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Autore: ChrisAndreini    01/07/2019    1 recensioni
Sei mesi dopo la morta di Rika, una ragazza chiamata Margo, con lo pseudonimo MC, entra nell'RFA tramite un hacker, scomparendo nel nulla poco prima del party.
Due anni dopo, una ragazza identica a lei entra nell'appartamento di Rika, e le sue amiche d'infanzia approcciano casualmente i membri dell'RFA.
Martha Campbell, tatuatrice eccentrica in America, torna in Corea per cercare la sorella scomparsa da due anni.
Monica Collins, giornalista idealista con più lavori che soldi, ha la carriera appesa al filo di un'intervista alla C&R.
Miriam Coppola, musicista di strada dalla testa calda, incontra per la prima volta il suo idolo.
Mindy Cooper, studentessa della Sky University dal cuore d'oro, molto più interessata alla cucina che al suo major, trova il coraggio di approcciare la sua cotta.
Megan Carson, atleta incoraggiante squalificata a causa di un imbroglio, cerca casa in Corea mentre indaga sulla scomparsa di una vecchia amica.
Mistiche coincidenze, o uno schema attentamente pianificato da un abile marionettista?
Che fine ha fatto Margo?
E riusciranno le MC ad aiutare l'RFA a trovare la pace nei loro cuori?
Genere: Romantico, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Day 3

part 2

 

Miriam suonava da un po’, cercando di mettercela tutta e di non pensare all’irritazione che le era salita quando aveva visto Megan e Mindy conversare amabilmente, mentre la sua migliore amica preparava un pranzo completo per la ragazza che le aveva abbandonate entrambe.

Piuttosto cercava la familiare chioma argentata tra la folla, sperando con tutto il cuore che Zen ricordasse dove lei andava a prendere pagnotte pesciotte e che la raggiungesse anche quel giorno.

Non voleva darsi false speranze, e non credeva di certo che Zen potesse essere interessato davvero a lei.

Magari era solo molto gentile, oppure era felice di incontrare una fan.

Che fosse una brava persona dopotutto era ovvio, Miriam lo conosceva abbastanza bene da esserne ormai certa, nei due anni in cui l’aveva conosciuto come fan.

Ma che gli piacesse davvero la sua musica… Miriam era troppo insicura per crederci, ma iniziava a sperarci, e la speranza era un tarlo che, per quanto cercasse di estirpare, si aggrappava al suo cuore senza lasciarle via di scampo.

Quando iniziò a farsi tardi, la speranza però iniziava ad infrangersi, e dopo un paio di canzoni tristi di seguito, che andavano completamente contro la sua politica allegra, si fermò cinque minuti a riprendere fiato e mangiare le pagnotte pesciotte che aveva acquistato in precedenza.

-Non dirmi che hai già finito!- si rammaricò una voce che riconobbe immediatamente, affaticata.

Miriam si girò di scatto per puntare lo sguardo su una figura con il fiatone che era corsa verso di lei e stava riprendendo il fiato. Non riuscì a trattenere un piccolo sorrisino, e si alzò dal muretto dove si era seduta.

-Non ancora, devo raggiungere la quota giornaliera- gli spiegò, indicando le offerte, che al momento scarseggiavano.

-Ottimo per me. Accetti richieste?- si mise in posizione, pronto ad ascoltarla.

-Come sempre. Se sono nel mio molto vasto repertorio- annuì lei, bevendo un po’ d’acqua e accordando la chitarra.

-Un giorno ti farò cantare Zekyll e White, ma per ora che ne dici di Tei’s Tea Leaf?- propose, chiedendosi se conoscesse anche quel musical, uno dei primi in cui aveva recitato e che aveva avuto un certo successo.

-Non è tra i miei preferiti ma va bene. So solo le canzoni di Jack purtroppo- ammise.

Zen ridacchiò.

-Sono anche le mie preferite- Jack era il personaggio che aveva interpretato.

-Cerca solo di non comparare. Non tutti sono professionisti- lo riprese, e lui annuì, sorridendo, ansioso di ascoltarla di nuovo.

E Miriam cantò, con passione e più sicurezza del solito, attirando anche una certa folla di gente con la sua voce melodiosa.

Zen ormai la ascoltava da tre giorni e doveva ammettere che il suo repertorio era decisamente vasto, perché non aveva mai ripetuto una canzone.

Eppure, nonostante l’evidente talento, nessuno si fermava per più di una canzone, a parte lui.

-Qual è il tuo cavallo di battaglia?- chiese a sorpresa, dopo qualche altra canzone.

Miriam prese un sorso d’acqua, e lo guardò confusa, senza capire bene la domanda.

-In che senso? Una canzone che so fare bene?- 

-No. Se avessi una sola canzona per esprimere te stessa al mondo intero, quale sceglieresti?- si spiegò lui, gesticolando un po’ per farsi capire meglio.

Miriam ci rifletté un attimo.

-Non è una canzone che sarei ancora pronta a cantare, ma ci sto lavorando. Ma se dovessi cantatene una adesso…- esitando leggermente, Miriam prese la chitarra, si sedette sul muretto e fece cenno a Zen di avvicinarsi, come se cantasse solo per lui.

Una canzone in inglese, il cui significato sfuggì a Zen, ma non le emozioni.

Fin dalle prime sillabe, Zen si sentiva completamente preso. Pendeva dalle sue labbra e si sentiva arpionato, incapace di distogliere lo sguardo, incapace di sentire altro suono oltre al suo canto.

Si sentiva Ulisse davanti all’isola delle sirene, ed era una delle sensazioni più belle che avesse mai provato. E allo stesso tempo una delle più tristi. Gli sembrò di avvertire tutto il dolore della ragazza davanti a lui, e di condividerlo.

Essendo un attore, l’empatia era il suo forte.

A fine canzone, si asciugò le lacrime. La ragazza sollevò lo sguardo su di lui, asciugandosi una lacrima a sua volta.

-È stata un’interpretazione…- iniziò Zen, senza però trovare le parole. Miriam pendeva dalle sue labbra, con aspettativa -…straordinaria- disse infine, anche se non esprimeva neanche la metà di quello che provava. Alla ragazza sembrò bastare, e gli sorrise orgogliosa e quasi sollevata.

E perdendosi nei suoi occhi azzurri, l’interesse che quei tre giorni aveva spinto l’attore a raggiungerla sempre per sentirla cantare si evolse all’improvviso in una vera e propria cotta.

Non era più un uomo solo da troppo tempo che voleva una relazione e pensava che la sconosciuta cantante potesse essere una possibilità.

Era un uomo solo da troppo tempo che non avrebbe scelto nessun altro che la sconosciuta cantante.

Non poteva ancora definirlo amore, non la conosceva abbastanza, ma voleva assolutamente conoscerla.

Uscire con lei.

Magari cantare insieme al karaoke.

Doveva proporla a Martha e invitarla al party.

Ma prima di tutto doveva ottenere il suo numero.

…e il suo nome!

Cavolo, se lo scordava sempre!

-Scusa se interrompo il momento…- ruppe il silenzio Zen, un po’ dispiaciuto.

Miriam si ritirò leggermente. Aspetta, la sua testa si era avvicinata? Zen non aveva tempo di pensarci -…posso farti una domanda?- chiese invece, prima di dimenticarselo.

Miriam annuì, e strinse la presa sulla chitarra.

-Certo, che vuoi chiedermi? Ti avverto che non farò altre canzoni tristi per oggi. Ne ho fatte decisamente troppe- lo avvertì, tornando sicura di sé, almeno in superficie.

-Non è una richiesta, anche se avrei centinaia di brani da proporti. Come ti chiami? Ti vedo da tre giorni e non te l’ho neanche chiesto- finalmente Zen riuscì a chiedere quella piccola ma fondamentale informazione.

-Oh, è vero- Miriam non ci aveva neanche fatto caso -Si vede che la musica non ha bisogno di nomi per funzionare- ridacchiò.

-Nel caso non lo sapessi, il mio vero nome è…- fece il primo passo Zen, ma Miriam lo interruppe.

-Hyun Ryu, lo sanno tutti. Anche le fan alle prime armi. Io sono Miriam Coppola- gli porse la mano, presentandosi ufficialmente.

-Sapevo che non potevi essere coreana- Zen le strinse la mano, ed entrambi avvertirono un brivido lungo la spina dorsale.

-E da cosa lo hai dedotto, Sherlock? Dai capelli, dagli occhi o dall’evidente accento americano?- lo prese in giro.

-Hai un’ottima pronuncia coreana invece- si complimentò lui -E non aspettarti molto da uno che non è mai andato all’università- fu un po’ restio ad ammettere le sue mancanze, ma era un tipo onesto, e sentiva di potersi fidare di Miriam, che gli sorrise e iniziò a contare i soldi.

-Sapevo già anche questo, in effetti. Per rassicurarti posso dirti che io sono all’università solo per stare vicina alla mia migliore amica, altrimenti suonerei per strada tutto il giorno, al diavolo l’istruzione!- esclamò con enfasi, facendo sorridere Zen, poi la ragazza sospirò.

-Cavolo, ancora 2000 won è ho raggiunto l’obiettivo- commentò tra sé, poi guardò l’orologio, e scosse la testa.

-Devo andare- rimise la chitarra nel suo contenitore e fece un cenno con la testa a Zen -Da qui a casa il tragitto è abbastanza lungo e anche oggi devo cucinarmi da sola- gli spiegò, dispiaciuta.

-Ehi, aspetta- Zen la fermò, prese due banconote da 1000 won e glieli mise insieme agli altri.

-No, Zen, non dovevi- Miriam tentò di rifiutare, ma Zen non voleva sentire un no come risposta.

Non navigava certo nell’oro, ma 2000 won non erano nulla per lui, soprattutto con il nuovo musical alle porte.

Era una produzione abbastanza grande.

-Inoltre oggi, casualmente, sono venuto in moto. Vuoi un passaggio?- le propose, con un occhiolino.

Miriam avrebbe avuto tante obiezioni da fare: non ti conosco abbastanza bene da salire con te in moto; non puoi permetterti scandali; non mi fiderei troppo di uno che era in una gang di motociclisti alle superiori; è poco sicuro rivelare a uno sconosciuto il posto dove vivo; non voglio disturbarti.

Ma la sua mente si era completamente svuotata alla parola “moto”.

Era da quando Margo era scomparsa che non saliva su una moto, e lei le adorava.

Era decisamente in difficoltà.

Da un lato tutti i dubbi che le erano sorti alla mente precedentemente citati.

Dall’altro la voglia bruciante di tornare su quel pericoloso mezzo che l’aveva sempre fatta sentire libera.

Inoltre era tardi.

-Se non vuoi non preoccuparti. Dimmi solo dove posso trovarti domani e…- Zen sembrò capire le sue preoccupazioni e fece un passo indietro, ma Miriam non lo fece finire.

-Assolutamente sì- alla fine il suo lato ribelle e sprezzante del pericolo ebbe la meglio, facendo illuminare Zen.

-Ottimo! Seguimi allora- Zen le fece cenno di stargli accanto, e Miriam eseguì, leggermente titubante.

-Non rischi di creare uno scandalo con la tua carriera?- chiese, un po’ preoccupata, guardandosi intorno per controllare che nessuno lo avesse riconosciuto e stesse facendo qualche foto.

-Non voglio vivere da recluso per colpa della mia carriera. Ci sono cose più importanti- rispose Zen, dopo un attimo di esitazione.

-Sì, ma… sta attento, ok? Ci sono fan davvero sfegatate, molto più di me, che potrebbero non prendere affatto bene se iniziassi ad avere una vita sociale che non le coinvolge- lo mise in guardia, preoccupata.

-Ho già una vita sociale che non le coinvolge. Alla fine le mie fan sono piuttosto discrete- cercò di difenderle lui.

-Povero ingenuo- Miriam gli diede una pacca sulla spalla -Meglio vivere nell’ignoranza- gli fece l’occhiolino, e Zen ridacchiò.

-Tu sembri sapere tutto di me. Dimmi qualcosa di te- la incoraggiò, mentre arrivavano vicino alla moto.

-Non so tutto di te. Solo cose che riguardano principalmente il tuo lavoro. Non sono il tipo di fan stalker- ci tenne a sottolineare Miriam, facendo l’offesa, con un dito per aria.

-E sei anche il mio tipo preferito di fan- si recuperò Zen, senza esitazione.

-Per quanto riguarda me… non c’è molto da dire. Vivo con una mia amica, vado all’università, suono e ogni tanto esco con le amiche. Non mi piace parlare di me. È questa la tua moto?- chiese indicando una motocicletta parcheggiata poco distante, in un disperato tentativo di cambiare argomento.

-Sì. Salta su!- la incoraggiò Zen, accettando il cambio di argomento per non forzarla e porgendole elegantemente il casco.

-Amo le moto- sospirò Miriam sognante.

-Ne hai mai guidata una?- indagò Zen, curioso.

-No, ma alle medie stavo con il capo di una pericolosissima gang di motociclisti criminali- rispose lei, serissima, guadagnandosi un’occhiata sconvolta di Zen.

-Stai scherzando?!- chiese, preoccupato.

Miriam scoppiò a ridere.

-Sì, sto scherzando. Ma dovevi vedere la tua faccia. Una delle mie migliori amiche aveva una moto. Ma non si fa più sentire da due anni- gli spiegò, salendo dietro di lui e tenendo ben salda la chitarra e la borsa di scuola.

-Dove abiti?- chiese Zen, sedendosi davanti a lei, pronto a guidare.

Miriam gli rivelò l’indirizzo.

-Ottimo, ti ci accompagno subito- Zen fece partire la moto e Miriam si aggrappò a lui per non perdere l’equilibrio, facendogli trattenere il respiro.

Fu un viaggio di media lunghezza, molto silenzioso ad eccezione del rombare della moto ma Miriam lo trovò meraviglioso, e quando Zen finalmente accostò, non sarebbe voluta scendere.

-Siamo già arrivati?- chiese un po’ delusa, togliendosi il casco e guardando casa sua.

-La prossima volta se vuoi faccio un tragitto più lungo- propose Zen, ridacchiando.

-La prossima volta? Ora non montarti la testa, non è detto che ci sia una prossima volta- Miriam scese dalla moto tutta impettita, mentre Zen rimase seduto, ma si tolse il casco.

-Non faresti questo favore ad un tuo fan?- la supplicò Zen, con occhi da cucciolo molto scenografici.

-Domani sono al parco praticamente tutto il giorno, ma non ti conviene arrivare di mattina- lo mise in guardia.

-Perché? Ho concorrenza?- indagò Zen, curioso.

-Una concorrenza che non potrai battere, perché di solito domenica mattina passo per almeno un’ora al centro di accoglienza per animali, e lì è pieno di gatti- gli rivelò.

-Ti piacciono i gatti, eh?- indovinò Zen, grattandosi il naso che aveva già cominciato a prudergli.

-Purtroppo sì. Ma il pomeriggio i peli in eccesso dovrebbero essersi dissipati, quindi ti aspetto per riempirmi di soldi- lo prese un po’ in giro, dandogli le spalle per rientrare in casa.

-Oh, aspetta!- Zen la interruppe -Questi giorni ho la testa altrove. Volevo darti una cosa- aprì la sua borsa e tirò fuori un grosso foglio di carta arrotolato su sé stesso. Prese poi un pennarello e scrisse qualcosa sulla base del foglio, che poi porse a Miriam, che lo prese confusa.

Aveva una mezza idea su cosa potesse essere, ma non poteva crederci.

Sarebbe stato troppo bello per essere vero.

-Ti avevo detto che te ne avrei rimediato uno, anche se spero che lo terrai tu e non lo rivenderai- le parole di Zen non fecero che aumentare la speranza di Miriam, a cui bastò vedere il lembo inferiore per capire cosa fosse, e le fu davvero difficile trattenere il lato da fangirl.

Zen le aveva regalato un poster autografato di Zekyll e White, e Miriam aveva anche notato che aveva scritto il suo numero sotto al suo nome.

-Wow… ok… io non… questo poster vale più di quello che guadagno in due settimane, suonando. Non posso…- sembrò poi ripensarci -Ma sì che posso accettarlo. Grazie Zen. Grazie davvero tanto. Vedrò di togliere ogni singolo pelo di gatto- gli promise.

-Allora a domani- lo salutò Zen, con un gran sorriso.

-A domani- Miriam sembrò avvicinarsi, forse per dargli un bacio sulla guancia, o un abbraccio, o anche solo per stringergli la mano, ma venne interrotta da una voce sorpresa che la chiamò, facendola sobbalzare, e girare di scatto.

-Monica! Mi hai fatto prendere un colpo, pensavo potesse essere una giornalista impicciona- si lamentò Miriam, stringendo a sé il poster con fare protettivo e cercando di placare il battito del suo cuore.

-Chissà perché oggi mi danno tutti della giornalista impicciona- commentò tra sé Monica, un po’ seccata, ma si riprese quasi subito. -Sono felice che sei già a casa. Ti ho lasciato un pasto in microonde, e spero di trovarti già a letto quando torno. Devo scappare perché sono…- si interruppe quando notò Zen, che, ancora sulla moto, non sapeva bene che fare, se presentarsi o andare via.

Lo osservò qualche secondo, poi sembrò riconoscerlo, e i suoi occhi si accesero di consapevolezza.

-Tu devi essere Zen, l’attore, giusto?- chiese, avvicinandosi e porgendogli la mano.

Zen rimase di sasso.

Si era aspettato che lei rimproverasse Miriam per essere salita in moto con uno sconosciuto o altro. Si comportava come una sorella maggiore, o addirittura una madre. Non sapeva proprio come comportarsi.

-Sì, sono io- disse solo, stringendole la mano e accennando un sorriso.

-Miriam non fa che parlare di te- gli sorrise, un po’ maliziosa. Miriam le tirò una gomitata, e Monica si allontanò da lui -Sei stato molto gentile a riaccompagnarla- si complimentò poi, riconoscente.

-È stato un piacere, davvero- Zen iniziò a sentirsi più a suo agio.

Monica fece per aggiungere qualcosa, forse una domanda personale o un commento che avrebbe imbarazzato Miriam, perciò la ragazza la interruppe immediatamente.

-Non eri in ritardo?- la cacciò via, rossa come un peperone.

Monica sospirò.

-È vero. Voglio trovarti a letto quando torno- Monica iniziò ad avviarsi in tutta fretta verso la fermata dell’autobus, camminando in retromarcia per guardare Miriam.

-È sabato, Monica- si lamentò lei.

-Ma domani sarai nervosa se non vai a dormire-

-Io sono sempre nervosa!- Miriam si rese conto dopo qualche botta e risposta che Zen era ancora lì, e si fece se possibile ancora più rossa. Si girò verso di lui e gli fece un sorriso di scuse.

-Arrivederci, Zen. Buona serata- Monica salutò l’attore con un elegante cenno del capo e sparì presto alla vista.

-La tua… amica… sembra molto impegnata…- commentò lui, trattenendo una risatina.

Miriam si prese il volto tra le mani.

-Non ne hai idea. È la mia coinquilina, Monica, ed è come una imbarazzante sorella maggiore- scosse la testa, a disagio, poi alzò lo sguardo verso Zen.

-Credo sia il caso che rientri. Ci vediamo domani allora?- chiese, con un timido sorriso.

-A domani. Non vedo l’ora di vederti- le fece un occhiolino, prima di rimettere il casco e partire.

Miriam lo guardò sparire alla vista, poi sospirò sognante, e strinse forte il poster, sentendosi leggera come una farfalla.

Quando rientrò a casa, però, la sua felicità iniziò a scemare, e venne sostituita dalla preoccupazione.

Perché si era presa una grossa cotta per Zen.

E aveva giurato a sé stessa che non si sarebbe mai innamorata di nessuno. Aveva già sofferto abbastanza.

Oh, no, cosa avrebbe fatto adesso?!

 

ZEN è entrato nella chatroom

Jaehee Kang è entrata nella chatroom

ZEN: Oggi è stata una bellissima giornata!!

Jaehee Kang: Buonasera Zen. Hai cenato?

ZEN: Non ancora, sono appena tornato a casa.

Jaehee Kang: Ti hanno confermato il nuovo ruolo? *-*

ZEN: Sì, anche se ho iniziato a leggere il personaggio e non è esattamente il mio genere 

ZEN: Mi ricorda quasi Figlio di papà -_-

Jaehee Kang: Sono sicura che lo interpreterai  nel modo migliore *-*

Martha è entrata nella conversazione

Jaehee! Ciao! Non ti vedo da un po’

Ciao Zen!

ZEN: Ciao Martha

Jaehee Kang: Buonasera, hai cenato?

Sto cenando adesso, mi sono fatta un hamburger.

Piuttosto, sto indagando su faccende top-secret dell’RFA

Jaehee Kang: In tal caso penso che dovresti rivolgerti a Luciel e a V. Ma ti avverto che indagare 

su faccende top-secret ti porta ad essere alquanto sospetta

ZEN: Lasciala in pace, Jaehee, Seven ha detto che è a posto.

In realtà le faccende top-secret sono per mia curiosità intellettuale

Ho già indagato con Yoosung e Jumin

Senza particolare successo.

Jaehee Kang: Credo di capire dove tu voglia andare a parare

Che mi dite sulla vostra situazione sentimentale?

Zen è appurato che non è un forever alone

Ma Jaehee?

E Zen, da quanto non hai una ragazza?

Jaehee Kang: Non sono tenuta a dare informazioni personali. Comunque non avrei tempo per una relazione

Jaehee Kang: Ho anche consultato una matchmaker.

LOOOL

Cioè…

 Oh, mi  dispiace :(

(LOL)

Jaehee Kang: -_-

ZEN: Neanche io ho molto tempo a causa del mio lavoro, perciò sono single da cinque anni.

ZEN: Ma vorrei davvero tornare in pista.

ZEN: Mi manca uscire con una ragazza <3

Jaehee Kang: Ma non puoi permetterti scandali!

Jaehee Kang: Il tuo lavoro è più importante di una relazione

Jaehee, non è una visione un po’ rigida?

Se tu dovessi scegliere tra una persona che ami e il tuo lavoro non 

penso che la scelta sarebbe così ovvia, o sbaglio?

Jaehee Kang: Beh… ma il mio lavoro è diverso.

Jaehee Kang: Zen non può permettersi scandali in un momento così complesso della sua carriera.

ZEN: Se io dovessi scegliere tra il mio lavoro e la ragazza che amo sceglierei la mia ragazza 

ZEN: Senza ombra di dubbio.

ZEN: L’amore è una cosa meravigliosa. <3

Viva l’amore!! Anche io scelgo l’amore!

Jaehee Kang: Mi sembra di sentire Seven.

Jaehee Kang: Non è così semplice, a volte bisogna fare dei sacrifici 

ZEN: Parli come una che non ha mai avuto una relazione

Magari è una forever alone anche lei

Comunque, Zen…

Hai detto “la ragazza che mi piace”

Non “una ragazza che mi piace”

Hai qualcosa da dirci? ;)

ZEN: Eh… beh… potrebbe essere…

OMG!!! LO HAI AMMESSO!! 

SEI IL MIO PREFERITO! 

ALMENO SEI SINCERO!!

ZEN: Cavolo che entusiasmo.

ZEN: È una mia fan e l’ho incontrata in autobus, poi l’ho vista anche

ZEN: MI HA SCRITTO!!

ZEN: Scusa devo andare!!

ZEN è uscito dalla conversazione

Ahahahahahah

Jaehee Kang: Potrebbe sembrare che io non abbia intrattenuto molte relazioni nell’arco della mia vita, 

ma è una considerazione sbagliata. Infatti ho avuto un considerevole numero di relazioni 

e non sono una ragazza alle prime armi. Ma sostengo che una relazione romantica richieda impegno 

e dalla mia esperienza non si dovrebbe rinunciare al proprio lavoro e al proprio sogno per una storia che potrebbe non durare. 

Quindi spero che penserai alla tua reputazione e non farai gesti azzardati

Jaehee Kang: Se n’è andato mentre scrivevo…

Oh Mamma!!

Quindi non sei così innocente, Jaehee? LOLOL

Jaehee Kang: C’è un modo per cancellare i messaggi?

Jaehee Kang: Dov’è Luciel quando serve?!

Tranquilla Jaehee, almeno non sei una forever alone

Jaehee Kang: Ora sono imbarazzata

Ma non devi, è una cosa normale

Secondo me hai problemi con le relazioni perché non hai mai trovato la persona giusta

Jaehee Kang: Che intendi dire?

Che forse dovresti aprirti a persone diverse

Jaehee Kang: Continuo a non capire, e devo propri andare

Jaehee Kang: Buona serata Martha 

Jaehee Kang è uscita dalla conversazione

Le statistiche dicono che ci deve essere almeno un omosessuale nel gruppo, e io lo scoprirò! 

NON POTETE SCAPPARE PER SEMPRE!!

 Yoosung✮ è entrato nella conversazione

HEY YOOSUNG!!

Yoosung✮ è uscito dalla conversazione

Che pizza!

Martha è uscita dalla conversazione

 

Monica era rimasta più di tutti gli altri, e non le avrebbero pagato neanche l’ora in più passata a pulire la cucina.

Era stravolta dal sonno, con mezzo chilometro da fare a piedi prima di prendere l’ultimo autobus della giornata e con la certezza che l’avrebbe perso e che quindi avrebbe probabilmente dovuto spendere soldi che non aveva in un taxi.

Uscì dalla porta sul retro e buttò un sacco della spazzatura, massaggiandosi il collo dolorante.

-Signorina Collins?- una voce formale alle sue spalle la fece sobbalzare tanto che a malapena trattenne una parolaccia in italiano, e fu davvero grata di aver già buttato la spazzatura perché altrimenti era certa che se la sarebbe fatta cadere tutta addosso.

Si voltò di scatto verso la voce, che scoprì appartenere al signor Han, e sospirò. Non le andava proprio di parlare con lui, l’aveva davvero delusa a pranzo. Inoltre era stanca morta, e una volta a casa doveva anche continuare a scrivere l’articolo.

-Signor Han. Mi scusi, ma non sono nelle condizioni di discutere- cercò di tirarsi fuori con il massimo decoro, e gli diede le spalle per iniziare ad avviarsi verso la fermata, controllando l’orologio e appurando mentalmente che no, non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare in tempo. Tanto valeva chiamare un taxi e non stancare inutilmente i piedi già piuttosto doloranti.

Era mezzanotte passata. Aveva tutto il diritto di rifiutarsi di ricevere accuse infamanti da un ricco viziato figlio di papà gattaro che prima si scordava di lei e poi quasi la aggrediva senza un vero e proprio motivo.

E poi aveva già detto la sua, non voleva ripetere e rischiare che lui la denunciasse per qualcosa di random. Evidentemente questo nuovo Jumin Han ne era capace.

-Non le prenderò molto tempo. Volevo solo scusarmi per le mie accuse oggi a pranzo- la fermò Jumin, sorprendendola non poco.

Monica si girò a guardarlo, confusa, e dopo qualche secondo di silenzio si rese conto che doveva rispondere, e si affrettò a farlo.

-Oh, ecco. Certo, scuse accettate- Monica non se lo aspettava minimamente. Soprattutto visto che all’università non si era scusato neanche una volta esplicitamente, troppo orgoglioso. Forse il nuovo Jumin Han era meno peggio di quanto pensasse.

-Sono stato davvero sgarbato. E ho apprezzato la sua onestà. Non ero del tutto in me stesso oggi, e sentivo l’esigenza di spiegarmi- aggiunse l’uomo davanti a lei, ostentando tranquillità ma torturandosi leggermente le mani, evidentemente a disagio.

Monica accennò un sorriso. Doveva ammettere che all’improvviso tutta la sua stanchezza sembrava essere scomparsa, e che la spiegazione di Jumin le aveva fatto decisamente piacere. 

-Non si preoccupi, signor Han. Dovrei scusarmi anche io. Sono stata piuttosto scortese, immagino. Solitamente non mi scaldo troppo per questo tipo di supposizioni. So che per le persone come lei è normale essere all’erta con i giornalisti. Inoltre deve essere sfiancante pranzare con suo padre vista la situazione- mentre Monica si ritrovava a scusarsi nonostante non avesse fatto niente di sbagliato, ma solo perché troppo abituata a dover chiedere scusa e senza avere la minima idea di come rispondere quando era qualcun altro a scusarsi, Jumin si ritrovò a sorridere, intenerito e quasi divertito.

Monica si interruppe di scatto quando si rese conto di aver citato suo padre, e sgranò gli occhi, sentendosi in colpa.

-Mi scusi!- 

Jumin, che era troppo occupato a guardare la ragazza e non aveva fatto troppo caso a quello che diceva, piegò la testa confuso.

-Per cosa?- chiese, anche piuttosto sorpreso dalla sua stessa distrazione.

Iniziava a ricordarsi i motivi che forse lo avevano spinto ad allontanarsi da lei. Lo aveva sempre distratto parecchio.

-Non dovevo permettermi di parlare di suo padre. Non mi riguarda, volevo solo dirle che so che è una situazione difficile, e capisco che potesse essere nervoso, soprattutto con una giornalista ficcanaso vicino. Ma niente di quello che è successo oggi figurerà nell’articolo, le do la mia parola- si spiegò Monica, con un grande sorriso.

La nuova Monica era ancora più distraente. Più gentile, più educata, più sorridente. Più rasserenante. Era davvero possibile che fosse diventata più piacevole di prima?

Jumin deglutì nervosamente per ritrovare la voce che sembrava averlo abbandonato, e le fece un cenno di ringraziamento con il capo.

-Posso riaccompagnarla a casa?- la voce gli tornò, ma le parole che uscirono fuori non erano passate dalla sua mente, e rimase lui stesso piuttosto confuso dall’invito, anche se si rese presto conto che voleva davvero darle un passaggio, per scusarsi ancora meglio e perché era davvero tardi, e una giovane donna come lei non poteva rischiare di prendere l’autobus o il taxi.

Monica strabuzzò gli occhi, colta alla sprovvista.

-Signor Han, non posso accettare, non vorrei mai disturbarla e poi ho l’aut…- si interruppe guardando l’orologio perché, no… lo aveva decisamente perso -…prenderò un taxi, non si preoccupi- cercò di declinare, ma Jumin non era abituato a ricevere un no come risposta.

-Insisto, signorina Collins, è tardi, e fa piuttosto freddo- le indicò l’auto alle sue spalle che Monica non aveva neanche notato, davvero lussuosa e con un autista al suo interno già pronto a partire.

-Non fa così freddo- provò ad obiettare Monica, ma un vento improvviso la fece rabbrividire.

Jumin trattenne una piccola risatina, e si tolse la giacca, senza neanche pensarci.

-È da quando è uscita che si tiene le braccia per riscaldarsi. Mi permetta di accompagnarla, la prego- le mise la giacca sulle spalle con molta naturalezza, e Monica era così presa in contropiede che non lo fermò, ma arrossì parecchio -È anche un modo per scusarmi con i fatti più che con le parole- aggiunse poi, quasi tra sé.

Monica si bloccò di scatto, mentre un ricordo le tornava alla mente, colpendola come un pugno.

“-Tieni, non hai preso nulla per pranzo-

-Cosa?- 

-Hai rallentato la fila perché non riuscivi a prendere sia il caffè che la pasta e ti ho preso la pasta-

-Non ne ho bisogno, “Signor Han”- 

-Sei davvero testarda, “Signorina Collins”. Prendila e basta!-

-Perché adesso fai così il gentile? Mi hai praticamente presa a parole, prima- 

-…il mio comportamento è stato poco carino, lo ammetto. Se vuoi prendilo come un modo per scusarmi con i fatti più che con le parole-“

Notando la sua immobilità, Jumin le si avvicinò, un po’ preoccupato.

-Tutto bene, signorina Collins?- chiese, temendo di aver detto qualcosa di sbagliato.

E Monica decise di giocarsi il tutto per tutto.

Prese un profondo respiro per farsi coraggio e sollevò lo sguardo verso di lui, guardandolo dritto negli occhi e prendendolo decisamente in contropiede.

-So che non ti ricordi di me, ma otto anni fa andavamo nella stessa università, il Maripose College. Sei stato lì un semestre, e pranzavamo allo stesso tavolo. Abbiamo anche frequentato un paio di corsi insieme- fece uscire fuori, senza una vera e propria logica, ma con un grande bisogno di condividerglielo. Non era neanche la metà delle cose che avrebbe voluto ricordargli, ma non credeva fosse il caso di gettargli addosso tutto quello che aveva significato per lei prima che tornasse in Corea senza neanche salutarla di persona. Era convinta che lo stava mettendo già parecchio a disagio -Non so perché te l’ho detto. Ma mi sembrava giusto, credo. Insomma, io ti conosco, ecco. E non cambia nulla nei fatti ma dovevi saperlo, tutto qui. E credo davvero che chiamerò quel taxi ora- dandosi mentalmente della stupida per essersi buttata, Monica iniziò a indietreggiare, incapace di guardare l’uomo negli occhi e coprendosi il volto imbarazzato con le mani.

Venne però fermata da Jumin, che le prese con delicatezza il braccio.

-Aspetta, signorina Collins…- iniziò a dire, Monica lo guardò confusa, poi notò che aveva ancora la sua giacca sulle spalle.

-Certo, le restituisco la giacca…- fraintese, ma Jumin si affrettò a bloccarla prima che potesse togliersela.

-Tienila, fa freddo. Monica…- iniziò, addolcendo la voce. La donna si interruppe di scatto, sorpresa dall’informalità.

-…come mai credevi che mi fossi dimenticato di te? Tra i due sono sempre stato quello con la memoria migliore, ne sono più che certo- continuò l’uomo, incrociando le braccia, e assumendo una facciata quasi offesa.

Monica ci mise qualche secondo a metabolizzare il significato di quella frase.

Poi incrociò le braccia a sua volta.

-Ricordi male, invece. Ero io quella con la memoria migliore!- obiettò, nella sua migliore imitazione della sé universitaria.

Non le riuscì molto, perché scoppiò a ridere pochi istanti dopo, una risata quasi isterica e decisamente liberatoria, che venne accompagnata da un paio di lacrime che riuscì a nascondere all’interlocutore.

-Ero davvero irritante all’università- ammise, imbarazzata.

Jumin accennò un sorrisino a sua volta.

-Bevevi troppi caffè. Davvero credevi mi fossi dimenticato di te? Io credevo fossi tu ad esserti scordata- ammise Jumin, pensieroso.

-Ho smesso con i caffè. Ma non puoi biasimarmi, sono passati otto anni ed era solo un semestre. Chissà quante persone hai conosciuto in tutto questo tempo- tentò di giustificarsi lei, un po’ a disagio, mettendo una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Jumin decise di non metterla al corrente dei suoi trascorsi.

Non voleva esporsi troppo e confidarle che era stata davvero importante per lui, e decisamente una delle poche persone ad esserlo stata.

-È stato comunque un semestre… interessante- disse solo, ripensando a quei tempi -Alla luce della nostra neo-ritrovata confidenza universitaria, ha deciso di accettare il mio passaggio in auto?- chiese Jumin, tornando formale quasi a mo’ di presa in giro.

Monica sospirò, e cedette.

-Se insiste…- si avvicinò all’auto, stringendo a sé la giacca, talmente larga che le stava come un mantello sul suo corpo esile.

Jumin le sorrise, con più calore, e le aprì galantemente la portiera per farla accomodare.

Monica entrò con attenzione, come se temesse di rompere qualcosa, per niente abituata ad un’auto così lussuosa.

Probabilmente non sarebbe mai più salita sopra un’auto così elegante per il resto della sua vita.

Iniziò a torturarsi le mani, e a mordersi il labbro inferiore, mentre Jumin prendeva posto accanto a lei, con la massima eleganza.

Non fece commenti sulla sua mania, anche se avrebbe decisamente voluto, e si limitò a chiederle dove abitasse.

Monica gli diede l’indirizzo, che poi l’uomo comunicò all’autista Kim.

Monica era a disagio. Non sapeva se cominciare una conversazione o lasciare che fosse Jumin a prendere la parole.

Aveva tante cose da chiedergli, e da digli. Più di ogni altra cosa avrebbe voluto che fossero tranquilli l’uno verso l’altro come lo erano stati all’università, quando usavano le formalità quasi come una presa in giro. Ma non credeva di poterlo fare, con il Jumin che ora era davanti a lei. Era lo stesso di sempre, ma era anche molto diverso, anche se non necessariamente in senso negativo.

Alla fine, proprio mentre anche Jumin stava per aprire la bocca per dire qualcosa, fu Monica ad interrompere il silenzio che iniziava a farsi imbarazzante, ma avrebbe preferito restare zitta visto quello che le uscì fuori. 

-Hai imparato a mangiare un hamburger?- chiese infatti, dandosi mentalmente della stupida pochi istanti dopo. Purtroppo era una domanda che si faceva ogni volta che pensava a lui. Una volta sola, all’università, avevano pranzato con un hamburger in un fast food, ed era uno dei ricordi più divertenti che aveva. Non che ne avesse molti, a dirla tutta.

Jumin esitò, arrossendo appena ed evitando lo sguardo della ragazza, con espressione colpevole.

Poi si schiarì la voce e rispose, ostentando una sicurezza che non aveva.

-Confesso di non aver avuto molte occasioni di provare nuovamente- ammise.

Monica si lasciò scappare una risatina, che però cercò di contenere. 

-Lo sospettavo. Dovremo rimediare- si permise di prenderlo un po’ in giro. In quella macchina, in quel momento, fuori dalle occhiate della società e con la stanchezza che le annebbiava la mente, le sembrava di essere tornata a otto anni prima, dove le etichette non significavano niente e una ragazza che non riusciva neanche a pagarsi gli studi a meno che non lavorasse in mensa poteva essere amica di un ragazzo che se avesse voluto avrebbe potuto acquistare l’università intera compresa la mensa.

Anche Jumin si abbandonò al momento allo stesso modo.

-Tu invece continui a nutrirti di pura caffeina?- le chiese, con una nota di rimprovero. Non aveva mai approvato la sua dipendenza.

Monica si sentì colta sul vivo.

-Ho smesso con il caffè subito dopo aver finito l’università. Avevo qualche problema di pressione alta ed ero, oggettivamente, insopportabile e un po’ nevrotica- rivelò, ricordando quel periodo. 

-Come va adesso la pressione?- chiese Jumin immediatamente, allertato.

Monica si stupì del suo interessamento, e le fece davvero piacere.

-La pressione è normale, adesso. Probabilmente era un periodo stressante in generale. Tu cosa mi racconti? Chissà quante cose hai fatto in questi otto anni- si incuriosì, senza però risultare troppo invadente.

Jumin però non aveva molte cose da dire. La sua vita era piuttosto monotona, e i maggiori cambiamenti erano causati dal continuo giro di ragazze di suo padre. Le cose più rilevanti che gli venivano da dire riguardavano l’RFA, ma non credeva fosse una buona idea parlare a Monica di V, Rika e del resto dei membri. 

Decise di mantenersi sul vago.

-Non ho molto da raccontare. La mia vita si divide tra il lavoro ed Elizabeth 3rd. Poi sono in un’associazione benefica: l’RFA, che organizza dei party di beneficenza- disse semplicemente.

-Davvero nobile- commentò Monica, con un grande sorriso.

Jumin cambiò in fretta argomento perché quel sincero sorriso ammirato gli stava dando una fastidiosa sensazione al petto.

-Che mi dici del tuo libro?- chiese quindi, ricordando che la sua vecchia compagna era decisa più che mai a diventare scrittrice.

Monica però si rabbuiò.

-Oh, beh… ho smesso di scrivere. Insomma, continuo a scrivere perché sono una giornalista, e mi va più che bene, ma non ho tempo per scrivere narrativa, anche se vorrei davvero tantissimo- ammise, a bassa voce, come se non volesse lamentarsi. Si morse nuovamente il labbro inferiore, un po’ a disagio.

-È un peccato. Scrivevi davvero bene- commentò Jumin. Una volta aveva letto l’estratto di un racconto che stava scrivendo in quel periodo e ne era rimasto davvero colpito.

-A proposito di libri, ho letto il tuo, di due anni fa- cambiò argomento Monica, in tono leggermente malizioso.

In questo ping pong di botta e risposta passarono parecchi argomenti nel tragitto in macchina, e sembrò ad entrambi troppo presto quando l’autista Kim annunciò che erano arrivati.

-Di già?- si fece sfuggire Jumin, un po’ infastidito.

-Avremo altre occasioni, Jumin. Grazie del passaggio, e grazie anche a lei, autista Kim- disse Monica all’uomo al volante, che le fece un cenno rispettoso e un vago sorriso.

Poi la ragazza scese dall’auto.

-Monica- la interruppe Jumin, più per non farla andare subito via che per parlarle. Monica fece rientrare un attimo la testa nella vettura, e osservò curiosa l’interlocutore, che dovette inventarsi qualcosa da dire.

-…mi dispiace ancora per stamattina. Ero frustrato per mio padre, e per il fatto che… non dovevo prendermela con te. Scusami ancora- disse, in tono distaccato ma che mostrò appieno le sue emozioni, almeno a Monica, che sorrise e annuì comprensiva.

-Non preoccuparti, Jumin. So che non sei il migliore nei primi incontri- gli fece un coraggioso occhiolino, prima di far sparire nuovamente la testa.

Pochi istanti dopo la fece comparire nuovamente.

-Grazie ancora del passaggio- gli disse nuovamente -Arrivederci signor Han- lo salutò poi, in italiano.

-Arrivederci, signorina Collins- rispose Jumin nella medesima lingua.

Monica ridacchiò e si avviò verso casa, prendendo le chiavi dalla borsa e rientrando.

Una volta assicuratosi che Monica era rientrata senza problemi, Jumin incoraggiò l’autista a sbrigarsi a portarlo a casa, e, con uno sguardo di chi la sapeva lunga, lui eseguì.

Quando Monica entrò in casa, non trattenne un profondo sbadiglio, e sorrise tra sé ripensando alla complicità ritrovata con Jumin Han. 

Erano soliti parlare spesso nelle tre lingue che entrambi conoscevano alla perfezione, anche per confondere possibili ascoltatori indesiderati: italiano, coreano e inglese. Non riusciva ancora a credere che Jumin si ricordasse di lei. E soprattutto che ricordasse tutte quelle cose di lei, come le sue lingue, la sua passione per la scrittura e per il caffè. 

Sospirando, quasi sognante, si diresse verso la scrivania, quando una voce confusa la fece sobbalzare.

-Di chi è quella giacca?- chiese Miriam dopo aver cacciato uno sbadiglio, e Monica si girò verso il divano dove lei si era probabilmente appisolata vedendo un musical di Zen.

-Giacca?- chiese, sorpresa.

Poi la consapevolezza la colpì come un fulmine, e si tastò le spalle, dove la giacca di Jumin era rimasta senza che lei se ne accorgesse.

Arrossì interamente, e si portò una mano alla bocca mortificata.

Fece per uscire, sperando non fosse ancora partito, ma non lo si vedeva da nessuna parte.

Sospirò, ripromettendosi di restituirgliela lunedì, prima di andare a lavoro.

-Monica… hai per caso una storia con un riccone?- indagò Miriam, con sguardo malizioso e occhi brillanti.

-Ma figurati! Sai che non ho tempo per una storia! È stato… un caso- si ritirò, togliendosi in tutta fretta la giacca e mettendola sottobraccio. Decise di non dire tutto all’amica, perché aveva una mezza idea di come avrebbe potuto reagire, e non ci teneva a far sapere a tutti della sua confidenza con la persona su cui doveva scrivere un articolo, almeno finché il suddetto articolo non fosse uscito. 

-Ceeeerto, come no. Puoi dirmi almeno di chi è la giacca?- continuò però ad indagare Miriam.

-Di nessuno! Tu hai una storia con un attore di musical?- ricambiò Monica, facendola arrossire.

-Non è niente di simile!- esclamò, in tono acuto.

-Va bene, va bene, ma fai piano, e vai a dormire- le ordinò, indicando la sua camera.

Miriam sbuffò ed eseguì. Spesso i sei anni di differenza che si portavano si facevano sentire parecchio.

Monica posò la giacca sul mobile, e la osservò qualche secondo, accarezzandola per lisciarla e stupendosi di quanto fosse pregiata la sua fattura.

Probabilmente valeva più di quello che avrebbe guadagnato lei in un anno.

Sospirò.

Una storia… in effetti quello che le era appena successo sembrava preso da una storia.

Il ricco uomo d’affari e la povera giornalista precaria. Riuniti dopo otto anni a causa di una intervista che avrebbe potuto mettere a dura prova la carriera di entrambi. Di solito, in questo tipo di storie, i due finivano per mettersi insieme, sposarsi dopo una settimana, affrontare ogni problema uniti, solitamente ragazze invidiose e rivali lavorativi.

Ma era, appunto, solo una storia.

Una storia di fantasia, una soap opera che però non sarebbe mai diventata reale, per lei.

Perché lei e Jumin non si sarebbero mai messi insieme, lei e Jumin erano troppo diversi per mettersi insieme. Ex-compagni di università? Certo. Amici? Forse. Amanti? Mai e poi mai. 

Monica se l’era ripromesso dai tempi dell’università.

Non si sarebbe mai innamorata di Jumin Han, fine della storia.

Ma da quando lo aveva rivisto, così simile e pure così maturato, il suo cuore non sembrava voler mantener fede a quella promessa.

 

Due anni prima

Margo osservava il giardino completamente senza parole. Ray era accanto a lei, con le mani dietro la schiena, e aspettava un suo commento con grande aspettativa, fissandola.

-È… è…- Margo non trovava le parole, ma le salirono le lacrime agli occhi. Ray si ritirò leggermente, poi le si avvicinò preoccupato.

-Non ti piace? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Scusami!- si affrettò a dire -Se vuoi ti riporto subito dentro- propose, indicandole l’edificio alle loro spalle.

Margo scosse violentemente la testa, asciugandosi gli occhi.

-No, no, assolutamente no! È bellissimo. È il giardino più magico che io abbia mai visto. Grazie di avermi portato qui- gli sorrise grata, facendolo arrossire, e iniziando a guardare i fiori, affascinata.

-Dovevo portarti prima, ma sono così impegnato… mi dispiace- Ray abbassò la testa, mortificato.

Margo gli si avvicinò, e gli prese la mano tra le sue, guardandolo negli occhi.

-Ray, se ti ringrazio, non scusarti. Fai tantissimo per me, più di quanto abbia mai fatto chiunque altro. Non buttarti giù, sei fantastico- lo complimentò, con un grande sorriso, e oltre al rossore evidente sulle sue guance, Margo riuscì quasi a sentire il battito forsennato del suo cuore attraverso le vene della mano che stringeva.

Cercava di sostenerlo il più possibile, dato che Ray aveva la tendenza a buttarsi giù in ogni modo possibile, ed era felice di constatare che durante le sue visite Ray sembrava più sicuro. Il problema era che la salvatrice, chiunque fosse, era poco collaborativa, e sembrava non fare altro che buttarlo giù. A Margo non stava affatto simpatica, e aveva già una mezza idea di chi potesse essere, anche se non voleva tirare conclusioni affrettate.

-Sono così felice che tu sia qui- sussurrò Ray, in tono immensamente grato.

-E io sono felice di essere qui, con te. Il gioco è davvero bello- cercò di sollevarlo lei. Margo era molto brava a far sentire gli altri speciali.

Solitamente questi altri erano persone che non meritavano di sentirsi così speciali, nel parere comune, ma Margo trovava indispensabile cercare i diamanti in mezzo a ciò che era considerato carbone. Aveva avuto qualche successo e qualche insuccesso. Ray sarebbe stato uno dei suoi più grandi successi. Era davvero speciale, e dolce, e meritava tutta la gioia del mondo, che Margo gli avrebbe procurato, in un modo o nell’altro.

Sperava che non sarebbe dovuta arrivare all’”altro”, e per il momento non sembrava un’opzione, per fortuna.

Andava tutto bene, e Ray non era neanche minimamente comparabile a certa gente con la quale aveva avuto a che fare. Certo, c’era la salvatrice, e tutti quei membri del culto, ma non sembravano avversari così temibili.

Tutto stava procedendo bene.

-Sono grato che tu testi il gioco, ma a volte temo che esso ti potrebbe risucchiare- ammise Ray, distogliendo lo sguardo con una punta di preoccupazione negli occhi.

-Non devi temere, è un gioco interessante, ma la vita reale mi interessa di più. Tu mi interessi di più, decisamente. Non devi temere, Ray. Ti prometto che non ti lascerò mai- lo rassicurò, scandendo ogni parole per impregnarla di significato.

Ray la guardò di nuovo, più felice di come Margo l’avesse mai visto. Poi però sembrò pensare a qualcosa, e si rabbuiò leggermente.

-Grazie- disse solo, in un sussurro.

Margo decise di lasciargli un po’ di spazio, e iniziò ad esplorare il giardino. 

Un fiore rosa che sembrava brillare nella notte ed era più grande del normale attirò la sua attenzione, e per un attimo sembrò perdere la cognizione del momento.

Sbatté le palpebre un paio di volte.

-Questo fiore è bellissimo!- esclamò eccitata, accovacciandosi davanti al fiore come una bambina. 

Ray le si avvicinò, sorpreso dal suo improvviso cambio di comportamento, ma felice che fosse procurato da uno dei suoi fiori preferiti.

Le sorrise e si piegò accanto a lei.

-È un ibisco. Vuoi sapere il suo significato?- chiese incerto.

Margo si girò verso di lui e annuì, con un grande sorriso curioso.

-Bellezza fugace, incanto di un istante. Sono talmente delicati che durano un giorno. Di solito si coltivano in zone tropicali, ma sono riuscito a piantarne un arbusto qui, e i fiori durano qualche giorno- spiegò, emozionato di condividere una delle sue più grandi passioni.

Margo ascoltava affascinata e a bocca aperta, poi sembrò rendersi conto di essersi lasciata troppo andare, sbatté di nuovo le palpebre come se potesse farla tornare in sé e limitò l’entusiasmo.

Quel fiore l’aveva destabilizzata.

-Sai davvero tante cose dei fiori. Mai pensato di aprire un negozio? Saresti un ottimo fiorista- disse senza pensarci troppo. 

Ray si rabbuiò leggermente, sembrava quasi spaventato dalla proposta.

-Non sarei mai all’altezza, so solo lavorare al computer, non sono buono a fare nient’altro- si buttò nuovamente giù.

Margo sospirò e gli mise un braccio intorno alle spalle, stringendolo a sé.

-Puoi essere molto di più- gli sussurrò incoraggiante, continuando a guardare il fiore meraviglioso.

Il venticello che iniziava ad alzarsi la fece rabbrividire, e si mise una mano sulla testa che stava iniziando a farle male, forse per il vento, forse perché non più abituata a stare fuori, o forse per qualche problema di pressione.

Fatto sta che si alzò quasi di scatto, cacciando uno sbadiglio.

-Oh, sei stanca? Se vuoi possiamo tornare dentro- propose Ray, capendo subito i segnali e alzandosi a sua volta.

Margo annuì.

-Vorrei davvero continuare ad esplorare, ma dovrei rientrare. Possiamo tornare i prossimi giorni?- chiese speranzosa, con occhi da cucciolo.

Ray annuì, iniziando a scortarla dentro.

-Tutti i giorni che vuoi- le promise.

Prima di seguirlo, Margo si voltò un attimo, sentendosi osservata, e le sembrò di scorgere una figura familiare dalla chioma turchese nascondersi dietro un cespuglio.

-Tutto bene?- le chiese Ray, seguendo il suo sguardo ma non vedendo niente.

Margo scosse la testa, e tornò normale.

-Certo, tutto bene. Volevo lanciare un’ultima occhiata all’ibisco. È davvero stupendo. Anche se i miei fiori preferiti sono i gigli- ammise, tornando tranquilla, nascondendo il mal di testa che aumentava.

-Ne ho alcuni da qualche parte. Domani te li faccio vedere- le promise Ray, dandole la precedenza per poi chiuderle la porta alle spalle.

E probabilmente chiudendo fuori V.

Perché sì, sebbene l’avesse visto solo per un istante, Margo aveva riconosciuto dietro quel cappuccio il capo dell’RFA.

Sperava solo che non intervenisse rovinando i suoi piani.

Decise di non pensarci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Non ho molto da dire su questo capitolo, tranne che sono davvero curiosa si conoscere la vostra opinione su Margo.

È uno dei personaggi più complessi che abbia mai creato ed è anche uno dei miei preferiti. E mi diverte che per il momento sia completamente indefinibile e sembra quasi una manipolatrice sociopatica.

Mi dispiace che in questo capitolo siano comparse poche persone. Il prossimo, vi avverto, è probabile che lo dividerò in tre parti perché è lungo più di 70 pagine, e non ho ancora scritto la parte di Margo.

Ho già scritto più di 20 pagine del quinto giorno e spero che troverò l’ispirazione per continuare.

Grazie alle 5 persone che leggono questa storia.

Se avete qualche commento, qualche appunto o anche qualche spam sentitevi liberi di commentare.

Un bacione e alla prossima.

 

   
 
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