Capitolo
undicesimo
Io sono un guerriero e troverò le
forze
Lungo il tuo cammino
Sarò al tuo fianco mentre
Ti darò riparo contro le tempeste
E ti terrò per mano per scaldarti sempre
Attraverseremo insieme questo regno
E attenderò con te la fine dell'inverno
Dalla notte al giorno, da Occidente a Oriente
Io sarò con te e sarò il tuo guerriero
E amore mio grande amore che mi
credi
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere mai.
(“Guerriero” – Marco Mengoni)
Era la mattina di
Pasqua, 26 aprile 1478.
Tutto quello che
poteva essere fatto era stato fatto, adesso non c’era alcun modo per tirarsi
indietro.
Ognuno avrebbe dovuto
affrontare le conseguenze delle sue scelte.
E, alla fine di
quella giornata, ognuno sarebbe stata una persona nuova.
Qualcuno, anche,
sarebbe stato una persona morta, ma di loro non ci frega più di tanto nella
nostra storia!
Jacopo era quasi
pronto per uscire di casa, aspettava soltanto Antonio. Pensava che, entro poche
ore, i suoi nemici di una vita sarebbero stati eliminati per sempre, eppure non
si sentiva compiaciuto come credeva che sarebbe stato. Anzi, gli era tornato in
mente il giorno di due anni prima, quando per la prima volta aveva portato il
ragazzino con sé al corteo pasquale che celebrava la famiglia Pazzi, a come era
stato bello, anche per lui, godere quella giornata speciale attraverso gli
occhi innocenti e pieni di gioia di Antonio. Allora sì che si era sentito pieno
di pace e di gioia, altro che adesso… coinvolto in un complotto che non aveva
scelto lui e con dei compagni di sventura
raccogliticci e fuori di testa.
Davvero, ma chi
glielo aveva fatto fare? Forse, però, avrebbe dovuto chiederselo prima di impegnarsi in quella faccenda e
di arrivare a quel giorno. Ormai non poteva fare altro che andare avanti per
forza d’inerzia…
“Antonio, non sei
ancora pronto? Faremo tardi alla cerimonia” disse. Ecco, ci sarebbe mancato
solo che arrivasse tardi, tanto quella congiura era già iniziata di merda!
“Eccomi, Messer
Pazzi” rispose il giovane, raggiungendolo. Elegante, sorridente e dolce come al
solito, sembrava solo lievemente più pallido del consueto.
Jacopo gli passò un
braccio attorno alle spalle e se lo strinse al petto: in quel momento aveva
solo bisogno del calore affettuoso di Antonio.
“Stai bene,
ragazzino? Hai l’aria stanca, hai dormito bene stanotte?”
“Sì, certo, Messer
Pazzi, va tutto bene. Solo…” Antonio non poteva celare del tutto il suo
turbamento, ma guardando l’uomo che lo teneva tra le braccia trovò subito
qualcosa su cui appuntare l’attenzione, che avrebbe spiegato la preoccupazione
dipinta sul suo volto. “Messer Pazzi, stiamo andando al corteo, poi ci sarà lo
scoppio del carro e la Messa solenne di Pasqua. Perché avete preso con voi la
spada?”
Eh, già, bella
domanda. Jacopo Pazzi aveva la spada nascosta sotto il mantello, hai visto mai
le cose si mettessero ancora peggio di quanto poteva prevedere…
“Sì, beh, lo so che
non ha molto senso portare un’arma per andare alla Messa di Pasqua, ma vedi,
non mi piace affatto che le strade di Firenze brulichino di guardie del Papa”
rispose Pazzi, con un’invidiabile presenza di spirito. “Credo che il Cardinale
Sansoni Riario si sia portato fin troppa scorta e la presenza di tanti
mercenari stranieri in città mi innervosisce. Spero che andrà tutto bene ma, se
dovesse scoppiare qualche disordine, voglio essere pronto.”
E, in effetti, qualche disordine sarebbe scoppiato…
“Allora…” Antonio
parve riflettere per qualche istante prima di proseguire, “allora potrei avere
anch’io un’arma, in caso di disordini?”
“Tu, un’arma?”
“Messer Pazzi, non
guardatemi come se avessi detto un’assurdità! Sono stato addestrato anch’io
come un cavaliere, sebbene non abbia mai partecipato a battaglie. Anzi, come
spadaccino sono anche piuttosto bravo, il mio istruttore mi diceva sempre che
ero particolarmente agile e con i riflessi pronti. Solo che poi non avevo mai
il coraggio di dare la stoccata finale…”
Jacopo rise piano.
Certo, non poteva che essere così! Antonio non sarebbe riuscito a colpire un
avversario al cuore nemmeno in un duello simulato! Si chinò a baciare il
ragazzino e poi si avviò verso il suo studio, dove prese una daga e poi la
porse ad Antonio.
“Puoi prendere
questa, nel malaugurato caso che dovessi difenderti da qualche esagitato” gli
disse, “ma mi auguro che non ne avrai bisogno.”
“Me lo auguro
anch’io, comunque grazie, Messer Pazzi” replicò il giovane, allacciandosi
l’arma alla cintura. Poi anche lui si coprì con il mantello, nascondendo la
daga agli occhi degli altri.
Jacopo e Antonio
uscirono da Palazzo Pazzi e si incamminarono verso la Chiesa dei Santi Apostoli, dove li attendevano per la
processione: il carro pirotecnico era già là, magnifico come ogni anno,
decorato, trainato da una coppia di buoi e sormontato dal cero pasquale e dalla
bandiera con lo stemma dei Pazzi. Ancora una volta furono loro a guidare il
corteo, subito dietro al carro, al Cardinale e ai chierichetti; li seguivano
Francesco e Guglielmo, altri membri della famiglia Pazzi, parenti e alleati e
nobili famiglie di Firenze… ma quest’anno, al corteo, si erano uniti anche dei
volti nuovi, ossia i congiurati (mancavano, ovviamente, Salviati e Montesecco,
altrimenti impegnati, e Girolamo Riario che attendeva la conclusione della
congiura bello tranquillo nel suo palazzo a Imola!).
Quest’anno,
tuttavia, tutto appariva meno splendente, meno maestoso ad Antonio, che pensava
soltanto a quando sarebbero giunti in chiesa, a quando sarebbe dovuto
intervenire per salvare Lorenzo e Giuliano… pregava solo di riuscire a
fare tutto quello che si era proposto e che Messer Pazzi reagisse nel modo che
lui si attendeva. Non poteva permettersi errori, nemmeno uno.
Il giovane guardò lo spettacolo dello
scoppio del carro stringendosi a Jacopo, come se fosse emozionato e felice per
la grandiosa scena davanti ai suoi occhi. In realtà voleva stare vicino al suo
uomo, voleva sentirlo accanto a sé. Non lo sapeva… avrebbe anche potuto essere
l’ultima volta…
Lo spettacolo pirotecnico terminò. Davanti
all’ingresso della Cattedrale, prima di entrare, Jacopo si fermò ad augurare
buona Pasqua alla famiglia Medici riunita (che faccia tosta, vero?), poi si
avviò dentro la chiesa con Antonio al suo fianco. Quell’anno, per la prima
volta, Francesco e Guglielmo si sarebbero seduti accanto a lui, con le mogli,
nel lato destro dell’altare, quello destinato alla famiglia Pazzi e agli altri
nobili fiorentini.
Prima di giungere ai loro posti, Antonio
fece l’ultimo, disperato tentativo.
“Messer Pazzi, non pensate che sarebbe molto più bello se, almeno quest’anno,
ci mettessimo tutti assieme, accanto a Lorenzo e Giuliano, per mostrare a tutta
Firenze quanto le nostre famiglie siano ormai in pace e unite?” propose.
Certo, quello era
proprio il giorno giusto per una cosa del genere, pensò Jacopo
Pazzi. C’era quasi da ridere, se non fosse stato tanto nervoso…
“No, oggi proprio no” rispose deciso,
afferrando Antonio per un braccio e portandolo con sé nel posto che gli
spettava. “Ti ho già detto che ci sarà una particolare confusione per via dei
tanti soldati mercenari che scortano il Cardinale, preferisco che le cose siano
come sempre.”
“Come volete, Messer Pazzi” si arrese
Antonio.
Ecco, l’ultima possibilità era svanita,
adesso tutto dipendeva da lui.
Si accomodò al fianco di Messer Pazzi e vide
Lorenzo e Giuliano prendere posto davanti a lui, nel lato opposto. Stranamente
i due fratelli non sedevano vicini, qualche amico li separava. Clarice e
Lucrezia, invece, sedevano sulla prima panca di fronte all’altare, con altre
nobildonne fiorentine.
La cerimonia ebbe inizio, ma né Jacopo né
Antonio furono in grado di seguirla veramente, entrambi, per ragioni opposte,
con gli occhi fissi al gruppo di persone di fronte a loro, tra cui spiccavano,
appunto, Lorenzo e Giuliano.
Il momento della consacrazione, fissato
per l’attacco, si avvicinava. Jacopo non vedeva l’ora che fosse tutto finito;
Antonio non perdeva di vista i due amici e controllava con occhio vigile
qualsiasi movimento accanto o dietro di loro. Sarebbe stata questione di attimi
e lui doveva tenersi pronto…
Il Cardinale Sansoni Riario sollevò l’ostia
per la consacrazione, Jacopo si fece il segno della croce e inchinò il capo, ma
il suo sguardo saettava verso i fratelli Medici; Antonio si morse il labbro
inferiore, pronto a scattare, sapeva che era il momento.
Un’ombra si mosse dietro Giuliano, una
lama brillò e ci fu il grido di Lucrezia Tornabuoni, la madre dei due ragazzi,
che aveva visto e compreso. E fu quello il momento in cui Antonio intervenne.
Già l’urlo di Lucrezia aveva contribuito a
creare una bella situazione di panico e confusione e il giovane Orsini
approfittò proprio di quello.
“Giuliano, Lorenzo, dietro di voi,
attenti!” gridò a sua volta, prima di slanciarsi contro Vespucci, che stava per
colpire il giovane. Giuliano, però, messo in allerta dal grido della madre e
poi da quello di Antonio, si scansò quel tanto che bastava per farsi colpire di
striscio alla spalla, invece che alla schiena com’era intenzione di Vespucci.
La lama tagliò la manica del suo farsetto e gli provocò un lieve graffio, ma
nulla di più. Bandini, che si trovava anche lui dietro Giuliano, cominciò a
sospettare che anche quel tentativo sarebbe finito nel ridicolo, ma a quel
punto cosa poteva fare? Non poteva più tirarsi indietro, no? E anche se avesse
voluto farlo la calca glielo avrebbe impedito. Tentò di aggredire nuovamente
Giuliano, ma Antonio si era messo in mezzo tra l’amico e i due congiurati e li
minacciava con la daga (ora avete capito perché si era fatto prestare un’arma
da Jacopo? Furbo, no?). Intanto Maffei aveva anche lui tentato di colpire
Lorenzo, ma il giovane si era spostato dopo l’avvertimento di Antonio e anche
lui era stato colpito di striscio alla gola, senza conseguenze.
Vespucci,
però, si era seriamente incavolato: diciamocelo chiaramente, a lui non fregava
un beneamato della congiura, dei Pazzi, di Riario e di tutti quanti, ma ce l’aveva
con Giuliano per aver (almeno a quanto sapeva lui) favorito la tresca di sua
moglie Simonetta con Botticelli e adesso voleva farlo fuori, congiura o non
congiura. Quel ragazzino rompiscatole non lo avrebbe fermato.
E
Antonio, pur veloce e abile con la daga, non avrebbe avuto il coraggio di
colpire un uomo… e di questo approfittarono Bandini e Vespucci: Bandini colpì
il ragazzo in faccia, stordendolo, mentre Vespucci lo trafisse al fianco,
proprio come progettava di fare con Giuliano. Un gemito strozzato di Antonio,
ma il ragazzo rimase in piedi: Vespucci non era proprio un granché come
spadaccino…
A quel
punto, però, accadde quello che Antonio aveva auspicato, ciò per cui era stato
disposto anche a mettere a rischio la sua stessa vita. Jacopo non era disposto
a stare a guardare mentre quei cretini dei congiurati colpivano il bersaglio sbagliato… e, a dirla tutta, dopo aver
visto il gesto generoso di Antonio si era vergognato ancora di più di essersi
lasciato coinvolgere in quella schifezza.
“Francesco,
aiutami!” gridò rivolto al nipote. Sapeva di poter contare su di lui e che
sarebbe stato un valido aiuto per far fuori tutti i congiurati e finirla una
volta per tutte con quell’idiozia.
Dopo di
che, senza tanti complimenti, si slanciò contro Vespucci e Bandini e li
trafisse l’uno dopo l’altro, senza che i due avessero nemmeno il tempo di
capire cosa stava succedendo. E, in fondo, non ci avevano mai capito niente in
quella congiura…
Francesco,
dal canto suo, affidò Novella al fratello Guglielmo.
“Porta
fuori Novella e Bianca e mettetevi in salvo!” esclamò, prima di precipitarsi ad
afferrare la daga che era caduta di mano ad Antonio e a prepararsi ad
affrontare Maffei e Stefano da Bagnone.
Stefano
da Bagnone non era di certo un sicario di professione e non fece nemmeno in
tempo a vedere Francesco che gli si gettava addosso e lo colpiva senza pietà;
Maffei, al contrario, aveva un conto in sospeso con Lorenzo e, pur rimasto da
solo e in mezzo alla confusione, urla, pianti, gente che correva da tutte le
parti, si era slanciato di nuovo contro il giovane Medici.
“Devi
morire, come è morto mio padre per colpa tua!” gridò, alzando di nuovo la lama
contro Lorenzo. E questa volta l’avrebbe colpito, ma il fedele contabile e
amico di famiglia, Francesco Nori, fece scudo al giovane con il suo corpo,
rimanendo trafitto al posto suo.
Lorenzo
rimase talmente sconvolto nel vedere l’amico colpito a morte da non trovare
nemmeno la forza di ribattere a Maffei che era proprio un imbecille e che non
aveva capito un accidenti di ciò che era accaduto a Volterra e a suo padre.
Intanto Guglielmo era riuscito a riunire Bianca e Novella a Clarice e Lucrezia:
la folla in chiesa era caduta in preda al panico e c’era gente ovunque che
urlava e cercava di scappare. Guglielmo pensò che sarebbe stato troppo
rischioso cercare di guadagnare l’uscita, che le donne sarebbero potute finire
travolte e calpestate, così decise di condurle al sicuro in sagrestia.
La
Cattedrale si svuotava tra grida, pianti e voci incontrollate. Quelli che
riuscivano a mettersi al sicuro nel sagrato riportavano ciò che a loro era parso di vedere e, quindi, la
confusione aumentava sempre di più.
“I Priori
hanno cercato di ammazzare i Medici!”
“No, sono
state le guardie del Cardinale!”
“E’ un
colpo di Stato, i mercenari del Cardinale Riario hanno sgozzato i Medici e i
Pazzi e ora vogliono il controllo di Firenze!” questo doveva essere un amante
dei complotti, un paranoico, però non volendo ci era andato vicino…
“Ma no, è
stato il Cardinale! E’ impazzito, ha accoltellato i Medici e poi si è tagliato
la gola” quello che parlava doveva avere una fantasia molto fervida, visto che
il povero Cardinale Sansoni Riario, appena diciassettenne, non appena era
iniziato il casino si era nascosto terrorizzato dietro l’altare e sarebbe
rimasto lì per ore…
“I Pazzi
hanno aggredito i Medici!” vedete come nascono a volte le calunnie?
“Macché,
c’erano dei sicari che hanno tentato di colpire i Medici e i Pazzi, al
contrario, sono intervenuti per salvarli” e proprio questa era la voce che
Antonio aveva sperato che circolasse, quella che la gente avrebbe dovuto fare
sua e propagandare per tutta Firenze!
Intanto,
nella Cattedrale ormai svuotata, Francesco era riuscito a uccidere anche
Maffei. Lorenzo e Giuliano non correvano più alcun pericolo, ma erano
comprensibilmente scioccati.
“Francesco…”
mormorò Lorenzo, guardando l’amico che si era sacrificato per lui. “Dobbiamo
fare qualcosa, portiamolo in sagrestia, chiamate un dottore!”
“Ci penso
io” si offrì Francesco Pazzi, che prese Nori, ormai in fin di vita, tra le
braccia, e lo trasportò in sagrestia dove già si trovavano suo fratello con la
moglie, Novella, Clarice e Lucrezia.
Giuliano,
tenendosi la spalla ferita, si avvicinò al fratello.
“Tu stai
bene, Lorenzo?” gli chiese.
“Sì, è
solo un graffio” rispose il giovane, toccandosi la gola ferita e ritirando le
dita sporche di sangue. Ci sarebbe voluta una medicazione, ma non era niente di
grave. “E tu come stai?”
“Anch’io
sto bene, è stato… è stato Antonio a mettermi in guardia e poi…” rispose.
I due
fratelli, sorreggendosi l’un l’altro, si avviarono verso il centro della
navata, dove si trovavano ancora Jacopo e Antonio. Il ragazzo aveva un livido
sulla guancia, dove Bandini lo aveva colpito, e si premeva il fianco con la
mano. Era molto pallido, ma non voleva cedere: quello era il momento della
verità.
Non era
finito tutto con la morte dei congiurati e la salvezza di Lorenzo e Giuliano.
Anzi,
adesso, forse, veniva la parte più difficile e lui avrebbe dovuto rimanere
lucido, freddo e non mollare.
Adesso c’era
da salvare Messer Pazzi…
Fine capitolo undicesimo