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Autore: Iky    22/06/2019    3 recensioni
"Mi risvegliai, incerto nel cuore se gettarmi giù dalla nave e morire nel mare o sopportare in silenzio e restare ancora fra i vivi. Sopportai e rimasi: avvolto nel mantello, giacqui sulla mia nave." [Ulisse]
*
Il viaggio non è semplice, specie se la meta è la scoperta di se stessi, l'accettazione, la rivalsa.
"Nessuno" lo sa bene.... eppure non può far altro che continuare a navigare, anche se il mare è in tempesta.
[Questa storia partecipa alla challenge Somewhere over the Rainbow indetta dal gruppo SasuNaru Fanfiction Italia]
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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3 GIALLO
(3)

MERCOLEDÌ– GIALLO – OUTSIDE





Non avrebbe mai dimenticato le settimane successive a quel venerdì con Daisy.
Erano state le più brutte della sua vita ma, se ci ripensava adesso, erano state anche le più cruciali. Sentirsi privato di quell'angolo di pace lo aveva svuotato del tutto.
Rincasava tardi, evitava le cene con scuse che sua madre assecondava, benché non ci credesse, con fiacchezza avvilente; suo padre invece... beh, non c'era mai.
Spento e perso, si muoveva tra le strade della città con le spalle curve e il cappuccio issato sul viso: anonimo, grigio, sfiorito.
Un outsider che giocava perennemente sul filo del fuorigioco.
Fino a che, gironzolando per caso, era arrivato a tracciare un percorso abitudinario; zaino in spalla, si fermava da Starbucks a prendere qualcosa di caldo, poi al parco su una panchina consunta ad aspettare che persino il sole si spegnesse.
Fu un giorno di quelli che una pallonata, dal campetto sterrato vicino, lo colse alla sprovvista. L'aveva stoppata senza pensarci, prima che facesse cadere rovinosamente il caffè, ormai freddo, sul terreno.
«Hey! Tutto bene? Mi dispiace!»
Un ragazzo dai capelli chiari si era catapultato verso di lui, ansante.
Jack non aveva nemmeno alzato lo sguardo; o forse sì, spinto da quella sua naturale curiosità, per poi sparire di nuovo nel suo cappuccio scuro.
Il tizio gli si era fermato di fronte, così si era ritrovato ad osservargli le scarpe da tennis usurate e sporche di terriccio.
«Caspita però, era uno stop notevole. Sono sicuro di aver calciato il pallone con tutta la mia forza... e ne ho parecchia io, sai?» stava dicendo, mentre spostava il peso da una gamba all'altra.
Silenzio.
Jack non era più abituato alle conversazioni, si sentiva in imbarazzo. E se avesse detto qualcosa di inopportuno? O peggio, qualcosa che avesse tradito quei minuscoli grandi particolari che avrebbero rivelato quello che era?
Non sei normale.
Non sei Nessuno.
Niente.

Ma il ragazzo biondo era piuttosto impertinente. Si lasciò andare sulla panchina con un esagerato sbuffo, le gambe all'aria, le braccia larghe. Quasi lo sfiorò.
Jack si accovacciò nell'angolo opposto.
«Ti vedo spesso da queste parti. Abiti vicino?»
Silenzio.
«Io lo trovo un posto magico, specie quando i mocciosi e i tizi che fanno jogging si tolgono dalle palle e diventa tutto mio».
Jack sollevò appena gli occhi.
La luce accesa del tramonto irrorava le foglie e riempiva ogni spazio quieto del parco, tuttavia a stupirlo fu l'effetto sui capelli biondi di quel ragazzo invadente.
Accecante e luminoso. Giallo.
Per un attimo incrociò il suo sguardo vivace: sembrava vittorioso nell'aver attirato la sua attenzione.
«Mi chiamo Drew, piacere di conoscerti...» lasciò la frase in sospeso, attendendo risposta.
Non arrivò, ma Drew riempì il vuoto con la sua risata.
«Non mi dispiace una conversazione a senso unico. Mio zio dice sempre che sono abbastanza loquace da sfiancare chiunque» dichiarò, dopodiché balzò in piedi con movimenti plateali.
Jack non aveva smesso di fissarlo, come ipnotizzato.
Drew fece scivolare il pallone di cuoio sulla punta del piede, poi lo issò verso l'alto e lo afferrò tra le mani.
Sorrise ancora, illuminato dalla luce fioca del sole.
«Ci vediamo domani» disse, lo sguardo che guizzava sul bicchiere di Starbucks sul quale saettava una scritta nera «No One».
Jack arrossì, imbarazzato.
Drew rise ancora, limpido.
«Allora ciao, Ulisse».


Jack trascorse i giorni successivi a riscoprire il piacere di parlare.
Con Drew era facile, quasi naturale. Dapprima rimaneva in silenzioso ascolto, eppure ben presto la sua curiosità e il suo spirito di scoperta si riaccesero.
Quella panchina era diventata il suo nuovo piccolo spazio franco.
Drew gli raccontò tutta la sua vita (sì, era davvero un tipo loquace) e le sue passioni: una di queste era la letteratura, soprattutto quella classica.
Jack ricordò di esserne rimasto stupito, non se lo sarebbe mai aspettato.
Drew anche allora aveva riso: «Sì mi piace la letteratura, oltre al calcio. Non per questo sono meno figo» gli aveva detto con molta schiettezza «E poi chi se ne frega di quello che pensano gli altri!»
Tuttavia a Jack quelle parole fecero un effetto devastante.
Amare qualcosa non ti definiva, anzi ti arricchiva: rimanevi comunque sempre te stesso.
Per lui non era così. Aveva sempre vissuto nella paura del giudizio altrui.
Drew, invece, era esattamente il suo opposto.
Tutto ciò gli causava un senso di angoscia, di invidia, ma anche di ammirazione e liberazione.
Si ritrovò sommerso da sensazioni potenti. Iniziava a provare di nuovo qualcosa che non fosse solo grigio vuoto.
Ogni volta che Drew gli si sedeva vicino, sbocciava.
Avevano preso l'abitudine di sedersi insieme, dopo qualche calcio a pallone, con il caffè in mano a guardare il tramonto; intanto Drew gli raccontava di qualche mito o poema.
Prima di rendersene conto, Jack si era perso con lui nei viaggi di Ulisse.
«E Polifemo urlò: Chi mi ha accecato? Nessuno!» narrava, alzando le braccia e imitando in modo buffo le vicende.
«No One!No One!» ripeteva, con aria melodrammatica «Per caso ne sai qualcosa, Jackie?»
Jack non aveva resistito ed era scoppiato a ridere.

Così erano trascorsi giorni che presto si erano trasformati in settimane, fino a quando Jack non aveva iniziato a rivelarsi, poco a poco, togliendo broncio e cappuccio scuro.
«Oh ma dai, hai gli occhi verdi! Sai che non me ne ero mai accorto?» gli aveva detto un tardo pomeriggio Drew, avvicinandosi pericolosamente.
E Jack, che non sapeva mentire per nulla, era arrossito fin troppo.
Ma Drew non si era mosso di un centimetro.
Giallo.
I suoi capelli solleticavano sulla fronte.
E le sue labbra erano morbide.
Jack si alzò di scatto, scaraventandolo a terra.
Era sconvolto, agitato, un nodo allo stomaco, l'eccitazione sulla pelle, la paura nel cuore.
Drew, a terra, si toccava la bocca con le dita.
«Mi dispiace» singhiozzò, per poi scappare e lasciarlo lì.

A casa, silenziosa e spenta come sempre, Jack si accasciò appena varcato l'ingresso, le spalle contro la porta chiusa al mondo.
Nella penombra, Daisy avanzò piano.
Non avevano parlato molto da quel venerdì, piuttosto Jack, quando poteva, la evitava.
Nonostante ciò adesso non aveva nessun altro posto dove andare, era solo, vulnerabile, confuso, perso.
«Jackie...» mormorò bassa.
Lui alzò lo sguardo: quanto era bella, quanto era scintillante. La amava e la odiava con la stessa intensità.
Scoppiò a piangere, una diga rotta in mille pezzi di vetro.
Daisy non esitò: lo abbracciò forte, in ginocchio.
«Ho rovinato tutto».
Lei lo tenne più stretto.
«L'ho baciato e adesso... Cosa c'è che non va in me?!» urlò in un singhiozzo basso e affogato.
Daisy gli carezzò i capelli, riccioli scuri come i suoi.
«Non c'è niente che non vada in te, Jack... sei il mio fratellone» gli mormorò, asciugandogli le lacrime «quello che mi lascia vincere per farmi contenta» continuò, gli occhi lucidi.
Jack la guardò, sconvolto. Poi deviò lo sguardo, in cerca ancora di una via di fuga ma lei non glielo permise. Lo riportò su di sé, le mani sulle sue guance umide.
«Non mi importa chi o cosa ami!» esplose, gli occhi pieni di sale «Io sarò sempre qui».
Jack affogò il viso nel suo collo, la sentì tremare.
«Non sei solo».
Poi chiuse gli occhi e si lasciò andare.

Quella notte rimasero abbracciati sul divano, in silenzio, sotto la loro coperta arancione.
Solo dopo qualche ora Jack parlò: «Credo che...mi piacciano i ragazzi» soffiò, fissando davanti a sé.
Daisy intrecciò i piedi freddi ai suoi: «Mh Mh» mugugnò, per niente stupita, ma infinitamente grata per la sua confessione.
«Basta che non rientrino nei tuoi gusti discutibili... burro di arachidi e noci» continuò, il disgusto ostentato di proposito.
Jack sorrise. Per la prima volta, davvero, dopo molto tempo. Libero.
Le diede una leggera gomitata.
«Senti chi parla!»
«Hey!»
Risero ancora e parlarono per il resto della nottata.


  
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