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Autore: _Bri_    12/06/2019    10 recensioni
[Storia Interattiva - Iscrizioni Chiuse]
Mentre ad Hogwarts si sta svolgendo il Torneo Tre Maghi, da qualche parte, in Inghilterra, esiste un "Giardino Segreto" apparentemente bellissimo ed unico, ma che nasconde ben più degli incanti che lo immergono nel costante clima primaverile. Dodici celle, occupate da dodici creature che il dottor Steiner ha rinchiuso lì. Il motivo è sconosciuto, ma chi vi è rinchiuso dovrà lottare con tutto se stesso, per ottenere la libertà.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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CAPITOLO X
La Ragione e il Sentimento
 
 
 
Odette riscontrò non poche difficoltà a comprendere il comportamento di Elyon Yaxley. Le sembrava di essere stata chiara nell’esposizione del suo piano improvvisato, che le avrebbe permesso, forse, di ispezionare la mente del Mangiamorte, nella lontana speranza di cogliere delle informazioni che sarebbero state utili a loro tutti. Evidentemente si sbagliava, oppure quella Elyon era più furba di quanto pensasse e, per qualche assurdo motivo, aveva tentato di intralciarla ed era riuscita a boicottare il suo piano. Rispedita nella sua cella senza alcuna possibilità di agire, Odette si era gettata sulla brandina e sbuffando con sonorità, aveva ripensato alla frettolosa spiegazione che Elyon le aveva fornito, prima che il Mangiamorte le dividesse.
 
“Conosco Adrian alla perfezione,” le aveva bisbigliato con rapidità, mentre gettava con agitazione lo sguardo intorno a sé, “se non ti avessi impedito di leggergli la mente se ne sarebbe accorto e ti assicuro che nessuno di noi si sarebbe risparmiato una punizione con i fiocchi…l’ho fatto per il bene di tutti noi!”
E mentre le due venivano allontanate, Elyon si era voltata per gridarle “Vedrai, troveremo un’altra soluzione!”
 
Doveva realmente crederle? Poteva fidarsi davvero di quella Yaxley? Odette non ne era affatto sicura. Per quanto la riguardava avrebbero dovuto rischiare, al massimo avrebbero guadagnato un paio di tacche su quella strana piramide presente in ognuna delle celle. Certo, era vero che Odette non conosceva affatto Adrian e a quanto aveva avuto modo di vedere, il Mangiamorte non era propriamente una persona capace di mantenere il controllo. A quanto le era stato riferito non si era risparmiato di lanciare la maledizione cruciatus contro Victor Selwyn e chissà cosa altro sarebbe stato in grado di fare. Odette sospirò, pensando che la lei di qualche anno prima non avrebbe esitato a gettarsi e rischiare; era sempre stata un’impavida, pronta ad andare contro alle regole impostale senza esitare. Eppure quella non era una situazione semplice da gestire ed era più che conscia che non poteva mettere sullo stesso piatto della bilancia le infrazioni commesse in passato, con quelle che avrebbe potuto compiere in quel frangente.
 
“Hai ricevuto un’altra ammonizione! Io non so più che cosa fare con te, certe volte mi chiedo come tu sia uscita fuori in questo modo! Ma la colpa è certamente di tuo padre…è sempre stato troppo permissivo nei tuoi confronti!”
 
Cassandra era disperata. Guardava quella piccola ribelle della figlia, tornata a casa per le vacanze di Natale con un cospicuo numero di pergamene da farle firmare, in cui i professori da un lato elogiavano le sue doti di studentessa brillante, dall’altro la ammonivano per i comportamenti scorretti che metteva in campo ogni giorno. Odette era una piccola mina vagante, sempre pronta a far baldoria e artefice del decurtamento di molti punti alla casa di Corvonero. La cosa che più infastidiva Cassandra era senz’altro che sua figlia non sembrava mostrare interesse per la cosa. Sempre in giro con la sua cricca di amici ribelli, come quel mago grande e grosso di Tassorosso con cui soleva accompagnarsi. Cassandra seguiva disperata la figlia per casa, la quale aveva già sparso magicamente il contenuto del suo baule in ogni dove. Odette si fermò solo arrivata davanti al frigo che aprì, non curandosi delle ammonizioni della madre. Con semplicità prese a farsi un toast e mentre Cassandra continuava con disperazione a chiederle di tentare di mettere la testa a posto, Odette la interruppe, intanto che sbocconcellava un pezzo di toast:
 
“Mi è suffessa una cofa sfrana a leffione di divinaffione.”
 
Cassandra piroettò gli occhi al cielo.
 
“Almeno ingoia, prima di parlare!”
 
Ingollato un gran sorso d’acqua, Odette continuò: “Dicevo…mi è successa una cosa strana durante la lezione di divinazione…non ho detto nulla a zia però; sai come è fatta, avrebbe cominciato a tempestarmi di false profezie…” Odette fece una smorfia, “…probabilmente avrebbe predetto la mia morte!”
 
Solo in quel momento Cassandra indirizzò l’attenzione a ciò che le stava tentando di dire sua figlia, mettendo da parte le ramanzine. Sedette di fronte alla ragazza e congiunte le mani sul tavolo, prese a fissarla con intensità:
 
“Hai avuto una premonizione? Lo sapevo! Buon sangue non mente, bambina mia!”
 
Odette sbuffò in maniera plateale; solo gli adolescenti sanno essere così irritanti, pensò sconfitta la madre.
 
“Non credo sia stata una vera e propria premonizione, mamma…sai che non credo a quella roba lì.” Odette alzò le mani in segno di scuse, sapendo perfettamente di avere appena offeso la madre e le tanto millantate capacità divinatorie della sua famiglia. Odette mai e poi mai aveva dato prova di tali capacità e, sinceramente, non gliene era mai fregato nulla. Ma quanto successo durante la noiosissima ora in compagnia dei compagni e della zia Sibilla l’aveva scossa. Dopo una serie di botta e risposta dai toni poco cortesi, Odette decise di deporre l’ascia di guerra riguardo la futilità di quella materia e prese a raccontare cosa le fosse successo.
 
Il fumo degli incensi che assopiva la vista andò rapidamente a mescolarsi con lo sfregolare dei legni nel vicino camino, creando un’atmosfera ovattata ed eterea. Odette non aveva mai prestato alcuna attenzione alle creazioni che prendevano vita dall’unione dei sacri fumenti e Sibilla Cooman, scoraggiata dall’inettitudine della nipote, aveva presto rinunciato all’idea che Odette possedesse “la vista”. Si limitava a lasciarla sbuffare e commentare senza ammonirla, ma nulla più. Ma quando vide la nipote stesa a terra, con gli occhi divenuti bianchi come la nebbia, da un lato si allarmò, dall’altro gioì interiormente del miracolo appena avvenuto.
 
“Ricordi cosa hai visto?” Chiese Cassandra, tentando di reprimere l’eccessiva curiosità. Ingoiato un altro morso di toast, Odette raccontò con serenità di aver ‘sognato’ i suoi tre giorni a venire.
 
“Ma non sono stata in grado di intervenire…era come se…come se non fossi realmente presente. Ero fuori dal contesto, incapace di compiere azioni utili a modificare gli eventi.”
 
“Non è detto sia stata una vera visione, Dettie…” l’euforia di Cassandra si spense e la strega adottò un tono mite e conciliatorio. Ma si stupì, quando Odette puntò gli occhi nei suoi:
 
“Hai o non hai ricevuto una convocazione dal Ministero, questa mattina? Hanno bisogno di fare luce su un delitto avvenuto in un’abitazione magica a qualche isolato da qui.”
 
La praticità con cui Odette rispose spiazzò totalmente Cassandra. Forse sua figlia era riuscita davvero ad aprire il terzo occhio. Forse, una piccola speranza c’era.
 
*
 
Quella maledetta piramide si era colmata quasi del tutto. Gli occhi neri di Victor fissavano la punta mentre sfregava le mani con nervosismo. Avrebbe dovuto cominciare a comportarsi bene, forse, anche perché era abbastanza convinto che nel momento in cui quella si fosse colmata, nulla di buono sarebbe accaduto. Il problema di fondo era uno: Victor Adam Selwyn non sapeva comportarsi bene, non c’era mai riuscito; la sua visione della vita era pressoché soggettiva e ciò che lui riteneva giusto, spesso e volentieri era sbagliato per gli altri. Ma in quel caso sentiva di doversi impegnare, perché se realmente avesse voluto uscire di lì e portare con sé gli altri, i suoi atteggiamenti sconvenienti gli sarebbero stati di intralcio. E poi come avrebbe potuto mettere in salvo quell’angioletto di Jules, così piccola e così fragile? La ragazzina aveva da poco compiuto quattordici anni e già si era ritrovata ad affrontare molti più guai di chiunque altro lì dentro. Anche se, a pensarci bene, Jules aveva dato prova di sapersela cavare egregiamente, ma il punto non era di certo sapersi difendere fisicamente, bensì trovare il modo di scappare senza rischiare la vita.
E poi c’era la questione Evangeline.
Evie lo tormentava, questo era un dato di fatto.
Più passavano i giorni, maggiore era il tempo che dedicava a pensarla e questo era veramente strano, per un tipo come lui. Mai aveva avuto tanta apprensione nei confronti di qualcuno che non fosse se stesso e specialmente non si era mai ritrovato a pensare ad una strega tanto giovane nel modo in cui…la stava pensando. Evie aveva quasi diciotto anni, ma lui ne aveva ventisette; quasi dieci anni di differenza non erano mica pochi, eppure Evangeline si era mostrata una strega molto matura per la sua età, anche lei in balia di un passato tumultuoso che probabilmente aveva contribuito a farla crescere in fretta.
Frizionò i capelli con le dita, nel pieno di un dilemma a cui non sapeva trovare risposta. Evangeline Montague stava diventando un problema, in quanto stava facendo crollare lo spesso muro di indifferenza che il magigiornalista aveva costruito nei confronti di quasi l’intero mondo. Ancora poteva sentire il suo odore sulla pelle; ricordava con vivida attenzione l’abbraccio con cui l’aveva avvolta e la sensazione di quel corpicino esile, tanto simile a lui ma così piacevolmente diverso. Si era ritrovato ad immaginarsela calzare le scarpette da ballerina ed iniziare a ballare come una deliziosa fatina per lui, solo per lui. Perché Evie gli aveva raccontato di avere quella passione da quando era piccola e da quel momento Victor non aveva fatto altro che figurarsela vestita di un leggero tulle scuro a fasciarle i fianchi sottili.
Ma a che diavolo stava pensando?! Doveva essere quel posto, senza ombra di dubbio. Victor stava impazzendo ed il costante e forzato contatto con quelle persone, specialmente con la giovane Montague, lo avevano indirizzato a quei pensieri.
 
- Ti vedo agitato, Vic. Tutto bene? -
 
- NO, PRISCILLA MERETRICE! -
 
Martha batté le palpebre un paio di volte, prima di inarcare notevolmente il sopracciglio e smollare uno scappellotto dietro la nuca dell’amico.
 
- Come ti permetti, sciocca serpe? Invece di insozzare il buon nome della nobile Priscilla, non è meglio che tu mi dica come mai hai quell’espressione da merluzzo? -
Mentre si massaggiava la nuca, Victor tirò un grande sospiro – Zeller…prima che tu colpisca un’altra volta il mio nobile capo purosangue, vorrei che rispondessi con sincerità ad una domanda, va bene? –
 
- Sentiamo…ma risparmiati altre imprecazioni, per cortesia. Non sono sicura che la mia mano resisterebbe a colpire ancora la tua zucca vuota. -
 
- Va bene. Ok. Senti… ma tu come hai capito di esserti innamorata di Phil? -
 
Quella domanda sorprese Martha più di quanto si sarebbe aspettata. Non avrebbe mai pensato che quel suo amico tanto spocchioso le avrebbe mai rivolto una simile domanda, non era proprio da Victor Selwyn.
 
- Sono più che certa che a suo tempo Phil ti abbia raccontato come sono andate le cose fra noi. -  Rispose secca lei, incrociando le braccia e mettendosi sulla difensiva.
 
- Secondo te ho mai chiesto a Phil quanti bacetti vi siete scambiati prima di capire di esservi innamorati? Andiamo Martha, mi viene da vomitare al sol pensiero! -
 
- E allora che vuoi da me?! -
 
- Non lo so… - un altro sospiro, - Sono solo curioso, non credo di essermi mai…mai… -
 
- Innamorato? -
 
- Quella roba lì, si. Ma lascia perdere, non so come mi sia venuto in mente di chiederti una roba così. -
 
Martha tentò di reprimere la stizza nei confronti di Victor; le tornò inevitabilmente alla mente il modo con cui, in passato, il mago aveva trattato ben due delle sue più care amiche. Tutto si poteva dire di Victor, tranne che fosse mai stato un galantuomo, o quantomeno avesse mai dato mostra di sensibilità. Eppure qualcosa doveva pur esserci sotto, se era arrivato a fare quella domanda proprio a lei, con cui aveva discusso con ferocia proprio riguardo al modo con cui soleva trattare le streghe che, al contrario suo, gli cascavano ai piedi. Comunque ci volle molto poco a Martha per sciogliersi: appena vide Victor alzarsi e recuperare una ciotolina con due gelatinose pasticche verdi al suo interno, si incupì.
 
- La tua medicina? – chiese apprensiva.
 
- Almeno questa continuano a fornirmela; credo abbiano bisogno di me da vivo, sai com’è. –
 
Martha attese che Victor ingoiasse le pasticche, prima di stringersi un po’ al suo fianco e cominciare a raccontare come fosse arrivata alla consapevolezza di provare amore per Philip. Fu un racconto straziante per lei, visto che non era affatto convinta avrebbe rivisto ancora suo marito, ma per il bene dell’amico si impose di andare avanti. Victor rimase in ascolto senza fare nemmeno una battuta, cosa assai strana per lui ed aspettò che Martha finisse di parlare; e proprio mentre le sbarre della cella si aprivano, Victor sgranò gli occhi e le domandò concitato:
 
- Che giorno è oggi? -
 
- Credo…il trentuno Dicembre. Perché? -
 
Victor si alzò di scatto e sotto gli occhi esterrefatti di Martha, corse verso l’entrata della cella:
 
- Merda! Almeno oggi devono farmela incontrare! -
 
*
 
- Mi fai paura. -
 
Elyon aveva tentato di sorridere, ma l’affermazione di quella ragazzina le aveva fatto spalancare la bocca in un’espressione basita.
 
- Prego? -
 
Jules incrociò le braccia strette strette e munita di tutta la sua compostezza, tornò a ripetersi.
 
- Ho detto che mi fai paura: tu, il tuo sorriso tirato, i tuoi occhi taglienti e i tuoi tic nervosi! -
 
La strega adulta trasecolò e quell’ombra di sorriso scomparve totalmente:
 
- Io non ho nessun tic nervoso! - stridulò scomposta e agitata.
 
- Ti tocchi in continuazione l’orecchio, ti muovi come fossi sotto il costante effetto di un pietrificus…ti assicuro che nel complesso risulti abbastanza inquietante! -
 
Elyon strinse i pugni, pronta ad inveire contro quel grazioso fiorellino che sputava fiele dalla bocca, ma poi la sua parte razionale bussò alla sua porta per dirle che, sì, da fuori le persone dovevano provare la stessa sensazione di Jules, nel guardarla. Non che si fosse mai impegnata troppo per dare una parvenza di dignità a se stessa, povera anima scompensata, ma sentirselo dire da una ragazzina di quattordici anni di certo non aiutava.
Jules era pronta a scatenare la tempesta del secolo, convinta che la provocazione nei confronti della Yaxley avrebbe di certo causato delle conseguenze; eppure rimase stupita nel vedere quel vulcano pronto ad esplodere, spegnersi come una candelina sulla torta. Elyon infatti aveva caricato i polmoni d’aria e serrato le labbra, ma l’unica cosa che fece fu sospirare: un grande, profondo sospiro che aveva un sapore atavico, come se quello fosse rimasto incastrato dentro di lei per troppo tempo. Dopo di che Elyon sedette a terra, poggiò il mento sui palmi delle mani e guardò Jules con un’espressione carica di pietà.
 
- Guarda tu se devo farmi sbattere in faccia la realtà da una bambina. – provocò, con un vago accenno di sorriso.
 
- Io non sono… oh che palle! -
 
La maggiore non si sforzò di trattenere una risata di cuore, mentre la sbuffante ed indispettita Jules sedeva accanto a lei.
 
- Senti che linguaggio! Mamma e papà cosa direbbero vedendoti? -
 
Ad Elyon arrivò un’occhiata di sbieco. Raddrizzato il viso, alzato il mento, sbuffato ancora, Jules pigolò:
 
- Mi sono stufata di sentirmi dare della bambina! Non solo ho quattordici anni ormai, - la tassorosso prese a darsi un tono, cosa che intenerì moltissimo Elyon – inoltre mi pare di essere la più matura fra voi, branco di adolescenti rinchiusi in corpi da vecchi! -
 
Quella frase aveva un ironico e sincero senso, constatò Elyon. Effettivamente nell’arco dei mesi tristemente trascorsi, molti di quelli definiti impropriamente “maghi adulti” avevano dato mostra di non essere che dei poppanti problematici, lei per prima; Jules, per quanto piccina (anche se Elyon si sarebbe ben guardata dal ribadirlo) aveva di contro dimostrato una caparbietà, una grinta e una forza d’animo che non era riconducibile a molti, in quel Giardino.
Passata la stizza iniziale, Jules aveva cominciato a sciogliersi e aveva tempestato Elyon di domande sul suo passato, alle quali la strega scelse di rispondere con oculatezza; ma non come aveva sempre fatto, ovvero mossa dalla riservatezza e dalla diffidenza verso la maggior parte di coloro che l’avevano circondata in passato, bensì per vergogna, pura e semplice vergogna. Quando Jules cominciò a raccontarle del proprio passato, di quante difficoltà avesse vissuto a causa della sua condizione che l’aveva sempre resa tanto speciale quanto diversa, per Elyon fu inevitabile paragonarla alla sé bambina. Eppure Jules era la prova provata che quella diversità che le distingueva, non necessariamente avrebbe dovuto prendere forma in una persona difficile, controversa, egoista e storta come lei stessa era diventata. Questa consapevolezza giunta come un’epifania ad Elyon fece male. Jules, con i suoi quattordici anni, si era dimostrata una persona migliore di quanto lei non era mai stata. Probabilmente quella commiserazione sarebbe stata presa a pugni da Adrian, che mai aveva sopportato questo lato di Elyon e se il mago fosse stato presente (ma specialmente se non si fossero ritrovati nelle parti dell’aguzzino e della carcerata), le avrebbe di certo fatto notare che Elyon non solo non aveva avuto delle solide figure genitoriali alle spalle, ma che addirittura sua madre non aveva fatto altro che usarla come cavia da laboratorio per tutta la vita.
La strega si morse forte il labbro e tentò di scacciare via ogni pensiero che riguardasse Camilla, Adrian o Robert Steiner.
 
- Guarda che se ti stai annoiando puoi dirmelo. – La riprese Jules che si era resa conto di non essere più ascoltata. Ma Elyon scosse la testa e con un sorriso davvero sincero, il primo dopo molto tempo, rispose docilmente:
 
- Hai ragione, scusami. Mi stavi parlando di quando hai imparato a creare le bolle d’aria per fare levitare gli oggetti, giusto? Chissà quanto sarai utile ai tuoi compagni tassorosso! -
 
*
    

Joshua, a seguito del primo incontro con la Mangiamorte Heathcote, era stato trasferito in una cella d’isolamento e per giorni la strega era andata a fargli visita, per educarlo ad un compito ben preciso. Infine dopo intere giornate in quella stanza buia e angusta, era stato riportato nella sua cella che, incredibile ma vero, aveva d’improvviso assunto il sapore di casa.
Joshua aveva imparato a sue spese cosa volesse dire essere vittima di bullismo. In tenera età i suoi fratelli maggiori, Charles e Julius, avevano sempre mostrato scarso interesse nei suoi confronti; Julius, il maggiore dei tre e preferito dal padre, non gli aveva mai dedicato troppe attenzioni, ma quantomeno intimamente apprezzava l’incredibile dote di Joshua. Con Charles invece non c’era mai stato nemmeno quello: il suo rapporto con il più piccolo si era sempre basato sulla fredda cordialità, nulla più.
Joshua non aveva mai saputo a chi o cosa aggrapparsi, perché la sua famiglia dalle origini purosangue non badava a lui e nello specifico, suo padre Alfred, aveva sempre mostrato un astio nei confronti di quel bambinetto strano e ribelle.
Il piccolo metamorfo molte volte si era spinto in là con la mente, immaginandosi una vita con la presenza attiva della madre: Deianira era descritta da tutti come una bella donna, affabile e cortese, ma vittima di un continuo senso di privazione, in cui galleggiava, placida, la depressione. A Joshua fu raccontato senza mezzi termini che la madre si era tolta la vita quando lui non aveva che due anni; la donna, incapace di restare ancora vicina a quell’uomo freddo e scostante che non riusciva a provare amore, si era lasciata sconfiggere dalla depressione. Ci pensò un potentissimo veleno a strapparla alla vita; un veleno che come unica traccia lasciò una nota bluastra sul suo viso.
Fu nel metamorfismo che Joshua trovò ristoro, anche se ci volle del tempo prima che riuscisse realmente a sfruttare il potere a proprio favore.
 
Hogwarts era stata un faro luminoso in un bosco buio e tetro. Il neo undicenne aveva investito forti aspettative nel suo ingresso alla Scuola di Magia e Stregoneria: aspettative che con una puntualità maligna, vennero presto mandate al macello.
Quando il cappello parlante lo smistò in Grifondoro, Joshua e tutti coloro che lo conoscevano rimasero sorpresi; nell’intera storia della famiglia Hollens, nessuno mai era stato smistato in una casa che non fosse Serpeverde, un po’ come i Malfoy. Ma messo da parte un primo momento di sbigottimento, Joshua fu sollevato e fiero di essere un grifondoro e dentro di sé sapeva con certezza che sarebbe stata la scelta più sensata e giusta. Purtroppo i suoi compagni di casa non la vedevano così.
 
‘ Il cappello deve essersi sbagliato, non è possibile che un Hollens finisca in Grifondoro. ‘
 
‘ Torna da quelle serpi, bastardo! Noi qui non ti vogliamo, sei un infiltrato! ‘
 
Così ebbero inizio le angherie: da un lato i suoi compagni grifondoro lo rifiutavano, facendosi scudo delle loro stupide convinzioni; dall’altro i serpeverde non avrebbero mai guardato con buon occhio un acerrimo nemico, macchiato di quei colori tanto accesi quali il rosso e l’oro. E se le angherie non bastavano a rendere la vita del piccolo Joshua un inferno, ci pensò il padre a rincarare la dose lanciandogli l’ultima umiliazione con una stringata lettera, che lo avvertiva di non fare ritorno per le vacanze di Natale in quanto ‘ disonore della famiglia ‘.
Joshua non aveva nulla: né amici, né genitori apprensivi, né fratelli amorevoli. Era solo, torturato dai soprusi dei suoi compagni.
Fu mentre scappava da uno dei tanti bulli che aveva deciso di usarlo come passatempo, che Joshua si rese conto del dono che aveva ricevuto alla nascita; assumere le sembianze di Eric Lester, suo compagno di casa, risultò incredibilmente semplice per lui e da quel momento iniziò a sfruttare il suo potere quanto più poteva. Mutare in continuazione aspetto rendeva Joshua più tutelato; si sentiva protetto e al sicuro, in quanto nessuno aveva la possibilità di usarlo ancora come bersaglio.
La vita era difficile, complicata, incerta e piena di insidie, ma Joshua poteva contare su se stesso ed in qualche modo sarebbe riuscito a cavarsela nonostante tutto.
 
Ma se l’essere un metamorfo lo aveva fino a quel momento protetto, risultò evidente agli occhi di Joshua che la vita aveva deciso di ghignargli in faccia, ancora una volta e quel sorriso malefico, vestito di rosso, aveva le sembianze di Martha Heathcote. La strega lo fissava placida, conscia che Joshua avrebbe dovuto cedere.
 
- E se mi rifiutassi di farlo? -
 
- Uccellino… ti ho già spiegato che non accetto un no come risposta; che vuoi farci, sono abituata così. Io ottengo sempre ciò che voglio… -
 
Martha perse il sorriso e tutto d’un tratto un velo scuro che anticipava il dolore, calò sul viso di donna: - … e quello che voglio è che tu prenda le mie sembianze, senza fiatare. Se deciderai di opporti sapremo cosa fare di te e di quell’abominio con cui, purtroppo, condivido una linea di sangue. –
 
Joshua non era in grado di contare il numero di maghi e streghe di cui aveva preso le sembianze. Cento? Duecento? Forse di più. Chi più chi meno, bene o male ogni volto gli aveva regalato il proprio momento di compiacimento, ogni ciocca di capelli lo aveva fatto arrossire di felicità. Ma guardare il proprio aspetto assumere le caratteristiche di quella strega gli squarciò il petto, ancor prima di sentire lo sferragliare della sua cella che si apriva, seguito da un lieve colpetto di tosse che annunciava l’arrivo di Robert Steiner e del ragazzo per cui si era preso una cotta, ma che presto avrebbe fatto impazzire di dolore.
 
*
 
- Ti vedo nervosa più del solito oggi, mi chiedo come sia possibile. -
 
Roxanne digrignava i denti in maniera talmente tanto evidente, che Yann non riuscì a trattenere le provocazioni, le quali oramai uscivano con una spontaneità disarmante dalla sua bocca, quando l’oggetto era Roxanne Borgin. Alistair, di contro, tentava di trattenere una risata, ma mai si sarebbe sognato di prendere in giro la Mangiamorte così apertamente; aveva imparato a conoscerla ed era ben cosciente che ci sarebbero potute essere delle ripercussioni.
 
- Quella maledetta megera…quella zitellaccia! - borbottava fra se e se, apparentemente non prestando attenzione alle parole di Yann, il quale continuava ad incalzarla con un accenno di sorriso sul viso burbero.
 
- Zitellaccia, addirittura? Dalla tua boccuccia soave mai mi sarei aspettato di sentire uscire un epiteto tanto colorito; è il caso che inizi a trattenerti, sboccatella, altrimenti perderai tutta la tua credibilità di algida Mangiamorte. -
 
- Yann…c-credo che s-stia per ven-venirle un coccolone…s-sta facendo un m-mo-movimento str-strano con l’occhio, lo vedi? -
 
Il magifabbro incrociò le braccia e strinse gli occhi scuri, concentrandosi su Roxanne. Inevitabile conseguenza fu una risata di gusto, una di quelle che molto, molto raramente si scatenavano da lui. Fu a quel punto che Roxanne parve destarsi: la strega sgranò gli occhi e, vagamente scarmigliata (anche questa una cosa assai rara, per la strega), cominciò a strillare in direzione del mago:
 
- Stai zitto, Yann! -
 
Yann dette una lieve spallata ad Alistair: - Hai ragione, deve essere davvero provata là signora…credo sia la prima volta che mi chiama per nome. -
 
- Si-sicuro sia un b-buon segno? -
 
Roxanne a quel punto esplose; prese a sbattere i piedi, agitare le braccia sottili e pallide, contrarre la bocca in un fastidioso sibilo.
 
- Io sono costretta qui, con voi due, mentre loro sfruttano il mio orologio! Dovevo esserci io lì…io! Ma no…ora è arrivata quella…quella stronza e improvvisamente Roxanne Borgin non conta più nulla! -
 
Spossata, la Mangiamorte si accasciò su una panchina - Per anni ho dedicato il mio tempo alla causa…ho investito energie, lavoro intensivo, ore di sonno! E per cosa?! Per essere spodestata dalla prima arrivata?! -
 
Yann ed Alistair si lanciarono un’occhiata. Era la prima volta che la strega si sbottonava un minimo da quando avevano avuto la sfortuna di incrociare il suo cammino, il che fece supporre loro che avrebbero dovuto cavalcare l’onda. Così cautamente Yann abbandonò l’ironia, sedette ben distante da Roxanne ma ugualmente a lei si rivolse:
 
- Ci hai mai pensato che forse questa causa di cui tanto parli sia quella sbagliata? -
 
Roxanne non credette alle sue orecchie. Come aveva potuto quel sanguemarcio soltanto permettersi di mettere in dubbio gli ideali in cui aveva sempre creduto? Si concesse qualche momento per percorrere rapidamente il suo passato, prima di ridurre in brandelli Yann con la cruciatus.
Il pensiero di Regulus arrivò spontaneo, come un faro nella notte: il suo bel viso gentile, i suoi occhi placidi e sempre pronti a percorrerla, come se Roxanne fosse una cosa sua di diritto, come se lei esistesse solo in sua presenza, ma senza arroganza o superiorità. Era naturale vivere per lei e che lei respirasse per Regulus; ancora una volta si chiese come fosse possibile che lui fosse sparito così, di punto in bianco, nel nulla, senza lasciarle nemmeno uno straccio di lettera.
Più di una volta si era risposta che quel comportamento non era da lui e che gli unici che facevano sparire le persone nella massa informe dell’oblio erano proprio i Mangiamorte come lei; ma così come quella risposta arrivava alla testa, subito la strega era pronta a ricacciarla nel profondo, perché non era possibile. Era vero, Regulus si era comportato in maniera anomala nel periodo che li separava dal matrimonio imminente ed ogni tanto la sensazione che lui avesse qualcosa da dirle era forte. Che fosse successo qualcosa che l’aveva fatto tornare sui suoi passi?
E come succedeva ogni qualvolta che Roxanne tentava di indagare più a fondo nel suo passato, le fitte alla testa cominciavano a farsi violente.
Alistair spalancò la bocca e cominciò a tremare davanti alle urla lancinanti della Mangiamorte, che si reggeva la testa mentre ringhiava di dolore.
 
- Yann! Ha q-qualcosa c-che non va! La d-dobbiamo a-aiutare! -
 
In un’altra occasione Yann non avrebbe esitato ad approfittarsene, rubando la bacchetta a Roxanne; eppure quella volta non ci riuscì. Cinse la vita di Roxanne con un braccio, mentre con una mano prese a massaggiarle delicatamente la cute rivestita di folti capelli neri.
 
- Scusami, lo sto facendo per te. – Sussurrò Yann che con maestria infuse una notevole quantità di calore laddove la mano toccava il fianco. Roxanne urlò più forte, ma questa volta per il dolore provocato da Yann.
Ma con quello, le fitte alla testa scemarono, fino a sparire del tutto e nel punto in cui Yann l’aveva scottata, non rimase che un lieve formicolio.
Yann Reinhardt aveva appena coscientemente aiutato Roxanne Borgin.
 
*
 
Se quell’incontro fosse casuale o meno, Cora non avrebbe saputo dirlo. Ma era evidente che il Giardino volesse che lei arrivasse proprio lì, nel punto in cui fra l’unione del rubino delle rose ed il bianco dei gigli, c’era Alon Morgan che si guardava intorno con curiosità, probabilmente in attesa dell’arrivo di qualcuno. La strega deglutì, prima di compiere i passi necessari a raggiungerlo. Quando quella si fece abbastanza vicina, Alon le rivolse prima uno sguardo contrariato, dopodiché si rabbonì e si limitò a guardare altrove. La bella strega prese un grande respiro e trattenne uno sbuffo. Non era abituata a chiedere scusa, no davvero, ma sentì che quello fosse il momento per fare un’eccezione.
 
- Posso? – chiese con cautela ed attese un qualsiasi tipo di cenno da parte di Alon. Il ragazzo inizialmente valutò l’idea di ignorarla, ma non era affatto nella sua natura comportarsi in quel modo. Il confronto con William lo aveva calmato si, d’altro canto sentiva di provare ancora del risentimento per quella strega, che si comportava con loro come se fosse superiore a tutto e tutti. Ma Alon dava sempre almeno una seconda possibilità e sentì che non farlo con Cora, che si trovava nella sua stessa condizione, sarebbe stato sbagliato. Così incrociò le braccia e puntò gli occhi verdi in quelli di lei:
 
- Parla. – Si limitò a dire, lapidario. Cora non se lo fece ripetere due volte:
 
- Sono venuta qui…cioè ti ho visto e ho voluto approfittarne per chiederti scusa, - borbottò – mi sono comportata in una maniera sciocca e tu non lo meriti affatto. -
 
- Nessuno di noi dal sangue misto lo merita. Se il tuo intento è quello di scusarti solo con me che dirti… posso accettare le tue scuse, ma sarà la tua forma mentis a dover cambiare. –
 
Per Cora era difficile accettare quelle parole; in lei era in atto un forte cambiamento e di questo mutare faceva parte la consapevolezza che, probabilmente, era colpa dell’ambiente in cui era cresciuta il motivo per cui ragionava così. Se qualcosa di buono era successo in quel luogo spaventoso, era di certo l’avere avuto la possibilità di rendersi conto da sé che a parità di condizione, non sussisteva alcuna differenza fra l’uno e l’altro. Il suo sangue puro non le aveva evitato di essere rinchiusa lì. Il suo rapporto con il dottore men che meno. Cora era esattamente come Alon, Jules e tutti gli altri. William era stato un valido mezzo per raggiungere quella consapevolezza: lui le aveva concesso la possibilità di comprendere ciò che era nascosto sotto la spessa coltre della supremazia e l’aveva fatto raccontandole il suo passato, senza tergiversare e omettere ma, specialmente, senza vergogna. Ora era giunto il suo turno, perché voleva che Alon e gli altri capissero. Preso coraggio, Cora mosse ancora qualche passo verso il giovane, assunse un’espressione provata e parlò nuovamente:
 
- Hai voglia di ascoltare la mia storia? -
 
Alon si rese subito conto che la strega stava compiendo uno sforzo incredibile e che se aveva realmente deciso di aprirsi con lui, ci doveva essere un serio motivo. La seconda possibilità. Alon fu fermamente convinto di dovergliela concedere e lo avrebbe fatto ascoltandola senza interrompere il flusso dei pensieri, con l’assoluta capacità di comprensione di cui era dotato. Annuì e fece cenno alla strega di sedersi sotto un albero di tiglio poco distante da loro; fu sotto l’ombra piacevole delle fronde folte ed inebriati per l’intenso profumo della fioritura, che Cora aprì il suo cuore senza rimostranze.
 
*

 
- In piedi McCall, è ora della passeggiata. -
 
Nel sentire la voce di Adrian Reed a richiamarla, Odette scattò in piedi. Era sicura che si sarebbe quantomeno beccata una tacca sulla sua piramide, in quanto non era possibile che Elyon Yaxley non avesse spifferato il suo piano. Ma il Mangiamorte sembrava sereno e prestava, come sempre, ben poca attenzione ai prigionieri, tranne quelli che gli facevano perdere le staffe. Il medimago rimase in stato d’allerta e appena scavallata la cella, gettò dietro di sé uno sguardo alla lettera rho incisa nella lastra di marmo posta sopra l’entrata. Dai Mangiamorte aveva sentito soprannominare ogni cella: la sua era quella de “La Verità”. Non ci voleva molto per capire il motivo per il quale fosse soprannominata così. Odette aveva questa incredibile dote di saper leggere la mente di chiunque; non essendosi mai autodenunciata al Ministero, aveva evitato che i funzionari la assillassero per mettere il suo potere al servizio della comunità.
Odette era sempre stata restia ad utilizzare troppo e troppo spesso la lettura del pensiero, perché nonostante il carattere apparentemente aperto e gioviale, era una persona molto riservata e non si sentiva di invadere la privacy altrui. Certo, in quella situazione avrebbe dovuto e voluto farlo: capire cosa nascondessero i Mangiamorte, lottare con tenacia contro le barriere del dottor Steiner, quello sì che sarebbe risultato utile. Ma fino a quel momento le era parso impossibile e molto rischioso, anche se il fatto che Adrian non dava mostra di di essere a conoscenza del suo piano, l’aveva sicuramente rilassata. Forse Elyon aveva avuto ragione ad impedirle di leggere la mente di Reed, ma non per questo non avrebbe dovuto ritentare e quale migliore occasione se non quella, in cui si trovava sola con lui?
Nero. Buio. Era impossibile. Per quanto Odette si sforzasse, mentre seguiva i passi del burbero Mangiamorte, non riusciva a cavare un ragno dal buco: la mente del mago era totalmente schermata.
 
- Magari non ti frega un cazzo, - la roca e profonda voce di Adrian interruppe bruscamente i suoi tentativi di lettura del pensiero – comunque oggi è il trentuno dicembre. Non vedo l’ora di risbattervi dentro e andare festeggiare come si deve. -
 
C’era un che di beffardo nella voce di Adrian Reed che avrebbe dovuto mandarla fuori di testa. Ma conoscere la data di quel giorno aveva risvegliato qualcosa in Odette, anche se non riusciva a capire cosa.
 
Capodanno… perché il trentuno dicembre le diceva qualcosa?
 
Quella bomba sexy di Melissa Beckham l’aveva invitata alla festa organizzata per capodanno e Odette si sentiva al settimo cielo. Non aveva fatto altro che spedirsi gufi con Lucas e nelle disordinate pergamene che i due amici si scambiavano, si spiegavano sgrammaticate esultazioni e reciproche richieste di consiglio sul come vestirsi per presentarsi alla villa barocca di Melissa. Proprio mentre si trovava davanti allo specchio provando l’ennesima combinazione di “canotta di iezzo minigonna tacchi”, sentì un morbido bussare alla porta. Jonathan, suo padre, entrò con un lieve sorriso sul volto e una pergamena spiegazzata fra le mani; non ci volle molto per capire cosa stesse pensando il mago, davanti al quale Odette arrossì vistosamente.
 
“Scusami tesoro, l’ho aperta per sbaglio… non c’era il mittente e stavo attendendo una lettera dai nonni. Sai come sono sbadati, ho pensato si fossero dimenticati di scrivere il loro nome… “
 
Odette strappò la pergamena dalle mani del padre e nel leggere le prime parole che Lucas le aveva scritto, il colorito passò dal rosso pomodoro al carminio più acceso.
 
‘Melissa cadrà ai tuoi piedi se ti metti quella fottuta minigonna che abbiamo comprato la settimana scorsa!’
 
“Papà… credo di doverti dire… “
 
Jonathan si era già seduto sul letto disordinato della figlia; il suo sorriso rassicurante e bonario la portò a sospirare. Suo padre era sempre stato un uomo buono e comprensivo ed aveva dimostrato di amarla incondizionatamente, nonostante il caratterino agitato e controverso che Odette aveva dimostrato di possedere dalla più tenera età.
 
“Va bene, lo faccio. “
 
“Dettie, stai calma, non hai commesso nessun crimine, o almeno non in questo frangente!” Ridacchiò lui, spezzando la tensione con quella battuta. A differenza della madre lui era davvero un uomo buono; perché non si fosse mai confessata, non sapeva dirlo. Aveva diciotto anni ed aveva da poco iniziato la specializzazione in medimagia; era una figlia tutto sommato responsabile e stava intraprendendo un percorso che avrebbe reso fieri i suoi genitori, non c’era nulla di cui vergognarsi. Eppure non ci riusciva, proprio no. Boccheggiò per un bel po’ di tempo, si mangiucchio le unghie appena verniciate, smaniò con le gambe. In tutto quell’arco di tempo Jonathan rimase in silenzio, rispettando la delicatezza del momento. Fu solo quando nella stanza calò uno spesso silenzio, segno del fatto che sua figlia non sarebbe riuscita a spiccicare una sola parola, che decise di parlare:
 
“Allora, è molto carina questa Melissa? Da quello che scrive il tuo amico Lucas parrebbe proprio di si.”
 
Odette sgranò gli occhi scuri e, con la bocca semi aperta, roteò il viso in direzione del padre. Il mago sorrise e la incalzò nuovamente: “Beh? Non hai nemmeno una foto da mostrarmi? Ti assicuro che me ne intendo di belle donne, guarda tua madre!”
 
Non c’era bisogno di aggiungere altro. D’improvviso Odette si sciolse totalmente e nel tentativo di mascherare gli occhi lucidi al padre scattò in piedi, alla ricerca frenetica di una bella foto in movimento che mostrava Melissa Beckham, dalla lunga chioma color cioccolato, fluttuare su una scopa. Fra i due quella che sapeva leggere la mente altrui era lei, ma Odette capì che suo padre non aveva alcun bisogno di farlo e anche se ne fosse stato in grado, Odette non avrebbe avuto alcun motivo di schermare la propria mente, con lui.
 
Un passo dopo l’altro, Odette si era ritrovata a ricordare quel momento che aveva davvero cambiato la sua vita; suo padre era stato così comprensivo che la strega capì quanto fosse stato sciocco e limitante tenere per sé la sua omosessualità, come se fosse un peccato da non confessare. Inoltre con l’aiuto di quel ricordo, capì quale era il motivo per cui il trentuno dicembre fosse così importante.
 
- Per caso mi stai portando da Evangeline? – chiese spontaneamente lei, affiancandosi ad Adrian con le mani congiunte dietro la schiena. Il Mangiamorte le lanciò un’occhiata in tralice:
 
- Oggi non è previsto un incontro tra voi due. La ragazzina incontrerà qualcun altro, mentre tu ti limiterai a rompere il cazzo a me. -
 
Odette aggrottò le sopracciglia, ma non rispose a tono per non provocare Reed. Le sarebbe piaciuto passare quella giornata in compagnia di Evie. Sperò almeno che la ragazza non rimanesse sola, nel giorno del suo diciottesimo compleanno.
 
*
 
Non ricordava più cosa volesse dire provare nausea, ma il pasto servitole poche ore prima aveva riportato la sensazione alla memoria. Mazelyn era provata, molto provata. Per mesi, tranne in una sola occasione, a cadenza di tre o quattro giorni un Mangiamorte si era presentato alla sua cella con delle sacche di sangue che l’avevano sostentata a dovere. Quel giorno però avevano deciso (e molto probabilmente era stato quel dottore) che un’altra persona doveva essere punita con la morte. Un uomo tutto d’un pezzo era stato portato da lei da qualcuno che indossava la maschera tipica dei Mangiamorte; Maze era abbastanza convinta non si trattasse né di Adrian Reed, né di Roxanne Borgin. Certo, pensare non era semplice perché in quel momento la sete era totalizzante e a ben poco servì la forza di volontà. Dopo qualche minuto sotto incitazione del Mangiamorte, il vampiro aveva stretto gli occhi e si era scaraventata sul mago offerto a lei. “L’Ordine è vivo”, queste le ultime parole pronunciate dal povero mago, prima di essere assaltato da Maze.
In quel momento quelle quattro parole rimbombavano nella sua testa come i postumi di una brutta sbronza. Per questo quando William si presentò nella sua cella, Mazelyn ringhiò minacciosa.
 
- Non ti voglio qui dentro… va via! -
 
Ma Will rimase impassibile. La guardò vagamente accigliato ed attese che le sbarre dietro di lui si richiudessero, prima di fare qualche passo ed afferrare la sedia in metallo posta davanti allo scrittorio della cella.
Maze sentiva ancora il sapore metallico del sangue insinuato fra i denti e nonostante gli occhi fossero puntati sulle proprie scarpe, era certa che William la stesse fissando. La sete se ne era andata, ma non era certa che la frenesia non si sarebbe riaffacciata.
 
- Lo sai che non siamo noi a decidere dove e quando spostarci. Come stai? -
 
Una risata amara anticipò la risposta: - Bene! Non vedi? Sprizzo gioia da ogni poro! – con un colpo deciso Mazelyn alzò la testa e William fu costretto a reprimere un sussulto: nel turbinio di capelli scuri, due occhi di brace lo fissavano arroganti e la bocca, morbida e invitante, era piegata dal disgusto. Qualcosa di grosso doveva essere successo a quella ragazza, qualcosa che Will non aveva la forza di immaginare. Si guardarono a lungo loro due; l’unico respiro era quello di William, regolare e placido, in perfetta antitesi con il tumulto emotivo di Maze.
 
- Posso aiutarti, se me lo concedi. In fondo ti devo ancora un favore: se non ci fossi stata tu a salvarmi, quel giorno in cui Lucas ha perso la ragione, probabilmente ora sarei poltiglia per i maiali. -
 
Maze si prese del tempo prima di rispondere. Quel William non le aveva chiesto nulla, quindi le fu naturale pensare che dovesse trovarsi davanti ad un uomo molto intelligente, in grado di soppesare le parole e capire quale fosse il momento migliore per parlare. Ancora il silenzio a dividerli, poi Maze dichiarò funerea: - Al mio problema non c’è soluzione, non vedo come possa essermi utile un mago, per giunta senza bacchetta. –
 
William incurvò la schiena e si sporse verso di lei; la ragazza percepì che in lui non risiedeva paura e la cosa la tranquillizzò, proprio come era successo giorni prima con il babbano, Alistair.
 
- Puoi non fidarti e continuare a soffrire, nessuno te lo vieta. Ma se mi lascerai tentare, ti assicuro che niente di male ti accadrà. -
 
Provare o non provare? Ma alla fine cos’è che aveva da perdere, Maze? Nessuno di loro si trovava rinchiuso per propria volontà e probabilmente l’unico modo che avevano per sopravvivere era tentare di aiutarsi a vicenda. Così con un impercettibile movimento del capo, il vampiro acconsentì e lasciò avvicinare William che sedette accanto a lei.
Il mago dovette chiudere gli occhi, perché il fascino della ragazza era per lui praticamente ingestibile, a quella ridicola distanza. Quando la sua mano sfiorò la spalla di Maze, Will rabbrividì; avrebbe dovuto sospettarlo, ma non si era comunque preparato al contatto gelido con la pelle di lei. La pelle di un vampiro. Quando era stato salvato da lei di certo non si era messo a ragionare sulla sua temperatura corporea, ma in quel momento, nella piccola cella della fenice, quel contatto lo disturbò.
Con quello arrivò un dolore fortissimo, che lo colpì allo stomaco, alla gola e alla testa: sentì la gola seccarsi, le viscere strizzarsi, il corpo freddarsi. Ma doveva resistere se non avesse voluto andare incontro alla morte. Svolse il suo compito in tempo record riuscendo ad assorbire tutto il dolore che padroneggiava in Maze; davanti agli occhi attoniti della ragazza, Will sputò dalla bocca il vapore più tetro e scuro che avesse mai visto che schizzò via da lui come una nuvola scossa dal vento gelido di una tempesta imminente.
 
*
 

Fu un momento drammatico. Joshua sentì di impazzire dentro quel corpo che non era il suo ed il motivo era il terrore che lesse negli occhi di Lucas, quando l’auror si trovò davanti sua zia, o meglio due persone identiche a lei. Era molto tempo che Lucason non la incontrava, ma aveva studiato le sue foto alla perfezione, fino al minimo dettaglio, data la smodata “passione” che Martha sembrava avere nei suoi confronti.
A Joshua era stato ordinato di non fiatare, ma solo di sorridere. Se lo avesse fatto la strega gli aveva assicurato che nulla di male sarebbe stato fatto loro (per quanto potesse fidarsi delle parole di quella pazza).
 
- Cosa… - Lucas si zittì nel momento in cui Robert Steiner lo invitò a sedersi. Il dottore teneva saldo l’orologio di Roxanne in una mano, mentre con l’altra mosse la bacchetta ed incarcerò Lucas con corde e bavaglio.
 
- Non siamo qui per una riunione di famiglia, Lucas. Non ci sarà bisogno di muoversi, specialmente di parlare. -
 
Gli occhi limpidi di Robert finirono su Joshua; come potesse riconoscerlo, questo era un mistero, visto che in quel momento era identico a Martha Heathcote sia nell’aspetto che nel vestiario. Il metamorfo fece come gli era stato ordinato: si limitò a sorridere lievemente e passare lo sguardo da Robert a Lucas. Martha, la vera Martha, tentava di mantenere la calma, ma Joshua in piedi al suo fianco riuscì a percepire dei leggeri spasmi, indice di quanto quella si stesse trattenendo dal non attaccare Lucas.
 
-Devi solo stare buono, - specificò il dottore con tono rassicurante nei confronti di Lucas – il più fermo possibile. Come ben sai la terra non ti risponde, fin tanto che ti trovi all’interno di questa cella, quindi ogni tentativo di chiamarla in tuo soccorso sarà inutile. –
 
Robert spostò l’attenzione sulle due donne e ad entrambe regalò uno dei suoi migliori sorrisi:
 
- Fatevi pure avanti, ora. -
 
Joshua non oppose resistenza; sapeva che assecondare il dottore fosse l’unica speranza che avevano di uscire illesi da quella situazione. Così mosse dei passi in direzione di Lucas e con lui anche Martha si mosse; Robert Steiner teneva lo sguardo fisso sull’orologio dorato con aria assorta, mentre Lucas cominciò ad iperventilare. Joshua sentì il sangue gelare nelle vene. Conosceva da anni Robert Steiner e lo aveva sempre apertamente detestato; ma mai avrebbe creduto che l’amico di suo padre sarebbe arrivato a rapirlo e torturare lui ed una persona a lui cara. Mai.
 
Gli occhi di quell’uomo gli avevano sempre fatto paura. Robert Steiner frequentava da sempre casa sua, da che ne avesse memoria. Che suo padre Alfred fosse un forte simpatizzante di Voldemort non era di certo un mistero e l’unica cosa che gli aveva impedito di prendere il marchio, era stata la sua salute cagionevole. Per questo Joshua diffidava di chiunque suo padre frequentasse, non per ultimo Robert Steiner, che ogni qualvolta incontrava sembrava studiarlo come fosse una cavia da laboratorio. Joshua aveva tentato di tenersi alla larga da lui e da ogni frequentazione di suo padre; per questo quando Alfred lo invitò a non fare più ritorno a casa, il giovane metamorfo non poté che sentirsi sollevato. Finalmente era libero di seguire la sua strada, libero dal peso di una famiglia che appoggiava il Signore Oscuro e che avrebbe fatto di tutto per questi ideali. La reazione che ebbe Joshua fu più che spontanea: il ragazzo, volenteroso di allontanarsi il più possibile dall’ambiente in cui era cresciuto, aveva deciso di rifugiarsi nel mondo babbano; con i babbani non c’erano i problemi con cui si era sempre scontrato e fra loro il metamorfo sentì di potersi mimetizzare alla perfezione.
Diventare maestro fu gratificante per lui ed i bambini a cui infondeva nozioni gli regalavano gioie che mai e poi mai aveva sentito di provare. Tra loro Joshua si sentiva davvero se stesso, senza bisogno di ricorrere al metamorfismo. Quest’ultimo passò dall’essere una necessità ad un diletto, qualcosa che per molto tempo aveva fatto parte di lui e a cui non aveva intenzione di rinunciare, sicuramente, ma senza che la trasformazione fosse la moneta da giocarsi in situazioni di pericolo.
Eppure, nonostante gli anni trascorsi lontani dalla famiglia, era successo in ben due occasioni che Robert Steiner bussasse alla sua porta e tentasse di usare il suo aplomb per convincerlo a tornare sui propri passi.
 
‘ Ragazzo mio, ti assicuro che abbiamo bisogno di molte più persone come te. Il Signore Oscuro tornerà e quando accadrà saprà ripagare chi gli è diventato fedele. Pensaci bene.’
 
Al loro primo incontro, nonostante la paura che Robert aveva scatenato in lui, Joshua tentò di mostrarsi cortese e riuscì a congedare il dottore con la promessa di pensarci su.
Ma il loro secondo incontro fu un vero e proprio scontro, durante il quale Joshua alzò molto la voce e intimò Robert Steiner di lasciarlo stare, perché lui non era e non sarebbe mai stato come loro e che l’unica cosa a cui aspirava era una vita tranquilla, lontana dal mondo magico quanto più possibile. Joshua non dimenticò mai lo sguardo glaciale che Robert gli concesse, prima di offrirgli l’ultima, tagliente frase: ‘ Allora dovrai fare molta attenzione, d’ora in avanti’ .
 
Ricordò quelle parole con amarezza, Joshua. Più si avvicinava a Lucas, più sentiva di aver sbagliato a non prestare troppa attenzione alle minacce di Robert. Lui, che si riteneva tanto intelligente e razionale, in quel momento stava facendo il gioco di quel malato e non sarebbe stato il solo a pagarne le conseguenze.
 
- Ancora un po’. – ordinò Robert senza staccare gli occhi dall’orologio; ma il dottore represse un’imprecazione, quando la vera Martha, distante ormai solo pochi centimetri da Lucas che la guardava terrorizzato, sfoderò la bacchetta e gliela puntò contro:
 
- Creperai sotto le mie mani, orrido scherzo della natura! -
 
- Verdammnis! Martha, fermati! -
 
Non fu necessario per Joshua intervenire in alcun modo: con una rapidità ammirevole, Robert Steiner estrasse la bacchetta e disarmò la Mangiamorte senza sforzo, facendola peraltro schiantare contro la parete. A quel punto Joshua tornò alle sue vere sembianze, mentre contemporaneamente Lucas fu libero dall’incarceramus.
 
- Scusami… scusami! Mi hanno obbligato! –
 
Joshua non riuscì più a trattenersi e gli occhi si colmarono di lacrime, mentre si inginocchiava davanti a Lucas, stringendo i pugni sulle sue gambe.
 
- Va tutto bene, ehi… -
 
- Non fate un solo passo. -  Il tono del dottore era perentorio. Lentamente i due voltarono il capo nella sua direzione e lo fissarono muti; Robert teneva la bacchetta sfoderata verso di loro, mentre con una mano tratteneva Martha, semisvenuta.
 
- Rimanete… - Robert si interruppe di botto appena un leggerissimo fischio partì dalla tasca in cui aveva riposto l’orologio. Se non fossero stati in silenzio, probabilmente nessuno di loro sarebbe stato capace di sentirlo. Con un braccio tratteneva Martha e stringeva la bacchetta, con la mano libera estrasse l’orologio, che guardò con sguardo assorto per qualche secondo. Joshua e Lucas lessero lo sgomento e la felicità nel suo sguardo, nonostante Robert tentasse di mascherarlo.
 
- Dumm… - Robert Steiner ripose con tutta fretta l’orologio nella tasca, ordinò ai due di rimanere nella cella e uscì con rapidità da essa, trascinandosi il corpo tramortito di Martha Heathcote sulle spalle. Joshua e Lucas rimasero pietrificati nella loro posizione, tentando di capire qualcosa di quello che era appena successo loro.
 
*
 
Era da un po’ che aspettava, Evangeline. Chi o cosa, come al solito non sapeva dirlo, ma oramai aveva fatto l’abitudine ad aspettarsi davvero di tutto, tanto che la paura di quel luogo era ormai un lontano ricordo. Il sole si rifletteva nei suoi occhi chiari e giocava con il riflesso dei suoi capelli, che riflettevano di docili sfumature rossastre, illuminando il viso diafano. Passava le dita sull’erba soffice mentre tentava di tenere la mente sgombra dai cattivi pensieri, che troppo spesso, ormai, si affacciavano per punzecchiarla.
Un rumore di fronde le fece spostare l’attenzione, fino a quel momento dedicata allo sbattere frenetico delle ali di un’ape, intenta a catturare il polline da una delle tante margherite che la circondavano.
Si aspettava l’arrivo di uno dei Mangiamorte, non certo di Victor che tra un impropero e l’altro cercava di liberare i capelli da rametti e foglie che si erano aggrappati a lui.
 
- Vicky? Ma cosa… -
 
Victor ci mise pochissimo a raggiungerla e solo quando arrivò a pochi centimetri da lei recuperò il fiato.
 
- Maledetto Giardino, maledetti percorsi impossibili! Che cazzo, mi sembra di concorrere alle magiolimpiadi! -
 
Come spesso accadeva in presenza del magigiornalista, Evie scoppiò a ridere di cuore; ma la risata durò poco, perché il ragazzo allungò le mani e la tirò su con un gesto sgraziato.
 
- Mica sono un pupazzo…ehi, calmo! Perché sei tanto agitato? -
 
- Stai zitta e ascoltami. – disse lui con concitazione – Io non lo so se usciremo mai vivi da qui. Non so se anche solo uno di noi due si salverà, va bene? Ma oggi… oggi è il tuo compleanno e io sto per fare una cosa da perfetto imbecille quale, ovviamente, non sono. -
 
- Ti sei ricordato il mio com… -
 
Evie non riuscì a concludere la frase, perché Victor strinse il suo viso fra le mani lunghe e la guardò per un brevissimo istante, prima di incurvarsi un bel po’ ed incollare la bocca sulla sua.
Evie non oppose resistenza, ma percepì nettamente il suo cuore accelerare nei battiti, pronto ad esploderle in petto.
Evie, per una volta, lasciò che Victor si comportasse da imbecille e alle sue labbra cedette, come fossero la genesi di un nuovo, speranzoso e meraviglioso futuro, al sapore di libri, inchiostro e carta straccia.
 


Buongiorno cari. Come quasi sempre accade, questo capitolo si alterna fra gioie e dolori (dalla maledetta zia di Lucas a questo epilogo che spero non sia risultato troppo sdolcinato).
Di materiale per porvi delle domande ve ne ho fornito parecchio, spero. Elyon avrà parlato con Adrian? Che cosa succede a Roxanne? E poi: vi piacciono Evie e Victor?! Io li ADORO.
Ho ben poco da dire, la parola sta a voi.
Per il prossimo capitolo niente voti, ovviamente scriverò di Cora e Maze.
A presto.
 
Bri
   
 
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