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Autore: Abby_da_Edoras    17/06/2019    6 recensioni
Questa storia è il sequel della mia precedente long fic "Il mio nome è mai più" e dunque si ispira ancora una volta alla serie TV "I Medici- Lorenzo il Magnifico", con il mio personaggio originale Antonio Orsini che, innamorato di Jacopo Pazzi, decide di mettere a posto le cose tra le due famiglie fiorentine. E, come in ogni mia ff che si rispetti, nonostante tutto ognuno avrà il suo "lieto fine"! Questa ff è incentrata interamente sulla congiura e sul modo in cui Antonio proverà a "scongiurarla" XD... e ovviamente tutto andrà letto in chiave umoristica e leggera, anche se per me questi personaggi sono veri e reali!
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a autori, registi e produttori della serie TV "I Medici".
Genere: Angst, Drammatico, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo undicesimo

 

Io sono un guerriero e troverò le forze
Lungo il tuo cammino
Sarò al tuo fianco mentre
Ti darò riparo contro le tempeste
E ti terrò per mano per scaldarti sempre
Attraverseremo insieme questo regno
E attenderò con te la fine dell'inverno
Dalla notte al giorno, da Occidente a Oriente
Io sarò con te e sarò il tuo guerriero

E amore mio grande amore che mi credi
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai
Ti difenderò da tutto, non temere mai.

(“Guerriero” – Marco Mengoni)

 

Era la mattina di Pasqua, 26 aprile 1478.

Tutto quello che poteva essere fatto era stato fatto, adesso non c’era alcun modo per tirarsi indietro.

Ognuno avrebbe dovuto affrontare le conseguenze delle sue scelte.

E, alla fine di quella giornata, ognuno sarebbe stata una persona nuova.

Qualcuno, anche, sarebbe stato una persona morta, ma di loro non ci frega più di tanto nella nostra storia!

Jacopo era quasi pronto per uscire di casa, aspettava soltanto Antonio. Pensava che, entro poche ore, i suoi nemici di una vita sarebbero stati eliminati per sempre, eppure non si sentiva compiaciuto come credeva che sarebbe stato. Anzi, gli era tornato in mente il giorno di due anni prima, quando per la prima volta aveva portato il ragazzino con sé al corteo pasquale che celebrava la famiglia Pazzi, a come era stato bello, anche per lui, godere quella giornata speciale attraverso gli occhi innocenti e pieni di gioia di Antonio. Allora sì che si era sentito pieno di pace e di gioia, altro che adesso… coinvolto in un complotto che non aveva scelto lui e con dei compagni di sventura raccogliticci e fuori di testa.

Davvero, ma chi glielo aveva fatto fare? Forse, però, avrebbe dovuto chiederselo prima di impegnarsi in quella faccenda e di arrivare a quel giorno. Ormai non poteva fare altro che andare avanti per forza d’inerzia…

“Antonio, non sei ancora pronto? Faremo tardi alla cerimonia” disse. Ecco, ci sarebbe mancato solo che arrivasse tardi, tanto quella congiura era già iniziata di merda!

“Eccomi, Messer Pazzi” rispose il giovane, raggiungendolo. Elegante, sorridente e dolce come al solito, sembrava solo lievemente più pallido del consueto.

Jacopo gli passò un braccio attorno alle spalle e se lo strinse al petto: in quel momento aveva solo bisogno del calore affettuoso di Antonio.

“Stai bene, ragazzino? Hai l’aria stanca, hai dormito bene stanotte?”

“Sì, certo, Messer Pazzi, va tutto bene. Solo…” Antonio non poteva celare del tutto il suo turbamento, ma guardando l’uomo che lo teneva tra le braccia trovò subito qualcosa su cui appuntare l’attenzione, che avrebbe spiegato la preoccupazione dipinta sul suo volto. “Messer Pazzi, stiamo andando al corteo, poi ci sarà lo scoppio del carro e la Messa solenne di Pasqua. Perché avete preso con voi la spada?”

Eh, già, bella domanda. Jacopo Pazzi aveva la spada nascosta sotto il mantello, hai visto mai le cose si mettessero ancora peggio di quanto poteva prevedere…

“Sì, beh, lo so che non ha molto senso portare un’arma per andare alla Messa di Pasqua, ma vedi, non mi piace affatto che le strade di Firenze brulichino di guardie del Papa” rispose Pazzi, con un’invidiabile presenza di spirito. “Credo che il Cardinale Sansoni Riario si sia portato fin troppa scorta e la presenza di tanti mercenari stranieri in città mi innervosisce. Spero che andrà tutto bene ma, se dovesse scoppiare qualche disordine, voglio essere pronto.”

E, in effetti, qualche disordine sarebbe scoppiato…

“Allora…” Antonio parve riflettere per qualche istante prima di proseguire, “allora potrei avere anch’io un’arma, in caso di disordini?”

“Tu, un’arma?”

“Messer Pazzi, non guardatemi come se avessi detto un’assurdità! Sono stato addestrato anch’io come un cavaliere, sebbene non abbia mai partecipato a battaglie. Anzi, come spadaccino sono anche piuttosto bravo, il mio istruttore mi diceva sempre che ero particolarmente agile e con i riflessi pronti. Solo che poi non avevo mai il coraggio di dare la stoccata finale…”

Jacopo rise piano. Certo, non poteva che essere così! Antonio non sarebbe riuscito a colpire un avversario al cuore nemmeno in un duello simulato! Si chinò a baciare il ragazzino e poi si avviò verso il suo studio, dove prese una daga e poi la porse ad Antonio.

“Puoi prendere questa, nel malaugurato caso che dovessi difenderti da qualche esagitato” gli disse, “ma mi auguro che non ne avrai bisogno.”

“Me lo auguro anch’io, comunque grazie, Messer Pazzi” replicò il giovane, allacciandosi l’arma alla cintura. Poi anche lui si coprì con il mantello, nascondendo la daga agli occhi degli altri.

Jacopo e Antonio uscirono da Palazzo Pazzi e si incamminarono verso la Chiesa dei Santi Apostoli, dove li attendevano per la processione: il carro pirotecnico era già là, magnifico come ogni anno, decorato, trainato da una coppia di buoi e sormontato dal cero pasquale e dalla bandiera con lo stemma dei Pazzi. Ancora una volta furono loro a guidare il corteo, subito dietro al carro, al Cardinale e ai chierichetti; li seguivano Francesco e Guglielmo, altri membri della famiglia Pazzi, parenti e alleati e nobili famiglie di Firenze… ma quest’anno, al corteo, si erano uniti anche dei volti nuovi, ossia i congiurati (mancavano, ovviamente, Salviati e Montesecco, altrimenti impegnati, e Girolamo Riario che attendeva la conclusione della congiura bello tranquillo nel suo palazzo a Imola!).

Quest’anno, tuttavia, tutto appariva meno splendente, meno maestoso ad Antonio, che pensava soltanto a quando sarebbero giunti in chiesa, a quando sarebbe dovuto intervenire per salvare Lorenzo e Giuliano… pregava solo di riuscire a fare tutto quello che si era proposto e che Messer Pazzi reagisse nel modo che lui si attendeva. Non poteva permettersi errori, nemmeno uno.

Il giovane guardò lo spettacolo dello scoppio del carro stringendosi a Jacopo, come se fosse emozionato e felice per la grandiosa scena davanti ai suoi occhi. In realtà voleva stare vicino al suo uomo, voleva sentirlo accanto a sé. Non lo sapeva… avrebbe anche potuto essere l’ultima volta…

Lo spettacolo pirotecnico terminò. Davanti all’ingresso della Cattedrale, prima di entrare, Jacopo si fermò ad augurare buona Pasqua alla famiglia Medici riunita (che faccia tosta, vero?), poi si avviò dentro la chiesa con Antonio al suo fianco. Quell’anno, per la prima volta, Francesco e Guglielmo si sarebbero seduti accanto a lui, con le mogli, nel lato destro dell’altare, quello destinato alla famiglia Pazzi e agli altri nobili fiorentini.

Prima di giungere ai loro posti, Antonio fece l’ultimo, disperato tentativo.

“Messer Pazzi, non pensate che sarebbe molto più bello se, almeno quest’anno, ci mettessimo tutti assieme, accanto a Lorenzo e Giuliano, per mostrare a tutta Firenze quanto le nostre famiglie siano ormai in pace e unite?” propose.

Certo, quello era proprio il giorno giusto per una cosa del genere, pensò Jacopo Pazzi. C’era quasi da ridere, se non fosse stato tanto nervoso…

“No, oggi proprio no” rispose deciso, afferrando Antonio per un braccio e portandolo con sé nel posto che gli spettava. “Ti ho già detto che ci sarà una particolare confusione per via dei tanti soldati mercenari che scortano il Cardinale, preferisco che le cose siano come sempre.”

“Come volete, Messer Pazzi” si arrese Antonio.

Ecco, l’ultima possibilità era svanita, adesso tutto dipendeva da lui.

Si accomodò al fianco di Messer Pazzi e vide Lorenzo e Giuliano prendere posto davanti a lui, nel lato opposto. Stranamente i due fratelli non sedevano vicini, qualche amico li separava. Clarice e Lucrezia, invece, sedevano sulla prima panca di fronte all’altare, con altre nobildonne fiorentine.

La cerimonia ebbe inizio, ma né Jacopo né Antonio furono in grado di seguirla veramente, entrambi, per ragioni opposte, con gli occhi fissi al gruppo di persone di fronte a loro, tra cui spiccavano, appunto, Lorenzo e Giuliano.

Il momento della consacrazione, fissato per l’attacco, si avvicinava. Jacopo non vedeva l’ora che fosse tutto finito; Antonio non perdeva di vista i due amici e controllava con occhio vigile qualsiasi movimento accanto o dietro di loro. Sarebbe stata questione di attimi e lui doveva tenersi pronto…

Il Cardinale Sansoni Riario sollevò l’ostia per la consacrazione, Jacopo si fece il segno della croce e inchinò il capo, ma il suo sguardo saettava verso i fratelli Medici; Antonio si morse il labbro inferiore, pronto a scattare, sapeva che era il momento.

Un’ombra si mosse dietro Giuliano, una lama brillò e ci fu il grido di Lucrezia Tornabuoni, la madre dei due ragazzi, che aveva visto e compreso. E fu quello il momento in cui Antonio intervenne.

Già l’urlo di Lucrezia aveva contribuito a creare una bella situazione di panico e confusione e il giovane Orsini approfittò proprio di quello.

“Giuliano, Lorenzo, dietro di voi, attenti!” gridò a sua volta, prima di slanciarsi contro Vespucci, che stava per colpire il giovane. Giuliano, però, messo in allerta dal grido della madre e poi da quello di Antonio, si scansò quel tanto che bastava per farsi colpire di striscio alla spalla, invece che alla schiena com’era intenzione di Vespucci. La lama tagliò la manica del suo farsetto e gli provocò un lieve graffio, ma nulla di più. Bandini, che si trovava anche lui dietro Giuliano, cominciò a sospettare che anche quel tentativo sarebbe finito nel ridicolo, ma a quel punto cosa poteva fare? Non poteva più tirarsi indietro, no? E anche se avesse voluto farlo la calca glielo avrebbe impedito. Tentò di aggredire nuovamente Giuliano, ma Antonio si era messo in mezzo tra l’amico e i due congiurati e li minacciava con la daga (ora avete capito perché si era fatto prestare un’arma da Jacopo? Furbo, no?). Intanto Maffei aveva anche lui tentato di colpire Lorenzo, ma il giovane si era spostato dopo l’avvertimento di Antonio e anche lui era stato colpito di striscio alla gola, senza conseguenze.

Vespucci, però, si era seriamente incavolato: diciamocelo chiaramente, a lui non fregava un beneamato della congiura, dei Pazzi, di Riario e di tutti quanti, ma ce l’aveva con Giuliano per aver (almeno a quanto sapeva lui) favorito la tresca di sua moglie Simonetta con Botticelli e adesso voleva farlo fuori, congiura o non congiura. Quel ragazzino rompiscatole non lo avrebbe fermato.

E Antonio, pur veloce e abile con la daga, non avrebbe avuto il coraggio di colpire un uomo… e di questo approfittarono Bandini e Vespucci: Bandini colpì il ragazzo in faccia, stordendolo, mentre Vespucci lo trafisse al fianco, proprio come progettava di fare con Giuliano. Un gemito strozzato di Antonio, ma il ragazzo rimase in piedi: Vespucci non era proprio un granché come spadaccino…

A quel punto, però, accadde quello che Antonio aveva auspicato, ciò per cui era stato disposto anche a mettere a rischio la sua stessa vita. Jacopo non era disposto a stare a guardare mentre quei cretini dei congiurati colpivano il bersaglio sbagliato… e, a dirla tutta, dopo aver visto il gesto generoso di Antonio si era vergognato ancora di più di essersi lasciato coinvolgere in quella schifezza.

“Francesco, aiutami!” gridò rivolto al nipote. Sapeva di poter contare su di lui e che sarebbe stato un valido aiuto per far fuori tutti i congiurati e finirla una volta per tutte con quell’idiozia.

Dopo di che, senza tanti complimenti, si slanciò contro Vespucci e Bandini e li trafisse l’uno dopo l’altro, senza che i due avessero nemmeno il tempo di capire cosa stava succedendo. E, in fondo, non ci avevano mai capito niente in quella congiura…

Francesco, dal canto suo, affidò Novella al fratello Guglielmo.

“Porta fuori Novella e Bianca e mettetevi in salvo!” esclamò, prima di precipitarsi ad afferrare la daga che era caduta di mano ad Antonio e a prepararsi ad affrontare Maffei e Stefano da Bagnone.

Stefano da Bagnone non era di certo un sicario di professione e non fece nemmeno in tempo a vedere Francesco che gli si gettava addosso e lo colpiva senza pietà; Maffei, al contrario, aveva un conto in sospeso con Lorenzo e, pur rimasto da solo e in mezzo alla confusione, urla, pianti, gente che correva da tutte le parti, si era slanciato di nuovo contro il giovane Medici.

“Devi morire, come è morto mio padre per colpa tua!” gridò, alzando di nuovo la lama contro Lorenzo. E questa volta l’avrebbe colpito, ma il fedele contabile e amico di famiglia, Francesco Nori, fece scudo al giovane con il suo corpo, rimanendo trafitto al posto suo.

Lorenzo rimase talmente sconvolto nel vedere l’amico colpito a morte da non trovare nemmeno la forza di ribattere a Maffei che era proprio un imbecille e che non aveva capito un accidenti di ciò che era accaduto a Volterra e a suo padre. Intanto Guglielmo era riuscito a riunire Bianca e Novella a Clarice e Lucrezia: la folla in chiesa era caduta in preda al panico e c’era gente ovunque che urlava e cercava di scappare. Guglielmo pensò che sarebbe stato troppo rischioso cercare di guadagnare l’uscita, che le donne sarebbero potute finire travolte e calpestate, così decise di condurle al sicuro in sagrestia.

La Cattedrale si svuotava tra grida, pianti e voci incontrollate. Quelli che riuscivano a mettersi al sicuro nel sagrato riportavano ciò che a loro era parso di vedere e, quindi, la confusione aumentava sempre di più.

“I Priori hanno cercato di ammazzare i Medici!”

“No, sono state le guardie del Cardinale!”

“E’ un colpo di Stato, i mercenari del Cardinale Riario hanno sgozzato i Medici e i Pazzi e ora vogliono il controllo di Firenze!” questo doveva essere un amante dei complotti, un paranoico, però non volendo ci era andato vicino…

“Ma no, è stato il Cardinale! E’ impazzito, ha accoltellato i Medici e poi si è tagliato la gola” quello che parlava doveva avere una fantasia molto fervida, visto che il povero Cardinale Sansoni Riario, appena diciassettenne, non appena era iniziato il casino si era nascosto terrorizzato dietro l’altare e sarebbe rimasto lì per ore…

“I Pazzi hanno aggredito i Medici!” vedete come nascono a volte le calunnie?

“Macché, c’erano dei sicari che hanno tentato di colpire i Medici e i Pazzi, al contrario, sono intervenuti per salvarli” e proprio questa era la voce che Antonio aveva sperato che circolasse, quella che la gente avrebbe dovuto fare sua e propagandare per tutta Firenze!

Intanto, nella Cattedrale ormai svuotata, Francesco era riuscito a uccidere anche Maffei. Lorenzo e Giuliano non correvano più alcun pericolo, ma erano comprensibilmente scioccati.

“Francesco…” mormorò Lorenzo, guardando l’amico che si era sacrificato per lui. “Dobbiamo fare qualcosa, portiamolo in sagrestia, chiamate un dottore!”

“Ci penso io” si offrì Francesco Pazzi, che prese Nori, ormai in fin di vita, tra le braccia, e lo trasportò in sagrestia dove già si trovavano suo fratello con la moglie, Novella, Clarice e Lucrezia.

Giuliano, tenendosi la spalla ferita, si avvicinò al fratello.

“Tu stai bene, Lorenzo?” gli chiese.

“Sì, è solo un graffio” rispose il giovane, toccandosi la gola ferita e ritirando le dita sporche di sangue. Ci sarebbe voluta una medicazione, ma non era niente di grave. “E tu come stai?”

“Anch’io sto bene, è stato… è stato Antonio a mettermi in guardia e poi…” rispose.

I due fratelli, sorreggendosi l’un l’altro, si avviarono verso il centro della navata, dove si trovavano ancora Jacopo e Antonio. Il ragazzo aveva un livido sulla guancia, dove Bandini lo aveva colpito, e si premeva il fianco con la mano. Era molto pallido, ma non voleva cedere: quello era il momento della verità.

Non era finito tutto con la morte dei congiurati e la salvezza di Lorenzo e Giuliano.

Anzi, adesso, forse, veniva la parte più difficile e lui avrebbe dovuto rimanere lucido, freddo e non mollare.

Adesso c’era da salvare Messer Pazzi…

Fine capitolo undicesimo

 

 

   
 
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