13 Maggio, viaggio in treno da Cuneo a Torino.
Davanti a me sedeva un signore, sarà stato sull'ottantina o giù di lì - non sono mai stata molto brava ad attribuire l'età alle persone - ed in mano teneva un bigliettino, piccolo, stropicciato.
Lo guardava e riguardava, come volesse imprimersi nella memoria quelle parole; parole che io stessa, data la vicinanza - ed ammetto, anche la curiosità - ho letto.
Vi era scritto un nome, ed un cognome, su quel piccolo pezzo di carta, seguiti da un indirizzo e da un numero di cellulare.
La mia mente ha cominciato a vagare.
Ho immaginato che quelli fossero i dati di un suo vecchio commilitone di guerra, un amico perduto e dopo tanti anni finalmente ritrovato, prima che fosse troppo tardi (un po' come avrei voluto andasse tra Eugene Sledge e Merriell Shelton, ma questo è un altro discorso) e che si stesse recando adesso da lui per andarlo a riabbracciare.
O, ancora, ho pensato, magari quello era il nome di un vecchio Amore, magari uno di quelli amori vissuti in silenzio, dal sedile posteriore, che ora però stava per venire a galla.
Quante cose, quante storie, avrebbero potuto essere contenute in quel misero foglietto.
E mentre io ero persa nelle mie fantasticherie, una donna seduta accanto a lui, e quindi davanti a me, ha preso il coraggio a me mancante e con nonchalance gli ha posto la domanda cruciale: chi fosse quell'uomo.
Il vecchietto ha sorriso, un sorriso mesto. "Sono io", ha semplicemente risposto. "Per non dimenticarmi". Anche io ho sorriso tra me e me, a quella risposta. Ho sorriso per trattenere le lacrime, ed ho sorriso per la tenerezza. Lui sicuramente si sarà già dimenticato questa conversazione. Io, invece, la ricorderò per sempre.