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Autore: AlsoSprachVelociraptor    23/05/2019    1 recensioni
Lloyd Richmond, giovane film-maker dal fisico fragile, la mente contorta, il cappello della Planet Hollywood calato sui suoi cinici occhi azzurro ghiaccio e il fidato coltellaccio appeso alla cinta, è pronto a tutto per diventare il regista che ha sempre sognato di essere.
Anche essere mandato dalla BBC a Ronansay, un'isola sperduta a nord delle fredde coste della Scozia e bagnata del tremendo mare del Nord a indagare su un misterioso hotel che si dice essere infestato dai fantasmi.
All'albergo, tuttavia, Lloyd troverà segreti ben peggiori di uno spirito; scheletri nell'armadio, doppiogiochisti pericolosi, destini segnati nel sangue, porte chiuse a chiave, il mare del Nord affamato che chiederà sempre più sacrifici umani.
E sì, anche un fantasma.
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[Storia liberamente tratta alla serie tv "Two Thousand Acres of Sky" della BBC, anche se NON c'è bisogno di conoscere la serie per leggere la storia, dato che ne è solo ispirata. Anzi, se non la conoscete è molto meglio]
Genere: Comico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mamma era andata a fare commissioni in Scozia, nella città situata sulla costa davanti a Ronansay, per sbrigare le pratiche di fine anno. Accadeva ogni anno, ma quella volta era diverso.

Al suo ritorno, avrebbe cacciato Lloyd.

Jo non sapeva perchè volesse così tanto allontanarlo dall’hotel, ma… doveva centrare Kenneth, col suo segreto, e con...lei.

Rob, quello che non aveva mai chiamato padre, la guardò con odio. -Legati i capelli- borbottò, stringendo tra le mani una fetta biscottata che era quasi sul punto di spezzarsi. La colazione in famiglia non era mai una bella esperienza se non c’era la mamma in giro. Beh, non era bella nemmeno con lei, ma non così piena di ansia e rabbia almeno.

Robert l’aveva sempre odiata, lo sapeva. Ma ora Jo poteva odiarlo a sua volta, senza sentirsi una pecorella nera, un’aliena, una mostriciattola sola al mondo. Perchè non era più sola, non lo era mai stata.

-No.- rispose la ragazza. Presto avrebbe compiuto diciotto anni, e sarebbe potuta scappare da quell’hotel, vivere la vita, e magari andare a Londra, Londra che aveva sognato per così tanti anni nei ricordi dei suoi fratelloni!

Rob si alzò in piedi, di scatto, facendo cadere la sedia a terra. -Ti ho detto di farlo!-

-Basta.- ringhiò Alfred, che già si stava scaldando come il padre. Alfie non sopportava Rob, diceva che era colpa sua se mamma era triste, se loro erano così distrutti. Se Kenny era morto.

-Stai al tuo posto. E tu scusati, bastarda.-

Rob le puntò un dito grasso contro e Jo non ci vide più dalla rabbia. Di solito era calma, timida e impacciata, ma non doveva più essere così. Doveva alzare la voce, doveva farsi valere, doveva esistere, o sarebbe stata trasparente, invisibile, dimenticata, come…

-No! Tu non sei mio padre!- gridò con una voce da bambina, anche se aveva cercato di essere una donna adulta. Svettava di oltre dieci centimetri d’altezza sopra Rob, ma lui era ben più forte di lei. E aveva fatto l’errore di tenere i suoi lunghissimi capelli mogano sciolti.

Rob la prese per una ciocca e la tirò, causando un grido a Jo. La trascinò per metà camera, mentre lei gridava e lui gridava, e anche Alfie e Charley iniziarono ad alzare la voce.

Allontanò Charley con uno schiaffo in pieno viso e trascinò la terrorizzata Jo per il corridoio, fin dove le luci si interrompevano, scendendo le scale vicino al bagno degli uomini e tirandola fino alla porta della cantina.

La cantina.

Mamma aveva vietato a tutti di anche solo avvicinarsi a quella camera. Jo cercò di tirarsi indietro, di scappare e gridare aiuto, ma sentì qualche capello strapparsi alla cute e desistette.

-Stai qui a pensare, stronza. E magari capirai chi comanda!-

Rob la strattonò dentro e chiuse la porta alle sue spalle a chiave.

Il buio calò sulla grossa sala, gelida come mai. Il silenzio seguì.

Jo si ritrovò lì, sola e sperduta e dolorante e terrorizzata. Nell’essere spintonata nella cantina era caduta, e un ginocchio le doleva da impazzire.

Tirò fuori dalla tasca dei jeans il cellulare e cercò di farsi luce, ma non contò molto. Era un cellulare vecchio, uno scarto di sua sorella Charley, perchè i loro genitori non permettevano loro di avere smartfone di ultima generazione e non permettevano loro di avere una vita propria, un lavoro e una casa, di essere persone.

La cantina era umida, piena di muffa e ragnatele. Gracchiò come un corvo quando un ragno troppo grosso per i suoi gusti si nascose dietro a un vecchio mobile pieno di giornali ammuffiti.

Potevano esserci ragni anche più grossi, scarafaggi, topi.. no, i topi no… Jo era terrorizzata dai topi. E dagli scarafaggi e dai ragni e da un po’ tutto. Si alzò di scatto a quel pensiero, anche se appoggiare il peso sul ginocchio su cui era atterrata le faceva male. Sempre meglio il dolore che trovarsi qualche bestia addosso… rabbrividì di nuovo, anche se la cantina, al contrario del resto dell’hotel, non era così fredda.

Cercò di guardarsi attorno e un oggettino strano raccolse la sua attenzione. Era a terra, quadrato e grigiastro semi-nascosto sotto a un mobile. Si piegò, lo prese in mano, lo rigirò tra le dita e non seppe dire cosa fosse. Aveva tre spine, era rotondo e aveva un buco in mezzo…

Lo rigirò finchè non realizzò cos’era.

Oh no.

Non era possibile, non lì...

Una vertebra umana.

Gridò ancora, questa volta di più, più forte, con la voce che le raschiò l’interno della gola come un coltello, e si aggrappò alla maniglia della cantina, cercando di aprirla. La spintonò così tante volte che credette di averla rotta, e scoppiò in un pianto a dirotto.

Era un osso, un cadavere, lì in quella cantina, lì c’era…

Il buio era calato di nuovo, ma il silenzio no. Le grida e le lacrime e le sue unghie che graffiavano sul legno della porta erano tutti i rumori che riempivano quella stanza e il suo cervello, e non si accorse della luce blu alle sue spalle e della grossa figura che si stagliava nera davanti ad essa.

Fu lì lì per gridare ancora, quando ricordò che i fantasmi nell’hotel non erano cattivi, ma erano famiglia.

Dalla porta si tuffò contro il corpo di Kenneth e continuò a piangere e a gridare anche quando il suo padre biologico l’ebbe stretta tra le sue braccia. La lasciò sfogare, la lasciò bagnare la spallina della sua maglietta con le lacrime, e accarezzò i suoi capelli.

Dopo chissà quanto tempo, Jo si tranquillizzò tanto da alzare lo sguardo sul viso ora bluastro del fantasma.

Il fuoco fatuo di Kenny illuminava tutta la stanza in una maniera fredda e impossibile, anche la vertebra a terra.

Jo non aveva più voce. Indicò l’osso che lei aveva lasciato, o lanciato dalla paura sul pavimento, e lui si voltò appena a guardarlo, senza lasciare andare Jo andare e senza stupirsi troppo.

Con una naturalezza che non apparteneva a quella situazione, si voltò verso Jo e finalmente parlò, anche se non erano le parole che lei voleva udire.

-Credo… credo sia mia, sai?-

 
   
 
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