c’è del lavoro da fare.-
 


 
(1) Otroligt In svedese Incredibile
 
E sono viiiiivaaaaa!
Buongiornobuonpomeriggiobuonasera a tutti, come state? Lo so, avevo detto sarei riemersa nei primi di maggio; io speravo realmente di avere più tempo a disposizione per scrivere, ma così non è stato. Ma non tutto il male viene per nuocere e quindi eccomi qui, con il capitolo in assoluto più lungo di tutte le mie storie, spero che almeno questo vi abbia aiutate a non imprecare contro la mia persona.
E quindi abbiamo una “sirena” dal passato difficile e dal potere strabiliante e un bel tritone, troppo buono, onesto e speciale per vivere con serenità su questa terra. A proposito di Alon (vi devo assolutamente allegare un’altra immagine che lo ritrae perché io vedendola sono morta e risorta), voglio spendere un paio di parole su di lui: con la signorina Shiori Lily Chiara ho concordato che avrei trattato le sirene non tanto come vengono trattate in Harry Potter, bensì come in alcune delle più note leggende; queste speciali creature, bellissime e incantatrici, hanno la possibilità di prendere forma umana e calpestare il suolo terreste e questo spiega, ovviamente, la storia della madre di Alon e il concepimento di quest’ultimo.
E poi abbiamo conosciuto tante personcine nuove e abbiamo rivisto Phiiiillll (quanto lo amiamo Philip? Quanto vogliamo si ricongiunga a Martha? Tantissimo!)
Ah, non sono riuscita a non inserire la gif che ritrae “Jules” mentre crea una camera d’aria sott’acqua. Adorabile? Si.
Ovviamente non poteva mancare il colpo di scena finale, so che mi starete maledicendo.
Bando alle ciance! Votate IN PRIVATO i prossimi due protagonisti, di seguito vi lascio i nomi:

Cora
Joshua
Mazelyn
Odette

 
E ovviamente non vedo l’ora di leggere la vostra opinione su quanto letto. A presto!
 
Bri

(Ciaaaaaaao Alon, bello di casa! Oh, mi è appena uscito il sangue dal naso.)
   
 
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